L'assegno di mantenimento in favore dei figli maggiorenni non indipendenti

Marina Pavone
07 Giugno 2022

Quali sono le condizioni affinchè l'assegno in favore dei figli maggiorenni possa essere ridotto?
Massima

L'ammontare dell'assegno di mantenimento in favore dei figli maggiorenni, non economicamente indipendenti, è frutto del bilanciamento tra la loro attuale condizione economica e le esigenze degli stessi non potendo, tale contributo, essere parametrato solo sulla capacità economico/reddituale dell'obbligato. E dunque, il fatto che i figli maggiorenni stiano iniziando ad entrare nel mondo del lavoro e, nello stesso tempo, stiano completando il proprio progetto formativo, giustifica una riduzione dell'importo.

Il caso

Nell'ambito di un giudizio per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale statuisce l'obbligo dell'ex marito di corrispondere ai propri familiari (ex moglie e figli maggiorenni) un contributo economico mensile superiore a quello previsto in fase presidenziale. In particolare, il giudice di primo grado prevede un assegno divorzile di € 1.500,00 (anzichè € 1.200,00) in favore della ex moglie ed un contributo per i figli di € 1.500,00 ciascuno (anzichè € 1.150,00).

La Corte d'Appello di Firenze, con sentenza del settembre 2017 (dunque prima dell'intervento delle Sezioni Unite 2018 in tema di assegno divorzile), riforma la pronuncia di primo grado riducendo, in maniera significativa, sia l'assegno per l'ex coniuge (ad € 1.000,00 mensili) che quello previsto per il mantenimento dei figli maggiorenni (ridotto ad € 800,00 per ciascuno).

La ex moglie propone ricorso per Cassazione affidandolo a quattro motivi.

  1. Violazione e falsa applicazione della l. 898/1970, art. 5 comma 6 (in riferimento all'art. 360 c.p.c. comma 1 n. 3) per non avere (la Corte d'Appello) tenuto conto delle situazioni economiche delle parti, della conseguente sproporzione delle rispettive posizioni economiche, nonché, del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio;
  2. violazione e falsa applicazione della legge sul divorzio in relazione agli artt. 147, 148, 315-bis e 316-bis c.c., per non aver tenuto conto del tenore di vita goduto dai figli in costanza di matrimonio;
  3. omesso esame di un fatto decisivo: la Corte avrebbe ritenuto di valore irrisorio una partecipazione societaria dell'ex marito (donata dalla di lui madre) senza valutarne l'enorme valore patrimoniale;
  4. errata disposizione sulle spese di giudizio, parzialmente a carico della ex moglie nonostante l'appello fosse iniziato nel 2015 ed i nuovi principi in materia di divorzio fossero sopraggiunti successivamente.

La Cassazione ritiene infondate tutte le eccezioni sollevate e dichiara inammissibile il ricorso, condannando la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità.

La questione

Quali sono, nel nostro ordinamento, i parametri per stabilire se i figli maggiorenni, ma economicamente non indipendenti, abbiano ancora diritto di percepire l'assegno di mantenimento e quali gli elementi da valutare per quantificarne l'importo?

Le soluzioni giuridiche

L'ordinanza in esame affronta, in verità, due temi fondamentali nell'ambito delle controversie familiari, quali, il riconoscimento e la quantificazione dell'assegno divorzile e dell'assegno di mantenimento in favore dei figli maggiorenni, economicamente non indipendenti.

Rispetto al primo tema, la pronuncia in esame conferma la correttezza del ragionamento condotto dalla Corte d'Appello la quale, nel quantificare l'assegno divorzile, avrebbe giustamente tenuto conto della sperequazione economico-reddituale tra gli ex coniugi, sottoponendola ad una verifica eziologica con il ruolo endofamiliare svolto dalla consorte, senza tralasciare il profilo assistenziale (la mancanza di lavoro e l'età) correlato alla durata del matrimonio.

