Computo dei termini di prescrizione del reato edilizio

Cristina Ingrao
27 Aprile 2016

Le Sezioni unite hanno affermato che la sospensione del processo, prevista nel caso di presentazione dell'istanza di "accertamento di conformità" ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001, deve essere considerata ai fini del computo dei termini di prescrizione del reato edilizio.
1.

In giurisprudenza permane il contrasto in merito al computo dei termini di prescrizione del reato edilizio, nel caso di sospensione del procedimento per la presentazione di una istanza per la concessione in sanatoria, ai sensi della l. 47 del 1985, art. 13.

Il caso. La questione oggetto di esame trae origine dal ricorso avanzato da Tizio, imputato del reato di violazione della legge urbanistica di cui all'art. 44, lett. b) del d.P.R. 380 del 2001, condannato in appello alla pena di mesi sei di arresto ed euro 30.000,00 di ammenda, oltre alla demolizione delle opere abusive.

Si trattava della realizzazione, in difformità della concessione edilizia e della successiva variante rilasciata, di opere di completamento di quelle già esistenti al rustico, relative ai primi due piani di un edificio preesistente, e concretizzatesi nella costruzione di otto unità abitative, anziché sei come previsto nel progetto, nonché nell'ampliamento di un appartamento posto al terzo piano, nella edificazione di un porticato e nella modifica della disposizione dei box.

I motivi addotti al fine di richiedere l'annullamento della sentenza erano tre.

Con il primo si contestava l'inosservanza degli artt. 157 e 159 c.p.,in quanto nel corso del processo di primo grado il difensore dell'imputato, a seguito della presentazione da parte del suo assistito di una istanza al Comune di Carovigno volta ad ottenere la concessione in sanatoria, avanzava richiesta di sospensione del processo, che il primo giudice accoglieva, in attesa della definizione del procedimento amministrativo diretto ad ottenere il rilascio della concessione in sanatoria (poi, però, non rilasciata).

La difesa rilevava che entrambe le Corti di merito avevano tenuto conto dell'intero periodo di sospensione, escludendo, in tal modo, l'intervenuta prescrizione del reato. Ad avviso della difesa, tale termine non avrebbe dovuto essere preso in considerazione in quanto all'atto della richiesta di sospensione del processo (7 giugno 2012), il termine di legge previsto il rilascio della concessione in sanatoria, di cui all'art. 36, l. 47 del 1985 (oggi d.P.R.380/2001, art. 45) era ormai scaduto, sicché, tuttalpiù, si sarebbe potuto tenere conto, in ordine alla sospensione, del termine massimo di giorni 120, che non avrebbe comunque impedito la invocata declaratoria di prescrizione.

Con il secondo motivo, la difesa lamentava l'inosservanza della legge penale e il difetto di motivazione sotto il profilo della manifesta illogicità, in quanto le condotte contestate nell'imputazione non rientravano nel concetto di opere edilizie di completamento, suscettibili del rilascio di concessione edilizia, ma si trattava, piuttosto, di interventi di minore entità, non rientranti nel concetto di ristrutturazione. Quanto alla edificazione del porticato, esso doveva ritenersi sottratto al regime concessorio, trattandosi di pertinenza. Inoltre, sempre secondo la difesa, essendo rimasti inalterati la sagoma, il volume e la superficie complessivi dell'edificio oggetto di intervento, non sussisteva alcuna violazione della legge urbanistica nei termini ritenuti dalla Corte, in quanto le varie modifiche avvenute all'interno della costruzione interessavano una diversa disposizione dei locali adibiti ad unità abitativa o a box, senza alcuna trasformazione urbanistica idonea ad incidere sul c.d. carico urbanistico.

Infine, con il terzo motivo, il ricorrente, ricollegandosi alle deduzioni formulate in precedenza, lamentava l'inosservanza di legge, ex art. 192 c.p.p., e la manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla errata e poco congruente valutazione dei dati probatori utilizzati per la conferma del giudizio di condanna dell'imputato.

