La CTU medico legale e la recente giurisprudenza delle Sezioni Unite: nuova luce o nuove ombre?

Luigi Mastroroberto
16 Giugno 2022

Le recenti sentenze n. 6500 e 3086 delle Sezioni Unite civili hanno stabilito che, in materia di CTU, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all'oggetto della lite al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, purché non si tratti dei fatti principali.
Introduzione

Le recenti sentenze delle Sezioni Unite civili hanno stabilito che, in materia di consulenza tecnica d'ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all'oggetto della lite al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, purché non si tratti dei fatti principali e può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che ritiene necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, sempre che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare.

Tale decisione, innovativa, allarga l'azione del CTU ma pone diversi dubbi rispetto ai riflessi pratici quotidiani che saranno esaminati nel testo.

I casi

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono espresse in merito ai poteri del Consulente Tecnico d'Ufficio (CTU) e, in particolare, in merito alla possibilità da parte del medesimo di acquisire documentazione non prodotta nei termini, in casi di ctu contabile.

Nel primo caso, il consulente dell'Ufficio estendeva l'esame oltre i limiti stabiliti dal quesito e su ulteriori accertamenti. Le sentenze di primo e secondo grado erano fondate anche su questi ulteriori accertamenti per cui parte attrice ricorreva in Cassazione; qui, rilevato un contrasto di giurisprudenza tra le sezioni semplici in ordine al regime dei vizi (nullità assoluta o relativa) della consulenza tecnica di ufficio extra-mandato e della sentenza su di essa fondata, la decisione era rimessa alle Sezioni Unite. Le stesse si esprimevano nel senso che, in materia di CTU, l'accertamento di fatti diversi dai principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni, oppure l'acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti, è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all'atto viziato o alla notizia di esso.

Nel secondo caso, il CTU, nell'espletamento del proprio incarico professionale, rinveniva un documento non presente nelle produzioni delle parti di cui non informava né attore né convenuto che ne apprendevano l'esistenza solo dalla bozza di relazione nulla, tuttavia, contestando. Il CTU redigeva pertanto il testo definitivo e ne sottoponeva le risultanze, fondate anche sul citato documento, al Tribunale. All'udienza fissata per verificare l'avvenuto deposito della CTU il difensore tecnico degli attori eccepiva la tardiva introduzione del documento senza il consenso dei medesimi e chiedeva la ricusazione del CTU. Il Tribunale, in virtù dell'autorizzazione ricevuta dell'acquisizione in corso di perizia di documenti mancanti, respingeva l'istanza in primo e secondo grado. Era quindi proposto ricorso per Cassazione che, rilevata la presenza di un contrasto di giurisprudenza, rimetteva la causa alle Sezioni Unite secondo cui “stante il potere del CTU di procedere nei limiti dei quesiti sottopostigli alla investigazione dei fatti accessori, il consulente possa estendere il proprio giudizio anche ai fatti che, pur se non dedotti dalle parti, siano pubblicamente consultabili, non essendovi ragione di vietare in tal caso al CTU, pur se ne maturi la conoscenza aliunde, di esaminare in guisa di fatti accessori e dunque in funzione di rendere possibile la risposta ai quesiti, i fatti conoscibili da chiunque, così come è da credere, secondo un intendimento presente in dottrina, che l'attività consulenziale possa indirizzarsi anche in direzione dell'accertamento dei fatti accessori allorché, pur non costituendo oggetto di espressa indicazione, «essi risultino in qualche modo già ricompresi nelle allegazioni delle parti», in quanto, fermo il fatto costitutivo o, diversamente, modificativo od estintivo dedotto dalla parte, il fatto accessorio accertato dal CTU nel corso delle indagini affidate dal giudice, corrobori indirettamente l'assunto fatto valere con la domanda o con l'eccezione”, ritenendo pertanto la Corte “immune da vizi la decisione che, recependo le risultanze peritali, ne faccia propri e ne valorizzi anche quei profili di essa che evidenzino fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa che, ancorché non dedotti dalla parte, siano stati accertati dal consulente nell'espletamento dell'incarico”.

In entrambi i casi le SS.UU. criticano la pronuncia della sezione III della Cassazione civile n. 31886/2019 laddove – innovativamente – applicava alle attività del CTU in merito di acquisizione di ulteriore documentazione il regime preclusivo già imposto alle parti con conseguente nullità insanabile, rilevabile di ufficio, anche in caso di acquiescenza delle parti medesime.

