È sufficiente aver eletto domicilio presso il proprio difensore d'ufficio per essere dichiarati assenti?

03 Maggio 2019

Per ritenere acquisita la conoscenza del procedimento da parte dell'indagato e legittimare la celebrazione del (successivo) processo in absentia, è sufficiente l'elezione di domicilio presso il difensore di ufficio effettuata in una fase embrionale del procedimento?
1.

Per ritenere acquisita la conoscenza del procedimento da parte dell'indagato e legittimare la celebrazione del (successivo) processo in absentia, è sufficiente l'elezione di domicilio presso il difensore di ufficio effettuata in una fase embrionale del procedimento? In caso di risposta negativa, tale fatto sintomatico può diventare in concreto adeguato in virtù del concorso di altri elementi che convergano nel far risultare con certezza che l'indagato, elettivamente domiciliato presso il difensore di ufficio, sia a conoscenza del procedimento o si sia volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento stesso o di atti del medesimo?

Il caso. Tizio, dichiarato latitante, veniva condannato dalla Corte di assise di Genova per i reati di cui agli artt. 416, commi 2 e 6, e 495, comma 2, c.p. e 12, comma 3, lett. a), b), d), 3-bis e 3-ter lett. b) d.lgs. 286/1998. Tizio appellava la decisione di prime cure contestando l'accertamento di responsabilità e, in subordine, chiedendo il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e la mitigazione del trattamento sanzionatorio. La Corte di assise di appello, rilevando di ufficio la questione, dichiarava la nullità della sentenza impugnata, in quanto pronunciata a seguito di dichiarazione di assenza emessa in carenza dei presupposti di legge. In particolare, i giudici di seconde cure osservavano che a Tizio, in sede di identificazione da parte della Squadra Mobile di Genova, era stato nominato un difensore d'ufficio presso il quale l'imputato aveva eletto domicilio per le notificazioni. Mentre il primo giudice aveva ritenuto tale atto idoneo a fornire prova della conoscenza del procedimento e della volontà da parte di Tizio di sottrarsi allo stesso, con i conseguenti effetti previsti dall'art. 420-bis c.p.p., la Corte territoriale riteneva che la dichiarazione di domicilio effettuata presso il difensore di ufficio in sede di redazione del verbale di identificazione non fosse idonea a far desumere la conoscenza dell'esistenza del procedimento penale a carico del dichiarante, successivamente divenuto imputato, in quanto il procedimento penale si instaura formalmente soltanto con l'iscrizione del nome della persona sottoposta ad indagini nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. Queste considerazioni portavano la Corte territoriale ad escludere che fossero maturate le condizioni per procedere in absentia, con conseguente integrazione di una nullità assoluta e insanabile della sentenza, a nulla rilevando che il giudizio si fosse svolto con l'assistenza del difensore e che questi avesse proposto impugnazione, perché era stata preclusa all'imputato la possibilità di partecipare al giudizio e di presentare motivi personali di appello.

Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Genova proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado per erronea interpretazione dell'art. 420-bis c.p.p. osservando che ciò che occorre per assicurare la conoscenza del procedimento penale non è la notizia dell'esercizio effettivo dell'azione penale, ma soltanto la notizia che, in relazione a certi comportamenti chiaramente contestati alla persona, un procedimento penale possa essere iniziato, gravando sull'indagato un obbligo di diligenza, se non di collaborazione, per cui egli non potrebbe approfittare del proprio disinteresse per avvalorare l'affermazione di mancata conoscenza del procedimento penale.

La quinta Sezione della Suprema Corte, ravvisando la necessità di comporre un contrasto giurisprudenziale sul tema, ha rimesso la questione alle Sezioni unite ai sensi dell'art. 618, comma 1, c.p.p.

La questione rimessa alle Sezioni unite è la seguente: per la valida pronuncia della dichiarazione di assenza di cui all'art. 420-bis c.p.p., integra presupposto sufficiente - particolarmente nell'ipotesi della sua identificazione da parte della polizia giudiziaria, con nomina di difensore di ufficio - il fatto che l'indagato elegga contestualmente il domicilio presso il suddetto difensore di ufficio, oppure tale elezione non è di per sé sufficiente? In quest'ultimo caso, tuttavia, può diventarlo sulla base di altri elementi che convergano nel far risultare con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento stesso o di atti del medesimo?

