La dichiarazione di prescrizione senza contraddittorio conduce sempre all'annullamento della sentenza di appello?

Paola Borrelli
12 Luglio 2017

Assegnato alle Sezioni unite il quesito sulla possibilità, per il giudice di legittimità, di non dichiarare sempre e comunque la nullità della sentenza di prescrizione in grado di appello viziata per violazione del contraddittorio ...
1.

Su ordinanza di rimessione della terza sezione penale della Corte di cassazione (n. 9140/2017), il primo Presidente ha assegnato alle Sezioni unite – che decideranno il prossimo 27 aprile – il quesito sulla possibilità, per il giudice di legittimità, di non dichiarare sempre e comunque la nullità della sentenza di prescrizione in grado di appello viziata per violazione del contraddittorio e di dare, al contrario, prevalenza alla causa estintiva del reato.

Il 17 febbraio 2017, la terza Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni unite il quesito se Corte di cassazione debba dichiarare la nullità della sentenza predibattimentale pronunciata in violazione del contraddittorio con cui si dichiara l'estinzione del reato per prescrizione, o debba, invece, dare prevalenza alla causa estintiva del reato.

La vicenda processuale portata all'attenzione della Corte concerne una sentenza pronunziata in camera di consiglio dalla Corte di appello di Reggio Calabria; con tale pronunzia – senza che fosse stato costituito il rapporto processuale, vale a dire senza la citazione e la partecipazione dell'imputato appellante, della difesa e del P.M. – era stata dichiarata la prescrizione per il reato di cui all'art. 544-ter c.p., dopo aver dato atto dell'inesistenza di circostanze idonee a escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato o la sua rilevanza penale.

La Corte reggina, nel concludere per l'estinzione del reato per prescrizione, aveva ricordato come, in presenza della causa estintiva, la delibazione del giudice sul merito debba risolversi in una percezione ictu oculi, senzaaddentrarsi in un apprezzamento che presupponga ulteriori accertamenti o approfondimenti.

La difesa dell'imputato ha proposto ricorso per Cassazione, chiedendo, in primo luogo, l'annullamento della sentenza per omessa citazione a giudizio dell'imputato appellante (artt. 178, comma 1, lett. c) e 179 c.p.p.) e dolendosi, in secondo luogo, della mancata valutazione di plurimi aspetti che avrebbero dovuto condurre a un proscioglimento nel merito ex art. 129, comma 2, c.p.p.

Prima di affrontare il tema oggetto del contrasto, i giudici di legittimità hanno premesso che non si palesavano, nel caso portato alla loro attenzione, cause di immediato proscioglimento nel merito rilevabili in quella sede giacché il secondo motivo di censura – quello concernente l'assenza di responsabilità – era articolato in maniera tale da non poter fondare una declaratoria di evidenza in tal senso di cui potesse farsi carico il giudice di legittimità, basandosi, al contrario, su doglianze attinenti alla valutazione del materiale probatorio.

L'impossibilità di accedere a una pronunzia liberatoria che superasse la “questione prescrizione” ha portato la suprema Corte a confrontarsi con il tema controverso.

A monte del ragionamento sembra esservi un presupposto non in contestazione – a giudicare dalla lettura delle sentenze di entrambi gli orientamenti richiamati – vale a dire che al giudice di appello sia preclusa la strada del proscioglimento predibattimentale di cui all'art. 469 c.p.p. (appannaggio del solo giudizio di primo grado) ovvero altra forma di definizione semplificata ante giudizio, a maggior ragione in totale assenza del contraddittorio, pur sempre garantito, al contrario, dalla citata disposizione (che presuppone comunque la citazione delle parti e la possibilità che esse si oppongano). Né a tale risultato potrebbe giungersi invocando l'art. 129 c.p.p., giacché esso, per quanto norma di chiusura, presuppone pur sempre la corretta instaurazione del contraddittorio.

Il tema controverso, quindi, non è la correttezza della scelta della Corte reggina (decisamente da escludere) ma le conseguenze che l'error in procedendo dei giudici di appello debba avere nel giudizio di Cassazione; in altri termini è nell'individuazione del percorso fruibile dalla Corte di cassazione di fronte alla coesistenza di nullità/assenza di evidenza circa cause di proscioglimento nel merito/prescrizione che si innesta la questione di diritto oggetto del contrasto.

