Le sanzioni verso la Russia: dal congelamento alla confisca

Ferdinando Brizzi
01 Giugno 2022

Fin dalla prima apparizione della misura del congelamento dei beni nei confronti di coloro che vengono indicati come gli “oligarchi” russi per i “fatti dell'Ucraina” la dottrina ne ha rilevato le similitudini rispetto alle misure di prevenzione italiane. Proprio la via recentemente intrapresa dalla Commissione europea – il passaggio dal congelamento alla confisca – induce a riflettere su tale accostamento…
Introduzione

Le sanzioni adottate nei confronti della Russia a seguito della destabilizzazione e dell'invasione dell'Ucraina a partire dal 2014, e in particolare dal febbraio 2022, costituiscono le misure più ampie e coordinate applicate ad uno Stato di grandi dimensioni come la Federazione (Antonino Alì). Il regolamento UE n. 269/2014, che faceva seguito alla invasione della Crimea, riferiva le misure restrittive a sole 20 persone, la prima delle quali era Vladimir Putin. La “lista nera” è stata arricchita a seguito dell'adozione, nello scorso febbraio, del regolamento 330/2022, sì che, al 15/04/2022, la lista, continuamente aggiornata, contava 893 persone e 65 enti. Le misure adottate nel 2022 superano le precedenti per intensità ed ampiezza. L'UE ha adottato le sanzioni in coordinamento con i paesi del G7 e, altri, quali l'Australia, la Corea del Sud e la Svizzera. Il coordinamento non pregiudica il fatto che alcuni Stati (come gli Stati Uniti o il Regno Unito) abbiano adottato ulteriori sanzioni a titolo autonomo. Pur trattandosi di misure selettive, che colpiscono determinati settori, individui, banche e altre entità, si tratta di misure globali che colpiscono la Federazione russa nel suo complesso. Le sanzioni non rispondono ad una logica di deterrenza (se così fosse si potrebbe constatare che le sanzioni hanno fallito in maniera plateale), ma mirano a indebolire economicamente e isolare la Russia e quindi ad aumentare i costi delle sue azioni. La corretta attuazione delle sanzioni è di fondamentale importanza per garantire l'efficacia delle stesse. Le misure sanzionatorie possono essere attuate in maniera non uniforme da parte degli Stati.

Il ruolo della Commissione europea

Le sanzioni dell'UE sono adottate dal Consiglio dell'UE con regolamenti direttamente applicabili, e gli Stati membri sono responsabili della loro applicazione, dell'adozione di sanzioni in caso di violazione e della designazione di autorità competenti. Se necessario, gli Stati introducono una disciplina per il congelamento di fondi, attività finanziarie e risorse economiche delle persone ed entità oggetto di misure restrittive a livello nazionale e applicano «misure di congelamento amministrativo e/o mediante il ricorso a provvedimenti di congelamento giudiziario o aventi effetto equivalente».

La Commissione europea controlla l'attuazione e l'applicazione delle sanzioni dell'UE negli Stati membri: di fronte a sanzioni così complesse e variegate adottate in un lasso di tempo così breve non è forse un caso che la Commissione abbia attivato un sito per la denuncia anonima di casi di presunte violazioni delle sanzioni.

Il 17 marzo 2022 la Commissione ha annunciato la creazione della Task ForceFreeze and Seize con l'obiettivo di attuare in maniera efficiente le sanzioni contro gli oligarchi russi e bielorussi “listati”. La Task Force opera a fianco della “Russian Elites, Proxies, and Oligarchs (REPO)", nella quale l'UE agisce insieme ai paesi del G7 (Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti) e dell'Australia. L'interazione tra queste due unità operative consente la cooperazione e il coordinamento tra gli Stati che hanno imposto le misure sanzionatorie.

L'11 aprile 2022 il Centro europeo per la criminalità finanziaria ed economica di Europol ha avviato con gli Stati membri UE, Eurojust (l'Agenzia Ue per la cooperazione giudiziaria penale) e Frontex (l'Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) l'operazione “Oscar” per sostenere le indagini finanziarie degli Stati membri e supportare le sanzioni economico-finanziarie imposte dall'UE.

Più della metà degli Stati membri hanno comunicato alla Commissione le misure adottate: beni congelati per un valore di 29,5 miliardi di euro (compresi barche, elicotteri, immobili e opere d'arte, per un valore di quasi 6,7 miliardi di euro). Inoltre, sono state bloccate transazioni per circa 196 miliardi di euro.

Il sistema italiano

Nel sistema italiano un ruolo fondamentale è svolto dal Comitato di sicurezza finanziaria (CSF). Il Comitato creato all'indomani dell'11 settembre 2001 presso il Ministero dell'economia e delle finanze, è presieduto dal Direttore generale del Tesoro, o da un suo delegato, ed è composto da undici membri. Altrettanto importante è l'Unità di Informazione Finanziaria per l'Italia (UIF) presso la Banca d'Italia in posizione di indipendenza e autonomia funzionale, che ha iniziato a operare il 1° gennaio 2008, subentrando all'Ufficio italiano dei cambi (UIC) nel ruolo di autorità centrale antiriciclaggio. Gli enti creditizi sono tenuti a trasmettere alla UIF le informazioni in merito ai depositi russi e bielorussi ai sensi dell'articolo 5-octies, lett. a) e b), Reg. (UE) n. 833/2014 e successive modifiche nonché dell'articolo 1-septvicies, lett. a) e b), Reg. (CE) n. 765/2006 e successive modifiche.