Il contrasto giurisprudenziale. Secondo un orientamento della Suprema Corte, la conoscenza dell'esistenza del procedimento penale a carico di un imputato rimasto assente in udienza non può essere desunta dall'elezione di domicilio presso il difensore di ufficio effettuata, nell'immediatezza dell'accertamento del reato, in sede di redazione del verbale di identificazione d'iniziativa della polizia giudiziaria, in epoca anteriore alla formale instaurazione del procedimento, che si verifica soltanto con l'iscrizione del nome della persona sottoposta ad indagini nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. (cfr. Cass. pen. , sez. I, 2 marzo 2017-31 marzo 2017, n. 16416, Rv. 269843; Cass. pen., sez. II, 24 gennaio 2017-27 febbraio 2017, n. 9441, Rv. 26922).

Si osserva, in particolare, che il diritto dell'imputato a partecipare al proprio processo, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo in materia di equità del processo ai sensi dell'art. 6 CEDU, non può essere identificato nella mera conoscenza che sono in corso accertamenti o indagini di polizia giudiziaria, occorrendo piuttosto un'informazione precisa e completa delle accuse mosse, e dunque anche della qualificazione giuridica che la giurisdizione assegna al fatto contestato.

In alcune decisioni la Corte EDU ha, poi, distinto la posizione dell'imputato assistito da un difensore di fiducia da quella dell'imputato patrocinato d'ufficio. Sul presupposto che il rapporto fiduciario che si instaura fra avvocato e assistito è caratterizzato da un vincolo più forte rispetto alla difesa d'ufficio, si è osservato che, mentre la nomina di un difensore di fiducia induce a ritenere una conoscenza del procedimento sufficientemente idonea a legittimarne il prosieguo in assenza dell'imputato (Corte EDU, sent., 14 settembre 2006, Booker c. Italia), non può affermarsi altrettanto allorquando la difesa sia affidata a un difensore di ufficio (Corte EDU, sent., 12 giugno 2007, Pititto c. Italia; Corte EDU, sent., 28 giugno 1984, Campbell c. Regno Unito), con l'effetto che la notificazione dell'avviso di udienza eseguita mediante consegna dell'atto al difensore d'ufficio eletto domiciliatario aumenta in modo esponenziale il livello di criticità insito nel rapporto con un difensore non effettivamente conosciuto dall'imputato.

Alla luce delle considerazioni svolte sopra si è quindi ritenuto che la dichiarazione di assenza non possa essere adottata nelle ipotesi in cui l'imputato abbia eletto domicilio per le notificazioni presso il difensore designato d'ufficio dalla polizia giudiziaria all'atto della individuazione, prima della formale instaurazione del procedimento penale.

In alcuni casi, oltre alle considerazioni svolte sopra, si è valorizzato anche il fatto che l'imputato, subito dopo l'elezione di domicilio, aveva interrotto ogni rapporto con il legale d'ufficio che, a sua volta, non aveva accettato detta elezione comunicandolo per iscritto all'ufficio del pubblico ministero procedente (situazione ora regolamentata dal comma 4-bis dell'art. 162 c.p.p., inserito dalla l. 103/2017).

Secondo una diversa linea esegetica, è valida la notificazione all'imputato presso il difensore d'ufficio domiciliatario, indicato nel corso delle indagini preliminari, in ragione della presunzione legale di conoscenza del procedimento prevista dall'art. 420-bisc.p.p., superabile solo nel caso in cui risulti (ai sensi del successivo art. 420-ter c. 1c.p.p.) che l'assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento (cfr. Cass. pen., sez. V, 13 luglio 2017-7 settembre 2017, n. 40848, Rv. 271015).

