Percezione di erogazioni pubbliche e informazione interdittiva antimafia: nessuna incompatibilità

30 Giugno 2022

La questione sottoposta all'attenzione della Cassazione riguarda la natura giuridica dell'informazione interdittiva antimafia.
Massima

Non risponde del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche ex art. 316-ter c.p. colui che percepisce un contributo a fondo perduto ai sensi del d.l. 22 marzo 2021, n. 41, omettendo di dichiarare di essere destinatario dell'informazione interdittiva antimafia.

Il caso

Indagato per il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche di cui all'art. 316-ter c.p., il destinatario di un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca proponeva ricorso per cassazione per violazione di legge, lamentando la non corretta interpretazione da parte del Tribunale di Perugia dell'art. 67 d.lgs. 6.9.2011, n. 159 - c.d. Codice antimafia.

Nel caso di specie, l'agente era indagato per avere percepito, in data 9.4.2021, un contributo statale a fondo perduto dell'ammontare di 17.838,00 Euro (in forza dell'art. 1, d.l. 22 marzo 2021, n. 41, c.d. “Decreto sostegni”, conv. in l. 21 maggio 2021, n. 69), omettendo di dichiarare di essere destinatario di un'informazione interdittiva antimafia, emessa dal Prefetto della Provincia di Perugia in data 9.5.2017.

Ebbene, in base al citato “Decreto sostegni”, al fine di ottenere quello specifico contributo, i soggetti interessati dovevano presentare all'Agenzia delle entrate un'istanza contenente l'autocertificazione di non trovarsi nelle condizioni ostative di cui al citato art. 67 Codice antimafia, ossia di non essere destinatari di una misura di prevenzione ivi prevista. Il soggetto agente, invece, non aveva comunicato di essere stato destinatario dell'informazione interdittiva antimafia e percepiva il contributo.

Sul presupposto che l'omissione di tale informazione determini la mancata comunicazione dell'esistenza di una condizione ostativa al rilascio del contributo a fondo perduto ex art. 67 Codice antimafia, l'autorità giudiziaria avviava le indagini per il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche e disponeva il sequestro preventivo.

La questione

La questione sottoposta all'attenzione della Cassazione riguarda la natura giuridica dell'informazione interdittiva antimafia.

Tale informativa integra una delle condizioni ostative ex art. 67 Codice antimafia?

In caso affermativo, il destinatario dell'informativa dovrebbe essere un soggetto cui, in forza dell'art. 67 Codice antimafia, è precluso l'accesso al contributo a fondo perduto de quo. La mancata comunicazione dell'informativa integrerebbe, dunque, gli estremi del reato di cui all'art. 316-ter c.p.

Viceversa, in caso negativo, l'indagato non avrebbe commesso alcun reato, dato che l'informativa interdittiva antimafia non costituirebbe un presupposto ostativo al rilascio del contributo a fondo perduto.

Le soluzioni giuridiche

Prima di esaminare la questione della natura giuridica dell'interdittiva antimafia, occorre ricordare che quest'ultima attesta la «sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67» nonchè (...) la «sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate» (art. 84 Codice antimafia). Il provvedimento è adottato dal Prefetto a carico di persone giuridiche o fisiche che intrattengono rapporti con la P.A con il fine di tutelare l'ordine pubblico, la libera concorrenza e il buon andamento dell'amministrazione pubblica, impedendo possibili infiltrazioni della criminalità organizzata all'interno del tessuto economico nazionale. Nei casi in cui l'interdittiva venga adottata in ragione del pericolo di infiltrazione mafiosa, il Prefetto è titolare di un potere discrezionale nella valutazione di tale presupposto e deve compiere un ragionamento di tipo probabilistico basato sull'esistenza di indizi, gravi precisi e concordanti (v. Cons. Stato, sez. III, 7 ottobre 2015, n. 4657). A seguito della riforma attuata dall'art. 48 d.l. 152/2021, per controbilanciare tale discrezionalità, il legislatore ha previsto che la procedura applicativa del provvedimento implichi il contraddittorio: qualora ritenga sussistenti i presupposti applicativi, il Prefetto è tenuto, infatti, a darne tempestiva comunicazione al soggetto interessato, indicando gli elementi sintomatici dei tentativi di infiltrazione mafiosa, a meno che non ricorrano particolari esigenze di celerità del procedimento (art. 92 Codice antimafia). Quanto agli effetti, il provvedimento determina una particolare forma di incapacità giuridica, implicando l'impossibilità per il destinatario «di stipulare contratti con la pubblica Amministrazione o di ricevere autorizzazioni, concessioni ed erogazioni» mentre «eventuali contratti già stipulati sono risolti per recesso. Autorizzazioni e concessioni sono revocate» (art. 94 Codice antimafia). L'incapacità è tendenzialmente temporanea, potendo venire meno per il tramite di un successivo provvedimento del Prefetto.

