Sentenza cumulativa e prescrizione maturata dopo l'appello per i capi d'imputazione non impugnati in Cassazione

04 Aprile 2016

Di recente si è riproposta innanzi alla Sez. VI della Cassazione la questione di circa la sorte dell'autonomo capo di imputazione che sia stato impugnato, con motivi poi valutati originariamente inammissibili, con un unico ricorso relativo anche a diverso e autonomo capo di imputazione i cui motivi sono stati accolti.
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Di recente si è riproposta innanzi alla Sez. VI della Cassazione la questione di circa la sorte dell'autonomo capo di imputazione che sia stato impugnato, con motivi poi valutati originariamente inammissibili, con un unico ricorso relativo anche a diverso e autonomo capo di imputazione i cui motivi sono stati accolti. In particolare, ci si chiede se essendo i motivi relativi al capo A originariamente inammissibili, il reato possa essere dichiarato estinto per la prescrizione maturata dopo la proposizione del ricorso, in ragione fatto che, comunque, uno dei motivi relativi al diverso e autonomo capo B è stato, invece, accolto.

Come si comprende la soluzione dipende da una fondamentale e pregiudiziale opzione sistematica, che qui é esposta nella sua essenzialità.

Vertendosi in tema di sentenza plurima o cumulativa ovvero in un caso in cui vi è una confluenza nell'unico processo dell'esercizio di più azioni penali, con la costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali inerisce ad una singola imputazione, si ritiene, in giurisprudenza, che ciascuna decisione emessa relativamente ad uno dei reati attribuiti all'imputato sia un atto giuridico completo, tale da poter costituire da solo, anche separatamente, il contenuto di una sentenza (Cass. pen., Sez.un., 1/2000 Tuzzolino e Cass. pen., Sez.Un., n. 10251/2007, Michaeler). Posto che la regiudicanda è scomponibile in tante autonome parti quanti sono i reati per i quali è stata esercitata l'azione penale (ancora, Sez. Un., n. 1/2000, Tuzzolino, cit.) e che è possibile che il giudicato parziale si formi anche sui punti della decisione (intesi come statuizione avente autonomia giuridico-concettuale), relativa ad un unico capo di imputazione, anche nel caso di annullamento con rinvio (art. 624, comma 1, c.p.p.: per tutte, Cass. pen., Sez. I, n. 575 del 1993), al quesito dovrebbe darsi una risposta di segno negativo.

Se, dunque, più, ed autonome tra loro, sono le regiudicande, tante quanti sono i capi di imputazione (ergo, i diversi reati per cui si procede), plurimi sono anche i rapporti di impugnazione che si costituiscono quanti sono i capi (o reati) e ciascuno di essi rimane soggetto alla regola di ammissibilità della doglianza corrispondente, indispensabile a costituire il singolo rapporto (processuale) di impugnazione (ex art. 581, comma 1, lett. a) c.p.p., come hanno indicato le Sezioni unite (per tutte, Cass. pen., Sez.un. n. 1/2000 Tuzzolino), per cui, se l'inammissibilità del motivo di ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione deve ritenersi preclusa la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (tra cui la prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso) (Cass. pen., Sez. un., n. 32/2000, De Luca). Secondo la prevalente parte della Cassazione, in altri termini, la trattazione congiunta delle diverse regiudicande (come avviene appunto nelle sentenze plurime o cumulative), essendo legata ad eventi del tutto accidentali, non sembra poter stravolgere l'applicazione dei principi comuni e generali in tema d'impugnazione, non identificandosi una ragione logica o sistematica che giustifichi una diversa soluzione, né una differente tutela sembra giustificabile in ragione dei principi costituzionali in materia di processo penale e di diritto di difesa, che giustifichi la contaminazione positiva tra regiudicande autonome.