In Italia, le misure di cd. congelamento sono disciplinate dal d.lgs. n. 109/2007 recante “Misure per prevenire, contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l'attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale in attuazione della direttiva 2005/60/CE”, la cui matrice è da rinvenirsi nelle disposizioni adottate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e dal Consiglio dell'Unione Europea per contrastare e reprimere il finanziamento del terrorismo e l'attività dei Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale. Il decreto, dunque, mira a prevenire che “fondi” e “risorse economiche” siano utilizzati al fine di finanziare il terrorismo nonché la «proliferazione delle armi di distruzione di massa» e, comunque «dell'attività di Paesi che minacciano la pace e la sicurezza internazionale disposte in base alle risoluzioni delle Nazioni Unite, alle deliberazioni dell'Unione europea e a livello nazionale dal Ministro dell'economia e delle finanze» (Bianca Firrincieli).

Il decreto del 2007, che nella formulazione originaria, aveva ad oggetto solo la prevenzione del finanziamento del terrorismo e del riciclaggio, era stato modificato nel 2017 per essere adattato alle disposizioni del già richiamato reg. 269/2014. Al Comitato spetta quindi, oggi, anche l'applicazione delle sanzioni nei confronti dei sostenitori della Federazione russa. Nel 2017 il decreto è stato modificato con una importante innovazione, in coerenza con quanto stabilito dal regolamento del 2014, a sua volta ispirato da decisioni della Corte di giustizia: l'obbligo di comunicare all'interessato i motivi dell'inserimento nelle liste, in modo che egli abbia l'opportunità di dedurre osservazioni, e di chiedere eventualmente la cancellazione dalle liste. All'interessato devono anche essere indicate le autorità, nazionali, comunitarie ed internazionali, competenti a ricevere i ricorsi avverso i provvedimenti adottati.

Solo in Italia, il valore dei beni sottratti alla disponibilità di soggetti inclusi nella lista, ammonta ad oltre 800 milioni di euro. Si tratta di ville, yacht e complessi immobiliari. Tra cui uno del valore di circa 17 milioni di euro, situato nel golfo di Arzachena, Sardegna, di proprietà di Alisher Usmanov, fondatore della Metalloinvest, tra i primi investitori di Facebook, ex co-proprietario della squadra di calcio inglese dell'Arsenal. Sono di Usmanov anche sei società finanziarie con beni mobili e immobili per un valore stimato di 66 milioni di euro, ora congelate. Sempre in Sardegna, è stato sottratto ad Alexei Mordashov un complesso immobiliare del valore di circa 105 milioni di euro. Mordashov è, secondo Forbes, l'uomo più ricco di Russia, con un patrimonio stimato di 29,1 miliardi di dollari. È azionista di maggioranza del gruppo dell'acciaio Severstal. È di Mordashov anche lo yacht Lady M, che vale 65 milioni di euro, congelato nel porto di Imperia (Roberta Barberini).

Da ultimo, gli accertamenti condotti dal Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, ai sensi dell'art. 11 d.lgs. n. 109/2007, hanno evidenziato la presenza di significativi collegamenti economici e di affari del soggetto che ha la disponibilità, anche come titolare effettivo, dell'imbarcazione Scheherazade con elementi di spicco del governo russo e con altri soggetti compresi nella lista di cui all'allegato I del Reg. (UE) n. 269/2014 del Consiglio del 17 marzo 2014, concernente misure restrittive relative ad azioni che compromettono o minacciano l'integrità territoriale, la sovranità e l'indipendenza dell'Ucraina. L'imbarcazione, battente bandiera delle Isole Cayman e ormeggiata a Marina di Carrara, era da tempo “all'attenzione” delle autorità competenti. Sulla base di questi elementi, il Comitato di sicurezza finanziaria ha proposto al Consiglio dell'Unione europea l'inserimento di tale soggetto nella suddetta lista.

Su proposta dello stesso Comitato, il Ministro dell'economia e delle finanze, Daniele Franco, ha adottato, il 6 maggio 2022, il decreto di congelamento, ai sensi dell'articolo 4-bis d.lgs. 109/2007, dell'imbarcazione Scheherazade, nelle more dell'adozione della misura restrittiva proposta all'Unione europea dallo stesso Comitato di sicurezza finanziaria.

“Crimini di guerra” e “crimini contro l'umanità”

Solo l'adozione delle sanzioni internazionali ha fatto emergere la presenza, in Italia, di ricchezze di ammontare “inusuale”, nondimeno platealmente ostentate, benché i soggetti attinti, o in predicato di essere attinti, non hanno mancato di ricorrere prontamente agli strumenti di interposizione fittizia tipici della criminalità organizzata per sottrarsi al congelamento, e, a quanto sta emergendo, riconducibili a quelli che si stanno rivelando come “crimini di guerra” e/o “crimini contro l'umanità”.

Il 19 maggio il Parlamento Europeo ha approvato la Risoluzione 2022/2655 contro l'impunità dei crimini di guerra in Ucraina. È prevista da un lato, l'istituzione di un tribunale speciale per perseguire il crimine di aggressione commesso dai leader russi, dall'altro, la conduzione di più efficaci indagini contro le violenze sessuali in atto, che andrebbero considerate secondo l'alto consesso come vere e proprie “armi di guerra”.

La nuova risoluzione cerca di rimediare all'impasse determinatosi nel diritto internazionale di guerra, e che rischia di lasciare impunito il grave crimine di aggressione commesso dalla Russia.