La questione. Da un punto di vista giuridico la questione sottoposta alla suprema Corte concerne l'erronea applicazione della legge penale in relazione alla mancata declaratoria della prescrizione da parte del giudice di appello ed all'erroneo computo del periodo di sospensione del processo.

La difesa, a sostegno della propria tesi richiama la sentenza Gambino (Cass. pen., 13 luglio 2006, n. 40434), nella quale è stato affermato il principio secondo cui non è possibile tenere conto delle sospensioni disposte ai sensi dell'art. 44 della legge fondamentale urbanistica 47/1985, in applicazione della regola fissata delle Sezioni unite con la sentenza del 24 novembre 1999, n. 22, Sadini. Con tale ultima decisione, in particolare, le Sezioni unite avevano affermato, che nel caso in cui non ricorrano i presupposti temporali per il condono edilizio (si trattava del c.d. mini condono previsto dalla l. 724/1994) non solo non può essere applicata la sanatoria ma neppure può ritenersi la sospensione del procedimento penale (con le ovvie conseguenze con riguardo alla prescrizione del reato) e ciò indipendentemente dal fatto che il giudice abbia disposto o negato la sospensione del procedimento, dovendosi nel primo caso ritenere la sospensione inesistente.

Con la richiamata sentenza Gambino del 2006, la stessa terza Sezione della Cassazione, che ha rimesso la questione in esame alle Sezioni unite, annullava senza rinvio la sentenza del tribunale a seguito di intervenuta prescrizione in relazione al solo reato sismico, di cui agli artt.17, 18 e 20, l. 64 /1974 (oggi d.P.R. 380/2001, artt. 93, 94 e 95), lasciando ferma, invece, la condanna per il reato urbanistico propriamente detto, previsto dall'art. 163 della d.lgs. 490/1999, trattandosi di violazione edilizia insuscettibile di usufruire del condono edilizio, perché commessa in una zona vincolata.

Tale orientamento, in forza del quale una eventuale sospensione del processo concessa senza che ricorrano le condizioni per l'ottenimento della concessione in sanatoria ex art. 44, l. 47/1985, ovvero del condono edilizio ex art. 32, d.l. 269/2003, deve considerarsi tamquam non esset, con conseguente maturazione del termine prescrizionale dopo la scadenza del termine massimo quinquennale, ex art. 157 c.p., ha trovato ulteriori applicazioni in altre pronunce sempre della terza Sezione della Cassazione.

Sulla scorta di tale interpretazione si è così ritenuto che la sospensione del processo in pendenza di procedimento di sanatoria disposta d'ufficio non può oltrepassare il termine di 60 giorni, termine di durata massima del relativo del procedimento, alla scadenza del quale si perfeziona il silenzio-rifiuto dell'amministrazione. Si è, inoltre, sostenuto, come corollario, che gli ulteriori rinvii del procedimento devono essere ritenuti irrilevanti ai fini della sospensione della prescrizione, a meno che non siano stati disposti sulla base di apposita richiesta difensiva. Ciò in quanto trova applicazione il disposto di cui all'art. 159, n. 3c.p. come modificato dalla l. 251/2005, a norma del quale il corso della prescrizione rimane sospeso nella ipotesi di sospensione del procedimento o del processo penale su richiesta dell'imputato o del suo difensore. Si tratta, per giurisprudenza consolidata (Cass. pen., Sez. III, 27 aprile 2011, n. 45968; Cass. pen., 6 giugno 2012, n. 28166), di una sospensione del corso della prescrizione che ha la stessa durata della sospensione del processo, a differenza della sospensione per impedimento delle parte dei difensori che può essere, invece, computata per un massimo di 60 giorni. Il previgente art. 159 c.p., invece, non includeva tra le cause di sospensione la richiesta dell'imputato o del difensore, limitandosi a disporre sul punto che il corso della prescrizione rimane sospeso nei casi di autorizzazione a procedere o di questione deferita ad altro giudizio, e in ogni caso in cui la sospensione del procedimento penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge. Proprio in considerazione di tale previgente formulazione la terza Sezione della Cassazione aveva affermato i principi enunciati in tema di irrilevanza dell'eventuale periodo di sospensione, ai fini del computo dei termini di prescrizione del reato.

