Pericolosità sociale dell'imprenditore evasore e confisca dei profitti illeciti bonificati con “scudo fiscale”

13 Giugno 2022

Con la pronuncia in commento la Corte di cassazione interveniva su due importanti questioni ermeneutiche, fornendo delle indicazioni ermeneutiche particolarmente pregevoli.
Premessa

Con la pronuncia in commento la Corte di cassazione interveniva su due importanti questioni ermeneutiche, fornendo delle indicazioni ermeneutiche particolarmente pregevoli.

La Corte di cassazione, innanzitutto, interveniva sull'inquadramento della pericolosità generica dell'imprenditore evasore fiscale, evidenziando che la confisca dei beni era giustificata dal fatto che le acquisizioni si erano verificate in un lungo arco temporale, in un periodo in cui il prevenuto viveva abitualmente con i proventi delle sue attività illecite, commesse nell'esercizio della sua attività imprenditoriale, con condotte riconducibili all'ambito soggettivo disciplinato dall'art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011.

La Suprema Corte, al contempo, interveniva sul tema dei limiti applicativi dello “scudo fiscale” introdotto dall'art. 13-bis d.l. n. 78/2009, evidenziando che la sanatoria in questione non comportava un'immunità soggettiva totale, concernendo esclusivamente i reati fiscali connessi al trasferimento all'estero di capitali fatti rientrare successivamente in Italia.

La vicenda processuale e le questioni sottoposte all'attenzione della Corte di cassazione

La pronuncia di legittimità che si commenta trae origine dal decreto emesso il 14 gennaio 2021 dalla Corte di appello di Bologna, che, decidendo a seguito dell'annullamento con rinvio disposto dalla Corte di cassazione il 23 settembre 2019, confermava il provvedimento emesso dal Tribunale di Forlì il 30 gennaio 2017. Con tale ultimo decreto erano state applicate a I.P. le misure di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per cinque anni e la confisca di beni patrimoniali.

Tali misure di prevenzione, a loro volta, si collegavano a una più complessa vicenda processuale, che aveva avuto una grande risonanza mediatica nell'area romagnola, riguardante i numerosi illeciti commessi dal prevenuto nell'esercizio della sua attività imprenditoriale, svolta nel settore immobiliare.

In questa cornice, la Corte di cassazione, innanzitutto, chiedeva al giudice del rinvio di accertare quale fosse la tipologia di pericolosità sociale di I.P., essendo possibile confiscare i soli beni la cui acquisizione era determinata da condotte riconducibili all'alveo soggettivo delineato dall'art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011, che non erano state pregiudicate dalla sentenza della Corte costituzionale 27 febbraio 2019, n. 24, che, com'è noto, aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lett. a), dello stesso decreto.

Si chiedeva, inoltre, al giudice del rinvio di verificare la possibilità di sottoporre a confisca le somme che il proposto aveva bonificato con il cosiddetto scudo fiscale, ai sensi dell'art. 13-bis d.l. 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, tenuto conto del fatto che l'acquisizione si era verificata mediante condotte che, all'epoca dei fatti, non erano soggette a misure di prevenzione.

Si chiedeva, infine, il riesame della doglianza sulla confisca delle quote del 99,9 % del capitale della società C. s.r.l., sul quale si riscontrava un'omissione motivazionale da parte della Corte di appello di Bologna, a fronte dell'assunto difensivo secondo cui le quote controverse erano state acquisite lecitamente, grazie a un finanziamento effettuato dalla società D. s.r.l.

Su questi tre profili, la Corte di appello di Bologna si soffermava con argomenti ritenuti congrui dalla sentenza di legittimità in commento.

Quanto, in particolare, al tema della pericolosità sociale, si evidenziava che i beni confiscati erano stati acquisiti tra il 2004 e il 2015, in un periodo in cui I.P. viveva abitualmente con i proventi delle sue attività illecite, ponendo in essere condotte pacificamente riconducibili all'alveo soggettivo disciplinato dall'art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011.

Quanto, invece, al tema dei limiti applicativi dello “scudo fiscale”, si evidenziava che la sanatoria non esclude la configurabilità del requisito della sproporzione reddituale – posto a fondamento della confisca di prevenzione attivata nel caso di specie – e non trasformava, ex se, le somme di provenienza illecita in proventi leciti, anche alla luce del fatto che, per avvalersi del condono di cui all'art. 13-bis d.l. n. 78/2009, si devono comunque indicare gli elementi di collegamento tra le somme da rimpatriare e le eventuali violazioni penali.

