Le condizioni di ammissibilità della riforma di una sentenza di assoluzione in sentenza di condanna

Antonio Corbo
27 Maggio 2022

Le Sezioni Unite si sono espresse sull'ammissibilità della riforma in grado di appello di sentenza di assoluzione nel caso di impossibilità della rinnovazione della prova dichiarativa decisiva per decesso del dichiarante.
Massima

La riforma, in grado di appello, della sentenza di assoluzione non è preclusa nel caso in cui la rinnovazione della prova dichiarativa decisiva sia divenuta impossibile per decesso del dichiarante, e tuttavia la relativa decisione deve presentare una motivazione rafforzata sulla base di elementi ulteriori, idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio, acquisibili dal giudice anche avvalendosi dei poteri officiosi di cui all'art. 603, comma 3, c.p.p., ivi compresa la possibilità di lettura delle dichiarazioni predibattimentali già rese dal suddetto deceduto.

Il caso

La Corte di assise, in primo grado, aveva assolto l'imputato da vari reati tra cui due omicidi commessi in concorso con altri, ritenendo, in particolare, per il primo dei due fatti di sangue, che le dichiarazioni di un coimputato, costituenti l'unica fonte di prova a carico, fossero inattendibili e non supportate da elementi di riscontro, e, per il secondo, che non vi fosse alcuna prova relativa all'elemento soggettivo.

La Corte di assise di appello, su impugnazione del pubblico ministero e delle parti civili, aveva riformato la sentenza di assoluzione e condannato l'imputato per entrambi gli omicidi, ritenendo, in relazione al primo, credibili le dichiarazioni del coimputato giudicato inattendibile in primo grado e sussistenti gli elementi di riscontro, e, con riguardo al secondo, ravvisabili indizi gravi, precisi e concordanti in ordine all'elemento soggettivo.

La Corte di cassazione, però, aveva annullato con rinvio la sentenza di condanna appena indicata perché essa aveva riformato la sentenza di assoluzione sulla base della mera rilettura delle dichiarazioni del coimputato, senza che si fosse proceduto alla rinnovazione dell'esame di tale dichiarante in sede di appello, così come necessario in applicazione del principio enunciato da Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2016, n. 27620.

Il Giudice del rinvio ha ribadito la sentenza di condanna, pur non potendo rinnovare l'esame del coimputato, perché nel frattempo deceduto, ma previa acquisizione delle dichiarazioni rese dal medesimo in fase di indagini, su richiesta del pubblico ministero, al fine di verificare la credibilità di quanto raccontato dal precisato dichiarante nel dibattimento di primo grado. Il Giudice del rinvio, in particolare, ha acquisito le dichiarazioni rese dal coimputato nel corso delle indagini ai sensi degli artt. 512 e 513 c.p.p., ritenuti compatibili con il dettato del comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p., entrato in vigore dopo la pronuncia della sentenza di annullamento della Corte di cassazione.

Proponendo nuovamente ricorso per cassazione, l'imputato ha denunciato sia vizi di motivazione, anche per la violazione del principio enunciato da Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2016, n. 27620, in tema di divieto di un ribaltamento di una sentenza di assoluzione in caso di mancata riassunzione della prova dichiarativa decisiva, sia l'illegittimità dell'applicazione degli artt. 512 e 513 c.p.p., in quanto la mancata (nuova) escussione non sarebbe stata determinata da fatti o circostanze imprevedibili, essendo il coimputato da tempo ricoverato in una struttura per malati terminali.

Il Collegio della Corte di cassazione alla cui cognizione era stato sottoposto il ricorso (Cass. pen., sez. V, 4 giugno 2021) ha rimesso il giudizio alle Sezioni Unite, a norma dell'art. 618, comma 1-bis, c.p.p., ritenendo condivisibili le conclusioni cui era pervenuto il giudice del rinvio, e ravvisando però il contrasto tra queste ed il principio enunciato da Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2016, n. 27620. Precisamente, si è in primo luogo rilevato che il principio enunciato dalle Sezioni unite nel 2016 sembra non ammettere deroghe al divieto di “ribaltamento” delle sentenze assolutorie in appello in caso di mancata nuova escussione della fonte di prova le cui dichiarazioni siano decisive, anche quando la rinnovazione dell'esame sia impossibile per morte, infermità o irreperibilità del soggetto da (ri)sentire. Si è poi osservato che questo principio, nella sua assolutezza, non è condivisibile. Si è quindi evidenziata la necessità di sottoporre la questione alle Sezioni unite, in quanto l'art. 618, comma 1-bis, c.p.p., dispone: «Se una sezione della corte ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso».