Secondo un primo orientamento, pur escludendosi l'abnormità della sentenza di prescrizione emessa in camera di consiglio dalla Corte di appello (Cass. pen., Sez. VI, n. 28478 del 27 giugno 2013, Corsaro), la mancata costituzione del rapporto processuale e la nullità che ne consegue implicherebbero sempre e comunque la necessità di far regredire il procedimento dinanzi ai giudici di appello, senza che possa censurarsi la mancanza di interesse al ricorso dell'imputato, ancorché prosciolto per prescrizione (Cass. pen., Sez. II, 4 maggio 2016, n. 33741, Ventrella; Cass. pen., Sez. VI, 24 novembre 2015, n. 50013, Capodicasa; Cass. pen., Sez. II, 4 ottobre 2012, n.42411; Cass. pen., Sez. V, 23 novembre 2005, n. 44619).

Ciò (Cass. pen., Sez. V, 25 febbraio 2015, n. 10960, Tavecchio) anche per la considerazione che la chance preclusa all'imputato – quella di un proscioglimento ex art. 129 co. 2 c.p.p. – non potrebbe essere ugualmente assicurata dalla Corte di cassazione giacché la sua delibazione è limitata al contenuto delle sentenze e degli atti di impugnazione, mentre quella del giudice d'appello si estende al contenuto di tutti gli atti del processo di primo grado, sicché radicalmente diversa è la fonte dell'evidenza di una causa di proscioglimento nel merito, con la conseguenza che sussiste l'interesse dell'imputato alla pronuncia in contraddittorio del giudice del merito, perché le ragioni del proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., che potrebbero essere dedotte davanti allo stesso giudice del merito sono più ampie, e qualitativamente diverse, da quelle conoscibili dal giudice di legittimità.

In pratica, secondo questa pronunzia e quella ivi richiamata (nr 24062 del 10 maggio 2011, Palau Giovannetti) la constatazione circa l'evidenza di cause di proscioglimento nel meritoè diversa se resa nel merito o dal giudice di legittimità giacché quest'ultimo ha un orizzonte limitato dal ricorso e dalla sentenza impugnata, mentre il panorama che si offre al primo si estende a tutte le risultanze processuali e – si aggiunge – concerne anche le questioni di merito.

Il secondo fronte interpretativo è ispirato da ragioni di economia processuale e ritiene che, di fronte all'indiscussa nullità della sentenza pronunciata de plano, se il reato è prescritto, la sua estinzione vada dichiarata in via preferenziale rispetto alla nullità, incombendo sulla Corte di Cassazione, come sui giudici del merito, l'obbligo di cui all'art. 129 c.p.p. dell'immediata declaratoria anche della prescrizione(Cass. pen., Sez. III, 7 luglio 2015, n.42703, Pisani e Cass. pen., Sez. IV, 13 giugno 2014, n. 36896, Volpato).

A questo principio fa eccezione il caso in cui l'operatività della causa estintiva presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, al quale, in questi casi, il processo dovrebbe ritornare al fine di consentire la rinnovazione del relativo giudizio (Cass. pen., Sez. unite, 27 febbraio 2002, n. 17179, Conti).

La stessa dinamica regressiva dovrebbe altresì riproporsi quando la parte prospetti concretamente ed efficacemente (la Corte di cassazione parla di concreta necessità di un giudizio di merito) il perché occorra un giudizio di merito al fine di riconoscere le ragioni delle sue doglianze in punto di responsabilità e per quale motivo la rinnovazione del giudizio sia funzionale alla verifica delle stesse. In pratica, occorre, secondo questa seconda tesi, per giustificare la diseconomia del regresso al grado precedente per un reato prescritto, che la difesa fornisca motivi e riferimenti netti che lascino comprendere alla Corte che l'accesso agli atti e la possibilità di scendere nel merito siano necessari per prendere atto di un'evidenza di assenza di responsabilità che il giudizio di legittimità non potrebbe far venire alla luce (ex multis, con accenti diversi, Cass. pen., Sez.V, 19 novembre 2014, n. 51135, Dondè; Cass. pen., Sez. II, 16 ottobre 2014, n. 2545, Riotto; Cass. pen., Sez. VI, 1 aprile 2014, n. 20065, Di Napoli; Cass. pen., Sez. II, 18 febbraio 2014, n. 6338, Argentieri).