Valutazioni critiche

Il primo caso è stato oggetto di esame da parte della dottrina giuridica, con un commento della dott.ssa Ilaria Gentile (I poteri del CTU e le conseguenze in ipotesi di CTU che abbia esorbitato il mandato peritale e/o abbia acquisito documenti non versati dalle parti, in Ridare), cui si rimanda per gli aspetti ad essa pertinenti anche se la questione è da tempo oggetto di attenzione della giurisprudenza. In un lavoro di rilievo, Rossetti affronta esplicitamente la questione (Rossetti M. “Il c.t.u. <<l'occhiale del Giudice>> 3° ed. Giuffrè 2012) affermando che “occorre distinguere tra ciò che costituisce valutazione tecnica dei fatti, ed i fatti stessi: mentre la valutazione tecnica è sempre ovviamente utilizzabile dal giudice, i fatti di cui è menzione nella c.t.u. possono costituire prove soltanto se regolarmente acquisiti secondo gli ordinari strumenti processuali”. Lo stesso Autore cita una sentenza emblematica (Cass. Sez. lav. n. 132/1996 Prs. Fanelli est. Ianniruberto) secondo cui “la consulenza tecnica costituisce un mezzo di ausilio per il giudice, volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti… non un mezzo di soccorso volto a sopperire l'inerzia delle parti stesse”.

Entrambe le sentenze identificano la consulenza tecnica di ufficio come lo strumento per cui il Giudice esce dalla “torre di cristallo” in cui è rinchiuso a causa dell'operare congiunto “del principio dispositivo e delle preclusioni istruttorie” confrontandosi con la realtà materiale da cui è solitamente isolato in virtù del vincolo imposto dalla produzione delle parti. Tale costruzione – forse più d'avorio che di cristallo – porrebbe il Giudice in un luogo metaforico di purezza intellettuale, disconnesso dal confronto con la realtà del Mondo da cui lo stesso “evade” per il tramite della figura del consulente tecnico; questi è, quindi, un ausiliario del Giudice e ne ripete i poteri, svincolato dalle limitazioni da cui sono invece affette le parti.

La dott.sa Gentile, nel lavoro già citato, fa riferimento ad una oscillazione pendolare della giurisprudenza di legittimità tra forma e sostanza; dal punto di vista medico-legale, sembra, si può aggiungere, di trovarsi di fronte ad un sistema che oscilla tra l'intenzione di un controllo strettissimo delle attività del consulente tecnico di ufficio, entrando in questioni di natura estremamente specialistica, come il danno differenziale nel caso delle sentenze di San Martino 2019, o la volontà di imporre la scelta dello specifico bareme di riferimento per la valutazione del danno (Cass. Civ., sez. III, 5 maggio 2021, n. 11724) e quella, diversamente, di una delega quanto più ampia dei poteri del Giudice. Tale inclinazione sembra ravvisarsi già in alcune disposizioni di Legge, quali ad esempio le previsioni della L. n. 24/2017 rispetto alla conciliazione, il cui verbale deve contenere le intese intervenute tra le parti tra cui l'entità del risarcimento concordato, aspetto che richiede conoscenza e familiarità con aspetti che non fanno parte, storicamente, del bagaglio di conoscenza del medico legale e oggetto, in passato, di importanti e forti critiche dalla dottrina medico-legale, poiché a rischio di portare “…a disastrose conseguenze e trasformerebbe il medico legale in una sorta di grottesco centauro, mezzo medico e mezzo giudice” (Franchini Aldo, Medicina Legale in materia civile Napoli – Idelson 1968 pag. 287 e ss).

Le sentenze delle Sezioni Unite oggetto di discussione sembrano inserirsi in quest'ultima direzione, vista l'adesione mostrata all'orientamento della dottrina secondo cui il consulente che dal giudice riceve la propria investitura, ne ripete, con riguardo alle indagini commessegli, anche i poteri processuali.

