Continuazione in fase esecutiva e poteri del giudice di rideterminare in peius la pena irrogata per i reati-satellite

Paola Borrelli
28 Febbraio 2017

Le Sezioni unite sono state chiamate a decidere se, fermo restando il limite invalicabile costituito dalla somma algebrica delle pene già irrogate di cui all'art. 671, comma 2, c.p.p. ...
1.

La prima sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alla Sezioni unite, che decideranno il 24 novembre prossimo, il quesito se, fermo restando il limite invalicabile costituito dalla somma algebrica delle pene già irrogate di cui all'

art. 671

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c.p.p.

, il giudice dell'esecuzione richiesto di riconoscere la continuazione tra reati già giudicati possa, nell'operazione di ricalcolo che gli è demandata, individuare, per i reati satellite, un trattamento sanzionatorio deteriore rispetto a quello stabilito dal giudice della cognizione.

All'udienza del 22 giugno 2016, la prima Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni unite il quesito se il giudice della esecuzione nella rideterminazione della pena complessiva finale in dipendenza del riconoscimento della continuazione – una volta individuata la violazione più grave e fatto salvo il contenimento del trattamento sanzionatorio entro il limite della somma delle pene inflitte con ciascuna condanna, come stabilito dall'art. 671 c.p.p., comma 2 – possa quantificare l'aumento per un determinato reato satellite in misura superiore all'aumento originariamente applicato per quel reato.

È bene precisare che si tratta di una questione che rileva in fase esecutiva (e tale è la sede in cui è stato emesso il provvedimento della Corte di appello di Napoli oggetto del ricorso difensivo esaminato dalla sezione rimettente) ma anche allorché il giudice della cognizione, una volta riconosciuta la continuazione dei fatti sub iudice con quelli già giudicati con sentenza definitiva, riconosca come più grave il reato da giudicare e debba operare, per quelli oggetto di sentenza definitiva, l'aumento ex art. 81, comma 2, c.p.

Giova premettere altresì che, di fronte al contrasto rilevato, i giudici rimettenti hanno preso apertamente posizione a favore del secondo dei due orientamenti appresso specificati ma, piuttosto che deliberare sentenza in consapevole contrasto col primo degli indirizzi censiti, hanno optato per la rimessione, trattandosi di contrasto ormai risalente nel tempo, radicato, attuale e ... affatto irriducibile.

Le due direttrici interpretative, infatti, si fronteggiano, nell'ambito della prima sezione, da anni, anche se, soprattutto di recente, il secondo dei due indirizzi ha mostrato una tangibile prevalenza.

Secondo un primo orientamento, il giudice dell'esecuzione, nella determinazione del trattamento sanzionatorio che consegue al riconoscimento della continuazione, dopo aver individuato il reato più grave come quello più gravemente sanzionato, a norma dell'art. 187 disp. att. c.p.p., incontra due limiti nell'opera di rivalutazione che gli è affidata.

Un primo limite è – come dire – di chiusura del ricalcolo ed è pacifico, essendo testualmente previsto dall'art. 671, comma 2, c.p.p., laddove quest'ultimo sancisce che la rideterminazione non può condurre ad una pena superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza o decreto; ne consegue che, a prescindere dai ricalcoli interni degli aumenti per i reati-satellite di quello più gravemente sanzionato, il risultato finale non potrà mai essere peggiorativo, rispetto agli esiti della cognizione, per il condannato.

Il secondo limite – sul quale si concentra il contrasto – è, secondo l'orientamento in discorso, quello della pena determinata dal giudice della cognizione per i reati-satellite, pena oltre la quale il giudice dell'esecuzione non potrebbe andare, ancorché il risultato finale della rideterminazione sia rispettoso del limite di cui al secondo comma dell'art. 671 c.p.p. In altri termini, neanche se il risultato finale non ecceda la somma algebrica delle sanzioni già inflitte, potrebbe cambiarsi l'entità dei fattori e ciò per tutelare la legittima aspettativa dell'istante di trovarsi al riparo da una reformatio in peius del proprio trattamento sanzionatorio, pur limitata, in questi casi, ad uno o più reati e pur restando ininfluente ai fini del trattamento sanzionatorio complessivo (Cass. pen., Sez. I, n. 3276/2015; Cass. pen., Sez. I, n. 44240/2014; Cass. pen., Sez. I, n. 1138/1998; Cass. pen., Sez. I, n. 5336/1997; Cass. pen., Sez. I, n. 3745/1996; Cass. Pen., Sez. I, n. 72/1992).

