Il vincolo di parentela anche nell'adozione del minore in casi particolari

Alberto Figone
17 Giugno 2022

L'adozione in casi particolari determina un vincolo di parentela fra il minore adottato ed i parenti dell'adottante?
Massima

È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3, 31 e 117 (in relazione all'art. 8 Cedu) Cost. l'art. 55 l. 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), nella parte in cui, mediante rinvio all'art. 300 comma 2 c.c., prevede che l'adozione in casi particolari non induca alcun rapporto civile tra l'adottato e i parenti dell'adottante

Il caso

Un uomo, legato ad un altro da un vincolo di unione civile, chiede di poter adottare, ex art. 44 lett d) l. 184/1983, la figlia di quest'ultimo, nata a seguito di surrogazione di maternità effettuata all'estero; chiede altresì di voler dichiarare il vincolo di parentela tra la minore ed i propri parenti. Il Tribunale minorile di Bologna accoglie la richiesta di adozione, ma, ritenendo di non poter pronunciare sull'ulteriore domanda, solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 55 l. cit., in relazione all'art. 300 c.c., che esclude rapporti civili tra l'adottato ed i parenti dell'adottante. La Consulta dichiara l'incostituzionalità della disciplina.

Le soluzioni giuridiche

L'adozione in casi particolari è istituto, finalizzato a costituire una relazione “parafiliale”, giuridicamente strutturata anche in difetto dello stato di abbandono del minore. Al contrario dell'adozione piena, essa determina il mantenimento di rapporti giuridici e di fatto fra il minore e la sua famiglia d'origine. L'istituto, introdotto con l. 184/1983, solo in questi ultimi anni ha rilevato appieno le sue potenzialità, grazie all'intervento del legislatore con l. 173/2015, ma soprattutto di una giurisprudenza, sensibile alle esigenze di riconoscimento e tutela di nuovi modelli familiari. Come ben precisa la sentenza in esame, l'adozione in casi particolari, declinata nelle varie fattispecie di cui all'art. 44, l. cit., assolve ad una duplice funzione: in primo luogo, mira a formalizzare il rapporto affettivo instaurato tra un minore, orfano di entrambi i genitori e chi lo ha accolto, anche durante un lungo periodo di affidamento (lett. a), ovvero tra il minore stesso ed il coniuge del genitore (lett. b); nel contempo, mira ad attribuire un peculiare status filiationis a quei minori, impossibilitati ad accedere all'adozione piena, per motivi di fatto (stanti le gravi patologie che li affliggono piuttosto che per problemi caratteriali, ovvero per un'età molto vicina a quella maggiore: lett. c), ovvero ancora per la mancanza dello stato di abbandono (lett. d).

In particolare, la fattispecie di cui alla lett. d), afferente l'impossibilità di affidamento preadottivo per il minore, rappresenta un soluzione sempre più praticata, a favore di coppie di persone coniugate, ritenute idonee all'adozione piena, in presenza di minori che versino peraltro in situazione di c.d. semiabbandono, in quanto la famiglia d'origine possiede risorse educative e formative, che se supportate, potrebbero evitare la recisione del rapporto con il figlio. Si tratta della c.d. “adozione mite”, elaborata, a suo tempo, in via sperimentale presso il Tribunale minorile di Bari (da ultimo v. Trib. min. Bari 6 novembre 2019, L'adozione mite: dalla sperimentazione all'applicazione, in IlFamiliarista, con nota di Ardito), fatta propria poi da altri e successivamente valutata con favore dalla Corte di Strasburgo, che ha più volte precisato come, in forza dell'art. 8 CEDU l'adozione piena rappresenti l'extrema ratio, quando la famiglia d'origine risulti del tutto carente, anche in prospettiva futura. Plurime sono ad oggi le decisioni della Suprema Corte al riguardo (per tutte, Cass. 25 gennaio 2021, n. 1476; Cass. 22 novembre 2021, n. 35840; Cass. 15 dicembre 2021, n. 40308). Si tratta allora di bilanciare due diritti tra loro potenzialmente opposti riferibili allo stesso minorenne: da un lato, a crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine e, dall'altro, a trovarne una sostitutiva, che ne possa svolgere le funzioni; il tutto nel presupposto che non si debba procedere ad una valutazione in termini di quale sia la sistemazione astrattamente migliore, occorrendo invece accertare se anche la famiglia d'origine deficitaria, possa rappresentare una sufficiente risorsa per il minore.

