L'albergatore è responsabile dell'imposta di soggiorno dovuta dal cliente

Isabella Bricchetti
15 Giugno 2022

Per volontà del legislatore, l'albergatore è, da sempre, responsabile dell'imposta di soggiorno dovuta dal cliente e trattenendola non commette peculato.
Massima

Poiché, per effetto della disposizione di cui all'art. 5-quinquies d.l. 146/2021, deve ritenersi che la qualifica soggettiva di responsabile d'imposta vada riconosciuta al gestore della struttura ricettiva anche per i fatti relativi all'omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta di soggiorno dovuta dal cliente verificatisi in epoca antecedente all'entrata in vigore del d.l. 34/2020 (ossia alla data del 19 maggio 2020), ne consegue che il mancato, ritardato o parziale versamento dell'imposta di soggiorno, anche per i fatti antecedenti al 19 maggio 2020, non è più sussumibile nel delitto di peculato, postulando tale fattispecie incriminatrice, come presupposto necessario della condotta del soggetto attivo, la veste giuridica del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio.

Il caso

A seguito di condanna, pronunciata ai sensi degli artt. 444 ss. c.p.p., per il reato di cui all'art. 81 comma 2 e 314 c.p. (per essersi appropriato – nella sua qualità di legale rappresentante di società titolare di struttura ricettivo-alberghiera – delle somme ricevute dai clienti a titolo di tassa di soggiorno, poi non riversate, come normativamente prescritto, all'Ente Comunale), il ricorrente proponeva impugnazione, avanti la Suprema Corte di cassazione, deducendo l'erronea applicazione degli artt. 444 comma 2 e 448 comma 2-bis c.p.p., con riferimento agli artt. 314 e 358 comma 2 c.p. ed all'art. 180, comma 3, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, per essere stata applicata la pena richiesta dalle parti per il reato di peculato continuato, ancorché ricorressero i presupposti per una diversa qualificazione giuridica dei fatti tale da imporre il proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p.

Specificava, infatti, il ricorrente che, per effetto dell'entrata in vigore dell'art. 180, comma 3, d.l. 34/2020, non poteva ritenersi più ascrivibile, al paradigma del delitto di peculato, la condotta del gestore dell'attività ricettizia che si appropria delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno ed ometta di riversarle all'Ente Comunale: la citata disposizione di legge, infatti, altro effetto non avrebbe avuto se non quello di incidere su di un dato strutturale della evocata fattispecie delittuosa [cioè a dire, la qualifica soggettiva richiesta dall'art. 314 c.p. per l'integrazione del reato di peculato] e privando, con specifico riferimento al versamento della tassa di soggiorno, il gestore dell'attività ricettivo-alberghiera dello status di incaricato di pubblico servizio, avrebbe escluso dall'area del penalmente rilevante [attribuendole mera rilevanza amministrativa] la predetta condotta di appropriazione, mercé il mancato riversamento all'Ente Comunale delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno.

Per vero, nelle more del giudizio, il ricorrente provvedeva al deposito di specifica memoria difensiva, a mezzo della quale insisteva nell'accoglimento dei motivi del ricorso, evidenziando la rilevanza della sopravvenuta previsione di cui all'art. 5-quinquies d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, giacché norma volta a chiarire che l'art. 4, comma 1-ter, d.lgs. 23/2011 [per come introdotto dall'art. 180, comma 3, d.l. 19 maggio 2020, n. 34], laddove attribuisce al gestore di struttura ricettivo-alberghiera la qualifica di responsabile di imposta, deve ritenersi applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020.

La questione

Nel decidere le sorti dell'impugnazione svolta dall'imputato, il Giudice di legittimità ha dovuto dirimere due connesse questioni:

a) la prima (proposta nei motivi di ricorso), afferente alla portata delle modifiche introdotte dall'art. 180, comma 3, d.l. 34/2020 e, quindi, alla possibilità di ritenere che, per effetto delle innovazioni apportate all'art. 4 d.lgs. 23/2011, mediante l'introduzione del comma 1-ter, la condotta del gestore di strutture ricettivo-alberghiere che, appropriatosi delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno, omette di riversarle all'ente comunale sia divenuta penalmente irrilevante;

b) la seconda (sviluppata in successiva memoria difensiva depositata dal ricorrente), afferente alla previsione di cui all'art. 5-quinquies d.l. 146/2021 e alla ritenuta sua idoneità ad acclarare definitivamente, quale norma di interpretazione autentica, l'intervenuta depenalizzazione della descritta condotta appropriativa del gestore di strutture ricettivo-alberghiere.

