La Cassazione e i limiti della nuova prova rilevante ai sensi dell'articolo 630 c.p.p.

30 Maggio 2022

Le questioni decise nella sentenza in commento riguardano, da una parte, la determinazione dell'ambito dei provvedimenti suscettibili di determinare un conflitto qualificato che possa portare alla revisione di una sentenza di condanna definitiva e, dall'altra, natura e caratteri di eventuali prove sopravvenute che possano ritenersi parimenti rilevanti a tal fine.
Massima

In tema di revisione, non costituisce prova nuova ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p., il decreto di archiviazione, in quanto decisione allo stato degli atti, di natura endoprocedimentale, non irrevocabile, alla quale può sempre seguire la riapertura delle indagini.

Il caso

I due ricorrenti furono condannati con sentenza definitiva per il reato di favoreggiamento personale nei confronti di un soggetto ritenuto appartenente ad associazione di stampo mafioso. Successivamente, veniva disposta l'archiviazione del procedimento a carico del soggetto asseritamente favorito per il ritenuto reato presupposto e, in separato procedimento, veniva disposta l'assoluzione dei soggetti ritenuti concorrenti dei ricorrenti medesimi in altro procedimento avente ad oggetto il diverso delitto di rivelazione di segreto d'ufficio.

All'esito di tali provvedimenti, i ricorrenti hanno proposto istanza di revisione davanti alla Corte di appello di Messina che, in relazione alla prima vicenda, ha escluso la rilevanza della intervenuta archiviazione in conseguenza del carattere processuale e non definitivo di tale provvedimento e, in relazione alla seconda vicenda, ha escluso la rilevanza dell'intervenuta assoluzione dei ritenuti complici.

La seconda sezione penale ha ratificato il ragionamento già svolto dalla Corte di appello territoriale con riferimento alle sopravvenienze alla condanna per favoreggiamento reale ribadendo che la natura di atto endoprocedimentale del decreto di archiviazione, il suo caratterizzarsi quale decisione allo stato degli atti, non irrevocabile e al quale può sempre seguire la possibilità di una riapertura delle indagini sia di per sé inconciliabile con il concetto di prova nuova impedisce che questo possa essere considerato un accertamento dotato di valenza certa. In tal senso, la Corte segnala anche come risulti del tutto improprio il tentativo di recuperare quale elemento probatorio un provvedimento pacificamente di natura decisoria in nessun modo assimilabile alla sentenza o al decreto penale di condanna.

Quanto alla rilevanza della intervenuta assoluzione degli asseriti concorrenti rispetto all'ulteriore condanna per il delitto di rivelazione di segreto di ufficio nel relativo, la cassazione ha ribadito un principio assolutamente consolidato escludendo la rilevanza del contrasto sostanziale di giudicati formatisi sullo stesso fatto in procedimenti diversi ma in relazione ad imputati diversi.

La Corte ha infine affermato non potersi dubitare che, nel caso di specie, risultando presenti profili di inammissibilità palesi in quanto oggetto di ripetute pronuncia da parte dei giudici di legittimità, fosse legittima la scelta della Corte territoriale di decidere de plano.

La questione

Le questioni decise nella sentenza in commento riguardano, da una parte, la determinazione dell'ambito dei provvedimenti suscettibili di determinare un conflitto qualificato che possa portare alla revisione di una sentenza di condanna definitiva e, dall'altra, natura e caratteri di eventuali prove sopravvenute che possano ritenersi parimenti rilevanti a tal fine.

Nel caso di specie, le questioni medesime venivano addirittura a sovrapporsi in conseguenza del fatto che il provvedimento di archiviazione del soggetto ritenuto beneficiario del favoreggiamento personale veniva opposto in sede giudiziale non tanto il profilo degli elementi istruttori utilizzati per l'archiviazione medesima ma quale accertamento giudiziale sopravvenuto.

In maniera del tutto distinta, i ricorsi affermavano la rilevanza – ai fini della richiesta revisione - della intervenuta assoluzione del concorrente nella diversa vicenda in cui era intervenuta condanna per il reato di rivelazione di segreto di ufficio.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la giurisprudenza prevalente, si può parlare di inconciliabilità fra giudicati nella misura in cui sia identificabile un diverso accertamento, operato in via definitiva, del medesimo fatto coinvolgente lo specifico ricorrente in ordine alla specifica condotta (Cass. pen., sez. V, n. 7205/2006). Proprio per tale motivo, è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 630, comma 1, lett. a) c.p.p. per violazione degli artt. 3, 24, 27, comma 3 e 111 Cost., nella parte in cui esclude l'ammissibilità della domanda di revisione per inconciliabilità dei fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna con quelli stabiliti in un provvedimento di archiviazione perché atto per sua natura non suscettibile di passare in giudicato con la conseguenza che risulta conforme a criteri di ragionevolezza la previsione di limiti oggettivi alla revisione, per le esigenze di certezza e stabilità sottese al principio di intangibilità del giudicato (Cass. pen., sez. III, n. 10407/2020). Per lo stesso motivo, la giurisprudenza di legittimità ha costantemente escluso dall'ambito applicativo dell'art. 630 c.p.p. i decreti applicativi di misure di prevenzione personali e patrimoniali (Cass. pen., sez. un., n. 18/1997) così come la sentenza emessa nei confronti dell'ente ex art. 61, comma 1, d.lgs. n. 231/2001 (Cass. pen., sez. V, n. 27963/2018) proprio in conseguenza della natura processuale e della revocabilità di tali provvedimenti.