Quella che spetta alla Corte di cassazione è, dunque, una prognosi circa le concrete probabilità di successo dell'opzione assolutoria invocata dall'imputato, prognosi tarata, tuttavia, sui limiti oggettivi del giudizio del reato prescritto, tenendo ben presente cioè che l'appello potrà prosciogliere solo previa constatazione di un'evidenza e giammai compiendo ulteriore attività istruttoria (Cass. pen., Sez. V, n. 51135/2014; Cass. pen., Sez. VI, n. 20065/2014) o valutativa.

Tali principi conseguono, a ben vedere, all'atteggiarsi ormai pacifico della valutazione del giudice sui presupposti dell'evidenza di cui il legislatore parla al secondo comma dell'art. 129 c.p.p., che deve limitarsi a una mera constatazione dell'assoluta assenza di prove di colpevolezza ovvero al rilievo della prova positiva dell'innocenza; ammettere l'annullamento quando la mera constatazione non sia sufficiente neanche per il giudice di appello, significherebbe fare un'operazione del tutto inutile, giacché la Corte di appello – come peraltro dovrebbe aver fatto già prima di “incartare” la nullità in procedendo – nel giudizio di rinvio non potrebbe passare su un piano diverso e più approfondito, ma dovrebbe pronunziare nuovamente la prescrizione del reato, non potendo impegnarsi in valutazioni di merito assimilabili a quelle del giudice che proscioglie ex art. 530, comma 2, c.p.p.

2.

All'udienza del 17 febbraio 2017, la terza sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alla Sezioni unite il quesito se Corte di Cassazione debba dichiarare la nullità della sentenza predibattimentale pronunciata in violazione del contraddittorio con cui si dichiara l'estinzione del reato per prescrizione, o debba, invece, dare prevalenza alla causa estintiva del reato.

3.

Il primo Presidente ha rimesso gli atti alle Sezioni unite e l'udienza di trattazione è fissata per il 27 aprile 2017. Il quesito è: Se la Corte di cassazione debba dichiarare la nullità della sentenza predibattimentale pronunciata in violazione del contraddittorio, con cui è stata dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione o, invece, debba dare prevalenza alla causa estintiva del reato.

4.

Le Sezioni unite, risolvendo il contrasto e previa precisazione del quesito, hanno sancito che:
«Nell'ipotesi di sentenza predibattimentale d'appello, pronunciata in violazione del contraddittorio, con la quale, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, è stata dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all'art. 129, comma 2, c.p.p.».

5.

Nelle motivazioni, depositate lo scorso 9 giugno (sentenza n. 28954), le Sezioni unite hanno passato in rassegna i due orientamenti, valorizzando le argomentazioni che, a giudizio della Corte, devono condurre ad escludere sempre la regressione del procedimento, ancorché contrassegnato da una nullità assoluta per violazione del contraddittorio, affidando il compito di una pronunzia liberatoria nel merito – ove ne ricorrano i presupposti – alla stessa Corte.

La premessa delle riflessioni svolte nella pronunzia in discorso è stata – come in parte già emerso dall'ordinanza di rimessione – che non è possibile emettere, prima dell'instaurazione del contraddittorio, sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 469, né a norma dell'art. 129 c.p.p. (ricordando Cass. pen., Sez. II, 4 maggio 2016, n. 33741, Ventrella; Cass. pen.,Sez. VI, 24 novembre 2015, n. 50013, Capodicasa; Cass. pen., Sez. VI, 27 giugno 2013, n. 28478, Corsaro).

Quanto alla prima norma, il dato è – come sottolineato dalle Sezioni unite – testuale laddove la disciplina del proscioglimento predibattimentale di cui all'art. 469 c.p.p. è inserita tra le norme dedicate al dibattimento di primo grado e mancano richiami nel combinato disposto degli artt. 598, 599 e 601 codice di rito che, dopo il generico rinvio alle norme del giudizio di primo grado con la clausola di salvezza degli articoli a seguire, contempla poi una regolamentazione generale del procedimento in camera di consiglio e della fase preliminare al giudizio in cui non vi è accenno alla possibilità di prosciogliere prima di esso e a prescindere dall'instaurazione del contraddittorio.

Peraltro – deve aggiungersi – nel caso di specie si era andati addirittura oltre, giacché la sentenza era stata emessa senza alcuna citazione che, al contrario, l'art. 469 c.p.p. prevede comunque, laddove attribuisce al P.M. ed all'imputato la possibilità di opporsi, il che presuppone che essi siano stati messi in condizioni di partecipare.