Premesso ciò, secondo un primo orientamento, la regola interpretativa enunciata applicata anche alla sanatoria, ex art. 36, d.P.R. 380/2001, aveva fatto sì che si affermasse il principio che il differimento del procedimento penale determinato esclusivamente dalla pendenza di un procedimento di sanatoria fosse illegittimo se eccedente il tempo fissato dalla legge per la definizione di quest'ultimo, con la conseguente illegittimità dell'ordinanza di sospensione dei termini di prescrizione per un tempo superiore alla durata della procedura amministrativa (Cass. pen., Sez. fer., 9 agosto 2013, n. 34938). Si rilevava, infatti, che la sospensione del procedimento penale per violazioni edilizie è limitata al termine di 60 giorni dalla data del deposito della domanda di concessione in sanatoria, in quanto riguarda i tempi necessari per la definizione della procedura amministrativa, la quale, consumato detto termine senza che la domanda sia stata accolta, si intende esaurita per silenzio rifiuto (Cass. pen., Sez. III, 18 febbraio 2004, n. 16706). A ciò si fa conseguire che il rinvio del dibattimento nel processo per reato edilizio, determinato esclusivamente dalla pendenza di richiesta di permesso in sanatoria, non determina la sospensione del termine di prescrizione del reato, laddove il procedimento in sanatoria risulti già definito con il silenzio-rifiuto del competente ufficio comunale protrattosi per 60 giorni dalla data di presentazione della domanda.

Con la stessa pronuncia n. 34938/2013 si è, inoltre, affermato che, pur considerando la diversità esistente tra l'istituto della sospensione del corso della prescrizione nel procedimento penale, ai sensi dell'art. 159, comma 1, n. 3, c.p., su richiesta di mero rinvio dell'imputato o del suo difensore e la sospensione dell'azione penale fino all'esaurimento del procedimento amministrativo di sanatoria edilizia, se il differimento dell'udienza disposto dal giudice viene giustificato con esclusivo riferimento alla pendenza del procedimento amministrativo di sanatoria, esso non può prescindere dal termine di 60 giorni per la definizione di quest'ultimo.

Di recente, però, si è affermato un secondo orientamento, sempre nell'ambito della terza Sezione penale della Corte di cassazione, che ritiene ammissibile la sospensione del processo nel caso di intervenuta presentazione della domanda di concessione in sanatoria, ai sensi degli artt. 13 e 22 della l. 47/1985, (oggi d.P.R. 380/2001, artt. 36 e 45), se non seguita da un provvedimento positivo della P.A., ritenendo applicabile in simili ipotesi il disposto di cui all'art. 159, comma 1, n. 3, c.p. che prevede la sospensione della prescrizione ad istanza di parte, ricollegandola alla necessità di attendere il rilascio del provvedimento autorizzatorio (Cass. pen., Sez. III, 28 maggio 2014, n. 41349, Zappalorti ed altro). Con tale decisione è stato, in particolare, affermato, sulla scorta, peraltro, di quanto già sottolineato dalle Sezioni unite con sentenza del 28 novembre 2001, n. 1021) in riferimento alla disciplina della prescrizione e con argomentazione capace di anticipare l'assetto successivamente dato all'art. 159 dal legislatore del 2005 attraverso l'enucleazione delle specifiche ipotesi ivi collocate che il processo penale vive prevalentemente delle iniziative non solo istruttorie delle parti anche private, che hanno il potere di contribuire autonomamente a determinare tempi, modalità e contenuti delle attività processuali. Quale corollario di ciò è stato osservato che le parti non hanno più solo poteri limitativi dell'autorità del giudice ma condividono con lo stesso la responsabilità dell'andamento del processo e, di conseguenza, devono assumere su di se gli oneri connessi all'esercizio dei loro poteri. Tale responsabilità comporta, pertanto, l'incongruità di una interpretazione della norma che consenta alla stessa parte che ha chiesto ed ottenuto il rinvio della udienza, pur in mancanza dei presupposti legittimanti, di lamentare la correlata considerazione della sospensione della prescrizione derivante proprio da tale rinvio. E ciò in particolare, laddove, appunto, la sospensione sia adottata in vista delle esigenze della parte istante.

