Forme e modalità di proposizione delle domande c.d. trasversali

Giusi Ianni
06 Giugno 2022

Il convenuto che intenda formulare una domanda nei confronti di altro convenuto non ha l'onere di chiedere il differimento dell'udienza previsto dall'art. 269 c.p.c. per la chiamata in causa di terzo, ma è sufficiente che formuli la suddetta domanda nei termini e con le forme stabilite per la domanda riconvenzionale dall'art. 167, comma 2, c.p.c.
Massima

Il convenuto che intenda formulare una domanda nei confronti di altro convenuto non ha l'onere di chiedere il differimento dell'udienza previsto dall'art. 269 c.p.c. per la chiamata in causa di terzo, ma è sufficiente che formuli la suddetta domanda nei termini e con le forme stabilite per la domanda riconvenzionale dall'art. 167, comma 2, c.p.c.

Il caso

Tizio conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Ragusa l'Azienda Sanitaria Locale Alfa e Caio, al fine di ottenere il risarcimento dei danni sofferti a seguito dell'intervento chirurgico a cui era stato sottoposto presso un ospedale gestito dall'Azienda convenuta. La medesima Azienda, nel costituirsi in giudizio, oltre a negare la propria responsabilità, chiedeva di chiamare in causa la Beta Assicurazioni (nei cui confronti pure l'attore aveva notificato l'atto introduttivo), al fine di essere manlevata da essa in caso di condanna, esistendo tra le parti un contratto di assicurazione a copertura della responsabilità civile sia dell'azienda stessa, sia dei sanitari in essa operanti. Anche Caio, sanitario che materialmente aveva posto in essere l'intervento oggetto della domanda introduttiva, chiedeva di essere manlevato dalla Beta Assicurazioni in caso di condanna, senza tuttavia chiedere di essere autorizzato alla chiamata di terzo con differimento dell'udienza di prima comparizione e trattazione. Con sentenza n. 858/2009 il Tribunale di Ragusa accoglieva la domanda attorea; accoglieva la domanda di garanzia formulata dalla ASL; dichiarava inammissibile la domanda di garanzia formulata da Caio nei confronti della società assicuratrice terza chiamata. Tale ultima statuizione, in particolare, era motivata con il fatto che se il convenuto avesse voluto proporre domanda nei confronti della Beta assicurazioni spa, avrebbe dovuto farlo nelle forme e nei termini di cui all'art. 269 c.p.c. Non avendo, quindi, rispettato la predetta procedura, la parte doveva considerarsi decaduta dalla relativa facoltà. La sentenza veniva appellata in via principale da Tizio ed in via incidentale da Caio, il quale si doleva, per quanto qui rileva, della dichiarazione di inammissibilità della propria domanda di garanzia rivolta nei confronti della società assicuratrice. La Corte d'appello di Catania con sentenza n. 610/2019 accoglieva l'appello principale e rigettava quello incidentale ritenendo che correttamente il Tribunale avesse reputato «inammissibile» la domanda di garanzia formulata da Caio nei confronti della Beta Assicurazioni.

La questione

Avverso la predetta decisione Caio interponeva ricorso per Cassazione, lamentando quale unico motivo la violazione dell'art. 269 c.p.c. In particolare, in punto di fatto, l'impugnante deduceva che l'originaria parte attrice aveva notificato la citazione introduttiva del giudizio di primo grado non solo alla ASL ed al chirurgo che l'aveva operata, ma anche direttamente alla Beta assicurazioni. Quest'ultima, pertanto, doveva ritenersi «convenuta» al pari del medesimo Caio. Se così era, il convenuto Caio, per formulare la sua domanda di garanzia nei confronti dell'altra convenuta Beta assicurazioni non aveva l'onere di rispettare le forme previste dall'art. 269 c.p.c. per la chiamata in causa del terzo, imponendosi unicamente il rispetto dei termini di cui agli artt. 166/167 c.p.c. per la proposizione di domande riconvenzionali. Il motivo era giudicato fondato dalla Suprema Corte, che rinviava alla Corte d'Appello di Catania per nuovo esame.