Si osserva che il processo in assenza dell'imputato è ammesso, per espressa volontà del legislatore (art. 420-bisc.p.p.), in una serie di casi analiticamente descritti, tra i quali rientra l'ipotesi che l'imputato assente, nel corso del procedimento, abbia dichiarato o eletto domicilio. Si tratta di un elenco di situazione sintomatiche tutte connotate dal ricorrere di circostanze tali da indurre il legislatore a presumere che l'imputato abbia avuto con certezza conoscenza del procedimento ovvero si sia volontariamente sottratto a tale conoscenza. Il giudice ha la possibilità di sindacare la correttezza di tale presunzione solo quando abbia la certezza o anche soltanto il dubbio che l'assenza dell'imputato, pure formalmente citato in modo regolare e versante in una delle situazioni sintomatiche descritte dal legislatore, sia dovuta a assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito o forza maggiore (art. 420-ter c. 2 c.p.p.).

Fuori da tale ipotesi, l'imputato che non abbia avuto effettiva conoscenza del procedimento può ricorrere allo strumento della rescissione del giudicato, destinato ad operare peraltro solo nel caso in cui sia lo stesso imputato a provare che l'assenza è stata dovuta ad una "incolpevole" mancata conoscenza della celebrazione del processo.

Secondo questa interpretazione, la l. 67/2014 avrebbe dunque operato una totale rivisitazione dei precetti e delle presunzioni, oltre che della distribuzione degli oneri probatori, previsti dal sistema contumaciale, con la conseguenza che non sarebbe possibile applicare gli approdi giurisprudenziali e i principi elaborati con riferimento a tale sistema. Prima della novella del 2014, infatti, l'irregolarità della notificazione della citazione apriva le porte al sindacato, da parte del giudice, sulla idoneità della stessa a raggiungere l'effetto per il quale era stata prevista, mentre, in presenza di una notifica formalmente regolare, la eventuale non conoscenza del processo da parte dell'imputato dichiarato contumace trovava tutela attraverso lo strumento della richiesta di restituzione nel termine per impugnare la sentenza emessa in contumacia.

Va detto che analizzando la giurisprudenza in tema di rescissione del giudicato, si rinvengono numerose pronunce che escludono l'incolpevole mancata conoscenza del processo, con conseguente inammissibilità del ricorso di cui all'art. 629-bis c. 3 c.p.p., nel caso in cui risulti che l'imputato abbia, nella fase delle indagini preliminari, eletto domicilio presso il difensore di ufficio, in quanto si ritiene che da ciò derivi una presunzione di conoscenza del processo che legittima il giudice a procedere in assenza dell'imputato, sul quale grava l'onere di attivarsi per tenere contatti informativi con il proprio difensore sullo sviluppo del procedimento (cfr. Cass. pen., sez. IV, 16 ottobre 2018-2 novembre 2018, n. 49916, Rv. 273999; Cass. pen., sez. II, 23 maggio 2018-7 giugno 2018, n. 25996, Rv. 272987; Cass. pen., sez. V, 13 luglio 2017-7 settembre 2018, n. 40848, Rv. 271015; Cass. pen., sez. V, 7 luglio 2016-5 settembre 2016, n. 36855, Rv. 268322).

Si osserva, in particolare, che non è corretto limitare la rilevanza di eventi che generano la conoscenza soltanto a quelli successivi all'avvio della fase processuale, giacché l'art. 420-bis c. 2c.p.p. fa espresso riferimento al "procedimento", che comprende anche la fase investigativa.

Si valorizza, poi, la circostanza che l'imputato assente sia stato rappresentato e difeso vin giudizio dallo stesso difensore presso il quale aveva eletto domicilio. In tale evenienza si esclude che l'assenza sia stata causata da un'incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, in quanto il fatto che il difensore d'ufficio, domiciliatario eletto per atto compiuto in una fase anticipata del procedimento, sia stato poi il difensore protagonista della fase successiva del giudizio impedisce di ritenere che con l'ordinaria diligenza l'interessato non avrebbe potuto avere tutte le necessarie informazioni sul processo, in modo da esercitare i diritti di partecipazione personale.