In questo solco diversi autori hanno paventato il rischio che la CTU si trasformi in una delega “in bianco” da parte del Giudice, cui lo stesso si rimetta e si limiti a recepirne le conclusioni, aspetto decisamente criticato dalla Suprema Corte (Cass. civ., 5 maggio 2020, n. 8460 pres. Travaglino rel. Frasca) ma noto in letteratura medico legale, tanto che già Franchini lamentava che “la perizia, o la consulenza tecnica, in tema di danno alla persona finisce molto spesso con il fare la sentenza ed il giudice, per un singolare paradosso, diviene ausiliario del perito” in ragione del raro concretizzarsi di una stretta collaborazione tra medico legale e magistrato che sola può indirizzare il giudizio ad una conclusione positiva (Franchini Aldo, Medicina Legale in materia civile Napoli – Idelson 1968 pag. 287 e ss).

La ragione addotta dalle Sezioni Unite rispetto alla deroga ai principi generali nel caso della CTU contabile, vale a dire che la complessità delle questioni tecniche da affrontare dovrebbe consentire al consulente una più ampia libertà di indagine, pare facilmente applicabile anche all'ambito medico legale e, in particolare, alla consulenza in ambito di responsabilità professionale sanitaria.

Questo fa temere per l'impatto delle sentenze in esame sulla prassi delle ctu, comprese quelle in essere. Vi è da chiedersi, infatti, come saranno gestiti i casi in cui uno dei due consulenti chiede l'inserimento di nuova documentazione, considerato che, come osservato dalla dott.ssa Gentile, la sentenza non risolve comunque il problema nel momento in cui indica nella distinzione fatti “principali” e “diversi dai principali” il limite dei poteri di cognizione e probatori del Giudice e, dunque, del CTU.

La capacità di discriminare tra fatti principali e non rischia di diventare un nuovo punto controverso e fonte di non poche difficoltà nella gestione di una CTU, considerata anche la necessità di approfondite conoscenze giuridiche da parte del consulente tecnico di ufficio, che già si trova a dover padroneggiare ed a rendere accessibile al Giudice la parte di sapere tecnico-scientifico utile ai fini del giudizio.

Conclusione

Il tema di fondo delle pronunce di Suprema Corte è quello della “verità”.

Come già osservato dalla dott.ssa Gentile, infatti, il nodo è se debbano prevalere “forma” o “sostanza”; la decisione delle Sezioni Unite sembra propendere per la giustizia sostanziale, per “garantire attraverso una pronuncia sul merito della contesa, l'interesse delle parti al conseguimento di una decisione per quanto più è possibile giusta”. Già in filosofia della scienza l'esistenza della verità e la conoscibilità della stessa sono questioni dibattute e non risolvibili con il metodo scientifico; al limite la scienza può stimare l'incertezza e l'errore che si frappongono tra i modelli e la realtà che si prefiggono di spiegare.

Vi è da chiedersi, conseguentemente, se non sia un'illusione pensare alla possibilità di raggiungere la “verità” sostanziale rendendo più elastiche le regole o se questo non rischi di complicare ulteriormente la gestione pratica della CTU.

Il rischio è di un aumento delle difficoltà di gestione delle singole consulenze, allorquando l'ausiliario di Giustizia sarà gravato per primo dal dubbio, eventualmente incalzato da uno o più consulenti di parte, se si tratterà di fatti principali o diversi dai principali. Vi è, inoltre, da chiedersi quali saranno i riflessi sul processo – e sui tempi, che il legislatore vorrebbe sempre più ridotti – di eventuali nullità degli elaborati peritali, con ulteriori tempi per porvi rimedio. Né si può dimenticare, ancora, che il procedimento è innescato da una parte che si è già avvalsa di una consulenza tecnica, così come le parti convenute in giudizio; sarebbe da chiedersi se la mancanza di un determinato documento non sia espressione della volontà – o carenza – di una o più delle parti. La direzione preferibile, forse, sarebbe che ogni figura si occupi della propria parte, nell'ottica di una collaborazione tra sapere scientifico e giuridico.

In conclusione, quindi, le novità presenti nelle due sentenze delle Sezioni Unite lasciano non pochi dubbi nella pratica quotidiana delle consulenze tecniche d'ufficio.

Vi è da chiedersi quale sarà la ricaduta pratica sui procedimenti già in essere (che, in alcuni casi, si sono già giovati di contatti fra le parti se non anche di una consulenza tecnica in sede di accertamento tecnico preventivo) e se queste innovazioni non porteranno all'obiettivo “contrario” di un aumento della conflittualità tra le parti in ragione anche della conduzione della consulenza tecnica di ufficio e non solo per questioni di natura tecnico-scientifica.

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