La perdurante (e gravosa) incertezza della nozione di stato di quasi flagranza

03 Dicembre 2015

È tema contrastato di assoluta rilevanza quello riguardante la nozione e l'esatta portata della situazione giuridica della c.d. quasi flagranza. È discusso, infatti, se essa sia configurabile solo quando il soggetto che procede al compimento dell'atto privativo della libertà personale abbia inseguito l'indagato oppure quando abbia avuto diretta percezione dell'azione delittuosa o quando l'attività di ricerca sia posta in essere anche per effetto dell'acquisizione di informazioni da terzi.
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È tema contrastato di assoluta rilevanza quello riguardante la nozione e l'esatta portata della situazione giuridica della c.d. quasi flagranza.

È discusso, infatti, se essa sia configurabile solo quando il soggetto che procede al compimento dell'atto privativo della libertà personale abbia inseguito l'indagato oppure quando abbia avuto diretta percezione dell'azione delittuosa o quando l'attività di ricerca sia posta in essere anche per effetto dell'acquisizione di informazioni da terzi.

Proprio da ultimo, la Cassazione (Cass. pen., Sez. II, 3 luglio 2015, n. 44498) è stata chiamata a vagliare se lo stato c.d. di quasi flagranza sussiste anche nel caso in cui l'inseguimento non sia iniziato per una diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria, bensì per le informazioni acquisite da terzi (inclusa la vittima).

Nel caso di specie accadeva che il soggetto arrestato perpetrava la rapina in data il 15 dicembre 2014 alle ore 11.30 ma il primo contatto con il prevenuto avveniva solo alle ore 15.30 della medesima giornata, in occasione di una perquisizione nella sua abitazione, estesa, poi, all'autovettura, avente esito negativo. Il difensore chiede l'annullamento del provvedimento di convalida, lamentando la mancanza di ogni correlazione funzionale tra la diretta percezione della azione delittuosa e la privazione della libertà del reo e l'inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza della quasi flagranza di reato. La Cassazione ha confermato la ricorrenza della condizione imposta dall'art. 382 c.p.p. in quanto l'inseguimento è avvenuto immediatamente dopo la rapina, essendo stato fornito agli operanti, giunti sul luogo, il numero di targa dell'autovettura su cui si erano dileguati gli autori del reato e tale circostanza ha consentito di rintracciare l'auto in questione e l'identificazione della persona che la mattina del delitto ne aveva la disponibilità.

Invero, in ordine alla questione sollevata, quale è quella della determinazione di una delle forme che può assumere lo stato di flagranza – condizione essenziale per potere procedere tanto all'arresto obbligatorio (art. 380 c.p.p.) quanto facoltativo (art. 381 c.p.p.) dell'autore di un reato da parte della polizia giudiziaria – delineata all'art. 382 c.p.p. per cui, oltre allo stato di flagranza in senso stretto – rappresentato dal fatto di cogliere un soggetto nell'atto di commettere il reato – è tale quello della c.d. quasi flagranza declinata come la condizione in cui versa chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima, sono sorti due distinti e contrapposti indirizzi.

Secondo una prima impostazione, a cui aderisce anche la decisione n. 44498 del 2015, il concetto di quasi flagranza presuppone una correlazione tra l'azione illecita e l'attività di limitazione della libertà. In altri termini, superando l'immediata individuazione dell'arrestato sul luogo del reato, tale presupposto sembra ricorrere nel caso della riconduzione della persona all'illecito sulla base della continuità del controllo, anche indiretto, eseguito dagli agenti della sicurezza; in particolare, sussiste quella condizione quando la polizia giudiziaria abbia proceduto all'arresto in esito a ricerche immediatamente poste in essere non appena avuta notizia del reato, anche se non subito concluse, ma protratte senza soluzione di continuità.