Sul tema in esame è intervenuta, sia pure “indirettamente”, anche la Corte costituzionale. Con la sentenza n. 31 del 2017 è stata dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli artt.161 e 163 c.p.p., censurati in riferimento agli artt. 2, 3, 21, 24, 111 e 117 Cost. (in relazione all'art. 14 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e all'art. 6 della Cedu), nella parte in cui non prevedono la notifica personale all'imputato dell'atto introduttivo del giudizio penale, quantomeno nell'ipotesi di elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio nominato dalla polizia giudiziaria. La Corte ha osservato che l'esiguità degli elementi di fatto forniti impediva di stabilire se in concreto fosse stata rilevata o meno "un'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'imputato" e, quindi, se si fossero o meno "realizzate le condizioni da cui dedurre l'esistenza di un rapporto di informazione tra il legale, benché nominato di ufficio, e l'assistito", oltre a considerare erronea l'individuazione delle norme oggetto di scrutinio, in quanto il rimettente avrebbe dovuto sottoporre al sindacato incidentale l'art. 420-bis c. 2 c.p.p. La pronuncia osserva che dalla giurisprudenza della Corte EDU non discende l'obbligo della notifica personale della vocatio in iudicium, ma la necessità che gli Stati membri predispongano regole alla cui stregua si possa stabilire che l'assenza dell'imputato al processo sia espressione di una consapevole rinuncia a parteciparvi. Tuttavia, dopo aver chiarito che l'individuazione degli strumenti attraverso cui consentire al giudice tale verifica non può che essere affidata alla discrezionalità del legislatore, trattandosi di scelte che investono la disciplina degli istituti processuali, si osserva che nel controllo della relativa opzione il criterio guida deve orientarsi nel senso che la compatibilità tra le disposizioni costituzionali e convenzionali e la possibilità di procedere in assenza sussiste con certezza soltanto ove si accerti l'esistenza di un rapporto di informazione tra il legale, anche quando esso sia nominato di ufficio, e l'assistito. In sostanza, ad avviso dei giudici delle leggi ciò che rilevato, dal punto di vista sintomatico, non è come il rapporto professionale si è instaurato (su iniziativa delle parti o dell'autorità giudiziaria), bensì come si è svolto, ossia se alla nomina o designazione sia o meno seguito quel flusso informativo che giustifica la presunzione legale di conoscenza.

Come noto, con l'introduzione del giudizio in assenza è possibile celebrare il processo nonostante la mancanza dell'imputato solo se quest'ultimo è stato ritualmente convocato con un atto regolarmente notificatogli e abbia espressamente o presuntivamente rinunciano a partecipare.

Il legislatore ha fornito un elenco di fatti in presenza dei quali scatta la presunzione di conoscenza della celebrazione del processo e, di conseguenza, la presunzione di rinuncia volontaria a comparire; una norma di chiusura consente però al giudice di accertare comunque l'esistenza di altre situazioni sintomatiche non previste dalla legge dalle quali ricavare in via presuntiva tali dati.

Il primo, e più diffuso, indicatore ritenuto dalla legge sintomatico dell'acquisita conoscenza dell'esistenza del procedimento è rappresentato dalla dichiarazione o elezione di domicilio effettuata dall'imputato nel corso del procedimento.

Il ragionamento presuntivo svolto dal legislatore è evidente: l'indicazione o la scelta di un luogo dove ricevere le notificazioni relative ad un procedimento penale implica la piena consapevolezza della sua pendenza da parte dell'imputato, il quale – è ragionevole ritenere – si farà carico di mantenere i contatti con il luogo o la persona designati al fine di sapere se è stato convocato in giudizio. Di conseguenza la sua assenza all'udienza alla quale è stato regolarmente convocato con atto notificatogli nel luogo indicato o alla persona scelti ben potrà essere considerata frutto di una sua rinuncia consapevole e volontaria alla partecipazione.