In linea con questo ragionamento è stato sostenuto, pertanto, che il provvedimento di rinvio del processo per esigenze proprie della parte richiedente dà luogo, in ogni caso, a sospensione della prescrizione per l'intera durata del rinvio ex art. 159 c.p., indipendentemente dalle ragioni che la stessa parte ha posto a fondamento della richiesta, con l'ovvia esclusione del caso in cui tali ragioni consistano nell'impedimento della parte o del difensore, unico caso nel quale l'art. 159, n. 3, c.p. limita la sospensione della prescrizione ad un massimo di 60 giorni.

Nel caso sottoposto all'esame del Collegio la situazione prospettata dalla difesa del ricorrente è assimilabile a quella esaminata con la n. 41349/2014 (cui si aggiunge la menzionata sentenza Cass. pen., n. 26409/2013 non massimata sul punto), in quanto la sospensione disposta dal giudice di primo grado attiene ad una precedente domanda di rilascio della concessione in sanatoria inoltrata ai sensi dell'art. 13, l. n. 47/1985, (oggi d.P.R. 380/2001, art. 36), conseguente all'accertamento di conformità, successivamente non accolta.

In questo caso non si tratta, quindi, né di sospensione "automatica" (l. 47/1985, ex art. 44), né di sospensione obbligatoria (ex art. 38 della stessa legge), ma di sospensione disciplinata dalla l. n. 47/1985, all'art. 22, sottratta al regime previsto dalla l. 724 del 1994, art. 39. In forza della quale l'azione penale rimane sospesa fino all'esaurimento dell'iter per l'ottenimento della sanatoria.

Ne consegue che nel caso di richiesta da parte dell'imputato del rilascio di una concessione in sanatoria previo accertamento di conformità, il giudice può accogliere, o anche disporre di ufficio, la domanda di sospensione inizialmente per un tempo non superiore a 60 giorni (termine entro il quale l'autorità amministrativa deve provvedere sull'istanza e che se decorso senza nessun provvedimento fa intendere rigettata la richiesta), superato il quale, le eventuali ulteriori istanze di rinvio richieste dall'imputato in attesa della definizione dell'iter amministrativo dovrebbero essere respinte. Ma ove disposte, esse dovrebbero rientrare nel novero della sospensione del corso della prescrizione ex art. 159 c.p. per effetto di una istanza avanzata dall'imputato.

Diverso, quindi, il criterio informatore cui si ispira la sospensione del processo in materia di reati urbanistici, la quale in tanto potrà essere applicata in quanto l'opera edilizia risulti astrattamente sanabile o condonabile, previa valutazione preventiva da parte del giudice, ovvero ex post (nel qual caso, una volta accertato da parte del giudice, nel corso del processo di merito, che il rilascio della concessione edilizia è stato negato o non poteva essere disposto, considererà tamquam non esset la sospensione medio tempore disposta, con inevitabili conseguenze sul corso della prescrizione).

Nel caso, invece, ricadente sotto il paradigma della l. 47 del 1985, art. 13, trattandosi di sospensione del processo accordata su richiesta dell'imputato, anche laddove la domanda amministrativa non dovesse essere accolta in esito all'iter della procedura azionata dal privato, la sospensione del processo penale opererebbe sempre e di essa si deve tenere conto ai fini del computo del termine prescrizionale, proprio perché conseguente ad una istanza difensiva che prescinde dal giudizio preventivo da parte del giudice sulla assentibilità dell'opera.