Le Sezioni Unite, su conforme parere della Procura generale presso la Corte di cassazione, hanno rigettato il ricorso, ritenendo ammissibile la riforma di una sentenza di assoluzione pronunciata in primo grado anche quando in appello non si sia proceduto a rinnovazione della prova dichiarativa decisiva per il sopravvenuto decesso del dichiarante, purché la decisione di secondo grado presenti una motivazione rafforzata, ed argomenti anche sulla base di elementi ulteriori rispetto alla deposizione non rinnovata.

La questione

La questione concerne i poteri decisori del giudice di appello, e le condizioni di ammissibilità della riforma di una sentenza di assoluzione in sentenza di condanna.

La domanda principale è la seguente: può il giudice di appello riformare una sentenza di assoluzione, pronunciandosentenza di condanna, quando non è possibile procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa decisiva per la morte del dichiarante?

A questa domanda, in caso di risposta affermativa, è strettamente collegata la seguente: a quali condizioni è consentito al giudice di appello riformare una sentenza di assoluzione quando non è possibile procedere alla rinnovazione della prova dichiarativa decisiva per morte del dichiarante?

Ulteriore questione collegata alla precedente: può il giudice di appello acquisire le ulteriori dichiarazioni rese fuori del contraddittorio dalla fonte di prova decisiva? E, in caso di risposta affermativa a questo quesito, sulla base di quali presupposti?

Le soluzioni giuridiche

Il problema, come si è anticipato in precedenza, si è posto perché, secondo il principio enunciato da Cass. pen., sez. un., 28 aprile 2016 (dep. 6 luglio 2016), n. 27620, «nel caso di riforma in appello del giudizio assolutorio di primo grado, fondata su una diversa valutazione della concludenza delle dichiarazioni ritenute decisive, l'impossibilità di procedere alla necessaria rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa - ad esempio per irreperibilità, infermità o decesso del soggetto da esaminare - preclude il ribaltamento del giudizio assolutorio ex actis, fermo restando il dovere del giudice di accertare sia la effettiva sussistenza della causa preclusiva alla nuova audizione, sia che la sottrazione all'esame non dipenda né dalla volontà di favorire l'imputato né da condotte illecite di terzi, essendo in tali casi legittimo fondare il proprio convincimento sulle precedenti dichiarazioni assunte» (così la massima ufficiale in C.E.D. Cass, n. 267490-01).

Come ricordato dalla decisione oggi in esame, Cass. pen., sez. un., n. 27620/2016, cit. aveva affermato la preclusione alla riforma del giudizio assolutorio in caso di impossibilità di procedere alla rinnovazione dibattimentale della prova dichiarativa in stretta connessione con l'elaborazione della giurisprudenza della Corte EDU, la quale, in particolare a partire dal leading case Corte EDU, 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia, osserva che, ai fini del superamento di una sentenza di proscioglimento, il giudice di appello deve procedere all'esame diretto dei testimoni, per valutarne l'attendibilità e così assicurare l'equo processo. Tuttavia, sempre come rilevato dalla decisione in commento, Cass. pen., sez. un., n. 27620/2016, cit. aveva anche previsto una possibile deroga, in particolare con riguardo al teste vulnerabile, ritenendo in tal caso rimessa al giudice di merito la valutazione della insuperabile necessità della reiterazione dell'atto istruttorio.

Posta questa premessa, la pronuncia in esame precisa anche che, nella specie, trova applicazione la disciplina fissata dal comma 3-bis dell'art. 603 c.p.p., come introdotta dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, sebbene la stessa sia entrata in vigore dopo la pronuncia di annullamento con rinvio costituente l'esito del precedente giudizio di legittimità. Si precisa che la disciplina appena richiamata, la quale si pone «in linea di continuità con la giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass. pen., n. 27620/2016, cit.]», è, nella specie, applicabile perché attiene ad un segmento processuale, quello della rinnovazione dell'istruttoria nel giudizio di appello, e quindi nel giudizio di rinvio, che, al momento della sua entrata in vigore, nel processo in cui è stata emessa la sentenza impugnata, non si era ancora esaurito.

A questo punto, la decisione espone gli argomenti posti a fondamento delle sue conclusioni.

La pronuncia puntualizza, in primo luogo, che il giudizio di appello rimane, anche dopo l'entrata in vigore della legge n. 103/2017, uno strumento di controllo della decisione assunta in primo grado, e che l'obbligo di rinnovazione è limitato alle sole prove dichiarative ritenute «decisive», secondo una valutazione da compiere «in rapporto alla rilevanza ed utilità della prova stessa, in vista della decisione».

