Spetta alla cognizione giudiziale il potere di disporre d'ufficio l'affidamento etero-familiare

Elisa Pradella
10 Giugno 2022

In tema di affido etero-familiare spetta al giudice definire le modalità rispetto alle quali gli organi socio-assistenziali attueranno l'affidamento, in particolare per ciò che concerne la durata dello stesso.
Massima

La fissazione delle modalità attuative del provvedimento disponente l'affido spetta, su delega del giudice, ai servizi organizzati sul territorio, dotati di specifiche competenze in ambito socio-sanitario, che possono individuare in modo più agevole tali modalità in relazione al caso concreto.

Il caso

La Corte d'Appello di Milano ha confermato la sent. n. 114/2020 del Tribunale per i Minorenni di Milano, pronunciata in seguito a procedimento introdotto dal P.M. per la dichiarazione dello stato di adottabilità della minore - ex art. 8 l. n. 184/1983 -, in ragione dello stato di abbandono morale materiale della stessa, confermando l'affido etero-familiare temporaneo della bambina all'ente territorialmente competente, il non luogo a provvedere in merito alla dichiarazione di adottabilità e la limitazione dell'esercizio della responsabilità genitoriale, con incarico ai Servizi Sociali dell'ente affidatario di collocare la minore presso idonea famiglia e regolamentare le frequentazioni con i genitori, oltre al monitoraggio del nucleo familiare.

La madre ricorre avanti alla Suprema Corte facendo valere la violazione dell'art. 1, n. 2, l. n. 184/1983, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e la violazione dell'art. 4, nn. 3 e 4, l. n. 184/1983, come modificata dalla l. n. 149/2001 e dal dlgs. n. 154/2013, in attuazione della Legge delega n. 219/2012, in relazione al disposto affidamento familiare.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo cassando la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d'Appello di Milano, in altra composizione, al fine di determinare la durata dell'affidamento temporaneo.

La questione

L'art. 4, commi 2 e 3, l. n. 184/1983, come modificati dalla l. n. 149/2001 e dal d.lgs. n. 154/2013, in attuazione della Legge delega n. 219/2012, prevede due distinte ipotesi di affidamento etero-familiare. La prima è quella in cui, nel consenso manifestato dai genitori o dal tutore, all'esito di un procedimento nel quale deve essere sentito il minore, sono i Servizi Sociali a disporre l'affido familiare, con un provvedimento di natura amministrativa che, successivamente, il giudice tutelare competente per territorio rende esecutivo con decreto. La seconda è quella che prevede, in mancanza del consenso dei genitori, che sia il Tribunale per i Minorenni a disporre l'affido familiare in sede contenziosa, componendo il conflitto tra genitori con un provvedimento di natura giurisdizionale.

Nella seconda ipotesi, che riguarda il caso che ci occupa, nel provvedimento impugnato, il Giudice non avrebbe fissato i tempi ed i modi di esercizio dei poteri attribuiti all'affidatario, le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri familiari avrebbero potuto mantenere i rapporti con la minore, delegandole ai Servizi territoriali, oltre a non aver statuito riguardo alla durata dell'affido etero-familiare.

Le soluzioni giuridiche

La ratio del legislatore, nell'ipotesi di conflitto genitoriale, è quella di attribuire al giudice competente la decisione sull'affido, nella natura contenziosa della vicenda e del conclusivo provvedimento.

Reso il provvedimento motivato, la fissazione delle modalità attraverso le quali trova attuazione l'affido temporaneo etero-familiare, nei rapporti tra minore-famiglia affidataria e tra minore-famiglia di origine, può essere delegata dal giudice ai Servizi Sociali quale organo del territorio dotato di competenza specifica in materia che può avvalersi anche degli altri servizi socio-sanitari.

In ragione della temporaneità dell'affidamento il giudice deve indicarne l'estensione, mentre le modalità attraverso le quali trova attuazione l'affido etero-familiare possono essere delegate ai Servizi Sociali, stante la natura temporanea dell'istituto.

Osservazioni

La disciplina dell'affidamento e dell'adozione sono istituti a carattere residuale che occupano una posizione di primo piano a tutela dei diritti del fanciullo sia a livello di legislazione internazionale (Convenzione Europea sull'adozione dei minori, Strasburgo 24/04/1967, ratificata con l. n. 357/1974; Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, Aja 29/05/1993, ratificata con l. n. 476/1998) che domestica.