Se così è, vi è un contrasto interpretativo circa la estensibilità anche alla disciplina prevista dal combinato disposto degli artt. 13 e 22, l. 47/1985 delle regole riguardanti gli effetti della sospensione del processo sulla prescrizione laddove si verta in ipotesi disciplinate della l. 47/1985, artt. 44 e 38, ovvero dalla l. 724/1994, art. 39, e dalla l. 326/2003, art. 32, nel senso che la regola generale secondo la quale in caso di inaccoglibilità della sanatoria non può ritenersi la sospensione del procedimento penale (con le ovvie conseguenze in termini di prescrizione del reato), e ciò indipendentemente dal fatto che il giudice abbia disposto o negato la sospensione del procedimento, dovendosi nel primo caso ritenere la sospensione inesistente, varrebbe anche per quei casi nei quali le istanze di rinvio, presentate dall'imputato e rivolte ad ottenere la sospensione del processo in attesa del rilascio del provvedimento amministrativo ai sensi della l. n. 47/1985, art. 13 (oggi art. 36 d.P.R. 380/2001), siano state accolte dal giudice, laddove, invece, dovrebbe trovare applicazione, in tale ipotesi, l'art. 159 c.p., par. 3, c.p. che lega la sospensione del processo ad una apposita istanza difensiva.

2.

All'udienza 26 novembre 2015, la terza Sezione penale della Corte di cassazione (ord. n. 49652) ha rimesso alle Sezioni unite la decisione della seguente questione oggetto di contrasto giurisprudenziale:

se il periodo di sospensione disposto dal giudice nelle ipotesi di presentazione di istanza per la concessione in sanatoria ai sensi della l. 47 del 1985, art. 13, debba o meno, essere considerato in tutto o in parte ai fini del computo dei termini di prescrizione del reato edilizio, e se, in caso di successive istanze di rinvio del processo dinnanzi al giudice penale ed all'esito negativo della domanda amministrativa di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, si applichino, o meno, le disposizioni previste dall'art. 159, comma 1, par. 3, c.p. per effetto di richieste di rinvio su istanze del privato.

3.

Il primo Presidente della Corte suprema di Cassazione ha assegnato alle Sezioni unite, fissando per la trattazione l'udienza del 31 marzo 2016, un ricorso avente ad oggetto la seguente questione controversa:

se il periodo di sospensione disposto dal giudice nelle ipotesi di presentazione di istanza per la concessione in sanatoria ai sensi della l. 47 del 1985, art. 13, debba o meno, essere considerato in tutto o in parte ai fini del computo dei termini di prescrizione del reato edilizio, e se, in caso di successive istanze di rinvio del processo dinnanzi al giudice penale ed all'esito negativo della domanda amministrativa di rilascio della concessione edilizia in sanatoria, si applichino, o meno, le disposizioni previste dall'art. 159, comma 1, par. 3, c.p. per effetto di richieste di rinvio su istanze del privato.

4.

All'udienza del 31 marzo 2016, le Sezioni unite penali hanno deciso che:

La sospensione del processo, prevista nel caso di presentazione dell'istanza di “accertamento di conformità” ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 (già art. 13 legge n. 47 del 1985), deve essere considerata ai fini del computo dei termini di prescrizione del reato edilizio. Inoltre, in caso di sospensione del processo disposta su richiesta dell'imputato o del suo difensore oltre il termine previsto per la formazione del silenzio-rifiuto ex art. 36 d.P.R. cit., opera la sospensione del corso della prescrizione a norma dell'art. 159, comma 1, n. 3, c.p.

5.

Nella sentenza n. 15427, depositata il 13 aprile 2016, le Sezioni unite rigettano il ricorso proposto dal ricorrente e affermano che la sospensione del processo, prevista nel caso di presentazione dell'istanza di "accertamento di conformità" ex art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 (già art. 13 legge n. 47 del 1985), deve essere considerata ai fini del computo dei termini di prescrizione del reato edilizio. Inoltre, in caso di sospensione del processo disposta su richiesta dell'imputato o del suo difensore oltre il termine previsto per la formulazione del silenzio-rifiuto ex art. 36 d.P.R. citato, opera la sospensione del corso della prescrizione a norma dell'art. 159, comma 1, n. 3, c.p.