Il crimine di aggressione previsto dallo Statuto di Roma, è materia di competenza della Corte Penale internazionale, insieme ai crimini di guerra, al genocidio e ai crimini contro l'umanità. Ma, da novembre 2016, la Russia ha deciso di ritirare la propria firma dallo Statuto di Roma, mentre l'Ucraina non fa parte degli stati firmatari del trattato, anche se per ben due volte dal 2014 ha esercitato la prerogativa di chiedere l'estensione della giurisdizione della Corte penale internazionale sui crimini commessi sul proprio territorio.

Così dal 2 marzo 2022 il Procuratore della CPI ha avviato l'attività investigativa della Corte, che, ad oggi, annovera ben 9.300 fascicoli di presunti crimini, con centinaia di russi sospetti responsabili di saccheggi, omicidi, torture e stupri. Anche Francia, Germania, Lituania e Svezia, in virtù del principio di giurisdizione universale, stanno conducendo proprie indagini penali sul territorio ucraino. Lituania, Ucraina e Polonia hanno creato una squadra investigativa comune per la raccolta di prove, con il sostegno di Eurojust. A livello di UE si sta lavorando al rafforzamento dei poteri investigativi di Eurojust, e ad un più efficace coordinamento europeo degli inquirenti nella raccolta delle prove.

Il problema cui cerca di ovviare il Parlamento Europeo è che la mancata ratifica dello Statuto di Roma da parte della Russia e dell'Ucraina non permetterà alla Corte penale internazionale di perseguire il crimine di aggressione, anche se la CPI sta esercitando la propria giurisdizione sui crimini di guerra e sui crimini contro l'umanità in virtù della espressa richiesta dell'Ucraina in tal senso. Allo stesso modo, anche il Consiglio di Sicurezza dell'ONU è paralizzato in qualunque iniziativa per fermare l'aggressione, a causa del diritto di veto esercitato dalla Russia, membro permanente del Consiglio.

Per porre rimedio a questa impasse del diritto internazionale, il Parlamento europeo ritiene indispensabile istituire un Tribunale speciale ad hoc «incaricato di indagare e perseguire i presunti crimini di aggressione commessi contro l'Ucraina dai leader politici e dai comandanti militari della Russia e dei suoi alleati»: non si può non stigmatizzare l'arbitraria, “illegale ed ingiustificata” invasione di un Paese, perché lasciare impunito il crimine di aggressione rischierebbe di porre nel nulla quel lungo periodo di pace che avevamo conosciuto, grazie alla forza del diritto internazionale.

La risoluzione del 19 maggio riguarda anche i molti stupri e le violenze sessuali che vengono commesse sul territorio ucraino dall'inizio della guerra. A riguardo, il Parlamento Europeo «deplora i progressi limitati compiuti nell'efficace perseguimento dei reati sessuali e di genere» da parte della Corte penale internazionale e richiama la risoluzione 1820 (2008) delle Nazioni Unite, che qualifica questo genere di reati come una vera e propria “arma di guerra”.

La nuova risoluzione, da una parte dunque, invita le istituzioni dell'UE, ed in particolare la Commissione, a sostenere la creazione immediata di una base giuridica adeguata, per la creazione di un tribunale speciale internazionale per il perseguimento del crimine di aggressione commesso contro l'Ucraina dai leader politici e dai comandanti militari della Russia e dei suoi alleati, dall'altra sollecita la Commissione ad una più stretta collaborazione con la CPI ed Eurojust, per raccogliere prove di stupri, abusi e altre forme di violenza di genere e perseguire efficacemente i crimini sessuali di guerra.

Tra i beni congelati e la loro provenienza da gravi crimini è dunque possibile tracciare una sottile linea che parte dal 2014 e giunge fino al 2022.

Il congelamento come le misure di prevenzione patrimoniali?

In dottrina è stato evidenziato come le misure adottate dall'Unione per i “fatti dell'Ucraina” con la decisione 2014/145/PESC hanno determinato una restrizione della libertà personale ed economica particolarmente significativa, operante a fronte del mero inserimento di una persona fisica o giuridica in un elenco di “proscritti” (Désirée Fondaroli e Filippo Sgubbi), che se nella prima fase sono stati individuati sulla base di (per quanto presunte, tuttavia almeno ipotizzate) violazioni in corso di accertamento da parte dell'Autorità giudiziaria, nella seconda sono stati identificati sulla scorta di ragioni meramente politiche (oggettivamente o soggettivamente politiche, a voler richiamare in via analogica la definizione dell'art. 8 del codice penale italiano), ovvero per l'attribuzione di fatti lato sensu riconducibili alla manifestazione di opinioni.

A prescindere dal problema della limitazione della libertà di circolazione, riconosciuta come fondamentale, la misura del congelamento dei beni sulla base dell'inserimento di un soggetto in una lista in ragione di una posizione occupata o delle opinioni espresse, indipendentemente dall'apertura di una indagine o di un procedimento penale, testimonia, in tale prospettiva, dell'utilizzo del meccanismo ablativo come strumento sostitutivo dell'azione militare: così il conflitto si trasferisce dal “campo di battaglia” in senso proprio al contesto economico.

In una prospettiva strettamente penalistica, si tratterebbe dell'“apoteosi dei principi elaborati in ordine alle misure di prevenzione patrimoniali”: il congelamento concerne fondi e risorse economiche «appartenenti, posseduti, detenuti o controllati da persone fisiche (…), nonché da persone fisiche o giuridiche, entità o organismi ad esse associate», sicché direttamente, o più spesso solo indirettamente, riconducibili al soggetto – orienta l'interpretazione in tal senso anche il riferimento alla interposizione soggettiva in tema di esercizio di diritti relativi a contratti o transazioni, sulla cui esecuzione abbia inciso, direttamente o indirettamente, integralmente o in parte, il congelamento (art. 11 dei Regolamenti UE n. 208 e n. 269 del 2014) –, e presuppone l'appartenenza ad una lista, stilata sulla base di una valutazione di pericolosità astratta, anzi, di una pericolosità “di posizione”.