Ebbene, secondo l'orientamento sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa (v. Cons. Stato, Ad. plen., 26 ottobre 2020, n. 23; Cons. Stato, Ad. plen., 6 aprile 2018, n. 3; Cons. Stato, Sez. III, 24 giugno 2021, n. 4844) tale informativa non avrebbe una funzione punitiva, quanto piuttosto cautelare e preventiva, comportando infatti un giudizio a carattere prognostico in capo alla Prefettura. Si tratta di un provvedimento - ad opinione del Consiglio di Stato (v. Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016 n. 1743; Cons. Stato, sez. III, 31 dicembre 2014 n. 6465) - che mira a prevenire i tentativi di infiltrazione mafiosa e si pone in funzione di tutela anticipata della leale e corretta concorrenza tra le imprese e del corretto utilizzo delle risorse pubbliche.

In linea con l'orientamento sostenuto dalla giurisprudenza amministrativa, la Cassazione, con la sentenza in commento, ha aderito alla tesi della natura cautelare e preventiva dell'informazione interdittiva antimafia. La soluzione accolta dalla Cassazione è, dunque, che al destinatario dell'informativa antimafia rilasciata per il pericolo di infiltrazione mafiosa non sia precluso l'accesso al contributo a fondo perduto previsto dal “Decreto sostegni”. Di conseguenza, l'omessa dichiarazione dell'informativa non ha idoneità decettiva ai fini della sussistenza del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche.

Osservazioni

La soluzione adottata dalla Cassazione è senz'altro condivisibile.

L'operazione interpretativa sostenuta dal Tribunale di Perugia avrebbe in effetti comportato una inammissibile applicazione analogica in malam partem dell'art. 67 Codice antimafia, estendendo la preclusione soggettiva prevista per la percezione dei contributi pubblici anche a coloro che non sono destinatari di una misura di prevenzione, ma “solo” di una informazione interdittiva antimafia per il pericolo di infiltrazione mafiosa. Tale opzione ermeneutica sarebbe stata contrastante con il dato letterale della disposizione che limita espressamente l'erogazione dei contributi pubblici solo ai destinatari delle misure di prevenzione. Una simile soluzione non sarebbe stata compatibile, dunque, con il principio di stretta legalità. Per queste ragioni, la soluzione accolta dalla Cassazione - in linea con l'interpretazione consolidata del Consiglio di Stato in ordine alla natura amministrativa dell'interdittiva - risulta ineccepibile sotto il profilo formale.

Diversa è la questione sostanziale della “ragionevolezza” di una simile soluzione. A ben guardare, in effetti, appare difficilmente giustificabile, sotto il profilo della coerenza interna, la scelta di precludere ad un soggetto - sospettato di infiltrazione mafiosa - la possibilità di contrattare con la P.A., riconoscendogli invece la possibilità di beneficiare di un contributo pubblico. Il problema della ragionevolezza di tale opzione esorbita - certo - dalla competenza della Cassazione: solo al legislatore spetta il compito de iure condendo di porre rimedio ad una simile “anomalia”.

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