Le soluzioni giuridiche

Onde poter meglio apprezzare le giuste conclusioni cui è pervenuta la sentenza in commento, appare opportuno precisare che:

a) nella sua formulazione originaria (ed in vigore dal 7 aprile 2011), l'art. 4 d.lgs. 23/2011, nel regolamentare la cd. “imposta di soggiorno” (tributo locale dovuto da chi soggiorna (o pernotta) in una struttura ricettiva ubicata nel territorio di un Comune in cui tale imposta è stata istituita], attribuiva al gestore della struttura ricettiva – «nel quadro di un rapporto intercorrente esclusivamente tra l'Ente e la clientela» (così, in motivazione, Cass. pen., sez. VI, 21 giugno 2019, n. 27707) – il compito di provvedere all'incasso della tassa di soggiorno ed alla successiva trasmissione delle somme all'ente pubblico; al gestore di struttura ricettivo-alberghiera, quindi, non era attribuita né la qualifica di “responsabile di imposta” né, tanto meno, quella di “sostituto di imposta”, bensì la funzione di «responsabile del versamento e di agente contabile, quale soggetto che maneggia denaro pubblico ed è tenuto a riversarlo nelle casse dell'ente pubblico» (così, in motivazione, Cass. pen., sez. VI, 21 giugno 2019, n. 27707; si veda, poi, Corte dei Conti, Sezioni Unite, 22 settembre 2016, n. 22, che, investita del quesito «se gli incaricati degli adempimenti tributari (nella specie: i gestori delle strutture ricettive) conseguenti all'introduzione dell'imposta di soggiorno di cui all'art. 4 d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, siano qualificabili come agenti contabili sottoposti al giudizio di conto, relativamente alla gestione dell'imposta stessa» – aveva chiarito che «I soggetti operanti presso le strutture ricettive, ove incaricati – sulla base dei regolamenti comunali previsti dall'art. 4, comma 3, d.lgs. n. 23/2011 – della riscossione e poi del riversamento nelle casse comunali dell'imposta di soggiorno corrisposta da coloro che alloggiano in dette strutture, assumono la funzione di agenti contabili, tenuti conseguentemente alla resa del conto giudiziale della gestione svolta»);

b) muovendo dal citato disposto normativo, la consolidata ed unanime elaborazione giurisprudenziale riteneva sussistente il reato di peculato nella «(…) condotta posta in essere dal gestore di una struttura ricettiva che si appropri delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno omettendo di riversarle al Comune» (Cass. pen., sez. VI, 21 giugno 2019, n. 27707, RV 276220 – 01); e tanto, bene si badi, nella giusta [e invero incontestata] considerazione che «riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio il gestore di struttura ricettiva residenziale che, anche in assenza di un preventivo specifico incarico da parte della pubblica amministrazione, procede alla riscossione dell'imposta di soggiorno per conto dell'ente comunale, trattandosi di agente contabile (…) che svolge un'attività ausiliaria nei confronti dell'ente impositore ed oggettivamente strumentale all'esecuzione dell'obbligazione tributaria intercorrente esclusivamente tra il Comune ed il soggetto che alloggia nella struttura ricettiva» (Cass. pen., sez. VI, 12 luglio 2018, n. 32058, RV 273446 – 01).

Il descritto quadro normativo (per vero, vieppiù in giurisprudenza, mai oggetto di contrasti interpretativi) è stato innovato dall'art. 180, comma 3, d.l. 34/2020 che, a far data dal 19 maggio 2020, ha introdotto nel corpo dell'art. 4 d.lgs. 23/2011 il comma 1-ter, il quale, espressamente, ha riconosciuto il gestore della struttura ricettiva quale «responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno» e, quindi – posta la necessaria fonte legale di tale qualifica (art. 64, comma 3, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) – “responsabile di imposta”, ovverosia soggetto che «è obbligato al pagamento dell'imposta insieme con altri, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi ultimi ovvero alla cui realizzazione il responsabile non ha partecipato» (G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, 2020, pag. 271).

