L'abusivo esercizio della professione odontoiatrica

Vittorio Nizza
09 Giugno 2022

La questione sottoposta al vaglio del Tribunale di Torino riguarda la valutazione della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di esercizio abusivo della professione in una situazione peculiare ove l'imputato è un medico chirurgo laureato con specializzazione in odontoiatria e protesi dentarie iscritto all'Albo dei medici chirurghi ma non a quello degli odontoiatri pur esercitando da sempre la professione di medico dentista.
Il caso

La sentenza in esame riguarda un procedimento che vedeva imputato per il reato di esercizio abusivo della professione di cui all'art. 348 c.p. un medico-chirurgo svolgente l'attività di odontoiatra senza l'iscrizione all'Albo degli odontoiatri, ma iscritto all'Albo dei medici-chirurghi.

In particolare l'imputato è un medico chirurgo con specializzazione in Odontoiatria e protesi dentaria conseguita nel 1985, iscritto all'Albo dei medici chirurghi dal 1973 ma non all'Albo degli odontoiatri sebbene da allora svolga l'attività di medico dentista gestendo un suo centro medico.

Lo stesso medico era già stato sottoposto a due procedimenti penali per la medesima imputazione per le stesse condotte, il primo conclusosi con un decreto di archiviazione, il secondo con una sentenza di assoluzione per non aver commesso il fatto.

Secondo la ricostruzione accusatoria la condotta posta in essere dall'imputato integrerebbe il reato di esercizio abusivo della professione. Infatti, sostiene l'accusa, a seguito della creazione nel nostro ordinamento della figura professionale dell'odontoiatra distinta ed autonoma rispetto a quella del medico-chirurgo, con un suo apposito albo, l'iscrizione allo stesso sarebbe una scelta obbligata per l'esercizio della professione trattandosi di una professione protetta a cui sarebbero state riservate la cura della bocca, dei denti e delle mascelle. Il sistema delle leggi ordinistiche pretenderebbe l'iscrizione all'albo come condizione per l'esercizio legittimo e lecito della professione. L'iscrizione all'albo non rappresenterebbe, quindi, un requisito meramente formale ma avrebbe una funzione sostanziale di verifica da parte dell'ordine, organo pubblicistico, della qualificazione non solo tecnica, ma anche morale del soggetto cha ambisce ad esercitare la professione nonché delle condizioni che ne legittimano l'iscrizione. L'esercizio di una professione protetta in assenza di iscrizione integrerebbe pertanto il reato di cui all'art. 348 c.p.

Secondo l'accusa, inoltre, la precedente sentenza assolutoria non avrebbe consentito all'imputato di appellarsi alla buona fede, trattandosi di una singola decisione.

Nel corso del dibattimento venivano sentiti come testimoni il presidente dell'ordine dei medici chirurghi – costituitosi anche parte civile – e il presidente dell'albo degli odontoiatri nonché lo stesso imputato.

Il giudice all'esito dell'istruttoria pronunciava sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.

La questione

La questione sottoposta al vaglio del Tribunale di Torino riguarda la valutazione della sussistenza degli elementi costitutivi del reato di esercizio abusivo della professione in una situazione peculiare ove l'imputato è un medico chirurgo laureato con specializzazione in odontoiatria e protesi dentarie iscritto all'Albo dei medici chirurghi ma non a quello degli odontoiatri pur esercitando da sempre la professione di medico dentista. Tra l'altro la medesima condotta contestata era già stata sottoposta al vaglio dell'autorità giudicante due volte. In entrambi i casi non erano stati rinvenuto profili di responsabilità penale ma al più questioni disciplinari meramente interne all'Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Torino nel caso in oggetto viene chiamato a giudicare una particolare situazione relativa ad un ipotizzata condotta di esercizio abusivo della professione di odontoiatra.