Quanto, infine, al tema della confisca delle quote del 99,9 % del capitale della società C. s.r.l., si evidenziava che il finanziamento da parte della società D. s.r.l. era di provenienza sconosciuta e che vi era una perfetta coincidenza temporale tra l'accumulazione delle somme impiegate e gli anni in cui I.P. aveva commesso gravi e reiterati reati.

Queste argomentazioni venivano censurate con i due atti di impugnazione, proposti dal prevenuto e dalla società D. s.r.l.

Con il ricorso proposto dal prevenuto ci si doleva dell'inquadramento della pericolosità generica nell'ambito dell'art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011, che si riteneva in contrasto con i parametri ermeneutici affermati nella sentenza della Corte EDU nel caso “De Tommaso contro Italia” (Corte EDU, De Tommaso c. Italia, 23 febbraio 2017, n. 43395/09).

Ci si doleva, inoltre, dell'aggressione al patrimonio di I.P., che, oltre a essere protetto dalle norme sullo “scudo fiscale”, non teneva conto del fatto che il prevenuto era un soggetto rientrante nella categoria della pericolosità generica, che non consentiva l'esercizio di poteri ablatori nei suoi confronti.

Ci si doleva, infine, della conferma delle misure ablatorie adottate nei confronti di P.I., pur non essendovi alcuna correlazione cronologica tra il manifestarsi della pericolosità generica del prevenuto e l'acquisizione delle quote della società C. s.r.l., che erano state confiscate.

L'atto di impugnazione proposto dalla società D. s.r.l., invece, era integralmente riproduttivo delle censure difensive prospettate nell'interesse di I.P., già esaminate, alle quali occorre rinviare.

La pericolosità generica ex art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011 collegata all'evasione fiscale sistematica realizzata nell'esercizio di attività imprenditoriale

Secondo la Corte di cassazione, che dichiarava inammissibili i ricorsi proposti da I.P. e dalla società C. s.r.l., che si ritiene di segnalare per la pregevolezza degli argomenti esposti, i reati commessi dal prevenuto nel periodo controverso, compreso tra il 2004 e il 2015, avevano generato ingenti profitti illeciti, che costituivano una componente significativa del reddito del proposto.

Questi reati venivano realizzati in forma organizzata e professionale, attraverso l'intermediazione della Cassa di Risparmio della Repubblica di San Marino, intrecciandosi con l'attività di impresa svolta nel settore immobiliare dal prevenuto, che ricorreva a una massiccia e sistematica evasione fiscale, allo scopo di procurarsi ingentissimi capitali illeciti, che venivano depositati in conti esteri.

Si riteneva, quindi, dimostrato processualmente che nel «periodo di operatività della pericolosità sociale, l'attività delittuosa del proposto si era indirizzata alla commissione quasi esclusiva di reati produttivi di reddito, o comunque finalizzati a conseguire vantaggi economici illeciti nell'attività imprenditoriale svolta dal ricorrente» (Cass. pen., sez. I, 11 gennaio 2022, I.P., n. 15846).

Occorreva, pertanto, ricondurre le condotte del prevenuto alla categoria di pericolosità sociale descritta dall'art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011, riguardante i soggetti «che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose», che non era stata direttamente coinvolta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019.

Per quanto concerne, invece, la cornice temporale di rilevanza della pericolosità sociale di I.P., la Suprema Corte richiamava, con argomenti esposti meritoriamente, l'orientamento ermeneutico secondo cui, in tema «di misure di prevenzione, la lettura “tassativizzante” della categoria di pericolosità generica di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), del d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, affermata nella sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019, alla luce dei principi espressi dalla Corte Edu, Grande Camera, nella sentenza 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, trova applicazione anche con riferimento alle condotte antecedenti alla pronuncia del giudice delle leggi, la quale ha recepito l'interpretazione consolidata che la Corte di cassazione ha dato del contenuto della norma, consacrandola quale diritto vivente, sulla cui base sono state ritenute la sufficiente determinatezza della fattispecie, nonché la prevedibilità delle conseguenze della violazione» (Cass. pen., sez. VI, 10 giugno 2020, Dezi, n. 20557, in Cass. C.E.D., n. 279556-01).