E ciò anche pro futuro, atteso il divieto di mettere a disposizione o di fare beneficiare i soggetti indicati di nuovi fondi o risorse economiche (si veda, ad es., l'art. 1, comma 2 della Decisione 2014/119/PESC).

La funzione di garanzia della giurisprudenza europea

Vi è da dire che gli allarmi della dottrina italiana sono stati in parte diradati dalla giurisprudenza europea, che, chiamata a pronunciarsi su ricorsi individuali, ha saputo disporre l'annullamento delle relative misure restrittive, così mostrando di saper bene valutare e distinguere all'interno delle “liste di proscrizione”.

In tal senso si veda Corte giustizia UE sez. IV, sent., 19 dicembre 2018, n. 530/17 con cui: «1) La sentenza del Tribunale dell'Unione europea del 7 luglio 2017, Azarov/Consiglio (T-215/15, EU:T:2017:479), è annullata. 2) La decisione (PESC) 2015/364 del Consiglio, del 5 marzo 2015, che modifica la decisione 2014/119/PESC relativa a misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina, e il regolamento di esecuzione (UE) 2015/357 del Consiglio, del 5 marzo 2015, che attua il regolamento (UE) n. 208/2014 concernente misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina, sono annullati, nella parte in cui riguardano il sig. Mykola Yanovych Azarov».

È stato affermato che l'obbligo incombente al Consiglio di verificare che le decisioni dei paesi terzi sulle quali si fonda l'inserimento di una persona o di un'entità in un elenco di persone e entità le cui risorse finanziarie sono congelate siano state adottate nel rispetto di tali diritti è volto a garantire che tale inserimento abbia luogo soltanto su una base fattuale sufficientemente solida. In tal senso Corte giustizia UE sez. IV, sent., 19 dicembre 2018, n. 530/17, «l'obbligo incombente al Consiglio di verificare che le decisioni dei paesi terzi sulle quali si fonda l'inserimento di una persona o di un'entità in un elenco di persone e entità le cui risorse finanziarie sono congelate siano state adottate nel rispetto di tali diritti è volto a garantire che tale inserimento abbia luogo soltanto su una base fattuale sufficientemente solida e, quindi, a proteggere le persone o entità interessate (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C-599/14 P, EU:C:2017:583, punto 26). 29 La Corte ha altresì statuito che il Consiglio deve dare atto, nelle motivazioni di una decisione d'inserimento di una persona o un'entità in un elenco di persone ed entità le cui risorse finanziarie sono congelate e in quelle di decisioni successive, sia pure in maniera succinta, delle ragioni per le quali considera che la decisione dello Stato terzo sulla quale intende fondarsi sia stata adottata nel rispetto dei diritti della difesa e del diritto a una tutela giurisdizionale effettiva (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C-599/14 P, EU:C:2017:583, punti 31 e 33). 30 Pertanto, il Consiglio, per adempiere al suo obbligo di motivazione, deve indicare, nella decisione che impone misure restrittive, che esso ha verificato che la decisione dello Stato terzo su cui si fondano dette misure è stata adottata nel rispetto di tali diritti (v., in tal senso, sentenza del 26 luglio 2017, Consiglio/LTTE, C-599/14 P, EU:C:2017:583, punto 37)».

Allo stesso modo, è all'autorità competente dell'Unione che incombe il compito di dimostrare la fondatezza dei motivi posti a carico della persona interessata, e non già a quest'ultima di produrre la prova negativa dell'infondatezza di tali motivi. In questi termini Corte giustizia Unione Europea sez. IV, sent., 19 dicembre 2018, n. 530/17: «Occorre aggiungere, per quanto riguarda l'affermazione del Tribunale riassunta al punto 32 della presente sentenza, che nel caso di specie non è in discussione la definizione di criteri generali di inserimento che permettono l'adozione di misure restrittive. Lo è piuttosto la decisione di mantenere, attraverso gli atti impugnati, il congelamento dei fondi del ricorrente, che è di portata individuale per quest'ultimo. Orbene, conformemente alla giurisprudenza citata al punto 22 della presente sentenza, nell'ambito del suo controllo di legittimità dei motivi su cui si basa una siffatta decisione, il giudice dell'Unione deve garantire che almeno uno dei motivi sia sufficientemente preciso e concreto, risultando dimostrato e costituendo di per sé un fondamento adeguato della decisione medesima (v., in tal senso, sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Manufacturing Support & Procurement Kala Naft, C-348/12 P, EU:C:2013:776, punto 72). 39 Inoltre, in caso di contestazione, è all'autorità competente dell'Unione che incombe il compito di dimostrare la fondatezza dei motivi posti a carico della persona interessata, e non già a quest'ultima di produrre la prova negativa dell'infondatezza di tali motivi (sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C-584/10 P, C-593/10 P e C-595/10 P, EU:C:2013:518, punto 121; e del 28 novembre 2013, Consiglio/Fulmen e Mahmoudian, C-280/12 P, EU:C:2013:775, punto 66)».

Possibili ricadute interne della giurisprudenza europea

Se questi principi venissero applicati anche alle misure di prevenzione italiane, giudiziarie o ancor più amministrative, ne potrebbero derivare importanti ripercussioni volte a meglio “perimetrare” i poteri delle autorità proponenti.

