Criteri direttivi nell'interpretazione della legge fallimentare

27 Giugno 2022

La pronuncia in esame affronta la questione afferente ai poteri del curatore nell'esercizio e prosecuzione di azioni esecutive dopo la chiusura del fallimento, con la possibilità di interpretare l'art. 118 l.fall. alla luce della disposizione di riferimento del Codice della crisi di impresa.
Massima

La possibilità per il curatore del fallimento chiuso, di iniziare «giudizi cautelari e esecutivi, strumentali all'attuazione delle decisioni favorevoli alla liquidazione giudiziale, anche se instaurati dopo la chiusura della procedura», non contraddice il dettato dell'art. 118 l. fall., atteso che, con particolare riferimento all'inizio del processo esecutivo per la realizzazione di una pretesa economica del fallimento, detto processo rappresenta una logica e naturale evoluzione di quello nel quale è venuto ad esistenza il titolo esecutivo, sicché il concetto di “pendenza”, può senz'altro ravvisarsi in tale situazione.

Il caso

A seguito dell'inizio di una seconda esecuzione forzata da parte del curatore di un fallimento dopo la sua regolare chiusura, viene chiesta la riunione con una precedente procedura esecutiva alla quale aveva dato impulso il medesimo fallimento sullo stesso immobile di comproprietà del fallito. L'altra comproprietaria, la moglie del fallito, si oppone alla riunione asserendo che il secondo procedimento esecutivo non era legittimo in quanto iniziato dal curatore solo dopo che il fallimento era stato chiuso.

Il giudice dell'esecuzione in un primo momento accoglie la tesi della resistente; osserva, infatti, che mentre l'art. 234 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza dispone espressamente che «la legittimazione del curatore sussiste altresì per i procedimenti, compresi quelli cautelari e esecutivi, strumentali all'attuazione delle decisioni favorevoli alla liquidazione giudiziale, anche se instaurati dopo la chiusura della procedura», un'analoga previsione non si rinviene nell'art. 118 l. fall. Conclude, quindi, che la curatela ha iniziato la presente esecuzione, quando ormai l'organo fallimentare non aveva più la legittimazione processuale, se non per la prosecuzione di giudizi già pendenti; perciò, la seconda procedura sarebbe illegittima e non potrebbe essere riunita alla prima.

In un secondo momento, tuttavia, il giudice dell'esecuzione torna sui suoi passi, revoca il procedente provvedimento con la quale negava la riunione, riunisce i due provvedimenti, considerando il secondo procedimento perfettamente legittimo. Il giudice, infatti, interpreta l'art. 118 l. fall. nella parte in cui stabilisce che «La chiusura della procedura di fallimento nel caso di cui al n. 3) non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale, anche nei successivi stati e gradi del giudizio» alla luce dell'art. 234 cod. cr. ins., che al primo comma dopa analoga disposizione, aggiunge un secondo periodo dal seguente tenore: «La legittimazione del curatore sussiste altresì per i procedimenti, compresi quelli cautelari e esecutivi, strumentali all'attuazione delle decisioni favorevoli alla liquidazione giudiziale, anche se instaurati dopo la chiusura della procedura».

La questione

Provvedimento del giudice dell'esecuzione pone la questione se sia o meno lecito interpretare le disposizioni della “vecchia” l. fall. alla luce di un complesso normativo nuovo, che dovrebbe sostituire in tutto e per tutto il sistema che, però, non è ancora passato. Una questione fondamentale da risolvere, anche perché, se e quando entrerà in vigore il nuovo corpo normativo, comunque rimarranno pendenti molte procedure esecutive disciplinate dalla l. fall. Il problema più generale posto dal provvedimento in commento si può riassumere in una domanda: è possibile dare una risposta unitaria, positiva o negativa che sia, al quesito dell'intepretabilità della l. fall. secondo i suggerimenti che vengono dal codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, ovvero è necessario andare a vedere istituto per istituto, disposizione per disposizione?

Le soluzioni giuridiche

Il giudice dell'esecuzione per risolvere il dilemma se interpretare l'art. 118 l. fall. secondo l'interpretazione evolutiva suggerita dall'art. 234 cod. cr .ins. si ispira a due sentenze della Corte di Cassazione rese a Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 24 giugno 2020, n. 12476; Cass. civ., sez. un., 25 marzo 2021, n.8504).

Tali sentenze non riguardano lo specifico punto preso in considerazione nell'ordinanza, tuttavia, forniscono un criterio direttivo generale. In particolare, si parte dall'affermazione che si esclude che il cod. cr. ins. sia un testo non applicabile alle procedure aperte anteriormente alla sua entrata in vigore, per espresso disposto di legge (art. 390, comma 1, cod. cr. ins.), anche se si sottolinea che si potrebbe “…, rinvenire nello stesso delle norme idonee a rappresentare un utile criterio interpretativo degli istituti della l. fall. solo ove ricorra, nello specifico segmento considerato, un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro” (Cass. civ., sez. un., 25 marzo 2021, n. 8504).

Partendo da questa posizione della Cassazione, il giudice dell'esecuzione del Tribunale di Latina ha ritenuto che non possa escludersi continuità tra le due norme prese in considerazione, pur se appartenenti a complessi normativi distinti ed alternativi tra di loro. Il giudice, ritiene che la possibilità per il curatore del fallimento chiuso di iniziare giudizi cautelari e esecutivi, strumentali all'attuazione delle decisioni favorevoli al fallimento, anche se instaurati dopo la chiusura della procedura, non contraddica affatto il dettato dell'art. 118 l. fall., anzi, non farebbe che esplicitare un precetto in potenza già presente in quest'ultima disposizione. Infatti, con particolare riferimento all'inizio del processo esecutivo per la realizzazione di una pretesa economica del fallimento, detto processo rappresenterebbe una logica e naturale evoluzione di quello nel quale è venuto ad esistenza il titolo esecutivo, sicché il concetto di “pendenza”, di cui all'art. 118 l. fall., potrebbe ravvisarsi in tale situazione.

Secondo la riferita giurisprudenza bisognerebbe, quindi, andare a verificare di volta in volta la continuità tra i due istituti simili, presenti nei due differenti sistemi normativi. Il rischio è di lasciare un margine di discrezionalità troppo ampio al giudice del merito.

Osservazioni

L'entrata in vigore del codice della crisi e dell'insolvenza è stata posticipata per l'ennesima volta: la nuova data è fissata per il 15 luglio. Questi continui rinvii sono dovuti alla necessità di adeguare e verificare il funzionamento di meccanismi del tutto nuovi, così ad esempio il sistema di allerta della crisi. È logico, perciò, che alcuni istituti non possano trovare ingresso nel sistema della l. fall.

Più difficile diventa il discorso per i procedimenti che ritroviamo in entrambi i sistemi, quali il fallimento corrispondente del codice della crisi alla liquidazione giudiziale: in questa fase transitoria, in simili casi si dovrebbe optare per l'interpretazione evolutiva suggerita dal nuovo testo, a meno che non contrasti apertamente con la disposizione contenuta nella l. fall., per evitare disparità di trattamento tra procedimenti che potrebbero essere iniziati quasi contemporaneamente.

Riferimenti
  • R. Riedi, La chiusura del fallimento, in Il diritto processuale del fallimento, Torino, 2010, 405 ss.;
  • L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino, 2015;
  • A. Nigro – D. Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2021.

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