La medesima decisione, in secondo luogo, rileva che la valorizzazione della rinnovazione istruttoria deve essere messa in relazione anche con l'art. 111 Cost., nel testo vigente per effetto della riforma recata con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2. Premette che questo testo normativo, da un lato, garantisce all'imputato di acquisire «ogni altro mezzo di prova a suo favore»; dall'altro, però, al quinto comma, prevede una deroga al principio del contraddittorio nei casi di consenso dell'imputato, di accertata impossibilità di natura oggettiva o di provata condotta illecita. Osserva, quindi, che, se il principio del contraddittorio nella formazione della prova stabilito dall'art. 111 Cost. è applicabile anche in appello, occorre ritenere l'operatività, nel medesimo giudizio, anche delle eccezioni previste dal quinto comma del medesimo testo normativo. Aggiunge che una preclusione assoluta di ribaltamento della sentenza assolutoria in caso di impossibilità della prova dichiarativa implicherebbe «una vera e propria regola di esclusione probatoria, sul tipo di quella prevista dall'art. 526, comma 1-bis, c.p.p., e che, però, non è imposta dalla Costituzione e di cui non vi è traccia nella legge processuale.

La pronuncia, in terzo luogo, dà conto della evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU. Evidenzia subito come i Giudici di Strasburgo, già in occasione della pronuncia Corte Edu, 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia, avevano precisato che «vi sono casi in cui è impossibile udire un testimone personalmente durante il processo perché, per esempio, è deceduto». Rappresenta, poi, che l'ammissibilità di una deroga alla necessità di rinnovazione istruttoria in caso di decesso del dichiarante è stata riconosciuta più volte dalle successive decisioni della Corte di Strasburgo. Richiama, in particolare, Corte Edu, 10 novembre 2020, Dan c. Moldavia (nota come “Dan 2”), la quale ha censurato la decisione del giudice nazionale che aveva statuito il ribaltamento della pronuncia assolutoria non per il mero utilizzo delle pregresse dichiarazioni, ma solo in quanto l'affidamento su queste avrebbe dovuto essere accompagnato da adeguate garanzie. Segnala che questa decisione, a sua volta, si ricollega esplicitamente a Corte Edu, Grande Camera, 15 dicembre 2011, Al-Khawaja e Tahery c. Regno Unito, nonché a Corte Edu, Grande Camera, 15 dicembre 2015, Schatschaschwili c. Germania, le quali hanno entrambe ritenuto compatibile con le garanzie convenzionali la condanna fondata su dichiarazioni decisive assunte in via unilaterale, ogni volta che il sacrificio del diritto di difesa, quale è l'impossibilità di interrogare direttamente il teste fondamentale, sia bilanciato da “adeguate garanzie procedurali”. Aggiunge, ancora, che i principi enunciati dalle due decisioni della Grande Camera appena citate risultano recepiti dalla più recente giurisprudenza di legittimità – si richiama, tra le altre, Cass. pen., sez. II, 5 febbraio 2020 (dep. 20 maggio 2020), n. 15492 –, sì che può dirsi in corso anche una parziale riconsiderazione del principio enunciato da Cass. pen., sez. un., 25 novembre 2010 (dep. 14 luglio 2011), n. 27918, secondo cui le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, non possono fondare in modo esclusivo o significativo l'affermazione della responsabilità penale, perché ciò violerebbe le garanzie convenzionali.

La decisione, in quarto luogo, si sofferma sulle garanzie procedurali necessarie a controbilanciare la mancanza di contraddittorio. Rileva, innanzitutto, che, ai fini dell'ammissibilità del ribaltamento della sentenza assolutoria, occorre una motivazione «rafforzata», che esamini approfonditamente tutti gli elementi relativi alla credibilità del dichiarante ed alla attendibilità della sua narrazione, ed evidenzi gli errori valutativi compiuti dal giudice di primo grado. Rimarca, però, che il «rafforzamento» della motivazione deve avvenire anche sulla base di ulteriori elementi idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio. Precisa che il riferimento è ad «elementi che il giudice ha l'onere di ricercare e acquisire anche avvalendosi dei poteri officiosi di cui all'art. 603, comma 3, c.p.p.», e che possono essere costituiti, ad esempio, da «prove in origine ritenute superflue» o da «una perizia», ovvero, come nel caso di specie, dalla lettura delle dichiarazioni pre-dibattimentali del soggetto deceduto, la quale «si giustifica in base al combinato disposto degli artt. 598 e 603, comma 3, c.p.p.», perché «si è al di fuori dell'ambito applicativo proprio dell'art. 512 c.p.p.». Puntualizza, però, che «spetta alla discrezionalità del giudice, in rapporto alla necessità di integrazione probatoria, valutare se sia necessario o meno ricorrere ad una rinnovazione anche officiosa dell'istruzione dibattimentale, oppure sia sufficiente una motivazione rafforzata con gli opportuni riscontri».

