Il giudicato cautelare in materia reale e la nozione di fatto sopravvenuto

Attilio Mari
27 Giugno 2022

Sul piano processuale, la pronuncia in commento esamina la questione relativa alla portata e all'ambito di estensione dell'istituto (di creazione giurisprudenziale) del giudicato cautelare e della concreta estensione della valenza preclusiva del medesimo nei confronti del giudice della cautela.
Massima

Non può essere attribuita valenza di elemento nuovo, idoneo a superare la preclusione endoprocessuale determinata dal “giudicato cautelare”, alla sentenza n. 18/2021 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (in tema di termine di efficacia delle proroghe delle concessioni di beni demaniali per finalità turistico-ricreative) qualora il termine di efficacia della concessione sia già scaduto al momento di entrata in vigore del provvedimento di proroga adottato con d.l. 30 dicembre 2009, n.194.

Il caso

Con decreto del 2.10.2018, il G.i.p. presso il Tribunale di Genova aveva rigettato la richiesta del P.M. di disporre il sequestro preventivo di uno stabilimento balneare – in riferimento alla contestazione del reato previsto dall'art.1161 del codice della navigazione – nei confronti di indagato risultato titolare di concessione scaduta alla data del 31.12.2009; a seguito della conferma del rigetto operata dal Tribunale del riesame, la Corte di cassazione – con sentenza del 6.3.2019 – aveva annullato con rinvio la predetta decisione rilevando la non applicabilità delle leggi nazionali di proroga alle concessioni già scadute di validità (come quella in esame); uniformandosi al relativo principio di diritto, il Tribunale del riesame aveva conseguentemente disposto il sequestro preventivo del relativo tratto di arenile, con provvedimento confermato dalla Corte di cassazione.

Con ordinanza del 3.12.2021, il G.i.p. – in accoglimento della relativa istanza difensiva – aveva quindi disposto il dissequestro dell'arenile e dell'immobile sullo stesso insistente ritenendo ravvisarsi una fattispecie di ignoranza incolpevole, con conseguente carenza del fumus del reato contestato; la relativa ordinanza era stata successivamente annullata dal Tribunale del riesame, che aveva quindi nuovamente disposto il sequestro dell'intera area.

Avverso tale ordinanza il difensore dell'indagato ha proposto ricorso per cassazione deducendo un unico motivo di impugnazione, ovvero il vizio di violazione di legge concretizzato dall'omessa presa in considerazione del fatto sopravvenuto rappresentato dalla sentenza n.18/2021 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato che avrebbe – deduttivamente – enunciato il principio in base alla quale la disapplicazione della normativa interna contraria a norme dell'Unione europea non poteva avere alcuna conseguenza in punto di responsabilità penale; e che comunque avrebbe disposto che tutte le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative sarebbero rimaste efficaci sino al 31.12.2023.

Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte ha quindi premesso che in ordine al presupposto rappresentato dal fumus commissi delicti – essendo già intervenute due pronunce della Cassazione – doveva intendersi formato un giudicato cautelare.

Ha quindi ripercorso i passaggi essenziali che avevano già condotto la Corte verso questa conclusione e rappresentati, specificamente, dall'applicabilità della proroga legale dei termini di durata delle concessioni – disposta dall'art.1, comma 18, del d.l. 30.12.2009, n.194 – ai soli provvedimenti posteriori alla sua entrata in vigore, nel cui ambito non rientrava la concessione rilasciata in favore dell'indagato (risultante scaduta il 30.12.2009).

La Corte ha quindi rilevato che l'invocata pronuncia del Consiglio di Stato non era idonea a costituire un fatto sopravvenuto rispetto al giudicato cautelare già formatosi; ciò in quanto la sentenza doveva intendersi riferita alle sole concessioni suscettibili di proroga in relazione al d.l. 194/2009, come detto non applicabile a quella in oggetto.

Ha altresì ritenuto non ipotizzabile nel caso di specie una fattispecie di ignoranza incolpevole, difettando la prova di un comportamento positivo – da parte dell'autorità amministrativa – idoneo a fornire all'indagato la fonte del convincimento della correttezza del proprio comportamento in punto di interpretazione del quadro normativo vigente.

La questione

Sul piano processuale, la pronuncia in commento esamina la questione relativa alla portata e all'ambito di estensione dell'istituto (di creazione giurisprudenziale) del giudicato cautelare e della concreta estensione della valenza preclusiva del medesimo nei confronti del giudice della cautela.

Connessa a tale questione generale è poi quella relativa alla possibilità di attribuire al successivo mutamento di orientamento giurisprudenziale la valenza di fatto sopravvenuto idoneo a giustificare una rinnovata valutazione delle questioni giuridiche già esaminate, in modo da superare la valenza preclusiva del giudicato cautelare.

Sul piano sostanziale, la questione affrontata nella pronuncia attiene ai presupposti di applicabilità del regime di proroga della validità delle concessioni demaniali (previsto dal d.l. 30 dicembre 2009, n. 194 e, successivamente, dal d.l. 18 ottobre 2012, n.179 e quindi dalla l. 30 dicembre 2018, n. 145), con i conseguenti riflessi in punto di configurabilità dell'elemento oggettivo del reato previsto dall'art. 1161 cod. nav.