La disposizione non distingue a seconda che l'elezione di domicilio sia stata effettuata presso un difensore di fiducia o d'ufficio. La giurisprudenza formatasi in tema di restituzione nel termine distingueva nettamente le due ipotesi richiedendo, per la seconda, che il rapporto fra domiciliante e domiciliatario avesse avuto un effettivo sviluppo rispetto alla situazione statica descritta nel verbale di identificazione. Si leggeva, infatti, in molte sentenze che la notificazione del provvedimento effettuata al difensore di ufficio nominato domiciliatario in fase preprocessuale non poteva ritenersi di per sé idonea a dimostrare l'effettiva conoscenza del documento da parte dell'interessato, salvo che la conoscenza non emergesse aliunde ovvero non si dimostrasse che il difensore di ufficio era riuscito a rintracciare il proprio assistito e ad instaurare con lui un effettivo rapporto professionale (Cfr. ex multis Cass. pen., sez. I, 14 dicembre 2011-4 gennaio 2012, n. 24, Rv. 251683; Cass. pen., sez. VI, 5 aprile 2013-8 maggio 2013, n. 19781, Rv. 256229; Cass. pen., sez. IV, 18 luglio 2013-13 gennaio 2013, n. 991, Rv. 257901; Cass. pen., sez. IV, ord., 15 novembre 2013-20 febbraio 2014, n. 8104, Rv. 259350.).

Il legislatore del 2014, però, sembra muoversi su un piano diverso. Collegando l'attivazione dei rimedi restitutori ad uno stato di ignoranza incolpevole dell'assente, il nuovo sistema sembra onerare l'imputato di attivarsi per prendere contatti con il difensore domiciliatario al fine di agevolare la comunicazione degli atti ricevuti.

Tuttavia, l'elezione o la dichiarazione spesso intervengono in una fase embrionale del procedimento (si pensi, ad esempio, al soggetto che dichiari o elegga domicilio subito dopo essere stato fermato alla guida della propria autovettura e sottoposto, con esito positivo, all'analisi del tasso di alcol nel sangue). La varietà di tempi e di situazioni nella quale possono intervenire le dichiarazioni di scienza o di volontà di cui si discute ha portato alcuni autori a dubitare che esse rendano sempre l'interessato realmente consapevole del procedimento. Si è quindi proposta una interpretazione convenzionalmente orientata della norma in esame, nel senso di ritenere sintomatiche della conoscenza del procedimento solo le dichiarazioni o le elezioni di domicilio compiute in relazione a procedimenti ben individuati e quindi complete della indicazione delle norme di legge che si assumono violate e della data e del luogo del fatto (alla stregua della informazione di garanzia di cui all'art. 369 c.p.p.). Alcune Procure della Repubblica hanno anche suggerito agli organi di polizia di inserire nei verbali di dichiarazione o elezione di domicilio l'invito all'interessato ad informarsi sugli sviluppi del procedimento con l'avvertimento che il processo potrà essere celebrato anche in caso di loro assenza.

Il tema si ricollega al problema della corretta interpretazione dell'inciso «nel corso del procedimento» con il quale il legislatore ha individuato il momento in cui inizia ad assumere rilevanza la scelta dell'indagato. Come noto, la giurisprudenza ha più volte chiarito che il procedimento prende avvio con il primo atto investigativo a prescindere che il nominativo dell'indagato sia stato iscritto nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. (cfr. Corte cost., sent., 3 maggio 1993-13 maggio 1993, n. 273, sull'art. 62 c.p.p.). Tuttavia, in tema di restituzione in termini la giurisprudenza aveva affermato che la effettiva conoscenza del procedimento non può farsi coincidere con la conoscenza di un atto posto in essere d'iniziativa dalla Polizia giudiziaria anteriormente alla formale instaurazione dello stesso procedimento, che si realizza solo con l'iscrizione del nome della persona sottoposta a indagini nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. (Cfr. cass. pen., sez. V, 14 novembre 2007-27 novembre 2007, n. 44123, Rv. 237973; Cass. pen., sez. I, 20 ottobre 2010-11 novembre 2010, n. 39818, Rv. 249015, che ha ritenuto insufficiente il verbale di perquisizione nel quale il soggetto era stato edotto che sarebbe stato denunciato ed era stato invitato ad eleggere domicilio e nominare un difensore).