La risposta ai quesiti è stata la seguente: «La riforma, in appello, della sentenza di assoluzione non è preclusa nel caso in cui la rinnovazione della prova dichiarativa decisiva, oggetto di discordante valutazione, sia divenuta impossibile per decesso del dichiarante; tuttavia, la motivazione della sentenza che si fondi sulla prova non rinnovata deve essere rafforzata sulla base di elementi ulteriori, idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio, che il giudice ha l'onere di ricercare ed eventualmente acquisire anche avvalendosi dei poteri officiosi di cui all'art. 603, comma 3, c.p.p.».

Osservazioni

La pronuncia in esame, anche per il suo confronto in chiave sistematica con i principi generali in materia di impugnazioni, contraddittorio e vigenza della legge processuale nel tempo, si presenta di grande “impatto” operativo in almeno tre distinte direzioni.

Innanzitutto, il principio di diritto formulato dalla pronuncia in commento, secondo il quale la riforma in appello della sentenza di assoluzione non è preclusa nel caso in cui la rinnovazione della prova dichiarativa decisiva sia divenuta impossibile per decesso del dichiarante, è estensibile anche alle altre situazioni di impossibilità di riassunzione della deposizione. Del resto, è la stessa decisione in esame a precisare, sia pure incidentalmente, nel prosieguo della motivazione, che l'indicato principio «può essere esteso anche ai casi di irreperibilità o infermità del dichiarante».

Inoltre, le Sezioni Unite, con un passaggio argomentativo strettamente funzionale all'enunciazione del principio di diritto enunciato, afferma il “parziale” superamento del principio espresso da Cass. pen., sez. un., 25 novembre 2010 (dep. 14 luglio 2011), n. 27918, in forza del quale le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, ancorché legittimamente acquisite, non possono – conformemente ai principi affermati dalla giurisprudenza europea, in applicazione dell'art. 6 Cedu - fondare in modo esclusivo o significativo l'affermazione della responsabilità penale. Lo snodo motivazionale appare estremamente importante, perché, in questo modo, anche le Sezioni unite ammettono, sia pure a condizione della presenza di elementi ulteriori ed idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio, che le dichiarazioni predibattimentali rese in assenza di contraddittorio, e legittimamente acquisite dal giudice, possono fondare l'affermazione della responsabilità penale anche nel giudizio dibattimentale.

Ancora, le Sezioni Unite precisa che il principio tempus regit actum non osta, sempre e in ogni caso, all'applicazione di nuove disposizioni in materia di impugnazione a tutti i procedimenti già pervenuti a questa fase, anche per la semplice pendenza dei termini per impugnare, ma produce conseguenze diversificate, da determinare avendo riguardo allo specifico atto o segmento processuale oggetto della nuova disciplina. Questa puntualizzazione serve a meglio definire la portata del principio enunciato da Cass. pen., sez. un., 29 marzo 2007 (dep. 12 luglio 2007), n. 27614, la quale, così come indicato nella massima ufficiale C.E.D. Cass, n. 236537-01, aveva affermato che, «[a]i fini dell'individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato, con disposizioni transitorie, il passaggio dall'una all'altra, l'applicazione del principio tempus regit actum impone di far riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello della proposizione dell'impugnazione».

Ciò posto, poi, resta aperto, e rimesso all'opera concretizzatrice della giurisprudenza, il problema dell'individuazione degli «elementi ulteriori, idonei a compensare il sacrificio del contraddittorio» necessari per corroborare dichiarazioni rese in assenza di contraddittorio al fine di legittimare una decisione di condanna. Il punto è quello di contemperare l'esigenza di evitare rigidi automatismi preclusivi della riforma di sentenze assolutorie non condivisibili con l'esigenza di assicurare l'accertamento della colpevolezza dell'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio, essendo quest'ultimo intuitivamente “rafforzato” in caso di una decisione di proscioglimento in primo grado.

Riferimenti
  • Agostino, Overturning della sentenza di proscioglimento nel giudizio abbreviato: per la Corte europea non è necessaria la rinnovazione istruttoria, in Archiv. Pen., n. 2/2021, 6;
  • Mangiaracina, Dan v. Moldavia 2: la rinnovazione in appello tra itinerari sperimentati e cedimenti silenziosi, in Arch. Pen., 2020, 3;
  • Mori, A volte ritornano: Dan contro Moldavia e il cortocircuito della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello, tra principi consolidati e nuove tentazioni cartolari, in Giurisprudenza penale, n. 12, 2020 (nota a commento di Corte europea dei diritti dell'uomo, Seconda sezione, Dan c. Moldavia (n. 2), n. 57575/14, 10 novembre 2020).

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