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento si inserisce all'interno di una vicenda processuale, nel cui ambito la sussistenza del fumus del reato previsto dall'art. 1161 cod. nav. era stata già consacrata da due pronunce della Suprema Corte, che avevano entrambe ritenuto non applicabili le disposizioni di proroga della validità delle concessioni demaniali al caso in esame.

Il fondamentale punto di partenza nel percorso argomentativo della pronuncia è quindi quello relativo all'applicazione, nella fattispecie concreta, dei principi in punto di estensione del cosiddetto giudicato cautelare; questo, a propria volta, è un istituto di creazione giurisprudenziale relativo ai provvedimenti adottati in materia cautelare (personale e reale) e in forza del quale, qualora o siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, si determina una efficacia preclusiva endoprocessuale riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte, con la conseguenza che una stessa questione, di fatto o di diritto, una volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame (Cass. pen., sez. un., 19 dicembre 2006, n. 14535, Librato; Cass. pen., sez. VI, 17 marzo 2015, n. 23295; Cass. pen., sez. VI, 16 gennaio 2018, n. 8900; Cass. pen., sez. V, 4 maggio 2018, n. 27710). Fattispecie processuale che peraltro – in considerazione della più limitata estensione rispetto al giudicato in senso proprio – non copre anche le questioni astrattamente deducibili ma solo quelle espressamente dedotte (Cass. pen., sez. I, 6 ottobre 2015, n. 47482) o che comunque si pongano e stretta e necessaria connessione logica con queste ultime (Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 2018, n. 8900).

Proprio la più limitata portata del giudicato cautelare rispetto a quello in senso proprio ha quindi condotto la giurisprudenza di legittimità – con soluzione, in astratto, del tutto condivisa dalla pronuncia in commento – ad attribuire rilevanza, quale fatto sopravvenuto idoneo a giustificare una nuova valutazione delle questioni già decise, al mutamento dell'orientamento giurisprudenziale; purché lo stesso derivi da un arresto espresso dalle Sezioni Unite (Cass. pen., sez .un., 21 gennaio 2010, n. 18288, P.G. in proc. Beschi, specificamente relativa alla affine problematica del c.d. giudicato esecutivo) ovvero anche da parte delle sezioni semplici, a condizione che al mutamento stesso sia riconoscibile un grado adeguato di stabilità (Cass. pen., sez. III, 1° aprile 2014, n. 27702; Cass. pen., sez. III, 7 ottobre 2015, n. 47042).

La complessa vicenda sostanziale nel cui ambito sono stati richiamati i predetti principi di carattere processuale è quella relativa all'applicabilità della proroga dell'efficacia delle concessioni di beni demaniali per finalità turistico-ricreative, inizialmente disposta sino al 31.12.2015 dal d.l. n. 194/2009, quindi al 31.12.2020 dal d.l. n. 179/2012 e quindi al 31.12.2033 dalla l. n. 145/2018.

Sul punto, richiamando alcuni arresti già espressi da alcune pronunce a sezioni semplici, la Corte ha rilevato che il presupposto per l'applicazione della originaria proroga e di quelle intervenute successivamente è rappresentato dalla sussistenza di un atto ampliativo emesso dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 194/2009 (in senso conforme, già Cass. pen., sez. III, 2 maggio 2013, n. 32966; Cass. pen., sez. III, 26 marzo 2014, n. 29763), con la conseguente non applicabilità della proroga stessa per le concessioni emesse antecedentemente, come quella rilasciata in favore dell'indagato.

Tale fondamentale presupposto ha indotto quindi la Corte a ritenere, pregiudizialmente, non esaminabile sotto la specie del fatto sopravvenuto l'importante arresto espresso dal Consiglio di Stato in adunanza plenaria con le sentenze del 9 novembre 2021, nn. 17 e 18; in tali sedi (recependo peraltro quanto già affermato dalla giurisprudenza europea) il supremo consesso della giurisprudenza amministrativa ha ritenuto illegittima – per contrasto con l'art. 49 del trattato sul funzionamento dell'Unione Europea nonché con l'art. 12, parr. 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE (la cosiddetta “direttiva Bolkestein”) – la disciplina nazionale che ha previsto la proroga automatica delle concessioni su beni demaniali per finalità turistico-ricreative sino, da ultimo, al 31 dicembre 2023.

Il Consiglio di Stato è giunto a tale conclusione confutando le argomentazioni che ritenevano non applicabile la predetta direttiva alla materia delle concessioni del demanio marittimo e tanto sulla base dei presupposti rappresentati: a) dall'interesse transfrontaliero del patrimonio costiero nazionale; b) dalla qualificazione della concessione sotto la specie dell'autorizzazione di servizi contingentata, in relazione alle definizioni contenute nella direttiva 2006/123/CE; c) dalla valutazione in ordine alla sussistenza, in concreto, del necessario requisito della scarsità delle risorse naturali; sulla base di tali presupposti, l'Adunanza plenaria ha quindi ritenuto illegittima per contrasto con il diritto europeo – e, quindi, disapplicabile da parte del giudice nazionale – la disciplina che prevede la proroga automatica dell'efficacia delle concessioni, ritenendo peraltro di rimodulare gli effetti temporali della propria decisione dalla data successiva a quella del 31.12.2023, allo scopo di consentire l'approvazione di una normativa che consenta il complessivo riordino della materia secondo principi rispettosi di quelli del diritto sovranazionale.