Tale percorso logico appare aderente ai principi del nostro ordinamento ed, in particolare, al noto arresto delle Sezioni Unite (n. 18287/2018) che hanno riconosciuto all'assegno divorzile una duplice funzione, da un lato, assistenziale per sostenere l'ex coniuge più debole per il futuro, dall'altro, perequativa e compensativa per ristorarlo delle rinunce personali operate, durante la vita matrimoniale, dedicandosi pienamente al progetto familiare in favore del patrimonio comune o di quello dell'altro coniuge. La pronuncia in esame, dunque, appare in linea con quel filone giurisprudenziale confermato dalla suddetta pronuncia che, riconoscendo all'assegno divorzile natura composita, ha definitivamente decretato l'abbandono del criterio del tenore di vita, quale presupposto per l'attribuzione del contributo economico. L'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi economici dell'ex istante, o dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, necessiterà, dunque, di considerare tutti i criteri equiordinati di cui al dato normativo (l. 898/1970 art. 5) e di operare una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio familiare e dell'ex, durante il matrimonio.

Anche rispetto al riconoscimento di un assegno di mantenimento in favore dei figli, maggiorenni ma economicamente non indipendenti, la Corte di Cassazione, nel caso di specie, ritiene che il provvedimento impugnato abbia deciso in modo conforme alla giurisprudenza prevalente.

Pertanto, gli Ermellini si limitano a precisare che il criterio di proporzionalità, invocato nei motivi di ricorso, per il quale grava su entrambi i genitori, in proporzione alle loro rispettive sostanze e capacità di lavoro professionale o casalingo, l'onere economico di mantenere la prole(art. 316-bis c.c.)sarebbe stato correttamente parametrato alla attuale condizione economica ed alle esigenze dei figli stessi. Nel caso di specie, infatti, entrambi i figli stanno entrando nel mondo del lavoro e completando il proprio personale percorso formativo, tanto che il primo di essi ha concluso gli studi universitari e si avvia a diventare avvocato, mentre l'altro dispone di un introito proprio (seppure minimo) di € 500 mensili.

Viene ribadito, dunque, come l'ammontare dell'assegno di mantenimento in favore dei figli maggiorenni, ma ancora non in grado di mantenersi autonomamente, debba essere frutto del bilanciamento tra i suddetti profili (attuale condizione economica e loro esigenze) e non possa fondarsi esclusivamente sulla capacità economico/reddituale dell'obbligato.

Pertanto, viene confermata la riduzione dell'assegno di mantenimento come disposta dalla Corte d'Appello.

Osservazioni

La pronuncia esaminata opera un rimando interessante all'assegno di mantenimento in favore dei figli maggiorenni, ma non ancora indipendenti. Si tratta di un tema molto dibattuto e sovente causa di accese controversie familiari. Vale la pena approfondirne alcuni aspetti.

È previsto, nel nostro ordinamento, il diritto del figlio - corrispondente al dovere gravante su entrambi i genitori - di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni (art. 315-bis c.c.), in linea con il dato costituzionale (art. 30, comma 1, Cost.).

Tale diritto in capo alla prole permane in caso di rottura della coppia genitoriale (sia in costanza di matrimonio che non) per cui, al fine di realizzare il principio di proporzionalità, ove necessario, il giudice stabilisce un assegno periodico, da determinare considerando svariati profili, quali, le esigenze del figlio, il tenore di vita goduto da costui in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori, la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno di essi (art. 337-ter, comma 4, c.c.).

Esigenze del figlio da intendersi in senso ampio, non soltanto sotto l'aspetto alimentare, ma come soddisfazione di una serie di bisogni quali quello abitativo, scolastico, sportivo, sanitario e sociale, da determinarsi, appunto, in misura proporzionata all'età nonché, al tenore di vita goduto durante la convivenza con entrambi i genitori, tenendo in considerazione le risorse economiche di entrambi (Cass. civ. sez. VI n. 214/2016; Cass. civ. sez. I n. 21273/2013). Esigenze che devono essere bilanciate, però, con la condizione economica attuale nella quale viene a trovarsi, in quel momento, il figlio, non potendosi basare la quantificazione del contributo solo ed esclusivamente sulla capacità economico reddituale dell'obbligato.

Come noto, il sopraggiungere della maggiore età non determina, ex se, il venir meno dell'obbligo di mantenimento da parte dei genitori (Cass. civ. sez. I n. 32529/2018; Cass. civ. sez. VI n. 21752/2020) che si interrompe (secondo l'interpretazione della norma di riferimento – art. 337-septies c.c.) solo se si verifica un fatto estintivo dell'obbligazione quale, per esempio, è il raggiungimento dell'indipendenza economica. Quest'ultima condizione, tuttavia, è sempre più ritardata nel nostro contesto sociale in cui si tende a raggiungere una stabilità lavorativa/economica ad un'età piuttosto avanzata rispetto ad altri Paesi.

