G.i.p. Milano: inefficace l'ordine di carcerazione in caso di delitti di pubblici ufficiali post Spazzacorrotti

Veronica Manca
23 Giugno 2022

Il Giudice per le indagini preliminari di Milano ha deciso in merito al primo caso, sottoposto alla sua attenzione e per ora pubblicato e reso noto, di esecuzione della pena detentiva per delitti di pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, con la disciplina normativa modificata in senso peggiorativo e, quindi, applicabile a tutti i fatti commessi successivamente a far data dell'entrata in vigore della legge n. 9/2019.
Massima

Secondo il Giudice per le indagini preliminari di Milano, in qualità di giudice dell'esecuzione, va dichiarato inefficace l'ordine di carcerazione emesso in relazione a delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, laddove la condanna non superi gli anni quattro di pena e solo laddove vi sia stato il riconoscimento in sentenza della circostanza attenuante speciale della collaborazione con la giustizia di cui all'art. 323-bis c.p., secondo una interpretazione costituzionalmente orientata del “pacchetto” normativo esecutivo degli artt. 656, comma 9 lett. a) c.p.p. e 4-bis comma 1 l. n. 354/1975, così come modificato dalla l. n. 9/2019 (detta anche “Spazzacorrotti”).

Il caso

Con ordinanza del 13 maggio, il Giudice per le Indagini Preliminari di Milano, in qualità di giudice dell'esecuzione, ha deciso in merito ad un incidente di esecuzione di cui era stato investito, su istanza dell'interessato, detenuto presso la Casa di Reclusione di Bollate, per la declaratoria di inefficacia dell'ordine di carcerazione già emesso, notificato ed eseguito dal Pubblico Ministero. Oggetto dell'ordine di carcerazione era l'esecuzione di una sentenza di condanna, emessa dal Giudice, in sede di udienza preliminare e di rito abbreviato, per una serie di delitti contro la pubblica amministrazione (tra cui artt. 321, 319, 319-bis c.p.; artt. 110, 353-bis c.p.; artt. 110, 452-quaterdecies c.p.) per una pena complessiva pari a due anni di carcere. L'ordine di esecuzione, emesso dal Pubblico Ministero, alla luce del disposto dell'art. 4-bis comma 1 l. n. 354/1975, (d'ora in poi semplicemente ord. penit.), così come modificato dalla legge del 3 gennaio 2019, n. 9 (detta “Spazzacorrotti”), che ha aggiunto i delitti dei pubblici ufficiali tra i titoli ostativi per la concessione delle misure alternative, e dell'art. 656, comma 9 lett. a) c.p.p., che rinvia, tra i titoli ostativi per la sospensione dell'esecuzione, proprio all'art. 4-bis ord. penit., veniva notificato ed eseguito con l'inizio della detenzione presso Bollate (Milano). Contro tale ordine di carcerazione, l'interessato ha presentato incidente di esecuzione al Giudice per le Indagini Preliminari di Milano, chiedendo che il provvedimento venisse dichiarato inefficace, consentendogli di avanzare richiesta di accesso alle misure alternative, secondo la diversa e più favorevole regola espressa dal co. 5 dell'art. 656 c.p.p. (con il regime di sospensione dell'esecuzione della pena).

La questione

Il Giudice per le indagini preliminari di Milano ha deciso in merito al primo caso, sottoposto alla sua attenzione e per ora pubblicato e reso noto, di esecuzione della pena detentiva per delitti di pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, con la disciplina normativa modificata in senso peggiorativo e, quindi, applicabile a tutti i fatti commessi successivamente a far data dell'entrata in vigore della legge n. 9/2019: secondo le modifiche introdotte con la legge c.d. “Spazzacorrotti”, infatti, anche l'esecuzione dei delitti dei pubblici ufficiali è oggetto del disposto normativo di cui all'art. 4-bis ord. penit., che impone il divieto di accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative, fatta eccezione per la collaborazione con la giustizia (non per il tramite dell'art. 58-ter ord. penit., ma per quello diverso di cui all'art. 323-bis, comma 2 c.p.). Tenuto conto dell'inserimento di questi delitti nel comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit., il Giudice si è trovato di fronte a dirimere la portata di tale nuova previsione rispetto alla sospensione dell'esecuzione della pena, secondo quanto previsto dalla lett. a) del comma 9 dell'art. 656 c.p.p., che rinviando all'art. 4-bis ord. penit. dispone la carcerazione a fronte del giudicato penale di condanna.