Peraltro, il Consiglio di Stato ha specificato che la disapplicazione della normativa deve intendersi non suscettibile di riverberarsi in punto di responsabilità penale dei concessionari per il reato previsto dall'art. 1161 cod. nav., non potendo l'applicazione del diritto europeo comportare conseguenze in malam partem ed ostando comunque a tale conclusione i principi di irretroattività della disciplina sanzionatoria e della riserva di legge statale.

In conclusione la Corte, valutando come inapplicabile alla fattispecie concreta in esame i principi dettati dal Consiglio di Stato – non essendo la concessione in esame soggetta al regime di proroga rimodulato per via giurisprudenziale – ha quindi ritenuto non ravvisabile un elemento sopravvenuto utilmente valutabile, con conseguente rigetto del ricorso per l'effetto della preclusione endoprocedimentale determinata dalla situazione di giudicato cautelare.

Osservazioni

La sentenza in commento ripercorre, con grande ampiezza di motivazioni, la vicenda relativa alla successione delle disposizioni nazionali che hanno regolato la materia della proroga dell'efficacia delle concessioni di uso di beni demaniali per finalità turistico-ricreative, in riferimento alla compatibilità della medesima con le disposizioni di rango europeo; per poi, peraltro, concluderne in ordine alla sostanziale irrilevanza nella fattispecie in esame non essendo l'indagato titolare di una concessione da ritenersi valida al momento dell'entrata in vigore della prima delle proroghe disposte dal legislatore nazionale (ovvero quella contenuta nel d.l. 30 dicembre 2009, n. 194).

Proprio in diretta conseguenza di tale conclusione è quindi rimasta assorbita la questione processuale introdotta dalla difesa dell'indagato e attinente alla possibilità di considerare come idoneo elemento sopravvenuto – ai fini di superare la preclusione endoprocessuale rappresentata dal giudicato cautelare – il suddetto arresto espresso dal massimo organo della giurisdizione amministrativa.

A tale proposito, come sopra rilevato, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto come il mutamento di giurisprudenza determinato da una decisione delle Sezioni Unite nell'esercizio della propria funzione nomofilattica – ovvero anche delle sezioni semplici, purché espressivo di un cambiamento di orientamento da ritenersi dotato dai caratteri di stabilità e univocità – è idoneo a superare la preclusione endoprocessuale propria del giudicato cautelare.

Sul punto, nella citata sentenza 18288/2010, le Sezioni Unite hanno difatti affermato che l'obbligo di interpretazione conforme alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo – con specifico riferimento all'art. 7 - impone di includere nel concetto di nuovo "elemento di diritto", idoneo a superare la preclusione del giudicato esecutivo e di quello cautelare, anche il mutamento giurisprudenziale che assume carattere di stabilità e tale da integrare il "diritto vivente".

Alla luce di tale conclusione, ribadita dalla successiva giurisprudenza di legittimità, si pone quindi il problema (ritenuto, come detto, implicitamente assorbito nella sentenza in commento) se attribuire il rango di elemento nuovo e idoneo a superare la suddetta preclusione endoprocessuale anche al mutamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa, qualora lo stesso incida – come astrattamente rilevabile nel grado di specie – su un elemento della fattispecie sanzionatoria da interpretare alla luce di disposizioni extrapenali; quale, nel caso in esame, quello relativo all'arbitrarietà dell'occupazione del demanio marittimo previsto come elemento costitutivo della fattispecie regolata dall'art. 1161 cod. nav.

Problematica che sembra poter essere risolta in senso positivo – alla luce di un'interpretazione orientata in senso conforme con l'art.7 della CEDU - proprio alla luce della nozione di “diritto vivente” estrapolata dalla motivazione della citata sentenza delle Sezioni Unite e definita sulla base della nozione di giurisprudenza “consolidata” o giurisprudenza “costante”, riferita in via principale – ma non esclusiva – alle pronunce della Corte di cassazione.

Riferimenti
  • Aprile, Sub art.299, in Lattanzi - Lupo (a cura di), Codice di procedura penale – rassegna di giurisprudenza e dottrina (aggiornamento), Giuffrè, 2020, II, 919;
  • Epidendio, Bassi, Guida alle impugnazioni dinanzi al Tribunale del riesame, Giuffrè, 2008;
  • La Regina, Giudicato cautelare, ne Il libro dell'anno del diritto 2012, Treccani, 2012, 741;
  • Ludovici, Sub art. 309, in Lattanzi - Lupo (a cura di), Codice di procedura penale – rassegna di giurisprudenza e dottrina (aggiornamento), Giuffrè, 2020, II, 1065.

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