Occorre premettere una breve ricostruzione della disciplina del settore. Il d.P.R. n. 135/1980, in recepimento di una direttiva comunitaria, ha istituito in Italia il corso di laurea in odontoiatria e protesi dentaria (prima solo una specialità da conseguirsi dopo la laurea in medicina). La successiva legge n. 409/1985 ha previsto che la professione di odontoiatra venga esercitata «da coloro che sono in possesso del diploma di laurea in odontoiatria e protesi dentaria e della relativa abilitazione all'esercizio professionale, conseguita a seguito del superamento di apposito esame di stato» (art. 1) nonché ha previsto l'istituzione di un apposito Albo creato presso l'Ordine dei medici – chirurghi (poi diventato Ordine dei Medici – chirurghi e Odontoiatri). Tale norma prevedeva per alcune categorie, tra cui i soggetti laureati in medicina prima del 1980 con specializzazione in odontoiatria (come l'imputato) di poter continuare ad esercitare la professione di odontoiatra rimanendo iscritti all'Albo dei medici con un'apposita annotazione (art. 5 l. n. 409/1985). La Corte costituzionale investita della questione ha dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 5, eliminando l'istituto dell'annotazione e consentendo a tutti i laureati in medicina prima del 1980 la facoltà di iscriversi ad entrambi gli albi, quello dei medici e quello degli odontoiatri. Tale impostazione è poi stata confermata dalla d.lgs. n. 277/2003 che, in deroga al divieto di doppia iscrizione, ha consentito ai medici chirurghi immatricolatisi al relativo corso di laurea prima del 1980 la possibilità di esercitare la professione di odontoiatra previa iscrizione all'Albo degli odontoiatri con mantenimento dell'iscrizione all'Albo dei medici chirurghi.

Il Giudice, pur essendo provato che l'imputato avesse svolto attività di odontoiatra essendo iscritto all'albo dei medici-chirurghi ma non a quello degli odontoiatri, ha reputato che dovesse essere assolto perché il fatto non sussiste.

Ha valutato infatti il giudice come l'art. 348 c.p. delinei un reato di mera condotta volto a tutela della salute pubblica. La giurisprudenza è infatti ormai concorde nel ritenere che sussista il reato qualora venga esercitata la professione in assenza dell'abilitazione e degli altri requisiti richiesti per legge sebbene il soggetto in concreto abbia i requisiti morali e professionali richiesti. Tuttavia, precisa ancora il giudice, occorre sempre che si proceda ad un'interpretazione della norma in linea con il principio costituzionale di offensività. Per configurare il reato di esercizio abusivo della professione, quindi, occorre verificare un effettivo e rilevante ostacolo alla funzione di vigilanza dell'ordine professionale. La norma infatti, come si evince anche dalla sua collocazione sistematica, tutela il buon andamento della P.A. e l'interesse pubblico a che l'esercizio di determinate professioni c.d. “protette” avvenga da parte di soggetti muniti di quelle specifiche competenze tecniche e morali richieste e costantemente monitorati da appositi enti pubblici, quali gli Ordini e i Collegi professionali.

Nel caso di specie l'imputato oltre ad avere i requisiti tecnici per l'esercizio della professione odontoiatra era ed è iscritto all'Ordine dei medici chirurghi ed odontoiatri, ente preposto alla tenuta sia dell'Albo del medici-chirurghi che di quello degli odontoiatri e che verifica il rispetto da parte degli iscritti del medesimo codice deontologico. Conclude pertanto il giudice come «al di la del dato puramente formale della mancata iscrizione anche all'albo degli odontoiatri, con la condotta accertata l'imputato non si è affatto sottratto al controllo dell'Ente preposto alla vigilanza sugli esercenti le professioni di medico chirurgo e odontoiatra, né al rispetto del medesimo codice deontologico». La mancata iscrizione anche all'Albo degli Odontoiatri, pertanto non ha comportato nessun vulnus al bene protetto dall'art. 348 c.p. ossia all'efficace esercizio delle funzioni di controllo dell'ordine professionale sugli iscritti.

Alla luce di tali considerazioni il Tribunale ha assolto l'imputato per il reato lui ascritto perché il fatto non sussiste.

Osservazioni

Il caso di specie riguardava una particolare vicenda relativa al reato di esercizio abusivo della professione. Il procedimento in oggetto, infatti, vedeva imputato per il reato di cui all'art. 348 c.p. in relazione allo svolgimento della professione di odontoiatra, non un odontotecnico o un soggetto privo di alcun titolo abilitativo, bensì un medico-chirurgo specializzato in odontoiatria iscritto da oltre 40 anni all'albo del medici-chirurghi ma non all'albo degli odontoiatri.

Occorre premettere come l'imputato rientri in una particolare categoria di medici che in base al un regime transitorio a seguito della modifica apportata nel 2003 alla legge 409/1985 istitutiva della professione odontoiatrica ha la facoltà della doppia iscrizione ad entrambi gli albi.