Per effetto della citata novella normativa, quindi, il gestore della struttura ricettiva:

a) non è soggetto passivo dell'imposta (che rimane esclusivamente il cliente], bensì soggetto passivo dell'obbligazione tributaria e tenuto all'adempimento della stessa [la dottrina, infatti, pur riconoscendo che il responsabile è un vero e proprio debitore del tributo, è ferma nell'escluderlo dal novero dei soggetti passivi in quanto estraneo alla situazione di fatto che integra il presupposto del tributo (D. Giannini, Il rapporto giuridico d'imposta, 1934, pag. 134), così distinguendo fra soggetto passivo del tributo, a cui il presupposto del tributo medesimo si riferisce, e soggetto passivo dell'obbligazione tributaria, ovverosia il soggetto tenuto al relativo adempimento (A. Fedele, Diritto tributario e diritto civile nei rapporti interni fra i soggetti passivi del tributo, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1971, I, 437, 25 ss.));

b) è destinatario sia di un obbligo dichiarativo, dovendo presentare (cumulativamente ed esclusivamente in via telematica) la relativa dichiarazione entro il 30 giugno dell'anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto impositivo, sia di un obbligo di pagamento, dovendo provvedere alla corresponsione del tributo dichiarato (secondo le modalità approvate con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, da emanare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della novella previsione).

All'indomani delle evocate innovazioni legislative, la giurisprudenza di legittimità, chiamata a pronunciarsi sugli effetti delle medesime, ha reiteratamente chiarito:

a) quanto alle condotte poste in essere a far data dal 19 maggio 2020, che, per effetto di quanto stabilito dall'art. 4, comma 1-ter, d.lgs. 23/2011 (per come introdotto dal d.l. 34/2020), non è ascrivibile al paradigma del delitto di peculato la condotta del gestore dell'attività ricettizia che si appropria delle somme riscosse a titolo di imposta di soggiorno, omettendo di riversarle all'ente comunale (non v'è dubbio, infatti, che il predetto gestore, non più qualificabile alla stregua di “responsabile del versamento” e di “agente contabile”, nemmeno più riveste, al momento della percezione della cd. “tassa di soggiorno”, la qualifica di “incaricato di pubblico servizio”; non solo, ma proprio in ragione del difetto di tale pubblica qualifica, la ricezione del predetto denaro non tramuta il medesimo – siccome non più richiesto da un “agente contabile” a titolo di riscossione, bensì dal responsabile d'imposta all'obbligato principale – in pecunia pubblica);

b) quanto alle condotte poste in essere in data antecedente al 19 maggio 2020, che la citata normativa sopravvenuta non ha trasformato, con effetto retroattivo, la condotta di omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta di soggiorno da parte del gestore, prima punita a titolo di peculato, in un illecito amministrativo-tributario.

E, bene si badi, nel pervenire a tale ultima conclusione, la giurisprudenza ha fatto corretta applicazione dei criteri dalla medesima elaborati in tema di successione di leggi penali e valevoli per stabilire se un fatto, divenuto non punibile per la legge extra-penale posteriore, possa rimanere punibile in ragione della legge anteriore e vigente al momento della sua commissione (Cass. pen., sez. un., 26 marzo 2003, n. 25887; Cass. pen., sez. un., 27 settembre 2007, n. 2451; Cass. pen., sez. un., 28 febbraio 2008, n. 19601; Cass. pen., sez. un., 26 febbraio 2009, n. 24468).