Nell'ordinamento italiano la titolarità di diritti a favore di un minore, nelle ipotesi di incapacità della famiglia d'origine di educarlo, si registra con la legge sull'adozione speciale (l. n. 431/1967), e con la l. n. 184/1983 che tratta l'affidamento preadottivo e temporaneo.

Il primo momento della procedura di adozione è quello dell'affidamento temporaneo (artt. 2 ss. l. n. 184/1983) che prevede l'inserimento del minore, privo di un ambiente familiare idoneo, in una famiglia diversa da quella di origine che provveda al suo mantenimento, alla sua istruzione ed educazione, affinché questo nucleo familiare possa favorirne il reinserimento nella famiglia biologica, anche con il sostegno delle istituzioni preposte.

Presupposto dell'affidamento familiare è l'accertamento della temporaneità dello stato di abbandono morale e materiale, che deve avere carattere transitorio – cioè il fatto che lo ha determinato deve potere essere superato - o essere determinato da forza maggiore – un evento della vita imprevedibile ed irresistibile cui il genitore non riesce far fronte con le proprie forze.

L'istituto, destinato a rimuovere situazioni di difficoltà e disagio familiare connesse all'esercizio della responsabilità genitoriale, ponendosi come strumento di tutela, volto al reinserimento del fanciullo nella propria famiglia di origine (Cass. 1837/2011), rientra tra i provvedimenti convenienti per l'interesse del minore (art. 333 c.c.), poiché diretto a superare la condotta pregiudizievole di uno o di entrambi i genitori senza dar luogo alla pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale di cui all'art. 330 c.c. (Cass. 28257/2019).

Con l'entrata in vigore della l. n. 173/2015, all'art. 4 l. 184/1983 si aggiunge il comma 5-bis che prevede l'adottabilità del minore qualora durante un prolungato periodo di affidamento emergano difficoltà della famiglia d'origine. Tale previsione slega il limite della temporaneità, precedentemente previsto in ventiquattro mesi, potendosi determinare uno stato di abbandono del minore.

Precedentemente, l'affidamento che veniva prorogato oltre i ventiquattro mesi, o dichiarato ex art. 333 c.c., non era stato disciplinato nella l. n. 184/1983.

La pronuncia in commento, in linea con la giurisprudenza recente, dà continuità applicativa al principio secondo cui il giudice che dispone la misura provvisoria deve indicarne la presumibile estensione temporale. Tale misura potrà essere prorogabile nel caso in cui si verifichi una duratura ed irreversibile mancanza di un ambiente familiare idoneo per il minore che potrebbe determinare quella situazione di abbandono presupposto per la dichiarazione di adottabilità, non essendo d'impedimento la positiva situazione di affidamento etero-familiare.

L'affidamento familiare potrebbe essere prodromico all'affidamento preadottivo, laddove la famiglia affidataria ne abbia i requisiti e qualora questo possa costituire il best interest del minore.

Il provvedimento giudiziale motivato che dispone l'affidamento familiare dovrà, quindi, specificare la durata della misura, indicare i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, le modalità attraverso le quali i genitori naturali possono mantenere i rapporti con il minore indicando altresì il Servizio Sociale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza e vigilanza.

Il Servizio, durante l'affidamento, informerà il giudice, con relazioni periodiche, sull'andamento del programma di assistenza e sull'evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.

Tale istituto è giustificato dalla mancanza momentanea di "un ambiente familiare idoneo".

Venuta meno la situazione di difficoltà della famiglia biologica, l'affidamento temporaneo sarà revocato con provvedimento giudiziale, sempre nell'interesse del minore.

Il fine cui è orientata la disciplina è quello di assicurare ai fanciulli di essere reintegrati nella famiglia d'origine in un ambiente obiettivamente idoneo che ne favorisca lo sviluppo della personalità (art. 2 Cost.).

La l. n. 184/1983, in linea con l'art. 31 della Carta Costituzionale, ha imposto allo Stato il dovere di intervenire con mezzi idonei che consentano ai minori di vivere ed essere educati nella famiglia naturale, affidando al giudice di merito la verifica ex ante della possibilità che un intervento di sostegno diretto possa rimuovere le situazioni di difficoltà o disagio familiare.

Solo nell'impossibilità del recupero delle capacità genitoriali, entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, la dichiarazione dello stato di adottabilità è ritenuta legittima.

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