La l. n. 409/1985, in recepimento ad una direttiva comunitaria, infatti, ha istituito anche in Italia la professione di odontoiatra attribuendole come competenza «attività inerenti alla diagnosi ed alla terapia delle malattie e anomalie congenite ed acquisite dei denti, della bocca, delle mascelle e dei relativi tessuti, nonché alla prevenzione ed alla riabilitazione odontoiatriche». Tale legge ha anche disposto la creazione di un apposito albo da istituirsi presso gli ordini professionali dei medici-chirurghi. La norma prevedeva che i medici laureatisi prima della sua entrata in vigore e in possesso di apposita specializzazione potessero continuare ad esercitare la professione di odontoiatri inserendo nell'albo dei medici-chirurghi un'apposita annotazione. Così avvenne anche per l'imputato fino al 2001.

La Corte costituzionale (con la sentenza n. 100/1989) dichiarò incostituzionale l'art. 4 l. n. 409/85 che prevedeva l'istituto dell'annotazione e instituì invece il regime della doppia iscrizione per i medici laureati ante 1985. In deroga al generale divieto di iscrizione a più di un albo professionale a tali soggetti veniva consentito di iscriversi sia all'albo dei medici-chirurghi che a quello degli odontoiatri. Tale impostazione venne confermata con le modifiche apportata con il d.lgs. n. 277/2003.

Nel 2006 l'ordine provvide a cancellare l'annotazione dell'imputato sollecitando la sua iscrizione anche all'albo degli odontoiatri, ma senza in ogni caso agire nei suoi confronti a livello disciplinare. L'imputato infatti non si iscrisse anche all'albo degli odontoiatri, ritendo non corretto il regime della doppia iscrizione – che creava anche forme di disparità all'interno dell'ordine con un doppio diritto di voto attivo e passivo per i doppi iscritti – tuttavia decise di presentare una sorta di “autodenuncia” in Procura perché si valutasse se la sua condotta potesse costituire esercizio abusivo della professione. Tale procedimento si concluse con un provvedimento di archiviazione.

Nel 2013 l'imputato venne nuovamente sottoposto a processo con la medesima imputazione. Il Tribunale di Torino in quel caso pronuncio sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, ritendo che al più potesse esserci un problema disciplinare da risolversi internamente all'ordine.

La situazione rimase immutata fino al 2017 quando il Consiglio dell'ordine dei medici-chirurghi e odontoiatri presento un nuovo esposto nei confronti dell'imputato, da cui generò il procedimento di cui alla sentenza in commento.

Numerose le valutazioni legate alla configurabilità del reato contestato nello specifico caso in oggetto.

In primo luogo viene in rilievo l'identificazione dell'oggetto dell'attività odontoiatrica e soprattutto la sua attribuzione in via esclusiva agli iscritti all'albo degli odontoiatri. L'art. 2 l. n. 409/85 infatti individua l'ambito di competenza della nuova professione nella cura delle malattie della bocca e delle gengive, tuttavia non vi è nessuna norma che espressamente definisca tale attività come esclusiva dell'odontoiatra sottraendola così alla competenza del medico. Allo stesso modo non vi è alcuna norma che definisca la competenza del medico-chirurgo, a cui spetterebbero in generale le attività di diagnosi e terapia dell'intero corpo umano, senza limitazioni. Il medico quindi in virtù della propria abilitazione potrebbe curare anche le malattie della bocca, dei denti e dei relativi tessuti.

In tal senso si era espresso il Tribunale nella sentenza assolutoria pronunciata nel 2013 nei confronti del medesimo imputato. In quell'occasione infatti, il Tribunale aveva ritenuto che sebbene appaia fondato sostenere che le attività di diagnosi e cura delle patologie che affliggono bocca e denti siano state previste dalla legge del 1985 come esclusive della professione odontoiatrica, tuttavia non è stato stabilito testualmente che tali attività venissero contemporaneamente sottratte alla professione medica, alla quale infatti la medesima legge consentiva di continuare ad esercitare la professione di dentista con l'annotazione. I confini delle due professioni non risultano ben definiti in quanto è pacifico che al medico spetti il generale compito della cura delle patologie che affliggono l'uomo ed è dunque problematico sostenere che una parte di tali patologie debba essere sottratta alla sfera di attività chirurgica prospettando per lo stesso medico il rischio di un esercizio abusivo della professione. D'altro canto sarebbe contraddittorio ritenere il medico chirurgo responsabile delle eventuali conseguente derivate al paziente per non essere intervenuto in un settore non di sua specifica competenza e dall'altra addurre allo stesso medico una responsabilità per esercizio abusivo della professione per essere intervenuto.