Nel contempo, come nel caso che ha dato luogo all'ordinanza di rimessione alla Consulta, l'art. 44 lett.d) è stato utilizzato per costituire un rapporto familiare in favore di quelle coppie fisiologicamente impossibilitate alla procreazione, magari in presenza di un progetto condiviso di genitorialità. Il riferimento è per lo più alle coppie dello stesso sesso, quando il figlio è stato concepito da una donna (anche utilizzando l'ovocita della compagna) tramite il- ricorso alla fecondazione assistita con seme di donatore anonimo, ovvero è nato a seguito di gestazione per altri, con l'uso dei gameti di uno dei due componenti della coppia maschile. Come noto, quanto alla surrogazione di maternità (spregiativamente qualificata come “utero in affitto”) si è in presenza di un intervento riproduttivo che l'ordinamento italiano non solo non ammette, ma sanziona anche penalmente. L'interesse superiore del minore alla bigenitorialità, insieme con la valorizzazione della genitorialità intenzionale, a prescindere dall'esistenza di un vincolo genetico con il figlio, ha condotto all'accoglimento delle domande di adozione in casi particolari da parte della compagna, o del compagno (magari in presenza di un vincolo di unione civile) di colei (o colui) risultante come genitore nel registro di stato civile. A fronte di atti di nascita formati all'estero, con l'attribuzione delle genitorialità a due donne, si è ritenuta poi ammissibile la trascrizione in Italia, mentre essa è stata esclusa nel caso inverso, di doppia paternità, siccome contrastante con divieto (di ordine pubblico) di surrogazione di maternità. In breve tempo si è peraltro acquisita la consapevolezza di come l'adozione ex art. 44 l. 184/1983 rappresenti la minimale forma di riconoscimento di una relazione genitoriale, in difetto di equiparazione tra filiazione adottiva in casi particolari e filiazione biologica, con disparità di trattamento tra i “genitori”. La dichiarazione di adozione ex art. 44 in esame presuppone invero innanzitutto il consenso del genitore biologico (che potrebbe mancare, specie quando la relazione di coppia sia, nel frattempo, in crisi, ovvero cessata); l'art. 55 l. 184/1983 estende poi all'istituto buona parte della disciplina dell'adozione di maggiorenni, ivi compreso l'art. 300 comma 2 c.c., in base al quale l'adozione in casi particolari, di regola, non induce alcun rapporto civile tra l'adottante e la famiglia dell'adottato e tra quest'ultimo i parenti dell'adottante.

La questione più dibattuta, prima del deposito della sentenza della Corte costituzionale qui annotata, riguardava proprio la configurabilità di un vincolo di parentela tra il minore ed i parenti dell'adottante. Come è noto, la l. 219/2012 ha novellato l'art. 74 c.c., attribuendo al termine “parentela” il significato proprio del linguaggio comune, in riferimento a persone che discendono da uno stesso stipite, a prescindere dalla modalità della nascita dell'interessato (all'interno o al di fuori del matrimonio). La nuova norma, attribuendo giuridica rilevanza a quella che in precedenza era definita “parentela naturale”, ha escluso qualsiasi vincolo nel caso di adozione di persone di maggiore età, senza nulla disporre quanto all'adozione in casi particolari. In genere, si è esclusa un'abrogazione implicita dell'art. 55 cit. in relazione all'art. 300 c.c., che potesse determinare sic et simpliciter un legame di parentela in conseguenza di adozione in casi particolari. Lo stesso Tribunale per i minorenni di Bologna, che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale accolta dalla Consulta, nell'accogliere una domanda ex art. 44 l. 184/1983 da parte della compagna della madre biologica, in altra fattispecie aveva ritenuto di dichiarare, in via eccezionale, il rapporto di fratria unilaterale tra il minore adottato e i figli che già l'adottante aveva (Trib. min. Bologna 25 giugno 2020, Adozione in casi particolari, vincolo di parentela e di fratria, in IlFamiliarista, con nota di Figone): si trattava di una pronuncia coraggiosa, contrastata peraltro da altra di diverso giudice (Trib. min. Venezia 9 ottobre 2020, Il legame di fratria diventa un effetto automatico dell'adozione in casi particolari, in IlFamiliarista, con nota di Tudisco). Urgeva dunque un intervento della Corte costituzionale. Con la sentenza in esame, la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3, 31 e 117 Cost. (in relazione all'art. 8 Cedu) l'art. 55 l. 184/1983, nella parte in cui, mediante un rinvio all'art. 300 comma 2 c.c., esclude che l'adozione in casi particolari comporti un vincolo di parentela tra l'adottato ed i parenti dell'adottante. Si tratta di affermazione particolarmente importante, che viene a costituire un rapporto di parentela anche in relazione a tutte le adozioni già in precedenza dichiarate.