Dunque, l'autonomia della statuizione di inammissibilità del ricorso per Cassazione in relazione ad un capo di imputazione impedisce la declaratoria di estinzione per prescrizione del reato con esso contestato, pur in presenza di motivi ammissibili con riferimento agli altri addebiti: nel caso di ricorso avverso una sentenza di condanna che riguardi più reati (cosiddetta plurima o cumulativa), l'ammissibilità di motivi afferenti ad uno o più di essi non rende, per ciò solo, ammissibile il ricorso anche relativamente agli altri reati, per i quali i pertinenti autonomi motivi risultino invece inammissibili: quando per tutti sia decorso il termine ultimo di prescrizione, non può procedersi alla dichiarazione di estinzione anche per i secondi. A tale indirizzo si è uniformata la Sez. VI (Cass. pen., Sez. VI, ord. 7730/2016) chiamata ad affrontare il prospettato nodo interpretativo. La Corte fa presente, infatti, come la già menzionata sentenza delle Sezioni unite abbia sostenuto che in caso di sentenza cumulativa relativa a più imputazioni, i singoli capi della sentenza sono autonomi ad ogni effetto giuridico. Il tutto presuppone, in altri termini, l'autonomia, in via di principio, dei momenti processuali riferiti a ciascuna imputazione, solo documentalmente connotati dalla proposizione di un unico ricorso e la scindibilità del gravame unico, proposto dal medesimo ricorrente, avente ad oggetto imputazioni diverse. Del resto, si è puntualizzato, l' unicità del ricorso non significa inscindibilità delle sottese situazioni processuali corrispondenti ad imputazioni diverse. Un tale assunto è confermato dal fatto che ove, proposto da più parti, un unico gravame nei confronti della stessa sentenza per capi che autonomamente riguardano i diversi ricorrenti da pacificamente corpo a più rapporti processuali, scindibili in tanti processi quanto sono i ricorrenti; e, non a caso, nel trattare i fenomeni della riunione o separazione in fase di legittimità il codice di rito (art. 603, comma 3 c.p.p.) non fa riferimento ai ricorsi, bensì ai giudizi, confermando che al singolo ricorso ben possono corrispondere giudizi e rapporti processuali distinti e che può procedersi alla separazione anche tra giudizi promossi, per più capi di condanna, promossi da un unico ricorrente, con un unico ricorso. Per una parte della Cassazione, può ritenersi che il diritto dell'imputato alla prescrizione, da più parti rivendicato in termini di prerogativa costituzionalmente protetta, possa imporre una soluzione interpretativa diversa giacché, laddove l'estinzione sia maturata nelle more tra la sentenza di secondo grado e il giudizio di Cassazione, il decorso del tempo acquisisce rilievo solo in presenza di una ragione, prospettata e prospettabile in termini tali da poter ritenere validamente incardinato il rapporto processuale sotteso al controllo di legittimità mediante la indicazione di motivi consentiti ex art. 606, comma 1, c.p.p. o non manifestamente infondati; ciò avuto riguardo alla specifica imputazione oggetto di condanna e contestazione innanzi alla Corte, non ad ogni possibile altro capo di decisione in ordine al quale i motivi di ricorso siano stati ritenuti invece fondati (Cass. pen., Sez. VI, 2 ottobre 2013, n. 50334).