La “base fattuale solida” postulata da Corte giustizia UE, sez. IV, sent., 19 dicembre 2018, n. 530/17 per l'adozione di un provvedimento tanto grave quale l'inserimento nelle “liste” pare di dubbia compatibilità con la “probabilità cruciale” del “50% +1”, recentemente ribadita in tema di misure interdittive antimafia da Consiglio di Stato (sez. V, n. 2712/2022): la verifica sulla legittimità dell'informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria di elementi e fatti che, considerati nel loro complesso, possono costituire un'ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità mafiosa; ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” è la minore forza dimostrativa dell'inferenza logica, sicché risulta sufficiente accertare che l'ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero la cd. probabilità cruciale. Un criterio così “impalpabile”, fondato su una “congettura” e sfornito di base fattuale, può essere posto a fondamento di ciò che viene elficamente definito “ergastolo delle imprese”?

Corte giustizia UE sez. IV, sent., 19 dicembre 2018, n. 530/17 potrebbe poi aver ripercussioni importanti in tema di dimostrazione della sproporzione attraverso l'applicazione degli indici ISTAT.

In tema di confisca di prevenzione, ai fini della valutazione della sproporzione tra redditi dichiarati e valore degli acquisti effettuati, le spese di sostentamento del nucleo familiare del proposto, che determinano il reddito netto rilevante per la capacità di acquisto, possono essere desunte anche dalle analisi ISTAT: le elaborazioni statistiche forniscono un risultato di tipo essenzialmente indiziario circa l'effettività delle spese, restando a carico della parte interessata l'onere dimostrativo della propria capacità di investimento (Cass. pen., sez. II, sent., (ud. 4 marzo 2022) 31 marzo 2022, n. 11857). Ovvero proprio l'opposto di quanto affermato dalla Corte europea in tema di congelamento, ovvero spetta all'autorità competente il compito di dimostrare la fondatezza dei motivi posti a carico della persona interessata, e non già a quest'ultima di produrre la prova negativa dell'infondatezza di tali motivi.

Viceversa, sarebbe poi assai interessante cosa potrebbe succedere se ai beni del tutto “sproporzionati” emersi a seguito del congelamento, non solo in Italia, ma in tutta Europa, venissero applicati i “millesimali” criteri di calcolo riservati ai soggetti indiziati di appartenenza ad associazione mafiosa: ai fini della verifica della sproporzione tra il reddito lecito prodotto e valore degli acquisti effettuati, assumono rilievo indiziario i costi di sostentamento del nucleo familiare del preposto, desunti dalle analisi ISTAT, posto che la capacità di acquisto va riferita alla quota di risparmio che residua una volta operato lo scorporo delle spese di sostentamento e mantenimento del tenore di vita, incombendo sulla parte interessata l'onere dimostrativo in punto di ricostruzione della capacità di investimento e fermo restando che ai fini dell'accertamento della sproporzione tra redditi e attività dichiarate ed il valore degli acquisti non è sufficiente il generico richiamo agli indici ISTAT, il cui valore è meramente indicativo e necessita di una lettura critica che consenta di verificare, sulla base dei dati accertati in sede di indagine, l'inadeguatezza delle entrate conseguite dal nucleo familiare rispetto al valore degli acquisti medesimi (Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 28/01/2022) 09-03-2022, n. 8238).

Rapporti tra congelamento e confisca nel sistema italiano

Non sono solo le possibili implicazioni della giurisprudenza europea a stimolare la riflessione rispetto al “sistema preventivo” italiano, ma anche la dettagliata previsione, all'interno della Decisione 2014/119/PESC e del Reg. (UE) n. 208/2014, di un meccanismo idoneo alla salvaguardia delle esigenze fondamentali di vita attraverso l'autorizzazione delle autorità competenti allo svincolo o alla messa a disposizione di taluni fondi o risorse, previo accertamento e verifica dei presupposti.

Per un verso, si evidenzia una impostazione che, a differenza di quella tipica del sistema italiano (che richiede l'attivazione della parte interessata per la giustificazione delle richieste di esclusione di taluni beni o “risorse” dalla espropriazione), riconosce ab origine l'illegittimità della “confisca generale”, stabilendo un sistema orientato alla tutela dei diritti fondamentali della persona (diritto ad un ordinario “potere di spesa”, diritto allo scorporo delle risorse necessarie alla gestione dei fondi congelati, diritto alla difesa legale).

Per altro verso, tuttavia, tale regolamentazione conferma che il congelamento non opera come sanzione penale (pur determinandone sostanzialmente gli effetti), né potrebbe esserlo: infatti non è contestato alcun fatto illecito specifico; per i fondi e le risorse congelati non è richiesta alcuna pertinenzialità rispetto ad un qualsiasi reato; non è prevista l'attivazione di un procedimento (amministrativo o penale che sia, e fatta salva la guarentigia del ricorso). Insomma, sotto le vesti di una misura ad personam, che trova fondamento nella mera posizione occupata, ovvero nella manifestazione del pensiero espresso, ed è estensibile ad libitum, si cela una sanzione (prevalentemente) economica diretta a colpire uno Stato (la Federazione russa e la Crimea “separatista”) per interventi militari nella crisi politico-sociale sviluppatasi in uno Stato indipendente (l'Ucraina), a fronte della quale è prevedibile l'innesco di una equivalente reazione di natura economico-finanziaria versus l'Unione europea ed i suoi Stati membri (Désirée Fondaroli e Filippo Sgubbi).