Neanche è praticabile – hanno proseguito i giudici di legittimità – lo strumento previsto dall'art. 129 c.p.p., che intanto può essere adoperato, in quanto si sia instaurato il contraddittorio giacché il sintagma in ogni stato e grado del processo va inteso nel senso che la pronunzia è possibile quando si sia instaurato un giudizio in senso tecnico; tale condizione si verifica solo quando si sia realizzata una piena dialettica processuale, a sua volta conseguente ad una regolare instaurazione del contraddittorio, funzionale a mettere tutte le parti in condizione di interloquire ed a porre il giudice in condizione di individuare il percorso decisionale più corretto ed a scegliere la formula assolutoria più favorevole all'imputato.

D'altra parte, come ricordarono le Sezioni unite nella sentenza 12283 del 2005, la norma si riferisce al processo e non al procedimento «adeguandosi così alla natura bifasica del modello senza istruzione istituito con il codice del 1988, che ha eliminato la omogeneità tra la fase delle indagini e quella del processo vero e proprio» e non costituisce una regola di giudizio ulteriore e straordinaria rispetto a quelle proprie delle varie fasi di giudizio, ma ne detta una generale «di tenuta del sistema» che serve a porre immediata fine alla vicenda processuale quando ragioni processuali o di merito lo impongano (vedi anche Cass. pen., Sez. unite, 19 dicembre 2001, n. 3027, Angelucci).

Ciò posto, in assenza di modelli procedimentali che consentano l'iter semplificato adottato dalla Corte di appello reggina, la conseguenza è senz'altro quella di una nullità per violazione del contraddittorio – affermano le Sezioni unite, in linea con numerosi precedenti (Cass. pen., Sez. VI, 24 novembre 2015, n. 50013, Capodicasa; Cass. pen., Sez. VI, 25 febbraio 2015, n. 10960, Tavecchio; Cass. pen., Sez. VI, 27 giugno 2013, n. 28478, Corsaro; Cass. pen., Sez. II, 4 febbraio 2012, n. 42411, Napoli; Cass. pen., Sez. VI, 10 maggio 2011, n. 24062, Palau Giovannetti); in particolare una nullità assoluta ed insanabile, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. b) e c) e 179, comma 1, c.p.p., sia per la mancata partecipazione del P.M., sia per la mancata partecipazione delle parti private, oltre che fondata sulla violazione del canone costituzionale di cui all'art. 111, comma 2,Cost.

Ebbene, proprio questa premessa rende necessario il passaggio alla fase successiva del ragionamento, vale a dire quella che occorre per comprendere se tale causa di nullità debba avere sempre e comunque la prevalenza, sì da imporre la regressione al grado di giudizio in cui essa si è verificata, ovvero se, data la prescrizione maturata, si tratti di un passaggio superfluo.

Le Sezioni unite si sono ispirate, per fornire una risposta al quesito, ad un precedente sempre del massimo consesso – la sentenza Conti delle Sezioni unite n. 17179 del 2002 – secondo cui: «il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità sancito dall'art. 129 cod. proc. pen. impone nel giudizio di cassazione, qualora ricorrano contestualmente una causa estintiva del reato e una nullità processuale assoluta e insanabile, di dare prevalenza alla prima, salvo che l'operatività della causa estintiva non presupponga specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nel qual caso assume rilievo pregiudiziale la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio».

In effetti, la Corte all'epoca delineò le molteplici funzioni dell'art. 129 c.p.p., dalle quali trasse la risposta al quesito affrontato.

Da una parte – nella prospettiva dell'imputato – la finalità della norma è quella di condurre ad un immediato proscioglimento quando il reato sia estinto, senza la necessità di attendere i tempi del processo e di subire la presenza di un carico pendente scontando – anche il processo è una pena – la sottoposizione ad un iter destinato ad un esito annunciato, salva ovviamente la possibilità dell'imputato di rinunziare alla prescrizione sì da consentire l'approfondimento nel merito della vicenda e salva la sussistenza di cause di immediato proscioglimento nel merito, cui attribuire prevalenza ex art. 129, comma 2, c.p.p.; in quest'ottica la Corte ricordò che la valutazione dell'operatività di quest'ultima norma in Cassazione avviene comunque nel contraddittorio delle parti, il che ridimensiona il problema della assenza di garanzie legata al mancato, pregresso rispetto del principio del contraddittorio.