La nozione di inseguimento del reo, utile per definire il concetto di quasi flagranza, andrebbe, dunque, intesa in senso più ampio di quello strettamente etimologico di attività di chi corre dietro, tallona e incalza, a vista, la persona inseguita. Tale presupposto ricomprenderebbe, in altri termini, anche l'azione di ricerca subito eseguita, benché non immediatamente conclusa ma protratta –senza soluzione di continuità – sulla base delle ricerche immediatamente predisposte sulla scorta delle indicazioni delle vittime, dei correi o di altre persone a conoscenza dei fatti. Per una parte della Cassazione, una tale esegesi sarebbe ricavabile dal tenore dell'art. 382 c.p.p. il quale, nel definire lo stato di flagranza, afferma che è in tale stato anche colui che è sorpreso con cose e tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima e il termine inseguire, significa tendere con tenacia al raggiungimento di qualcuno o di qualcosa nell'ambito di un'azione ostile o di una competizione e, pertanto, già nella sua accezione semantico-letterale non indica necessariamente e unicamente l'azione di chi corre dietro a chi fugge, bensì anche quella di chi procede in una determinata direzione, secondo uno o più punti di riferimento al fine di raggiungere qualcuno o qualcosa. Lo stato di quasi flagranza sussiste, dunque, anche nel caso in cui l'inseguimento non sia iniziato per una diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria, bensì per le informazioni acquisite da terzi (inclusa la vittima), purché non sussista soluzione di continuità fra il fatto criminoso e la successiva reazione diretta ad arrestare il responsabile del reato. (Cass. pen., Sez. III, 6 maggio 2015, n. 22136). In tali casi si fa leva, cioè, sull'espressione inseguimento del reo, intesa come l'azione investigativa intrapresa immediatamente dopo il fatto per raggiungere la persona da arrestare (Cass. pen., Sez. II. 3 luglio 2015, n. 44498; Cass. pen., Sez. I, 24 novembre 2011, n. 6916; Cass. pen., Sez. V, 13 marzo 2010, n. 19078). Ciò che valorizza tale indirizzo è, in altri termini, la continuità investigativa: in alcun modo la norma prevede che l'autore del reato debba essere stato visto dalla polizia giudiziaria, né che il reato sia avvenuto sotto la diretta percezione degli organi di pubblica sicurezza, limitandosi, invece, a stabilire che l'inseguimento deve avvenire subito dopo il reato. Un tale rinvio, si precisa, sarebbe stato superfluo se il legislatore avesse limitato l'azione al mero correre dietro a chi fugge, azione che inevitabilmente è immediata rispetto alla commissione del reato. Ne discende che l'inseguimento può avvenire anche dopo un periodo di tempo necessario alla polizia giudiziaria per giungere sul luogo del delitto, acquisire notizie utili e iniziare le ricerche. Ciò premesso, si ritiene legittimo l'arresto eseguito dagli operanti intervenuti nell'immediatezza della commissione del fatto, i quali dopo circa quattro ore avevano trovato gli indagati sulla base delle dichiarazioni dei testimoni oculari e dei correi (v., pur nella varietà dei casi, Cass. pen., Sez. III, 6 maggio 2015, n. 22136; Cass. pen., Sez. I, 11 giugno 2014, n. 28246; Cass. pen., Sez. I, 24 novembre 2011, n. 6916; Cass. pen.,Sez. II, 10 dicembre 2010, n. 44369; Cass. pen., Sez. IV, 20 giugno 2006, n. 29980; Cass. Sez. I, 15 marzo 2006, n. 23560).

Secondo un diverso orientamento, al contrario, non sussiste la condizione della c.d. quasi flagranza qualora l'inseguimento dell'indagato da parte della polizia giudiziaria sia iniziato, come nel caso in esame, per effetto e solo dopo l'acquisizione di informazioni da parte di terzi: non sarebbe possibile l'equiparazione tra inseguimento materiale e altro o ideale inseguimento. Per tale corrente esegetica, l'indirizzo contrario si collocherebbe al di fuori anche di una possibile interpretazione estensiva dell'art. 382 comma 1 c.p.p., in quanto trascura la necessaria correlazione tra lapercezione diretta del fatto delittuoso e il successivo intervento di privazione della libertà dell'autore del reato.