E di ciò è puntuale esemplificazione la sentenza qui in commento, la quale – preso atto dell'interpolazione operata dall'art. 180, comma 3, d.l. 34/2020 che, con effetti a far data dal 19 maggio 2020, ha introdotto, nel corpo dell'art. 4 d.lgs. 23/2011, il comma 1-ter – ha osservato:

a) che «per effetto di tale modifica normativa (…) è mutato il rapporto fra il gestore della struttura ricettiva e l'ente impositore, che da rapporto di "servizio" per la riscossione dell'imposta è divenuto un rapporto di natura tributaria in cui il gestore ha assunto il ruolo di "responsabile d'imposta", pur rimanendo l'ospite della struttura ricettiva il principale soggetto passivamente legittimato, come si evince dal fatto che il legislatore non ha modificato l'art. 4 cit., comma 1 ed ha previsto in favore del gestore di tale struttura il diritto di rivalsa per l'intero del tributo pagato nei confronti dei soggetti passivi»;

b) che detta sopravvenuta normativa, quindi, «non ha modificato la fattispecie astratta del peculato, ma ha fatto venir meno "in concreto" la qualifica soggettiva pubblicistica del gestore, senza alterare la definizione stessa di incaricato di pubblico servizio»;

c) che, infatti, il novum normativo è intervenuto sulle «norme che regolamentano l'imposta di soggiorno ed il rapporto instaurato fra il gestore della struttura ricettiva e l'ente comunale», le quali, come tali, non integrano il precetto della norma incriminatrice, giacché «norme integratrici della legge penale (…) sono quelle richiamate da fattispecie penali in bianco (e tale non è il peculato) e le norme definitorie: a tal riguardo, però, il cd. "decreto-rilancio" non ha modificato la definizione di incaricato di un pubblico servizio, limitandosi semplicemente ad incidere su norme "presupposte" dalla definizione legale contenuta nell'art. 358 c.p.»;

d) che, ad esiti di intervenuta depenalizzazione, non potrebbe pervenirsi nemmeno in ragione di quanto disposto dall'art. 9 l. 689/1981, trattandosi di norma che, per un verso, è destinata «ad operare nei rapporti sincronici, e non già diacronici, tra gli illeciti» e, per altro verso, risulta assisa su di un rapporto di specialità che non risulta configurabile tra «la fattispecie penalmente rilevante di appropriazione di somme ricevute a titolo di imposta di soggiorno da parte di operatori commerciali che esercitano attività alberghiere e ricettive (…) e quella di mancato versamento all'amministrazione comunale dei medesimi importi, sanzionata in via amministrativa da un regolamento comunale”, giacché, non solo, “l'illecito amministrativo concerne il solo dato dell'omesso versamento di tali somme, onde non trova applicazione il principio di cui all'art. 9 l. 24 novembre 1981, n. 681, in mancanza del presupposto costituito dall'identità del fatto», ma «il sistema delle sanzioni amministrative non consente a fonti regolamentari di rendere penalmente irrilevanti fatti sanzionati da norme di rango superiore» (Cass. pen., sez. II, 28 maggio 2019, n. 29632, RV 276977).

Se, nei termini e per le ragioni anzidette, la sentenza qui in commento ha correttamente escluso che, per effetto delle innovazioni apportate dall'art. 180, comma 3, d.l. 34/2020, (mediante l'introduzione, nel corpo dell'art. 4 d.lgs. 23/2011, del comma 1-ter), la condotta del gestore di strutture ricettivo-alberghiere che, appropriatosi delle somme riscosse, a titolo di imposta di soggiorno, ometta di riversarle all'ente comunale sia divenuta penalmente irrilevante, anche se commessa in data anteriore al 19 maggio 2020, a diverse conclusioni la predetta sentenza è pervenuta dando atto dell'entrata in vigore dell'art. 5-quinquies d.l. 146/2021.

