Un figlio disabile maggiorenne può scegliere autonomamente a quale genitore essere “affidato”

Redazione Scientifica
07 Giugno 2022

Il Tribunale di Roma si esprime su una causa di separazione fra coniugi relativamente all'”affidamento” del figlio maggiorenne portatore di handicap.

Con sentenza parziale il Tribunale competente pronunciava lo scioglimento del matrimonio civile fra le parti, disponendo la remissione della causa in istruttoria relativamente alle domande accessorie.

Si deve premettere che, nel corso dell'unione fra gli ex coniugi, era nato un figlio disabile, affetto dalla nascita da epilessia, disturbo generalizzato dello sviluppo (NAS), con una diagnosi di tipo autistico, nonché disturbi comportamentali.

Il ragazzo era stato riconosciuto invalido civile con totale e permanente inabilità al lavoro, necessitando pertanto di una costante assistenza.

Proprio per fare fronte ai gravi problemi fisici del figlio, in suo favore era stata riconosciuta la misura dell'amministrazione di sostegno, concessa alla madre.

Alla luce del disinteresse da parte del padre nei confronti del figlio, l'ex moglie chiedeva l'affidamento esclusivo del ragazzo e l'assegnazione dell'ex casa coniugale, con regime di frequentazione da parte del padre.

In linea generale, il Tribunale ricorda che, per quanto concerne la disciplina applicabile ai figli maggiorenni portatori di handicap, si deve fare riferimento alle disposizioni previste in favore dei figli minori, ai sensi dell'art. 337-septies, comma 2, c.c. La norma deve intendersi riferita alle persone portatrici di handicap, ai sensi della l. n. 104/1992. Si ricorda che l'art. 3, comma 3 di detta legge specifica che è portatore di handicap grave il soggetto che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva. A tali soggetti, pertanto, la norma permette di applicare come detto la disciplina prevista per i figli minori.

Tuttavia, tale precetto, se correttamente interpretato, non può portare a ritenere sovrapponibili ad un figlio maggiore di età, ma affetto da disabilità, le disposizioni relative ai figli minori e quelle relative all'incapacità di intendere e di volere.

Si deve infatti escludere che un figlio maggiorenne, anche se portatore di un grave handicap, sia da considerarsi privo della capacità di agire che acquisisce ope lege al compimento del diciottesimo anno di età, dovendo invece l'eventuale necessità di tutela essere accertata nei futuri procedimenti specifici. Pertanto, si deve escludere che a fronte del raggiungimento della maggiore età, i genitori conservino una responsabilità genitoriale, essendo tra l'altro questo un presupposto indefettibile per decidere sull'affidamento in sede di separazione o divorzio.

Si rende infatti necessario distinguere se il figlio maggiorenne portatore di handicap sia o meno persona capace di intendere e di volere.

Nel primo caso, non ci sarebbero ragioni per comprimere le sue capacità, anche in ordine al profilo della manifestazione di volontà relativamente alla scelta del genitore con il quale convivere.

Nel caso invece dove la persona fosse incapace di intendere e di volere, la condizione dovrebbe essere accertata legalmente.

L'applicazione delle norme sull'affidamento, anche per figli maggiorenni con disabilità, si tradurrebbe infatti in una compromissione inammissibile dei loro diritti, che non possono essere trattati ancora come minori di età, essendo adulti e provvedendo l'ordinamento ad assicurargli un'adeguata e specifica tutela.

Si deve pertanto precisare che la norma di cui all'art. 337-septies, comma 2, c.c., non può ritenersi applicabile alle domande relative all'affidamento, al collocamento e alla frequentazione richiesta dalla parte ricorrente. La norma citata trova infatti applicazione solo in riferimento alle questioni economiche e all'assegnazione della casa familiare.

Nel caso di specie, per quanto concerne la disamina della situazione economica, si evince che gli importi percepiti a titolo di indennità e pensioni, vengono utilizzati per le spese straordinarie del ragazzo e per le utenze domestiche.

Il Tribunale di Roma, pertanto, decide di addebitare alla madre le spese riguardanti la coabitazione del figlio e di dividere le ulteriori spese fra i due genitori.

In definitiva, così il Tribunale di Roma si è pronunciato sulle domande proposte, dichiarando inammissibili quelle ulteriori.

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