Il principio generale che ispira, più o meno espressamente, le sentenze che sono andate in tale direzione è quello dell'intangibilità del giudicato, superabile solo a favore del soggetto che ha formulato la richiesta, quindi suscettibile di modifiche solo in melius.

Secondo l'altro orientamento – quello sposato dalla Sezione rimettente – tale limite non sussisterebbe.

L'unico paletto ai poteri di rideterminazione del giudice dell'esecuzione sarebbe, infatti, quello espressamente sancito dall'art. 671, comma 2, c.p.p., mentre l'organo decidente – in virtù dei poteri cognitivi riconosciutigli – avrebbe le mani libere nel riformare in peius la pena per i singoli reati-satellite, fermo restando il tetto della somma delle pene inflitte in fase di cognizione (Cass. pen. Sez. I, n. 21212/2016; Cass. pen., Sez. I, n. 505/2015, Cass.pen., Sez. I, n. 7150/2015, Cass.pen., Sez. I, n. 13955/2015, Cass.pen., Sez. I, n. 6295/2014, Cass. pen.,Sez. III, n. 23949/2015; Cass. pen.,Sez. I, n. 48833/2009; Cass. pen.,Sez. I, n. 12704/2008; Cass. pen.,Sez. I, n. 31429/2006; Cass. pen., Sez. I, n. 32277/2003; Cass. pen..Sez. I, n. 4862/2000; Cass. pen.,Sez. I, n. 5826 /1999; Cass. pen., Sez. I, n. 1663/1997; Cass. pen.,Sez. I, n. 2772/1995).

Tale scelta ovviamente non potrebbe essere arbitraria sicché, come evidenziato in alcune delle sentenze che integrano il suesposto orientamento, vi sarebbe la necessità che il giudice dell'esecuzione dia conto, nella motivazione del provvedimento, delle ragioni dosimetriche che lo hanno indotto a discostarsi in malam partem da quanto già statuito, sia pure nelle forme concise proprie dei provvedimenti esecutivi (in particolare, cfr. Cass. pen., Sez. I, n. 505/2015).

Molteplici sono le argomentazioni che hanno spinto la prima sezione, pur sollevando contrasto, ad aderire a quest'ultima esegesi, ottenute sviluppando le riflessioni ricavabili dalla giurisprudenza sopra menzionata.

In primo luogo – sostengono i giudici rimettenti – l'evoluzione giurisprudenziale più recente ha consegnato al giudice dell'esecuzione poteri cognitivi più ampi, con la conseguente erosione dell'intangibilità del giudicato (cfr. Cass. pen., Sez. unite, n. 42858/2014).

In secondo luogo, il rischio dell'esposizione del condannato istante a risultati peggiorativi del trattamento sanzionatorio complessivo – che è quello che trova esecuzione – sarebbe inesistente, considerata la disposizione dell'art. 671,comma 2,c.p.p., che consentirebbe di non snaturare la connotazione di istituto di favore propria della continuazione.

In terzo luogo, il richiamo al generale divieto della reformatio in peius - già peraltro circoscritto, dalle decisioni del secondo orientamento, alla sola fase dell'impugnazione - pone una questione ormai superata dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite (Cass. Pen. SSUU, n. 16208 /2014) laddove, a fronte del quesito se violi o meno il divieto di reformatio in peius di cui all'art. 597 c.p.p., comma 3, il giudice di rinvio che, individuata la violazione più grave a norma dell'art. 81 c.p., comma 2, in conformità a quanto stabilito nella sentenza della Corte di cassazione, apporti per uno dei reati in continuazione un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore, la Corte ha optato per la soluzione negativa.

Circa le ragioni di tale interpretazione, si è in quella sede osservato che se il procedimento attraverso il quale si realizza il cumulo giuridico prende in considerazione una specifica relatio tra un quantum di pena-base (che si determina sulla falsariga dell'editto stabilito per il reato più grave) ed un quantum di aumento per ciascuno dei reati-satellite, è evidente che non si può stabilire alcun termine di comparazione rispetto agli aumenti determinati dal primo giudice se è la stessa base di commisurazione che cambia. Si determina, in questi casi, una ristrutturazione della continuazione, con l'individuazione di un “nuovo” reato più grave da porre a base del calcolo.