La suprema Corte fonda tale decisione richiamando in via preliminare la differenza fra la disciplina del condono edilizio, di cui alle leggi nn. 47/1985, 724/1994 e 326/2003, e quella della sanatoria conseguente all'accertamento di conformità, ex art. 36 Tu dell'edilizia.

In breve, il condono edilizio, secondo la disciplina dettata dalle tre leggi menzionate, si caratterizza per un'efficacia limitata nel tempo, in quanto funzionale a regolarizzare abusi edilizi realizzati entro un arco temporale individuato normativamente. L'effetto estintivo ad esso ricollegato consegue al pagamento di una congrua oblazione.

La sanatoria di cui agli artt. 36 e 45 d.P.R. 380/2001 opera, invece, con la finalità di recuperare gli interventi abusivi previo accertamento della conformità degli stessi agli strumenti urbanistici generali e di attuazione, nonché alla verifica della sussistenza di altri requisiti di legge individuati.

In forza della prima norma citata, sulla richiesta di sanatoria il dirigente o il responsabile dell'ufficio comunale competente deve pronunciarsi, motivando, entro 60 giorni. Trascorso inutilmente tale termine la domanda si intende respinta. Ai sensi dell'art. 45 il rilascio della sanatoria estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, con esclusione di altri reati eventualmente concorrenti.

Si tratta evidentemente di istituti differenti per finalità e ambito di applicazione; tuttavia, entrambe le procedure presuppongono periodi di sospensione che assumono rilievo al fine del computo massimo di prescrizione del reato.

In relazione al condono edilizio sono state previste due distinte cause di sospensione del processo:

  • ex art. 44, l. 47/1985, c.d. automatica, in quanto applicabile a tutti i procedimenti in cui risulti contestato un reato urbanistico o commessa una violazione di detta normativa, indipendentemente dalla presentazione di una domanda di condono, e quantificata in 223 giorni;
  • ex art. 38 l. 47/1985, indicata come obbligatoria ma subordinata all'accertamento di alcuni presupposti, la quale non può superare i 2 anni.

A partire dalla sentenza Sadini (Cass. pen., Sez. Un., 24 novembre 1999, n. 22), citata tanto nell'ordinanza di rimessione quanto nella motivazione in esame, l'applicabilità in concreto di dette sospensioni viene esclusa con riguardo ai reati la cui consumazione risulta proseguita dopo il 31 dicembre 1993, data individuata (dalla l. 724/1994) quale termine ultimo per il completamento delle opere e per la condonabilità. Nella stessa sentenza si precisa che tale data è un presupposto per la condonabilità e per la sospensione dei procedimenti penali; la sua inesistenza impedisce, pertanto, sia il condono che la sospensione.

Dalla menzionata sentenza Sadini si ricava, inoltre, l'ulteriore principio generale secondo cui il giudice deve, già prima di sospendere il processo in forza dell'art. 44 citato, procedere ad un controllo in ordine alla sussistenza dei requisiti richiesti per la concedibilità in astratto del condono, per evitare allungamenti inutili del processo.

Per elaborazione giurisprudenziale, l'ambito di controllo relativo alle condizioni legittimanti l'accesso alla procedura deve attenere, fra gli altri, alla data di esecuzione delle opere; allo stato di ultimazione delle stesse secondo la nozione fornita dall'art. 31 della legge del 1985 cit. e al rispetto dei limiti volumetrici.

Per ciò che riguarda, invece, il diverso istituto della sanatoria conseguente ad accertamento di conformità, già l'art. 45, comma 1, d.P.R. 380/2001, stabilisce che l'azione penale relativa alle variazione edilizie rimane sospesa finché non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria di cui all'art. 36. Sulla richiesta di sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale deve pronunciarsi entro 60 giorni dalla presentazione della domanda, poiché, decorso tale termine, la stessa si intende rifiutata.

Tale evenienza, peraltro, configura, per orientamento dominante, un'ipotesi di silenzio-rifiuto. Tuttavia, con il suo verificarsi l'Amministrazione non perde il potere di provvedere.