Si ribadiva, in questo modo, l'opzione interpretativa, definitivamente consolidatasi dopo la sentenza “De Tommaso contro Italia” (Corte EDU, De Tommaso c. Italia, 23 febbraio 2017, cit.), che individua nella disposizione dell'art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011 una piattaforma normativa idonea a «giustificare, sotto il profilo convenzionale e costituzionale, la compressione di diritti fondamentali della persona da parte della pubblica autorità» (Cass. pen., sez. I, 11, gennaio 2022, I.P., n. 15846, cit.).

Tale orientamento, del resto, veniva più volte ribadito dalla Suprema Corte, che, da ultimo, come correttamente evidenziato dalla pronuncia che si commenta, aveva affermato: «In tema di misure di prevenzione, la lettura “tassativizzante” della categoria di pericolosità generica di cui all'art. 1, comma 1, lett. b), d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, affermata nella sentenza della Corte costituzionale n. 24/2019, alla luce dei principi espressi dalla Corte EDU, Grande Camera, nella sentenza 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, trova applicazione anche con riferimento alle condotte antecedenti alla pronuncia del giudice delle leggi, la quale ha recepito l'interpretazione consolidata che la Corte di cassazione ha dato del contenuto della norma, consacrandola quale diritto vivente, sulla cui base sono state ritenute la sufficiente determinatezza della fattispecie, nonché la prevedibilità delle conseguenze della violazione» (Cass. pen., sez. VI, 10 giugno 2020, Dezi, n. 20557, in Cass. C.E.D., n. 279556-01).

La Suprema Corte, al contempo, evidenziava che i reati commessi da I.P. nel periodo esaminato, compreso tra il 2004 e il 2015, avevano generato consistenti profitti illeciti, che costituivano una diretta derivazione dell'attività di impresa svolta dal prevenuto nel settore immobiliare. Il proposto, infatti, faceva ricorso «a una massiccia e sistematica evasione fiscale, così da procurarsi ingentissimi capitali illeciti da inviare all'estero […]» (Cass. pen., sez. I, 11, gennaio 2022, I.P., n. 15846, cit.).

Nel periodo in esame, dunque, le condotte illecite del prevenuto si erano indirizzate alla commissione quasi esclusiva di reati produttivi di reddito o finalizzati a conseguire vantaggi economici illeciti nello svolgimento dell'attività imprenditoriale svolta da I.P.; connotazioni, queste, che imponevano di ricondurre i comportamenti del proposto nell'alveo dell'art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159 del 2011, in linea con la giurisprudenza di legittimità consolidata (Cass. pen., sez. V, 10 luglio 2019, G., n. 38737, in Cass. C.E.D., n. 276648-01; Cass. pen., sez. II, 15 gennaio 2020, n. 38737, in Cass. C.E.D., n. 278681-01).

Si tratta, sul piano della correlazione cronologica, di una soluzione processuale rispettosa del risalente intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, secondo cui sono suscettibili di ablazione i soli beni patrimoniali acquistati nell'arco temporale in cui si è manifestata la pericolosità sociale dell'inciso – o eventualmente del terzo –, tenuto conto del momento in cui si è concretizzata tale condizione. Tali conclusioni discendono dal fatto che la «pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche “misura temporale” del suo ambito applicativo; ne consegue che, con riferimento alla c.d. pericolosità generica, sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell'arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, mentre, con riferimento alla c.d. pericolosità qualificata, il giudice dovrà accertare se questa investa, come ordinariamente accade, l'intero percorso esistenziale del proposto, o se sia individuabile un momento iniziale ed un termine finale della pericolosità sociale, al fine di stabilire se siano suscettibili di ablazione tutti i beni riconducibili al proposto ovvero soltanto quelli ricadenti nel periodo temporale individuato» (Cass. pen., sez. un., 29 giugno 2014, S., n. 4880, in Cass. C.E.D., n. 262605-01).

Gli ulteriori profili valutativi della pronuncia in esame

Il tema censorio residuo, pur affrontato con argomenti pregevoli nella sentenza che si commenta, non pone questioni di particolare rilievo ermeneutico, dolendosi i ricorrenti delle ragioni che legittimavano la confisca delle quote del 99,9 % del capitale della società C. s.r.l.