Ebbene, questi principi – ha sostenuto la prima sezione – possono essere mutuati nella tematica su cui si incentra il contrasto, giacché tale ristrutturazione si verifica anche allorché, in fase esecutiva, appunto, il calcolo della cognizione venga nuovamente scomposto, di tal che uno o più reati-satellite accedano non già più all'originario reato più grave, ma ad altro separatamente giudicato, che divenga la nuova base di riferimento per la dosimetria, rispetto alla quale il giudice dell'esecuzione – nel legittimo esercizio dell'ampia potestà pacificamente riconosciutagli in ordine alla determinazione del trattamento sanzionatorio – potrebbe individuare anche un trattamento sanzionatorio peggiorativo.

D'altra parte – si aggiunge – come osservato in Cass. pen., Sez. I, n. 31429/2006, tale possibilità discende dall'ampiezza dei poteri cognitivi eccezionalmente attribuiti in tema di continuazione al giudice dell'esecuzione: nel determinare la sanzione per i reati satelliti egli ha riguardo ad una situazione complessiva, solo parzialmente nota e frammentariamente valutata dai giudici della cognizione.

Il che può condurre, collocando i reati-satellite non più all'interno del singolo procedimento, ma in un contesto più ampio, in cui l'imputato abbia mostrato di aver ceduto all'illegalità anche in altra o in altre occasioni, ad una rivalutazione atomisticamente peggiorativa, per questo o per quel reato della sequenza criminosa (in questi sensi, anche Cass. Pen. Sez. I n. 21212 / 16, Cass. Pen. Sez. I n. 505 / 15), ferma restando la regola mitigatoria dell'art. 671 comma 2 del codice di rito che mantiene la coerenza del sistema rispetto alla connotazione della continuazione come istituto di favore.

2.

All'udienza del 22 giugno 2016, la prima sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alla Sezioni unite il quesito se il giudice della esecuzione nella rideterminazione della pena complessiva finale in dipendenza del riconoscimento della continuazione - una volta individuata la violazione più grave e fatto salvo il contenimento del trattamento sanzionatorio entro il limite della somma delle pene inflitte con ciascuna condanna, come stabilito dall'art. 671 c.p.p., comma 2 - possa quantificare l'aumento per un determinato reato satellite in misura superiore all'aumento originariamente applicato per quel reato (ordinanza n. 34205/2016).

3.

Il primo Presidente ha rimesso gli atti alle Sezioni unite e l'udienza di trattazione è fissata per il 24 novembre 2016. Il quesito è: Se il giudice dell'esecuzione, in sede di applicazione della continuazione, individuata la violazione più grave, possa quantificare gli aumenti di pena per taluni reati satelliti anche in misura superiore rispetto agli aumenti disposti, per quegli stessi reati, con la sentenza irrevocabile di condanna, fermo restando il rispetto del limite della determinazione della pena complessiva in misura non superiore alla somma di quelle inflitte con ciascuna sentenza.

4.

All'udienza del 24 novembre 2016 le Sezioni unite penali hanno preso la seguente decisione:

il giudice dell'esecuzione, in sede di applicazione della disciplina del reato continuato, non può quantificare gli aumenti di pena per i reati-satelliti in misura superiore a quelli fissati dal giudice della cognizione con la sentenza irrevocabile di condanna.

5.

Nelle motivazioni, depositate lo scorso 10 febbraio, vengono ripercorse le ragioni a sostegno dei due orientamenti contrapposti, valorizzando le argomentazioni che, a giudizio della Corte, devono condurre a ritenere intangibile il giudicato rispetto a forzature in malam partem e a impedire una modificazione peggiorativa, ancorché pro quota.

Un primo argomento è di carattere storico ed è ispirato dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost., ord. n. 56 del 2010, Corte cost., sentenza n. 183 del 2013): la disciplina della continuazione e quella del concorso formale applicabili in sede esecutiva servono a bilanciare lo sfavore del Legislatore del nuovo codice di rito per i processi cumulativi e per la riunione di processi. Grazie all'istituto previsto dall'art. 671 c.p.p., infatti, il condannato recupera la possibilità di un trattamento sanzionatorio più mite, per fatti oggettivamente connessi, che il favor separationis ha inibito in fase di cognizione.