D'altra parte, lo scopo della norma – rimarcarono le Sezioni unite – è quello di economizzare i tempi del processo, evitando la dispersione inutile di energie giudiziarie e prestando ossequio al canone costituzionale della ragionevole durata del processo di cui all'art. 111, comma 2,Cost.

Già all'epoca le Sezioni unite individuarono, però, un'eccezione al principio della prevalenza della causa di proscioglimento rispetto a quella di nullità, segnatamente quello costituito dalla eventuale necessità di un accertamento di merito finalizzato a valutare l'operatività della causa estintiva; un esempio può essere quello del riconoscimento o meno di una circostanza aggravante – oggi ad effetto speciale o per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria – il cui accertamento presuppone generalmente un vaglio di merito ad esso pregiudiziale, che è quello della responsabilità dell'imputato e poi dell'insussistenza dei presupposti di fatto della circostanza, vaglio che è quindi essenziale per poterla riconoscere o escludere e trarne le conseguenze in tema di prescrizione.

Un altro caposaldo nomofilattico di cui le Sezioni unite hanno tenuto conto nella sentenza che si va commentando, è Cass. pen., Sez. unite, n. 35490 del 2009, Tettamanti che, nell'esaminare il rapporto tra proscioglimento nel merito ex art. 530, comma 2, e 129 c.p.p. per prescrizione, ha confinato sistematicamente la regola probatoria di cui all'art. 530, comma 2,c.p.p. – cioè il dovere per il giudice di pronunciare sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova della responsabilità – al termine dell'istruttoria e della valutazione di tutto il compendio probatorio acquisito agli atti.

Al contrario, prima che l'attività istruttoria sia completata ma sempre che ci si trovi già nella fase del giudizio (come sopra osservato), entra in gioco la disciplina dell'art. 129, comma 2, c.p.p. che impone di prosciogliere immediatamente l'imputato salva l'evidenza (si tratta di constatazione e non di apprezzamento) dell'inesistenza del fatto, della sua irrilevanza penale e dell'estraneità dell'imputato a quanto contestatogli.

Di evidenza e di mera constatazione deve trattarsi perché, ove si andasse oltre, valorizzando a discarico anche situazioni di claudicanza della prova, si determinerebbe la forzatura della norma laddove essa prevede quali debbano essere le caratteristiche del compendio per condurre ad un esito liberatorio anche in caso di prescrizione.

Tale operazione di constatazione – scevra da profili di approfondimento di merito – può essere svolta anche nel giudizio di Cassazione, giacché «la Corte ben può pronunciare, anche d'ufficio, la formula di merito di cui al comma 2 dell'art. 129 rispetto a quella di estinzione del reato applicata dal giudice di primo o di secondo grado, secondo lo schema decisorio dell'annullamento senza rinvio, ex art. 620 comma 1, lett. l), cod. proc. pen.». Esiste, tuttavia, una condizione che è legata alle caratteristiche del giudizio di legittimità, ed è quella che l'evidenza della prova deve risultare dalla motivazione della sentenza impugnata e dagli atti del processo, specificamente indicati nei motivi di gravame, secondo lo schema dell'art. 606, comma 1,lett. e) c.p.p. – come novellato dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46.

Sembra di poter dire, dunque, che la posizione delle Sezioni unite è che la regressione in appello del procedimento per reato pacificamente prescritto, quando il giudizio di secondo grado non abbia avuto luogo perché la sentenza è stata emessa nella fase preliminare del giudizio, è del tutto inutile, determinando un “corto circuito” perché i giudici di appello, di fronte alla maturazione della causa estintiva, sostanzialmente non avrebbero poteri e margini valutativi ulteriori rispetto a quelli della Cassazione, potendo prosciogliere solo alle stesse condizioni di immediata evidenza; visto che tali condizioni sono già stata riscontrate inesistenti dalla Corte di cassazione, l'esito scontato del giudizio di rinvio è quello di un nuovo proscioglimento per prescrizione, con un'inutile dilatazione dei tempi di definizione del processo.

Calati questi principi nel caso concreto, la Corte ha escluso che fossero stati dedotti e che fossero aliunde emersi dati per ritenere l'evidenza di un proscioglimento nel merito dell'imputato, sicché ne è conseguita la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse in quanto la regressione sarebbe stata incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di estinzione del reato ed avrebbe richiesto degli accertamenti di merito inconciliabili con l'operatività immediata della regola dell'art. 129 c.p.p. in presenza dell'avvenuto decorso del termine prescrizionale.

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