Tale doglianza, in ogni caso, veniva respinta dalla Suprema Corte sulla base dell'assunto, incontroverso, che le provviste necessarie a effettuare il finanziamento in favore della società C. s.r.l. da parte della società D. s.r.l. era di provenienza sconosciuta e che vi era una perfetta coincidenza temporale tra l'accumulazione delle somme controverse e gli anni in cui I.P. aveva commesso gravi e reiterati reati nell'esercizio della sua attività imprenditoriale, nei termini cui si è già riferiti nel paragrafo 2, al quale si rinvia.

Ne discendeva che la società C. s.r.l., nei cui confronti erano stati legittimamente attivati i poteri ablatori, aveva «ottenuto ingentissimi finanziamenti da quella società riferibile al proposto, nel pieno del periodo di estrinsecazione della pericolosità sociale, e […] il valore di una società di capitali espresso in quote sociali è un indicatore dinamico, variando con la consistenza patrimoniale e finanziaria della società medesima […]» (Cass. pen., sez. I, 11 gennaio 2022, n. 15846, cit.).

In conclusione

Con la sentenza che si commenta la Corte di cassazione forniva alcuni illuminanti chiarimenti in ordine a due questioni ermeneutiche, non sempre affrontate con il dovuto rigore dalla giurisprudenza di legittimità, riguardanti la pericolosità generica dell'imprenditore evasore fiscale e la confisca dei profitti illeciti bonificati con lo “scudo fiscale” previsto dall'art. 13-bis d.l. n. 78/2009.

La Suprema Corte, in particolare, soffermandosi sulla prima delle due questioni interpretative, evidenziava che il tema della delimitazione degli ambiti applicativi della pericolosità generica doveva essere affrontato alla luce del fatto che i beni confiscati erano stati acquisiti tra il 2004 e il 2015, in un periodo in cui il prevenuto viveva abitualmente con i proventi delle sue attività illecite, realizzati durante la sua attività imprenditoriale, riconducibili al contesto disciplinato dall'art. 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011, che legittimava l'esercizio dei poteri ablatori.

Sulla seconda delle due questioni ermeneutiche, invece, la pronuncia in commento evidenziava che la sanatoria prefigurata dallo “scudo fiscale” introdotto dall'art. 13-bis d.l. n. 78/2009 non determinava un'immunità soggettiva generale, ma una causa di non punibilità rilevante per i soli reati relativi ai capitali trasferiti all'estero e successivamente fatti rientrare in Italia, con la conseguenza che non è comunque esclusa la punibilità per delitti diversi, quali, ad esempio, l'emissione di fatture per operazioni inesistenti, le indebite compensazioni ovvero l'omesso versamento di tributi.

Riferimenti
  • L. Fornari, Criminalità del profitto e tecniche sanzionatorie. Confisca e sanzioni pecuniarie nel diritto penale ‘moderno', Padova, 1997;
  • M. Finuoli Di Lello, “Tutto cambia per restare infine uguale”. Le Sezioni Unite confermano la natura preventiva della confisca ante delictum, in Cass. pen., 2015, 10, pp. 3520;
  • V. Maiello, La prevenzione ante delictum da pericolosità generica al bivio tra legalità costituzionale e interpretazione tassativizzante, in Giur. Cost., 2019, pp. 322 ss.;
  • F. Mazzacuva, L'uno-due dalla Consulta alla disciplina delle misure di prevenzione: punto di arrivo o principio di un ricollocamento sui binari costituzionali?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2019, p. 987 ss.;
  • V. Pompeo, Confisca di prevenzione, dinamiche concorrenziali e garantismo economico-sociale, in Giur. it., 2015, 12, pp. 2721 ss.;
  • C. Pelissero, Pericolosità sociale e doppio binario. Vecchi e nuovi modelli di incapacitazione, Torino, 2008, p. 31 ss.;
  • G. Ruggiero, Sull'estensione ai concorrenti dello “scudo penale” per il rimpatrio di capitali, in il fisco, 2002, 6, pp. 869 ss.;
  • B. Tinti, Rientro dei capitali. Legalizzazione del riciclaggio e dell'evasione fiscale, in il fisco, 2001, 47, pp. 14898 ss.

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