Un secondo argomento attiene alle competenze del giudice dell'esecuzione il quale – ancorché nel provvedere ex art. 671 c.p.p. sia dotato di poteri di rivalutazione del fatto più incisivi rispetto alle altre competenze della fase esecutiva – è soggetto processuale diverso dal giudice della cognizione.

Quest'ultimo ha poteri valutativi ampi della re giudicanda che attengono anche ma non solo al profilo della medesimezza del disegno criminoso; il giudice adito a norma dell'art. 671 c.p.p., al contrario, non solo si potrà muovere solo in questo limitato ambito, senza peraltro mai contraddire la decisione del giudice del processo quanto all'esistenza dei presupposti per la continuazione ma avrà a disposizione, per strutturare il proprio giudizio ex art. 81, comma 2, c.p., solo il percorso valutativo (trasfuso nella sentenza) di quest'ultimo. A definire tale circoscritta capacità valutativa la Corte ha utilizzato termini molto eloquenti, parlando di potestà correttiva e sussidiaria del giudice dell'esecuzione, a segnare il confine con quelli centrali e sostanzialmente costruttivi della verità processuale del giudice della cognizione.

Questa diversità di competenze è speculare al profilo delle regole che presidiano la fase cognitiva e quella esecutiva. Quest'ultima ha carattere sommario, è caratterizzata da un contraddittorio limitato e da limitatissimi – se confrontati con quelli del giudice della cognizione – poteri istruttori (ci si riferisce alla disposizione di cui all'art. 666, comma 5, c.p.p.), che normalmente cedono il passo a un semplice esame delle sentenze relative ai reati per cui si invoca la continuazione.

Ne consegue – sostiene la Corte – che sarebbe incongruo attribuire al giudice dell'esecuzione un potere valutativo contra reo – ancorché limitato all'aumento della pena per uno o più reati satellite – rispetto ad una decisione più mite fondata su una cognizione piena.

D'altra parte – proseguono le Sezioni unite – la scelta dell'approccio ermeneutico da preferire non può prescindere dal fatto che ciascuna fattispecie, quand'anche giudicata gregaria rispetto al reato più grave, mantiene sempre una propria autonomia, tanto che la norma del secondo comma dell'art. 533 c.p.p. prevede che il giudice, prima di stabilire la pena in ossequio alle norme sul concorso di reati o di pene o della continuazione, debba individuare la pena per ognuno dei reati.

Si tratta della parte del percorso argomentativo più interessante, siccome sgombera il campo dall'idea che quella in oggetto sia una questione di carattere eminentemente teorico, come sembra prima facie in ragione del fatto che la sanzione complessiva non potrebbe comunque mai superare, ex lege, la somma delle pene inflitte.

Invero la considerazione atomistica dei reati connessi non è priva di conseguenze – come ha ricordato la Corte – in tema di amnistia, di indulto, di estinzione delle misure cautelari personali per decorso della durata massima dei relativi termini e di applicazione di misure alternative al carcere.

Si pensi – provando a concretizzare il riferimento che si legge nella sentenza – per esempio, alla rilevanza in esecutivis della sanzione prevista per i reati satellite laddove per questi ultimi - rectius, per la pena relativa ad essi - sia vietata l'applicazione dell'indulto ex art. 1, comma 2, l.241/2006: è evidente che un'espansione postuma della pena irrogata per tali fattispecie comporterebbe concreti effetti negativi per il condannato, che vedrebbe ridotta l'entità della pena condonabile.

Lo stesso dicasi per la concessione di benefici penitenziari/misure alternative alla detenzione, laddove l'avvenuta espiazione della pena per un reato satellite e ostativo ad essi comporta la possibilità di scindere il cumulo giuridico e di accedervi, possibilità che sarebbe ritardata da una ristrutturazione peggiorativa del quantum di pena dei reati-ostacolo da parte del giudice dell'esecuzione (sulle modalità di computo della pena da imputare al reato-ostacolo quando esso sia fattispecie satellite, cfr., tra le altre, Cass. pen., Sez.I, 14 marzo 2016, n.17143).