A confortare un tale indirizzo è intervenuta la più recente decisione della Sez. IV, 13 novembre 2014, n. 51744 che, in conformità al già invalso orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., Sez. VI, 20 ottobre 2011, n.6924; Cass. pen., Sez. VI. 2 ottobre 2013 n.50334; Cass. Sez. VI, 29.5.2014, n.33030) ha dichiarato come l'autonomia della statuizione di inammissibilità del ricorso per Cassazione, in relazione ad un capo di imputazione, impedisce la declaratoria di estinzione del reato con esso contestato per prescrizione, pur in presenza di motivi ammissibili con riferimento agli altri addebiti. La stessa Sezione, ma in altra composizione (Cass. pen., Sez. IV, 6 novembre 2012, n. 49817 non massimata sul punto), già rilevava l'opportunità di una riflessione sulla estensione della impugnazione nei processi cumulativi tra cui rientra quello in esame. Le Sezioni Unite n. 1 del 19 gennaio 2000, Tuzzolino hanno, infatti, ribadito la esistenza di un filone cospicuo ed ininterrotto della giurisprudenza di questa Corte, in cui, fin da quando era in vigore il codice del 1930, è stato precisato che, in caso di sentenza cumulativa relativa a più imputazioni i singoli capi della sentenza sono autonomi ad ogni effetto giuridico e, perciò, anche ai fini dell'impugnazione, stante il principio della pluralità delle azioni penali, tante per quanti sono gli imputati e, per ciascun imputato, tante quante sono le imputazioni. Ne deriva che, per quanto i diversi capi siano contenuti in una sentenza documentalmente unica (nella quale il giudice di merito ha statuito in ordine alle distinte imputazioni), ognuno di essi conserva la propria individualità e passa in cosa giudicata, se non investito da impugnazione. Da tali chiarissime considerazioni, sia pure rese in occasione di una diversa questione giuridica, è stata tratta la conclusione, secondo cui pur essendo formalmente unico il documento che rappresenta e contiene l'impugnazione, la stessa deve considerarsi concettualmente distinta ed autonoma per quanto riguarda i singoli reati, cioè i vari capi della sentenza, con la conseguenza che l'ammissibilità o inammissibilità della stessa deve essere valutata in relazione ai singoli capi cui si riferisce. Nella specie, dunque, essendo stati proposti motivi non consentiti l'impugnazione è (in parte qua) inammissibile e comporta l'impossibilità di dichiarare la prescrizione, atteso che all'interno dell'unico ma complesso, rapporto processuale che si costituisce nel caso di processo oggettivamente cumulativo (pluralità di contestazioni nei confronti di un unico soggetto), le singole contestazioni, che rappresentano distinti capi della sentenza, mantengono la loro individualità, come peraltro è reso palese dalla possibilità di separazione dei giudizi anche da parte della Corte di Cassazione (art. 610, comma 3, c.p.p.). Peraltro, la stessa ammissibilità o inammissibilità dei motivi di ricorso deve essere autonomamente e separatamente valutata con riguardo alle singole contestazioni, nel senso cioè che occorre avere riguardo ai motivi che attengono alla singola contestazione, senza che sia possibile ritenere che la ammissibilità o perfino la fondatezza del ricorso su un distinto capo della sentenza abbia l'effetto di rendere consentito o non manifestamente infondato, e quindi ammissibile, il ricorso anche sugli altri capi. Infine, tale indirizzo è confermato dalla più recente sentenza n. 15599/2015 per la quale, riguardo allo speculare problema della rilevabilità di una prescrizione verificatasi anteriormente alla decisione di secondo grado, pure in presenza di un ricorso per Cassazione inammissibile, hanno posto l'accento su una sostanziale differenza tra la prescrizione maturata prima della sentenza di appello e quella maturata dopo di essa o, addirittura, dopo la proposizione del ricorso per Cassazione: ed invero, la prima, venuta ad esistenza prima della conclusione della fase di merito, avrebbe dovuto imporre al giudice di rilevarla, in ossequio a quel meccanismo automatico che postula per il giudice (di merito) un mero atto di ricognizione (Cass. pen., Sez. III, , 30 ottobre 2014, n. 2001, secondo cui al giudice di legittimità non può essere preclusa la possibilità di porre rimedio ad un errore colpevole del giudice di merito; v. anche Cass. pen., Sez. V, , 17 settembre 2012, n. 42950). Diversamente, ogniqualvolta vi è stata comunque una specifica doglianza del ricorrente e la prescrizione è, invece, maturata successivamente alla pronuncia impugnata, è onere del ricorrente articolare doglianze idonee alla instaurazione di un valido rapporto processuale per ciascuna delle contestazioni de quibus. L'approdo raggiunto si colloca in linea con quello relativo alla determinazione del quantum della decisione aggredita: (V. SPANGHER, voce Impugnazioni (Dir. proc. pen.), in Enc. giur., vol. XI, Agg., Roma, 2002, p. 1). È, dunque, connaturale alla funzione e ruolo dell'impugnazione imporre all'impugnante l'allegazione, come motivo, di una causa – di fatto o di diritto – che consenta al giudice di accedere al vaglio della sentenza impugnata. La devoluzione di una causa estranea all'atto che s'intende censurare – tipico è il caso della volontà di lucrare la sopravvenienza della prescrizione, magari, verificatasi prima della scadenza del termine di impugnazione e della proposizione del ricorso- non sostanziando un “motivo” tecnicamente qualificabile, come tale, ai fini dell'impugnazione, fa sì che esso sia affetto da inammissibilità originaria per genericità e precluda la statuizione invocata.