Le soluzioni giuridiche

Nella pronuncia in commento i giudici di legittimità, muovendo dalla premessa che «domanda riconvenzionale» è non solo quella formulata dal convenuto nei confronti dell'attore, ma anche quella che il convenuto formula nei confronti di altro convenuto, che già sia parte del processo, nonché quella che il chiamato in causa formula nei confronti del chiamante o di altri convenuti, che già siano parti del processo, osserva che la domanda proposta dal convenuto nei confronti di altro convenuto non esige le forme prescritte per la chiamata in causa del terzo, non potendosi discorrere di «chiamata in causa» rispetto ad un soggetto che sia già parte del giudizio (così Cass. civ., sez. II, sent., 4 gennaio 1969, n. 9, e poi Cass. civ., sez. III, sent., 26 marzo 1971, n. 894; Cass. civ., sez. III, sent., 29 aprile 1980, n. 2848; Cass. civ., sez. III, sent., 15 giugno 1991, n. 6800; Cass. civ., sez. III, sent., 27 settembre 1999, n. 10695; Cass. civ., sez. III, sent., 12 novembre 1999, n. 12558; Cass. civ., sez. III, sent., 6 luglio 2001, n. 9210; Cass. civ., sez. II, sent., 16 marzo 2017, n. 6846). La domanda proposta da un convenuto nei confronti di altro convenuto, quindi, anche quando basata su titolo differente dalla domanda principale, «non soggiace ad altri oneri di forma che la formulazione entro il medesimo termine stabilito per la formulazione d'una domanda riconvenzionale in senso stretto, e cioè nei confronti dell'attore (….), ed ovviamente la notifica al destinatario di essa, se sia rimasto contumace». Sulla base di tale principio, si riteneva non corretta la sentenza impugnata nella parte in cui aveva reputato inammissibile la domanda proposta da Caio sul presupposto che questi non avesse operato la chiamata in causa della Beta assicurazioni nelle forme e nei termini di cui all'art. 269 c.p.c.

Osservazioni

Il tema delle forme e modalità di proposizione delle domande c.d. trasversali (proposte, cioè, da un convenuto nei confronti di un altro convenuto) non è stato risolto sempre in modo uniforme dalla Suprema Corte. All'orientamento fatto proprio, infatti, dalla pronuncia in commento (secondo cui anche la domanda trasversale, qualunque sia il titolo a fondamento di essa, è da considerarsi domanda riconvenzionale, come tale soggetta solo al rispetto del termine di cui agli artt. 166/167 c.p.c. nella sua proposizione ed eventualmente alla necessità di notifica al contumace nei cui confronti è proposta, ai sensi dell'art. 292 c.p.c.) se ne contrappone altro in forza del quale se il titolo della domanda trasversale è del tutto diverso da quello dedotto in giudizio dall'attore il convenuto non può limitarsi a rispettare i termini di cui agli artt. 166/167 c.p.c. nella proposizione di essa, ma deve a sua volta evocare in giudizio la parte destinataria della domanda, essendo tale soggetto estraneo al rapporto originariamente dedotto in giudizio. Si è osservato, infatti, che il convenuto è tale solo con riferimento alla domanda nei suoi confronti proposta dall'attore, sicché ove la domanda trasversale sia fondato su un differente titolo deve avere luogo una nuova vocatio in ius, sotto forma di chiamata di terzo (Cass. civ., sez. III, sent., 15 febbraio 2011, n. 8315). Ancor più di recente (Cass. civ., sez. I, ord., 12 maggio 2021, n. 12662) la Suprema Corte, riprendendo e sviluppando l'orientamento sostenuto da Cass. n. 8315/2021, ha osservato che il meccanismo processuale della chiamata in causa di terzo (in forza del quale il convenuto che intenda procedervi deve costituirsi in giudizio nel termine di cui agli artt. 166/167 c.p.c., chiedendo contestualmente il differimento dell'udienza di prima comparizione e trattazione ai sensi dell'art. 269 c.p.c.) «è agevolmente suscettibile di estensione all'ipotesi di domande fra coevocati per evidente comunanza di ratio», non sussistendo alcuna valida ragione per negare al destinatario della domanda trasversale il godimento di un termine a comparire non inferiore a quello di cui all'art. 163-bis c.p.c. e per imporre al convenuto un onere di ispezione delle comparse di costituzione degli altri convenuti. Si è osservato, inoltre, che è possibile una interpretazione estensiva del concetto di «terzo», intendendosi per tale anche il soggetto estraneo al rapporto processuale sotteso alla domanda proposta dall'attore, benché formalmente già evocato nel processo.