La Sezioni unite hanno altresì negato che l'aggravamento della pena in fase esecutiva sia conforme all'attuale evoluzione del diritto sostanziale e processuale.

Il riferimento è alla giurisprudenza attuale, consolidatasi progressivamente passando da Cass. pen., Sez. unite, 29 maggio 2014, n. 42858 (che ha statuito che la porzione di pena inflitta in applicazione dell'aggravante di cui all'art. 61, comma 1, n. 11-bis c.p., dichiarata incostituzionale, deve essere eliminata dal giudice dell'esecuzione), a Cass. pen., Sez. unite, 24 ottobre 2014, n. 18821 (sulle conseguenze della dichiarazione di illegittimità costituzionale relativa all'art. 7, comma 1, del d.l. 341/2000), per finire a Cass. pen.,Sez. unite, 29 maggio 2014,n. 42858 (che, prendendo le mosse dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p., ha sancito che l'attenuante di cui al comma 5 dell'art. 73 d.p.r. 309/1990, in fase esecutiva, può essere considerata prevalente sulla recidiva reiterata).

Si tratta, infatti, di pronunzie che vanno sì nella direzione di assecondare una “cedevolezza” del giudicato ma solo nella misura in cui ciò sia foriero di soluzioni favorevoli al condannato e giammai per condurre a risultati peggiorativi del trattamento a lui riservato, come quelle che discenderebbero da un inasprimento sanzionatorio pro quota.

A conferma di tale dato vi è altresì una riflessione circa le modalità tipiche di attivazione di un giudizio ex art. 671 c.p.p., legato alla domanda dell'interessato che, qualora vedesse, anche solo pro quota, aggravato il trattamento sanzionatorio della sentenza irrevocabile, subirebbe una reformatio in peius estranea ai meccanismi processuali vigenti.

A suggellare la “bocciatura” dell'orientamento maggioritario, le Sezioni unite hanno infine neutralizzato la specifica valenza nomofilattica, rispetto alla questione controversa, della sentenza n. 16208 del 27 marzo 2014 delle Sezioni unite di cui si è detto illustrando l'impostazione dell'ordinanza di rimessione (che ha stabilito che Non viola il divieto di "reformatio in peius" previsto dall'art. 597 cod. proc. pen. il giudice dell'impugnazione che, quando muta la struttura del reato continuato (come avviene se la regiudicanda satellite diventa quella più grave o cambia la qualificazione giuridica di quest'ultima), apporta per uno dei fatti unificati dall'identità del disegno criminoso un aumento maggiore rispetto a quello ritenuto dal primo giudice, pur non irrogando una pena complessivamente maggiore).

Ebbene, la possibilità sancita dalle Sezioni unite nel 2014 per il giudice di appello intanto è giustificata, in quanto il giudice di secondo grado ha cognizione piena del fatto e del grado di colpevolezza dell'imputato ed è adito al fine specifico di sindacare le ragioni poste dal giudice di primo grado a sostegno della sua decisione. Insomma, il giudice di appello è “dentro” il processo, mentre quello dell'esecuzione ha una conoscenza di esso legata alla ricostruzione del fatto contenuta nella sentenza divenuta definitiva, il che si risolve inevitabilmente in un deficit di conoscenza che giustifica appieno le diverse conclusioni cui sono giunte le Sezioni Unite nei due casi e non avvalora la tesi propugnata dalla sezione rimettente.

Non ogni ristrutturazione della continuazione, dunque, come si era invece ipotizzato, può giustificare una revisione in malam partem del trattamento sanzionatorio, ma solo quella che sia affidata al giudice della cognizione.

Anche dalle considerazioni di cui sopra – il provvedimento impugnato è stato infatti censurato pure perché il giudice dell'esecuzione non aveva scisso il calcolo della pena per il reato continuato giudicato in una delle due sentenze, ponendolo a base del calcolo – la Corte ha fatto discendere l'annullamento con rinvio al giudice di prime cure; in ordine alla questione oggetto del contrasto l'indicazione è ovviamente quella di rideterminare la pena per i reati satellite con il divieto di applicarla in misura superiore a quella inflitta dal giudice della cognizione.

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