Ulteriore elemento di stimolo alla riflessione è dato, questa volta, dal d.lgs. n. 109/2007.

Ai sensi dell'art. 5 d.lgs. n. 109/2007, quanto è sottoposto a congelamento non può costituire oggetto di alcun atto di trasferimento, disposizione o utilizzo, a pena di nullità dell'atto in questione.

Per quanto concerne la gestione di tali beni e risorse economiche per il periodo in cui la misura di congelamento produce i suoi effetti, occorre distinguere a seconda che il bene sia gravato “unicamente” dalla misura di congelamento o sia invece sottoposto anche ad un provvedimento di sequestro o confisca adottato nell'ambito di procedimenti penali o amministrativi vertenti sugli stessi fatti. Come espressamente previsto dall'art. 12 del d.lgs. n. 109/2007, nel primo caso provvede l'Agenzia del Demanio, la quale potrà affidarsi ad un amministratore per gli atti di ordinaria amministrazione e che dovrà consultare il Comitato di Sicurezza Finanziaria per gli atti di straordinaria amministrazione. Nel caso in cui, invece, coesistano provvedimenti di diversa natura, spetterà all'autorità giudiziaria la gestione di quanto sottratto al destinatario della misura. L'art. 12 del decreto, tuttavia, ammette delle deroghe, prevedendo che nel caso in cui la confisca disposta «ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, ovvero ai sensi dell'articolo 12-sexies d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 [ora art. 240-bis c.p.]» sia divenuta definitiva, la gestione è di competenza dell'Agenzia del Demanio e che lo stesso accada ove venga annullato il provvedimento di sequestro o di confisca ma sia ancora efficace la misura di congelamento (Bianca Firrincieli).

Il deficit di efficienza del congelamento

Dunque, le disposizioni normative consentono che un medesimo bene sia attinto da “congelamento”, confisca di prevenzione o confisca estesa.

Vie, quest'ultime, forse da sperimentare atteso che il sistema del congelamento dei beni ha subito, sin dalle prime applicazioni, critiche sia in termini di efficacia che di rispetto delle garanzie dell'individuo (da ultimo, Gennaro Gaeta), queste ultime, tuttavia, ampiamente fugate dalla giurisprudenza europea.

Quanto alla efficacia del sistema, se nei confronti degli strumenti più recenti non vale la principale debolezza del sistema implementato per i terroristi – e cioè la considerazione che i finanziatori del terrorismo si avvalgono prevalentemente di canali finanziari informali o comunque non tradizionali – vale, invece, per tutti la constatazione che la rigidità del meccanismo di inserimento nelle liste, unita ai limiti dei poteri degli organismi amministrativi deputati all' accertamento, rende difficoltoso risalire al vero titolare in caso di intestazioni con nomi fittizi. Pur dotato di facoltà penetranti, il Comitato non ha i poteri le capacità della autorità giudiziaria, né può domandare ad essa assistenza.

Il problema di fondo è che il decreto 109 è stato emesso per arginare i rischi connessi al finanziamento al terrorismo. Una norma che è sempre stata utilizzata per “congelare” e affidare alla gestione dell'Agenzia del Demanio beni, nella maggior parte dei casi, di modesta portata, come conti correnti o piccole società: un'amministrazione poco dispendiosa, che in via residuale consente anche la vendita. Cfr. il caso affrontato da quello che risulta essere l'unico “precedente” nella banca dati del Supremo collegio, e concernente quattro diamanti, Cass. pen., sez. I, 4 dicembre 2008 (dep. 27 gennaio 2009), n. 3718: «Con ordinanza in data 11 giugno 2008 il Tribunale di Monza, provvedendo quale giudice dell'esecuzione, ha rigettato la istanza presentata nell'interesse di M.L. di restituzione di quattro diamanti (indicati con i numeri da 1 a 4 nell'album fotografico acquisito all'udienza del 13.2.2003) sottoposti a sequestro nell'ambito del procedimento penale per contrabbando definito con sentenza del suddetto Tribunale 11.6.2003, confermata in appello, con cui era stato dichiarato il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria italiana in relazione ai suddetti diamanti e la trasmissione degli atti alla autorità belga competente per il territorio di (omissis), la quale aveva rilevato che i fatti giudicati in Italia sarebbero stati in ogni caso prescritti secondo la legge belga. Il giudice dell'esecuzione, rilevato che i suddetti diamanti erano stati sottoposti alla misura del congelamento dei fondi e delle risorse economiche posseduti o controllati dall'ex presidente liberiano T. e da altri soggetti a lui legati e soci designati dal Comitato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in data 12.3.2004, come comunicato dal Ministero dell'Economia - Comitato di Sicurezza Finanziaria in data 6.6.2008 che aveva indicato il M. come soggetto ricompreso fra le persone di cui al Regolamento CE del 29.4.2004, ha ritenuto che il provvedimento di congelamento impedisse la messa a disposizione dei diamanti, già sottoposti a sequestro penale, in favore del richiedente ed ha quindi disposte che i diamanti restassero sotto la custodia del Tribunale in attesa delle decisioni del Comitato di Sicurezza del Ministero dell'Economia quale organo investito della gestione delle risorse e dei fondi soggetti a congelamento ai sensi del d.lgs. n. 109/2007».