Secondo il Giudice di legittimità, infatti, il citato articolo di legge – ai sensi del quale «Il comma 1-ter dell'art. 4 d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, ai sensi del quale si attribuisce la qualifica di responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno al gestore della struttura ricettiva con diritto di rivalsa sui soggetti passivi e si definisce la relativa disciplina sanzionatoria, si intende applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020» – è norma:

a) non già, «nonostante l'apparente stato formale», di interpretazione autentica «di un elemento normativo o di un profilo descrittivo della precedente disposizione» di cui all'art. 4, comma 1-ter, d.lgs. 23/2011 (giacché non ha introdotto «contenuti ricognitivi del significato di termini o concetti il cui alveo semantico fosse stato erroneamente delimitato o frainteso da una errata "lettura" della pregressa disposizione secondo gli ordinari, e nel caso in esame ampiamente consolidati, meccanismi evolutivi del diritto vivente»);

b) bensì disposizione «dal contenuto innovativo con effetto retroattivo, sia riguardo all'estensione temporale dell'attribuzione di una qualifica soggettiva (già individuata dal legislatore) che alla dimensione applicativa della relativa disciplina sanzionatoria in sede tributaria (qui contemplata in deroga al principio di irretroattività)».

Talché, secondo la sentenza qui in commento, per effetto dell'entrata in vigore dell'art. 5-quinquies d.l. 146/2021:

a) per un verso, la qualifica soggettiva di responsabile d'imposta deve essere «riconosciuta al gestore della struttura ricettiva anche per i fatti relativi all'omesso, ritardato o parziale versamento dell'imposta di soggiorno verificatisi in epoca antecedente all'entrata in vigore del d.l. n. 34/2020, ossia alla data del 19 maggio 2020»;

b) per altro verso, e per conseguenza a quanto testé precisato, «il mancato, ritardato o parziale versamento dell'imposta di soggiorno, anche per i fatti antecedenti al 19 maggio 2020»:

i. non è più sussumibile nel delitto di peculato, postulando tale fattispecie incriminatrice, come presupposto necessario della condotta del soggetto attivo, la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio,

ii. è ascrivibile al paradigma dell'illecito amministrativo di cui all'art. 4, comma 3, d.lgs. 23/2011, fattispecie applicabile anche ai fatti commessi nel predetto arco temporale, giacché l'art. 5-quinquies d.l. 146/2021 è espressione di «una nuova regola di diritto intertemporale, prima non prevista dal legislatore, in deroga alla regola generale della irretroattività sancita dall'art. 1 l. n. 689/1981».

Osservazioni

È certamente condivisibile la soluzione prospettata dalla sentenza in commento circa gli effetti sortiti dalla modificazione dell'art. 4 d.lgs. 23/2011, mediante l'aggiunta, ad opera dell'art. 180, comma 3, d.l. 34/2020, del comma 1-ter.

Condivisibile perché espressione e corretta declinazione delle regole poste a presidio della “successione nel tempo di leggi penali” e, come tali, valevoli per stabilire se un fatto, divenuto non punibile per la legge extra-penale posteriore, possa rimanere punibile in ragione della legge anteriore e vigente al momento della sua commissione

Qualche perplessità, viceversa, suscitano gli ulteriori passi motivazionali della sentenza qui in commento e, in particolare, quelli afferenti l'art. 5-quinquies d.l. 146/2021.

Con ordine.

Le perplessità non riguardano, invero, l'affermazione della sopravvenuta irrilevanza penale della condotta appropriativa del gestore di strutture ricettivo-alberghiere e la non ascrivibilità della medesima – quale che sia il tempo della sua realizzazione (posteriore, ovvero anteriore, alla data del 19 maggio 2020) – al paradigma del reato di peculato.

Come precisato dalla sentenza in commento, infatti, la non configurabilità del delitto di peculato è «soluzione esegetica imposta dallo ius superveniens» (o, se si preferisce, «conseguenza immediata della novella legislativa»), poiché, mentre la predetta fattispecie delittuosa postula «come presupposto necessario della condotta del soggetto attivo la veste giuridica del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio», il gestore di struttura ricettivo-alberghiera, proprio per effetto dell'art. 5-quinquies d.l. 146/2021, è da considerarsi, da sempre (e quindi anche a far data dal 7 aprile 2011), soggetto privo di tale “veste giuridica”, siccome [e lo si ripete: proprio per effetto dell'art. 5-quinquies d.l. 146/2021], nel sistema impositivo delineato dall'art. 4 d.lgs. 23/2011, non opera quale «responsabile del versamento e di agente contabile» (così, in motivazione, Cass. pen., sez. VI, 21 giugno 2019, n. 27707), bensì quale “responsabile di imposta”.