L'adesione all'una o all'altra tesi ha, evidentemente, anche delle ricadute sul piano strettamente processuale, in quanto, applicando la disciplina della domanda riconvenzionale, la domanda trasversale è ammissibile nei limiti di cui all'art. 36 c.p.c. – quindi, in presenza di mera dipendenza dal titolo dedotto in giudizio dall'attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, intesa, pacificamente, non come identità della causa petendi, bensì come comunanza della situazione o del rapporto giuridico dal quale traggono fondamento le contrapposte pretese delle parti, ovvero come comunanza della situazione, o del rapporto giuridico sul quale si fonda la riconvenzionale, tale da giustificare il simultaneus processus – mentre applicandosi la disciplina della chiamata di terzo i limiti di ammissibilità saranno quelli (più restrittivi) di cui all'art. 106 c.p.c. - cioè la comunanza di causa ovvero la domanda di garanzia - e sarà in facoltà del giudice, ove non ravvisi i suddetti presupposti o non ritenga giustificata la partecipazione del «terzo» nel senso sopra detto, non autorizzare la chiamata in causa rispetto alla domanda trasversale (sulla facoltatività dell'autorizzazione della chiamata di terzo fuori dal caso di litisconsorzio necessario si veda Cass. civ., sez. un., sent., 23 febbraio 2010, n. 4309).

L'orientamento fatto proprio dalla sentenza in commento, appare, ad avviso di chi scrive, maggiormente aderente alla logica processuale e ai principi di ragionevole durata del processo. Se, infatti, la veste – quantomeno formale - di parte si acquista per effetto dell'evocazione in giudizio conseguente alla notifica dell'atto introduttivo, alcuna utilità può avere una nuova evocazione in giudizio per effetto della domanda proposta da altro convenuto, ben potendo le esigenze di difesa della parte tutelarsi con la notifica della comparsa di costituzione (ove il convenuto destinatario della domanda trasversale sia rimasto contumace rispetto alla domanda dell'attore, ai sensi dell'art. 292 c.p.c.) o nel corso della prima udienza ove la parte sia costituita. Imporre, peraltro, al convenuto che intenda proporre domanda trasversale l'onere della chiamata in causa del destinatario della domanda (a sua volta già parte in forza della vocatio in ius dell'attore) rischia di avere effetti processuali distorti e difficilmente gestibili nella dinamica processuale (basti pensare al caso del convenuto che si costituisca rispetto alla domanda dell'attore e non si costituisca una volta chiamato in causa dal convenuto in forza del differente titolo della domanda trasversale). Né pare essere particolarmente gravoso per le parti un onere di ispezione delle altrui difese prima dell'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., funzionale, anzi, alle esigenze di ordinato svolgimento del processo e già sotteso ad alcune norme processuali (si veda, ad esempio, l'art. 183, comma 5, c.p.c., che consente all'attore solo entro il limite della prima udienza di proporre le domande ed eccezioni che siano conseguenza delle eccezioni e domande riconvenzionali del convenuto o di chiedere l'autorizzazione alla chiamata in causa di terzi se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto, o il quarto comma della medesima disposizione normativa, che faculta il giudice in prima udienza a chiedere chiarimenti alle parti, quale facoltà che può essere utilmente esercitata solo se tanto il giudice quanto i difensori abbiano piena cognizione del thema decidendum già formatosi).

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