Sempre con riferimento questioni sollevate nella vicenda in esame, la Cassazione si era precedentemente pronunciata escludendo che potesse ritenersi sussistente alcun profilo di inconciliabilità tra giudicati all'esito di diversi esiti processuali in separati giudizi che abbiano colpito diversi concorrenti nel medesimo reato (Cass. pen., sez. I, n. 6273/2009) a meno che il fatto sia inscindibile, come ad esempio nelle ipotesi di concorso in falsità (Cass. pen., sez. V, n. 7205/2006) o per effetto difforme interpretazione di norma processuale (Cass. pen., sez. II, n. 25110/2009).

Quanto ai profili probatori, la giurisprudenza precedente aveva affermato che la valutazione giudiziale delle nuove prove di cui all'art. 630, lett. c) non può prescindere dal complesso degli elementi - processualmente utilizzabili - già accertati nel giudizio precedente alla revisione, al fine di saggiarne e compararne la resistenza rispetto alle prove sopravvenute o scoperte dopo la condanna (Cass. pen., sez. V, n. 38276/2016).

Osservazioni

Come detto, la peculiarità della vicenda risiede nel fatto che, nel caso di specie, risultava archiviato il processo che aveva ad oggetto l'affermata sussistenza del delitto presupposto rispetto a quello per cui vi era stata condanna nella sentenza di cui si chiedeva la revisione. Vi era infatti un accertamento giudiziale che escludeva la sussistenza di elementi idonei ad introdurre l'azione penale nei confronti del soggetto asseritamente favorito.

Rispetto a tale questione, la Corte ha fornito una risposta che si articola su vari livelli.

In primo luogo, la considerazione della mancanza di definitività dell'accertamento giudiziale opposto che, per sua natura, come del resto visto nella giurisprudenza indicata nel precedente paragrafo, non permetteva di considerare la presenza di due accertamenti di pari portata.

In secondo luogo, la mancata articolazione di valutazioni che avessero ad oggetto il tipo di prove raccolte e la portata delle stesse, rilevando come ciò che è emendabile per effetto del disposto della c) dell'articolo 630 c.p.p. è l'errore di fatto e non la diversa valutazione del fatto, tanto che viene considerata inammissibile l'istanza di revisione fondata sulla circostanza che lo stesso quadro probatorio sia diversamente utilizzato per assolvere un imputato e condannare un concorrente nello stesso reato in due diversi procedimenti (Cass. pen., sez. V, n. 4225/2008). In sostanza, stante un accertamento incidentale avente oggetto un fatto diverso-per quanto presupposto- contenuto nella sentenza di cui si chiede la revisione, qualora non si indichino delle prove ulteriori rispetto a quelle che siano state oggetto nel provvedimento impugnato, ci si troverà di fronte a una diversa valutazione dei medesimi elementi con conseguente inammissibilità dell'istanza di revisione.

Infine, sebbene in maniera del tutto incidentale, la Corte indica quale ulteriore profilo di inammissibilità del motivo di ricorso la mancata allegazione dello stesso decreto di archiviazione (e, verrebbe da aggiungere, delle nuove prove su cui lo stesso sarebbe fondato) così evidenziando la mancanza di supporto documentale alla stessa prospettazione dei ricorrenti.

Del tutto distinta – infine - la questione relativa alla intervenuta assoluzione del concorrente nel reato di rivelazione di segreto d'ufficio che non involgeva tuttavia questione nuova in conseguenza della presenza di consolidata giurisprudenza per cui non viene in gioco alcun profilo di inconciliabilità tra diversi esiti processuali in separati giudizi che abbiano colpito diversi concorrenti nel medesimo reato (Cass. pen., sez. I, 6273/2009) non ricorrendo nel caso di specie fattispecie a concorso necessario né una assoluzione per insussistenza del fatto (Cass. pen., sez. V, n. 27013/2007).

Riferimenti
  • Astarita, Revisione, in Digesto pen., III Agg, II, Torino 2005, 1356;
  • Dean, La revisione, Padova, 1999;
  • D'orazi, La revisione del giudicato penale. Percorsi costituzionali e requisiti di ammissibilità, Padova, 2003;
  • Fiorio, La prova nel giudizio di revisione, in Gaito (a cura di), Prova penale, II, Torino 2008, 981;
  • Giustozzi, Le impugnazioni, in Fortuna, Dragone, Fassone, Giustozzi, Manuale pratico del nuovo processo penale, Padova, 2007;
  • Marchetti, La revisione, in Spangher, Trattato di procedura penale, V, 933.

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