Le perplessità invece involgono, se non lo scrutinio di ragionevolezza della citata disposizione di cui all'art. 5-quinquies d.l. 146/2021, quanto meno il giudizio sul complessivo operato del Legislatore.

Ribadito, infatti, che la citata disposizione di legge è «norma dal contenuto innovativo con effetto retroattivo» e precisato che la deroga alla regola di cui all'art. 1 l. 689/1981 (e, quindi, l'emanazione di leggi con efficacia retroattiva) sconta, tra l'altro, «una serie di limiti (…) che attengono alla salvaguardia di fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento», il Giudice di Legittimità ha ritenuto la norma in commento come non deficitaria sotto il profilo della ragionevolezza (che è, al pari della «tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti» e del «rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario», uno dei predetti «fondamentali valori di civiltà giuridica»), giacché espressione di un intervento normativo volto a «porre riparo (…) ad una complessiva situazione di incoerenza obiettivamente determinatasi nell'ordinamento a seguito della precedente riforma legislativa del 2020, per la quale il gestore di una struttura ricettiva (…) che abbia omesso, ritardato o versato solo in parte le somme relative all'imposta di soggiorno dopo il 19 maggio 2020 ne risponde solo in sede amministrativo-tributaria ai sensi dell'art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, mentre prima di quella data poteva rispondere di tali fatti a titolo di peculato».

Orbene, se è vero, come precisato nella sentenza in commento, che la «complessiva situazione di incoerenza» ha trovato causa nella “riforma legislativa del 2020” e non in precedenti oscillazioni giurisprudenziali (che, invero, non è dato registrarsi né ponendo mente all'art. 4 d.lgs. 23/2011 nella versione antecedente alle modifiche introdotte dal d.l. 34/2020, né ponendo mente alla predetta norma per come modificata dalla citata normazione d'urgenza), appare evidente che la norma da ultimo intervenuta (ovverosia l'art. 5-quinquies d.l. 146/2021) – nello statuire che «Il comma 1-ter dell'articolo 4 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, ai sensi del quale si attribuisce la qualifica di responsabile del pagamento dell'imposta di soggiorno al gestore della struttura ricettiva con diritto di rivalsa sui soggetti passivi e si definisce la relativa disciplina sanzionatoria, si intende applicabile anche ai casi verificatisi prima del 19 maggio 2020» – altro non ha fatto, in buona sostanza, se non ribadire quanto già voluto (ma vanamente perseguito) dal d.l. 34/2020: sottrarre all'area del penalmente rilevante, anche per il passato, la condotta appropriativa del gestore di strutture ricettivo-alberghiere.

Così, fallito il primo tentativo (quello attuato per il tramite del d.l. 34/2020), reiteratamente censurato dalla giurisprudenza di legittimità, nella giusta applicazione dei criteri posti a presidio della “successione di leggi penali”, ha colto nel segno il secondo (quello realizzato mediante l'art. 5-quinquies d.l. 146/2021) che, per poter superare le predette (corrette) censure, ha, con lo strumento della norma retroattiva, attribuito al gestore di strutture ricettivo-alberghiere la qualifica di “responsabile di imposta”.

Talché, volendo sottrarre dall'area del penalmente rilevante la descritta condotta appropriativa del gestore di strutture ricettivo-alberghiere, il Legislatore ha, dapprima e per il tramite dello strumento offerto dalla decretazione d'urgenza (dal quale, invero, si dovrebbe rifuggire in materia penale), dato corso ad una “complessiva situazione di incoerenza”, alla quale, poi, ha posto rimedio pur sempre ricorrendo alla decretazione d'urgenza.

Il tutto, per un verso, senza mai compiutamente esplicitare le ragioni della perseguita depenalizzazione e, per altro verso ed in conseguenza di novelle normative mal governate sul piano della tecnica della produzione legislativa, oberando l'Amministrazione della Giustizia di un carico di lavoro poi rivelatosi inutile e, ancor prima, rendendo poco chiara, a danno dei suoi stessi destinatari, la normativa della cd. “imposta di soggiorno”.

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