Le soluzioni giuridiche

Nell'ordinanza qui in commento, il Giudice per le indagini preliminari ha dato conto di entrambe le soluzioni giuridiche proposte dalle parti, ritenendole entrambe plausibili e valide, ma ha preferito aderire all'interpretazione della difesa, secondo un ragionamento elastico e sistemico delle disposizioni, e orientato ai più recenti approdi della Corte costituzionale in materia. Secondo il Pubblico Ministero non si può dar origine alla sospensione dell'esecuzione ex art. 656 comma 5 c.p.p., a fronte del richiamo contenuto al comma 9, lett. a) dello stesso art. 656 c.p.p.; trattasi infatti di una competenza ad agire “amministrativa”, sui cui presupposti o condizioni nulla può fare l'organo propulsore, tanto meno sindacare i requisiti di ammissibilità o di merito della concedibilità di benefici o di misure alternative (la cui competenza è invece esclusiva del tribunale di sorveglianza).

Secondo la difesa, invece, non vi sarebbe una correlazione tra la disciplina di cui al comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit., che riguarda l'accesso ai benefici penitenziari, e quella della sospensione della esecuzione, dell'art. 656 c.p.p.: differente è altresì la questione della collaborazione con la giustizia per l'art. 58-ter ord. penit., e quella di origine endoprocessuale riconosciuta dal giudice del processo dell'art. 323-bis comma 2 c.p.; il Pubblico Ministero emanando l'ordine di carcerazione finirebbe per recidere il legame tra la sospensione e l'accesso alle misure alternative.

Il Giudice per le Indagini Preliminari, come anticipato, ha accolto le doglianze difensive, forti del precedente orientamento, oggi consolidato, espresso dalla Cassazione in relazione all'esecuzione della pena detentiva per casi di violenza sessuale nella forma attenuata di cui all'art. 609-bis comma 3 c.p.: come recita, infatti, il comma 1-quater dell'art. 4-bis ord. penit. le disposizioni della disciplina differenziata non si applicano nei casi in cui ricorra la circostanza attenuante speciale della tenuità del fatto. Sulla scorta di questo inciso – anche se non perfettamente coordinato con il successivo comma 1-quinquies e con l'art. 13-bis ord. penit. – la Cassazione ha escluso l'applicazione del comma 9 della lett. a) dell'art. 656 c.p.p. (così: Cass. pen., sez. I, 24 aprile 20373; Cass. pen., sez. I, 3 dicembre 2013, n. 2283; Cass. pen., sez. I, 2 dicembre 2011, n. 10537).

Sulla base di questo principio, per il Giudice si può ragionare in modo analogo anche per tutti i casi – con condanna a pena inferiore a quattro anni – in cui in processo sia stata riconosciuta la circostanza attenuante speciale di cui all'art. 323-bis comma 2 c.p.: è chiaro l'intento del Giudice di valorizzare la portata, anche simbolica, della collaborazione con la giustizia avvenuta in sede processuale, che, secondo quanto riportato in motivazione, sarebbe in grado di spezzare il patto corruttivo, «spingendo uno dei due contraenti a tradirlo in cambio (della non punibilità più radicale di cui all'art. 322-ter c.p. o quantomeno) di un importante sconto di pena», e se si agisse diversamente «tale scopo rischierebbe di restare del tutto ipotetico se non accompagnato da un regime penitenziario più favorevole».

Osservazioni

Pur apprezzando l'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Milano, per aver deciso, in modo innovativo e come primo precedente in merito, si ritiene che sarebbe stato più opportuno, proprio per una tenuta del sistema e per una uniformità degli effetti che pronunce di questo tipo comportano sul corso dell'esecuzione, che, su indicazione dello stesso Pubblico Ministero, fosse stato sollevato incidente di costituzionalità. Se, come ragionevolmente è stato affermato dal Giudice, poco o nulla hanno a che fare i delitti dei pubblici ufficiali con i meccanismi, anche esecutivi, della collaborazione con la giustizia, non si comprende per quale ragione si dovrebbe trattare diversamente situazioni simili, a fronte di avvenute collaborazioni con la giustizia in processo, accertate, o accertate anche in corso di esecuzione.

Il reale snodo del sistema, infatti, risiede sulla portata, anche simbolica, che si vuole riconoscere all'art. 58-ter ord. penit., che a differenza dell'art. 4-bis ord. penit., non è mai stato contestato né oggetto di modifica, nel corso di oltre trent'anni dalla sua applicazione.

Altro punto cruciale inoltre è da individuarsi nel rapporto di correlazione tra il 4-bis ord. penit. e l'art. 656 c.p.p., non sempre coincidente o perfettamente sovrapponibile in entrambi i casi (si pensi al caso degli artt. 572 e 612-bis, nelle forme aggravate).

Riferimenti
  • V. Manca, Reati ostativi ai benefici penitenziari. Evoluzione del “doppio binario” e prassi applicative, Giuffrè, 2020;
  • L. Massari, Reati contro la P.A. (commessi dopo la cd. “spazzacorrotti”): sospendibile l'ordine di esecuzione emesso dal PM in presenza dell'attenuante ex art. 323-bis c.p., in Giurisprudenza Penale Web, 2022, 5.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.