Nell'attuale disciplina del 109/2007, il bene deve essere restituito al proprietario nelle stesse condizioni in cui era al momento del “congelamento”. Ciò vuol dire che si dovranno anticipare tutte le somme per la manutenzione «mediante prelievo dai fondi stanziati sull'apposito capitolo di spesa del bilancio dello Stato», si legge nella norma. Per fare un esempio con solo uno dei “congelamenti” finora eseguiti, lo Stato dovrà garantire la corretta manutenzione della villa da 17 milioni di euro in Costa Smeralda di Alisher Usmanov, oligarca con un patrimonio stimato in 15,3 miliardi di euro, ritenuto dal Financial crimes enforcement network (FinCEN) del Tesoro degli Stati Uniti un finanziatore dei consiglieri di Putin. Tutto questo, fino a quando non saranno revocate le sanzioni e i beni saranno restituiti. In tal caso il conto finale lo dovranno saldare gli oligarchi. Il punto, però, è che non sono previste revoche, considerato che difficilmente Putin farà “marcia indietro” sull'Ucraina.

Per questo il Governo vuole “mettere mano” al decreto: un aggiornamento che permetta di non far ricadere sul bilancio dello Stato tutti questi costi, che inevitabilmente rischierebbero di vanificare gli effetti dei “congelamenti”.

Verso la confisca dei beni congelati

Quanto sin qui esposto a riguardo delle ricchezze degli oligarchi russi dimostra come siano meritevoli di attenzione i dubbi espressi dal giornalista Errico Novi, Dal codice al dogma: prigionieri di un'antimafia superata dalla storia, Il Dubbio, 19 gennaio 2022: «il quesito da porsi è se una legislazione antimafia basata sul sospetto, sul doppio binario, su modelli estranei allo Stato di diritto e al giusto processo non rischi di distrarre le energie di magistratura e forze dell'ordine dall'attuale dimensione dei fenomeni criminali. È un timore, quello di insistere su un bersaglio sbagliato…».

Tra il 2014 ed il 2022 la via indicata dall'art. 12 d.lgs. n. 109/2007, di alternatività della confisca di prevenzione, o “estesa”, rispetto al congelamento non risulta essere stata mai intrapresa, eppure poteva costituire un “buon bersaglio”.

Gli Stati Uniti, il Canada e l'Unione europea si sono espressi a favore dell'utilizzo dei beni russi congelati dalle sanzioni per finanziare la resistenza e la ricostruzione dell'Ucraina, decisione che si scontra però con diversi ostacoli sul piano legale, che potrebbero trascinare la questione per anni. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha riferito all'agenzia di stampa Interfax-Ucraina che è «assolutamente convinto che sia estremamente importante non solo congelare i beni, ma anche rendere possibile la confisca e renderli disponibili per la ricostruzione del paese». Michel ha poi riconosciuto che sequestrare i beni degli individui sanzionati "non è così semplice" e che sarebbe probabilmente "un processo difficile e lungo", aggiungendo che ha incaricato il servizio giuridico del Consiglio dell'Unione europea di esaminare la questione.

Parallelamente, la Commissione europea si è orientata nel senso della confisca dei beni degli oligarchi che cercano di sottrarsi alle sanzioni.

Il 25 maggio 2022 la Commissione europea ha proposto di aggiungere la violazione delle misure restrittive dell'Unione all'elenco dei reati dell'UE. La Commissione ha proposto inoltre nuove norme rafforzate in materia di recupero e confisca dei beni, che contribuiranno anche all'attuazione delle misure restrittive dell'UE.

Scopo di tali proposte è permettere di confiscare effettivamente in futuro i beni delle persone fisiche e delle entità che violano le misure restrittive. Le proposte si inseriscono nel contesto della task force "Freeze e Seize" istituita dalla Commissione in marzo.

In primo luogo, la Commissione propone di aggiungere la violazione delle misure restrittive dell'Unione all'elenco dei reati riconosciuti dall'UE, il che consentirà di stabilire una normativa di base comune in materia di reati e sanzioni in tutta l'UE. A loro volta, tali norme comuni dell'UE renderebbero più facile indagare, perseguire e punire le violazioni delle misure restrittive in tutti gli Stati membri.

La violazione delle misure restrittive soddisfa i criteri previsti all'art. 83, paragrafo 1, TFUE, in quanto costituisce un reato nella maggior parte degli Stati membri. Si tratta inoltre di un reato particolarmente grave, in quanto può perpetuare minacce alla pace e alla sicurezza internazionali, e presenta una chiara dimensione transfrontaliera, che richiede una risposta uniforme a livello dell'UE e mondiale.

Parallelamente alla proposta, in una comunicazione corredata di un allegato la Commissione presenta quelli che potrebbero essere gli elementi essenziali di una futura direttiva sulle sanzioni penali. Tra i potenziali reati potrebbero figurare: azioni o attività volte ad eludere, direttamente o indirettamente, le misure restrittive, anche occultando beni; il mancato congelamento di fondi appartenenti a, o posseduti o controllati da una persona o entità designata; attività commerciali quali l'importazione o l'esportazione di merci soggette a divieto di scambi.

Quando gli Stati membri dell'UE avranno raggiunto un accordo sull'iniziativa della Commissione volta ad ampliare l'elenco dei reati riconosciuti dall'UE, la Commissione presenterà una proposta legislativa basata sulla comunicazione e sull'allegato.

In secondo luogo, la Commissione presenta una proposta di direttiva relativa al recupero e alla confisca dei beni. L'obiettivo principale è garantire che “il crimine non paghi”, privando i “criminali” dei proventi illeciti e limitando la loro capacità di commettere ulteriori reati. Le norme proposte si applicheranno anche alla violazione delle misure restrittive, garantendo che i proventi ottenuti mediante tale violazione siano efficacemente rintracciati, congelati, gestiti e confiscati.