È evidente, dunque, che l'ipotesi presa in considerazione dall'ordinanza in commento – elezione di domicilio presso il difensore contestualmente designato d'ufficio dalla polizia giudiziaria in sede di individuazione – desta perplessità perché si tratta di una situazione che può rivelarsi debolmente presuntiva della certezza della conoscenza del procedimento in ragione del possibile intervallo temporale decorrente dalla scelta del domiciliatario al processo e di tutti i mutamenti medio tempore intervenuti nella posizione processuale dell'imputato. Si pensi, ad esempio, ad una elezione fatta in una fase embrionale del procedimento, molto distante nel tempo rispetto all'udienza preliminare, che potrebbe anche essere celebrata da un'autorità giudiziaria e per fatti completamente diversi rispetto alla situazione che si prospettava al momento della scelta del domiciliatario. Ma ancor prima è la natura del rapporto intercorrente fra consegnatario e destinatario dell'atto a minare alle fondamenta il ragionamento presuntivo del legislatore. Spesso il difensore designato d'ufficio non riesce neppure ad instaurare un contatto con il proprio cliente trovandosi nell'impossibilità di assolvere i compiti del domiciliatario. In tali circostanze – specialmente se adeguatamente documentate dal difensore – viene meno la effettiva sintomaticità dell'elezione, di talché l'operatività automatica del meccanismo presuntivo forgiato dal legislatore genera il rischio che il processo sia celebrato a carico di un imputato ignaro.

Per concludere occorre accennare al comma 4-bis dell'art. 162 c.p.p., introdotto dalla l. 23 giugno 2017, n. 103 (c.d. riforma Orlando), a mente del quale "l'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio non ha effetto se l'autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l'assenso del difensore domiciliatario". Il nuovo meccanismo prevede che l'elezione di domicilio presso il difensore di ufficio debba essere subito comunicata al professionista designato e poi trasmessa all'autorità procedente, con la conseguenza che l'elezione di domicilio non ha effetto ove manchi la comunicazione al difensore nominato d'ufficio oppure quando quest'ultimo, informato della nomina ufficiosa e dell'elezione di domicilio dell'assistito, non abbia dato l'assenso. In entrambe le ipotesi non può procedersi con le formalità di cui all'art. 161 c.p.p. e le notificazioni dovranno essere eseguite ai sensi dell'art. 157 c.p.p. Richiedendo l'assenso del difensore nominato di ufficio all'elezione di domicilio presso di lui, la nuova disposizione sembra dare giuridica rilevanza al fatto che tra domiciliato e domiciliatario si sia instaurato un contatto effettivo, desunto dalla consapevole scelta del difensore di accettare la domiciliazione. Tale scelta, infatti, dovrebbe essere compiuta quando il difensore, dopo aver valutato tutti gli elementi del caso concreto, ritiene di poter assolvere al compito di informare costantemente il proprio assistito sugli sviluppi del procedimento a suo carico. Se così è, l'elezione di domicilio assentita dal domiciliatario dovrebbe giustificare la presunzione di conoscenza del procedimento di cui all'art. 420-bis c. 2 c.p.p. a prescindere dal momento in cui interviene.

2.

È stata rimessa alle Sezioni Unite la questione controversa in giurisprudenza:

Se, ai fini della pronuncia della dichiarazione di assenza di cui all'

art. 420-bis c.p.p.

, integri di per sé presupposto idoneo l'intervenuta elezione da parte dell'indagato di domicilio presso il difensore di ufficio nominatogli o, laddove non lo sia, possa comunque diventarlo nel concorso di altri elementi indicativi con certezza della conoscenza del procedimento o della volontaria sottrazione alla predetta conoscenza del procedimento o di suoi atti.

3.

Il Primo Presidente della Cassazione ha fissato per il 27 giugno 2019 l'udienza davanti alle Sezioni unite per la discussione della questione

:

Se, ai fini della pronuncia della dichiarazione di assenza di cui all'

art. 420-bis c.p.p.

, integri di per sé presupposto idoneo l'intervenuta elezione da parte dell'indagato di domicilio presso il difensore di ufficio nominatogli o, laddove non lo sia, possa comunque diventarlo nel concorso di altri elementi indicativi con certezza della conoscenza del procedimento o della volontaria sottrazione alla predetta conoscenza del procedimento o di suoi atti.

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