Secondo un principio di diritto, sovente richiamato dalla Corte in tema di mantenimento dei figli maggiorenni,l'età del figlioè destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all'età progressivamente più elevata dell'avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento, nonché, dall'effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro non potendosi protrarre l'obbligo al mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura. Per cui, il figlio che abbia portato a termine il proprio percorso formativo scolastico dovrà dimostrare di essersi impegnato attivamente per reperire “una occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni (Cass. civ. sez. I n. 27904/2021) “e senza indugiare nell'attesa di un'opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni (Cass. civ. ord. n. 29779/2020).

La giurisprudenza e la dottrina maggioritarie sono allineate nel considerare, quali cause estintive dell'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne, condotte riconducibili alla sua volontà quali, per esempio, la negligenza (“quando il figlio è posto nelle concrete condizioni di essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta” – Cass. civ. sez. I n. 23318/2021), il rifiutare senza giusta causa un'opportunità di lavoro (Cass. civ. n. 7970/2013) oppure il dimostrare una colpevole inerzia prorogando il percorso di studi senza alcun rendimento. Tra gli elementi da valutare, dunque, è fondamentale considerare l'atteggiamento complessivo tenuto dal figlio divenuto maggiorenne, l'impegno profuso negli studi, ovvero, il conseguimento effettivo di una professionalità spendibile, l'età e la diligenza nella ricerca di un'occupazione. Occupazione che dovrà, comunque, essere adeguata alle proprie capacità ed alle proprie specializzazioni, nonché, compatibile con le reali offerte del mercato del lavoro.

Resta fermo il compito dei genitori di assecondare, per quanto possibile, le inclinazioni naturali e le aspirazioni del figlio, consentendogli di scegliere un percorso di studi in linea con i suoi interessi e di cercare un'occupazione adeguata al suo livello sociale e culturale, anche fornendogli i mezzi economici necessari, senza forzarlo ad accettare soluzioni indesiderate. Nel contempo, il figlio deve tendere, però, ad una realizzazione personale e non adagiarsi su una condizione che gli consenta, vita natural durante, di dipendere da altri, per cui: “L'esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, non può essere soddisfatta mediante l'assegno di mantenimento qualora il figlio, già ampiamente maggiorenne, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, non abbia trovato un'occupazione lavorativa stabile. In sostanza, il beneficio del mantenimento trova la sua naturale estinzione anche nell'ambizione che ogni adulto dovrebbe perseguire di realizzarsi con le proprie forze, ferma restando l'obbligazione alimentare da azionarsi in ambito familiare per supplire ad ogni essenziale esigenza di vita dell'individuo bisognoso(Cass. civ. sez. I n. 38366/2021).

Lo svolgimento di un'attività retribuita, anche temporanea (es. contratto di lavoro a tempo determinato), per esempio, “può costituire un elemento rappresentativo della capacità del figlio di procurarsi un'adeguata fonte di reddito e quindi della raggiunta autosufficienza economica, che esclude la reviviscenza dell'obbligo di mantenimento da parte del genitore a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, fermo restando che non ogni attività lavorativa a tempo determinato è idonea a dimostrare il raggiungimento della menzionata autosufficienza economica che può essere esclusa dalla breve durata del rapporto o dalla ridotta misura della retribuzione (Cass. civ. sez. I n. 40282/2021).

In linea con il suddetto orientamento, che tende sempre più ad affermare un principio di auto-responsabilità dei figli, contrario alla pretesa di percepire passivamente un vitalizio, deve darsi rilevanza non solo alle “ricchezze” dell'obbligato, ma anche alle reali esigenze e condizioni della prole sussistenti nel momento in cui il contributo viene riconosciuto. Ne deriva che anche in quella fase di transizione, nella quale il figlio si avvia alla propria realizzazione professionale pur non avendo ancora raggiunto un'autonomia piena (tale da giustificare la revoca in toto dell'assegno), il progressivo avvicinamento all'emancipazione giustifichi una riduzione del quantum, onde evitare che la contribuzione (che conserva una natura fondamentalmente assistenziale) si trasformi in una dipendenza parassitaria ai danni di genitori sempre più anziani.

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