Una parte della Corte di cassazione ha, in più occasioni, affermato che l'espressione utilizzata dall'art. 382 c.p.p. viene colto nell'atto di commettere il reato sottolinea il carattere percettivo del rapporto esistente tra l'autore del reato e colui che ne ha cognizione. Pur non avendo indicato una misura temporale, la legge pare richiedere, quindi, una contiguità temporale (si pensi al caso dell'inseguimento della polizia subito dopo il reato). Ne discende che non ricorre la condizione de qua nel caso in cui l'inseguimento dell'indagato da parte degli agenti sia iniziato per effetto e solo dopo l'acquisizione di informazioni da parte di terzi o a fronte di una denuncia della persona offesa, raccolta quando si era già consumata l'ultima frazione della condotta delittuosa. (Cass. pen., Sez. III, 3 ottobre 2014, n. 43394; Cass. pen., Sez., IV, 7 febbraio 2013, n. 15912; Cass. pen., Sez. III, 13 luglio 2011, n. 34918) o a seguito delle indicazioni fornite da terze persone o, ancora, di dichiarazioni confessorie rese dello stesso accusato: in tali casi, infatti, si richiederebbe inevitabilmente un apprezzamento di elementi probatori estranei alla ratio dell'istituto, caratterizzato, invece, da un'immediata, autonoma e diretta percezione delle tracce del reato. Si è così affermato che il presupposto ricorre nel caso dell' evidenza probatoria tra il reato commesso ed il contesto in cui il soggetto è arrestato, e non anche nel caso di una attività di indagine (più o meno approfondita) svolta dalla P.G. (cfr. Cass. pen., Sez. I, 3 ottobre 2014, n. 43394; Cass. pen., Sez. IV, 7 febbraio 2013, n. 15912; Cass. pen., Sez. III, 13 luglio 2011, n. 34918; Cass. pen., Sez. V, 31 marzo 2010, n. 19078; Cass. pen., Sez. VI, 20 aprile 2010, n. 20539; Cass. pen., Sez. II, 18 gennaio 2006, n. 7161; Cass. pen., Sez. IV, 5 febbraio 2004, n. 17619; Cass. pen., Sez. V, 21 giugno 1999, n. 3032). Come si comprende le antitetiche soluzioni non sono assolutamente irrilevanti tanto che la Sezione V con l'ordinanza emessa il 18 febbraio 2015, n. 12282 (Pres. Lombardi, Rel. Guardiano), ha rimesso il segnalato contrasto all'attenzione delle Sezioni unite.

Nell'attesa dell'intervento risolutore dell'autorevole Collegio, va evidenziato come il primo indirizzo, propenso all'estensione del concetto di inseguimento, appaia, in verità, contrastante con i criteri e principi stabiliti in materia dall'art. 13, comma 3 Cost., in quanto finisce per dilatare oltremodo quelle situazioni delineate dalla norma costituzionale come casi eccezionali di necessità ed urgenza che legittimano l'adozione di provvedimenti provvisori da parte degli organi di pubblica sicurezza, assunti in deroga alla regola generale che, si ricorda, sancisce l'inviolabilità della libertà personale. Al di là delle delineate ipotesi, da intendersi tassativamente, la compromissione di quel diritto è, infatti, consentita solo con atto motivato dell'autorità giudiziaria. Anche alla luce della sentenza n. 44498/2015, l'intervento volto a definire lo stato della quasi flagranza legittimante l'arresto appare ineludibile. Non può trascurarsi l'importanza che assume una chiara demarcazione del presupposto in esame capace, fra l'altro, di aprire il varco ad una sequenza procedimentale di non poco conto qual è quella di consentire al p.m. di interrogare l'arrestato prima del giudice della convalida a cui la legge conferisce, alle condizioni di legge, il potere applicare, in talune ipotesi, la misura cautelare al di là dei limiti stabiliti dagli artt. 274, comma 1, lett. c) e 280 c.p.p., mentre l'accusa potrebbe innestare dei riti alternativi quali il giudizio direttissimo o immediato, con grave sacrificio dei diritti e delle facoltà spettanti ai soggetti nell'ambito di un giusto e ordinario procedimento penale.

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La Sezione V, con ordinanza emessa il 18 febbraio 2015, n. 12282 (Pres. Lombardi, Rel. Guardiano), ha rimesso il segnalato contrasto all'attenzione delle Sezioni unite.

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