Osservazioni

La Corte costituzionale, esclusa un'abrogazione tacita dell'art. 55 l. 184/1983 in parte qua, da parte del nuovo art. 74 c.c, con conseguente impossibilità di superare il dubbio di legittimità in via ermeneutica, premette doversi valutare “se il diniego di relazioni familiari tra l'adottato e i parenti dell'adottato determini (..) un trattamento discriminatorio del minore adottato rispetto all'unicità dello status di figlio e alla condizione giuridica del minore, avendo riguardo alla ratio della normativa e che associa a tale status il sorgere dei rapporti parentali”. A conclusione di un'articolata disamina, condotta sulla scorta della giurisprudenza della stessa Consulta, ma pure della Corte di Strasburgo e della Cassazione, la pronuncia in esame perviene ad una risposta affermativa; ciò nel presupposto che anche l'adottato nelle fattispecie di cui all'art. 44 l. 184/1983, assume lo stato di figlio, come risulta dall'art. 48 l. 184/1983, quanto all'esercizio della responsabilità genitoriale e all'adempimento degli obblighi di cui all'art. 147 c.c. In base al successivo art. 51 della medesima legge, trovano applicazione le norme di cui all'art. 330 ss. c.c., in ordine ai procedimenti de potestate. Nel contempo, nessuna distonia è configurabile dalla coesistenza, in capo all'adottato di una famiglia adottiva accanto a quella d'origine, con conseguente pluralità di rapporti di parentela (rilevanti anche ai fini successori).

La configurazione di rapporti di parentela assume vieppiù peculiare importanza nelle fattispecie di c.d. adozione mite, di cui si è detto. Stride con i principi fondamentali dell'ordinamento, ma ancor più con il senso comune, pensare ad un minore, inserito in una famiglia “normocomposta”, che non possa vantare vincoli di parentela con i parenti dei “genitori”, a cominciare da eventuali figli (biologici, ovvero adottati con adozione piena o in casi particolari), per il fatto di non versare in una situazione di radicale abbandono, morale e materiale, bensì di semi abbandono.

Quel che merita comunque di essere evidenziato è la posizione sempre più attiva che la Corte costituzionale rivendica nella materia del diritto delle relazioni familiari, in difetto di un intervento di vasta portata in campo sostanziale, al pari quello strutturato, sotto il profilo processuale, dalla l. 206/2021. Basti solo pensare come, pressoché in contemporanea, la Consulta abbia dichiarato l'illegittimità delle previsioni normative sul cognome del figlio (Corte cost. 31 maggio 2022, n. 131), dopo un precedente intervento di alcuni anni or sono (Corte cost. 21 dicembre 2016, n. 286). Né si possono tralasciare i forti moniti al legislatore ad intervenire sull'accesso alla procreazione assistita e sul riconoscimento dei figli nati da un progetto all'interno di coppie same sex. L'evoluzione sociale e la pluralità degli odierni modelli familiari (tutti aventi la medesima dignità, senza il primato di uno sull'altro) richiedono una disciplina duttile, che valorizzi i diritti dei componenti della famiglia e nel contempo tuteli adeguatamente i soggetti di età minore.

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