Né può affermarsi che, dinanzi al maturare dei termini di legge per il verificarsi della causa estintiva ex art. 157 c.p., vengano comunque in gioco diritti dell'imputato di rilievo costituzionale: la prescrizione di un reato consegue infatti al venir meno dell'interesse dello Stato all'affermazione della pretesa punitiva, cui non si correla un diritto dell'imputato a vederla dichiarare. Non a caso, la giurisprudenza di legittimità – nell'attribuire rilevanza alla rinuncia alla prescrizione solo dopo che questa sia effettivamente sopravvenuta – richiama la più ampia e generica nozione di posizione giuridica soggettiva (v. Cass. pen., Sez. IV, n. 119/2010); a fronte del decorso del tempo che importa la caducazione della pretesa punitiva, il diritto dell'imputato cui l'ordinamento riconosce rango costituzionale, è invece quello opposto: di avere un processo e rinunciare alla prescrizione, come ha confermato la Consulta nel dichiarare il contrasto del previgente art. 157 c.p., con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevedeva che la prescrizione del reato fosse rinunziabile dall'imputato. Il giudice delle leggi ha ritenuto privo di ragionevolezza - rispetto ad una situazione processuale improntata a discrezionalità- che l'interesse generale di non perseguire reati, debba prevalere su quello dell'imputato, con la conseguenza di privarlo del diritto alla difesa, inteso come diritto al giudizio e con esso a quello alla prova (Corte cost., sentenza n. 275/1990).

In senso contrario a tale indirizzo, altra, minoritaria e risalente corrente giurisprudenziale afferma che fino a quando la sentenza non è divenuta irrevocabile, il giudice deve sempre applicare la legge penale – salvo le eventuali preclusioni non evocabili in presenza di una prescrizione già maturata – in forza del precetto dell'art. 129 c.p.p., che impone di dichiarare l'estinzione del reato in qualsiasi stato e grado del processo (Cass. pen., Sez. V, 29 aprile 1999, Bux; Cass. pen. Sez. I, 28 ottobre 1997, Plojer, in C.E.D. Cass. n. 209138). In alcune decisioni si è dichiarato che se successivamente alla deliberazione della sentenza di appello, è maturato il termine di prescrizione per entrambi i reati ascritti all'imputato: qualora non tutti i motivi di ricorso per cassazione siano inammissibili, sono rilevabili di ufficio le questioni inerenti all'applicazione della declaratoria delle cause di non punibilità di cui all'art. 129 c.p.p., comma 1, che non comportino la necessità di accertamenti in fatto o di valutazioni di merito incompatibili con i limiti del giudizio i legittimità (Cass. pen., Sez. un., 20 dicembre 2007, n. 8413). In linea si è affermato che la Corte di cassazione deve rilevare la prescrizione del reato maturata dopo la pronunzia della sentenza impugnata anche nel caso in cui la manifesta infondatezza del ricorso risulti esclusa con riferimento ad altro reato (Cass. pen., Sez. II, 5 luglio 2013, n. 31034) a cui va assegnata l' l'attitudine, nell'ipotesi in esame, del ricorso stesso ad introdurre il rapporto processuale di impugnazione (Cass. pen., Sez. Un., 22 novembre 2000, n. 32).

2.

All'udienza 12 febbraio 2016, la sesta Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni unite la decisione della seguente questione oggetto di contrasto giurisprudenziale:

se, in presenza di un ricorso cumulativo per diversi e autonomi capi di imputazione, per i cui reati sia intervenuta la prescrizione dopo la deliberazione d'appello, l'accoglimento di motivi afferenti un capo imponga o meno la dichiarazione di prescrizione anche per i distinti ed autonomi capi di imputazione, pur quando i pertinenti motivi siano invece giudicati originariamente inammissibili.

La Corte giustifica la devoluzione al Collegio riunito in quanto la questione di diritto ha una imponente influenza sulla sorte dei processi e, in particolare, sulla necessità o meno di scontare le pene inflitte per i capi di imputazione oggetto di motivi originariamente inammissibili, coinvolgendo in modo eclatante il principio di parità di trattamento dei cittadini condannati rispetto al fatto essenziale dell'espiazione delle sanzioni.

3.

L'udienza per la trattazione della questione sopra esposta è stata fissata, dal Primo presidente della Corte suprema, per il 25 maggio 2016 dinanzi alle Sezioni unite della Corte.

4.

All'udienza 27 maggio 2016, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione hanno preso la seguente decisione:

in presenza di un ricorso per cassazione “cumulativo” riguardante plurimi ed autonomi capi di imputazione, per i quali sia sopravvenuto il decorso dei termini di prescrizione dopo la pronuncia della sentenza di appello, l'ammissibilità del ricorso con riguardo ad uno o più capi di imputazione, con conseguente declaratoria di estinzione dei rispettivi reati per prescrizione, non comporta l'estinzione per prescrizione anche degli altri reati di cui ai distinti ed autonomi capi per i quali, al contrario, il ricorso per cassazione risulti inammissibile.

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