Inoltre ha sentenziato il medesimo giudice nel caso specifico si trattava di un soggetto in possesso di tutti i requisiti per l'iscrizione anche all'albo degli odontoiatri, ma non per questo obbligato a farlo. La legge 409 infatti non avrebbe inciso sulle situazioni già in atto. Non sarebbe stato possibile imporre a quelle categorie di medici individuati dalla legge stessa (laureati prima del 1985) l'iscrizione all'albo degli odontoiatri come condizione indispensabile per il lecito esercizio di una professione che già precedentemente esercitavano. Conclude pertanto il Tribunale nella prima pronuncia che l'omessa iscrizione di un soggetto che ha tutti i titoli abilitativi per esercitare la professione di dentista e che continua ad esercitarla in quanto la stessa legge di nuova introduzione gliene ha riconosciuto al legittimazione sulla base della precedente situazione di iscritto all'albo dei medici chirurghi può essere considerata una violazione meramente formale che non incide sul precetto penale e che non attiene al giudizio di disvalore espresso dalla norma incriminatrice contestata. Il Giudice pertanto pronunciava una prima sentenza assolutoria perchè il fatto non sussiste.

La pronuncia in oggetto, a fronte di una situazione fattuale esattamente identica a quella sottoposta al vaglio del tribunale nel 2013, affronta invece la questione sotto un diverso profilo giungendo comunque ad escludere la configurabilità del reato di esercizio abusivo della professione, non ritenendo che la condotta posta in essere dall'imputato sia idonea a ledere il bene protetto dalla norma. Occorre infatti ribadire come a seguito della creazione dell'autonoma professione di odontoiatra sia stato creato un apposito Albo professionale presso gli ordini dei medici all'interno dei quali sono state create quindi due sottocommissioni (quella dei medici e quella degli odontoiatri) i cui membri poi formano in un unico consiglio direttivo. Gli iscritti all'ordine dei medici – chirurghi ed odontoiatri di entrambi gli albi si riuniscono in un'unica assemblea. I requisiti tecnici per l'iscrizione ai due albi sono differenti, ad eccezione delle categorie indicate nelle l. n. 409/1985 a cui è consentita la doppia iscrizione, tra cui rientra anche l'imputato, mentre i requisiti morali sono i medesimi, ed infatti il codice deontologico è comune. L'art. 348 c.p. è volto a tutelare l'interesse pubblico a che determinate professioni c.d. “protette” vengano svolte da soggetti che abbiano i requisiti tecnici e morali richiesti, la cui verifica è rimessa agli ordini e i collegi professionali. La giurisprudenza è costante nel ritenere che per l'esercizio delle suddette professioni non sia sufficiente la sussistenza dei requisiti morali e professionali nonché del titolo abilitante, ma occorra altresì l'iscrizione all'apposito albo, solo in tal modo può essere garantito l'effettivo controllo da parte dell'ordine professionale di appartenenza. L'iscrizione infatti ha una funzione sostanziale, ossia la verifica da parte dell'Ordine, quale organo pubblicistico, della qualificazione tecnica e morale del soggetto cha ambisce ad esercitare la professione e comunque della sussistenza delle condizioni che ne legittimano l'iscrizione.

Ebbene, il caso di specie, come si è detto è sicuramente particolare. Per ciò che riguarda la posizione dell'imputato, infatti i requisiti sia tecnici che morali per iscriversi ad entrambi gli albi, quello dei medici-chirurghi e quello degli odontoiatri sono i medesimi. Non solo, ma il controllo sulla sussistenza degli stessi da parte dell'Ordine è stato posto in essere, essendo lo stesso imputato da sempre iscritto all'albo dei medici-chirurghi. Al di là del dato formale della mancata iscrizione anche all'albo degli odontoiatri, l'imputato non si è mai sottratto al controllo dell'ente preposto alla vigilanza sugli esercenti le professioni di medico chirurgo e odontoiatra, né al rispetto del codice deontologico. Tale condotta pertanto non può essere ritenuta lesiva dell'interesse protetto dall'art. 438 c.p. alla luce di tale valutazione il Tribunale ha assolto l'imputato perché il fatto non sussiste.

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