Gli Stati Ue oggi riescono a confiscare meno dell'1% dei 139 miliardi di euro di profitti delle organizzazioni criminali. Il valore dei beni ‘congelati', ovvero sequestrati in attesa di una decisione dell'autorità giudiziaria, si aggira invece attorno a un modesto 2% dell'intero profitto illecito. Questi i numeri presentati dalla Commissione europea per motivare l'urgenza di una nuova direttiva sul recupero e la confisca dei beni frutto di attività illecite.

Una proposta che mira a velocizzare e snellire le procedure di sequestro e confisca dei proventi delle attività illecite punibili negli Stati membri con pene detentive dai quattro anni in su. Tuttavia, la Commissione spera che le nuove norme sulla confisca possano presto essere applicate anche al nascituro reato UE di violazione delle misure restrittive europee, come le attuali sanzioni contro la Russia e i suoi oligarchi ritenuti responsabili dell'invasione dell'Ucraina.

La proposta di direttiva, anzitutto, mira ad estendere il mandato degli uffici nazionali per il recupero dei beni provenienti da attività criminali per includere il “congelamento urgente” di asset fino a un massimo di sette giorni quando vi è il rischio che i beni possano essere occultati alle autorità (come i “portafogli” di criptovalute). La proposta prevede anche l'istituzione di uffici di gestione patrimoniale in tutti gli Stati membri dell'UE per garantire che i beni congelati non perdano valore, consentendo la vendita degli asset sequestrati che potrebbero facilmente deprezzarsi o che sono troppo costosi da mantenere.

La Commissione europea stima costi aggiuntivi per le pubbliche amministrazioni compresi tra i 30 e i 40 milioni di euro. «Tuttavia - si legge in un documento dell'esecutivo UE - i costi aggiuntivi sono più che compensati» dal momento che «le misure previste potrebbero comportare un raddoppio approssimativo dei beni recuperati, che ora rappresentano un miliardo di euro all'anno».

La proposta modernizza le norme dell'UE in materia di recupero dei beni, tra l'altro

  • ampliando il mandato degli uffici per il recupero dei beni al fine di rintracciare e identificare rapidamente i beni di persone ed entità soggette a misure restrittive dell'UE: i loro poteri si applicheranno anche ai proventi di reato, permettendo fra l'altro il congelamento urgente dei beni che rischiano di scomparire;
  • ampliando le possibilità di confisca dei beni derivanti da una serie più vasta di reati, compresa la violazione delle misure restrittive dell'UE, una volta che sarà adottata la proposta della Commissione sull'ampliamento dell'elenco dei reati dell'UE;
  • istituendo uffici per la gestione dei beni in tutti gli Stati membri dell'UE per impedire che i beni congelati perdano valore, consentendo la vendita di beni congelati facilmente deprezzabili o costosi da mantenere.
Una nuova funzione simbolica della destinazione dei beni confiscati?

Sotto questo profilo proprio l'esperienza normativa italiana di destinazione sociale dei beni confiscati si potrebbe mostrare assai rilevante: «l'iniziale formulazione del quadro legislativo aveva trascurato il problema della sorte dei beni sottratti ai mafiosi, di qui il succedersi di plurimi interventi volti a individuare strumenti, sempre più elaborati, per il raggiungimento del fine ultimo della ricollocazione nel circuito economico legale e, dunque, della restituzione alla collettività. La vera svolta alla disciplina della destinazione dei beni confiscati è stata la legge 7 marzo 1996, n. 109 che, oltre a completare il quadro legislativo in materia, ha rappresentato un passaggio fondamentale per sbloccare i meccanismi che, fino ad allora, avevano impedito l'uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Gli aspetti qualificanti della legge risiedono proprio nella previsione della definitiva destinazione dei beni confiscati al patrimonio dello Stato per espresse finalità di giustizia, di ordine pubblico e di protezione civile, anche attraverso il trasferimento al patrimonio di enti territoriali per finalità istituzionali o sociali, con la successiva assegnazione in concessione a enti o ad associazioni del volontariato e della società civile» (Maria Vittoria De Simone).

Si è così venuta affermando la c.d. funzione “simbolica” della destinazione, cioè di un utilizzo virtuoso dei beni, come momento che dovrebbe contribuire, al di là della repressione, a scardinare sul piano sociale la legittimazione mafiosa.

Una consacrazione di tale funzione “simbolica” si è consumata in significativa correlazione con una pronuncia del 1996 della Corte costituzionale: la restituzione alle collettività territoriali – le quali sopportano il costo più alto dell'“emergenza mafiosa” – delle risorse economiche acquisite illecitamente dalle organizzazioni criminali rappresenta, infatti, uno strumento fondamentale per contrastarne l'attività, mirando ad indebolire il radicamento sociale di tali organizzazioni ed a favorire un più ampio e diffuso consenso dell'opinione pubblica all'intervento repressivo dello Stato per il ripristino della legalità (Corte cost. n. 335/1996).

Quindi la “sottrazione dei beni” alla criminalità è finalizzata alla loro restituzione alla collettività: in tal modo, la gestione e la destinazione dei beni diventano “strumento” del contrasto alla criminalità e costituiscono un prosieguo delle finalità di prevenzione proprie della giurisdizione (Brizzi).

La crisi ucraina potrebbe costituire l'occasione per ripensare all'utilizzo sociale dei beni attinti da provvedimenti ablativi in una prospettiva europea, sotto la prudente vigilanza della Corte di giustizia dell'Unione Europea.

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