Il provvedimento con il quale il giudice dispone la sospensione richiede, peraltro, il previo accertamento della effettiva sussistenza dei presupposti necessari per il conseguimento della sanatoria e la mancata sospensione non determina alcuna nullità.

La sospensione non opera con riferimento ai reati esclusi dagli effetti estintivi determinati dal rilascio della concessione in sanatoria, a differenza di quanto previsto in materia di condono.

Il richiamo effettuato dall'art. 45 all'art. 36 dello stesso d.P.R., il quale prevede il termine di 60 giorni entro il quale chi di dovere deve pronunciarsi sulla domanda di sanatoria, limita la durata della sospensione a tale lasso di tempo.

Proprio l'incidenza della sospensione connessa alla presentazione dell'istanza di accertamento di conformità sul computo del termine di prescrizione del reato edilizio ha costituto l'oggetto della ordinanza di rimessione alle Sezioni unite. Sul punto, infatti, si erano formati due diversi orientamenti, ripercorsi dalla sentenza in esame.

In particolare, secondo una prima pronuncia (Cass. pen., Sez. fer., 9 agosto 2013, n. 34938), sarebbe illegittimità l'ordinanza di sospensione dei termini di prescrizione per un tempo superiore alla durata della procedura amministrativa per la definizione della sanatoria e il conseguente differimento del processo penale, disposto su richiesta della difesa. Tale sospensione è, infatti, considerata in contrasto con il disposto degli artt. 36 e 45 d.P.R. e con il termine massimo di 60 giorni previsto per la definizione del procedimento finalizzato al rilascio del titolo sanante.

A tale indirizzo si è poi contrapposta la decisione Zappalorti (Cass. pen., Sez. III, 28 maggio 2014, n. 41349), nella quale, in presenza di un rinvio disposto su richiesta della difesa e giustificato dalla pendenza del procedimento amministrativo, successivamente non perfezionatasi, di sanatoria edilizia di un immobile abusivo, l'operatività della sospensione ai fini del computo dei termini di prescrizione è stata estesa per l'intera durata del differimento. Nella pronuncia si ritiene incongrua una interpretazione della norma che consenta alla stessa parte che ha chiesto ed ottenuto il rinvio dell'udienza, pur in mancanza dei presupposti legittimanti, di lamentare la considerazione della sospensione della prescrizione derivante proprio da tale rinvio.

Tale secondo indirizzo interpretativo è quello accolto dalle Sezioni unite.

Invero, secondo la suprema Corte, il primo indirizzo, pur partendo dal corretto presupposto che la sospensione ex lege del procedimento, in pendenza della domanda di sanatoria è limitato a soli 60 giorni, giunge a conclusioni errate laddove sembra fondare l'illegittimità del differimento oltre il sessantesimo giorno sul presupposto che la decorrenza di detto termine comporti il silenzio-rigetto, considerando, quindi ogni ulteriore rinvio, anche se espressamente richiesto, come ingiustificato.

Tale affermazione, non tiene conto, però, del fatto che, decorso tale termine l'Amministrazione competente non perde il potere di rilasciare comunque, in presenza dei presupposti di legge, il permesso di costruire in sanatoria, cosicché una eventuale richiesta di rinvio in previsione dell'accoglimento della domanda già presentata risulterebbe giustificato, anche in vista degli effetti vantaggiosi per l'imputato conseguenti al rilascio del titolo abilitativo.

Tale soluzione finisce per configurare la singolare situazione per cui, per evitare il decorso dei termini di prescrizione, il giudice si troverebbe costretto a proseguire comunque nella trattazione del processo, anche in presenza di una richiesta sospensiva della parte.

Nella pratica, infatti, si verificava che le continue richieste di rinvio avanzate in sede penale dagli imputati, nell'attesa del completamento del relativo procedimento amministrativo pendente, determinavano sistematicamente la prescrizione del reato edilizio, stante il costante superamento del termine di 60 giorni anzidetto da parte dell'Amministrazione al fine di rilasciare il titolo sanante.

Devono, pertanto, tenersi distinte l'ipotesi di sospensione ex artt. 36 e 45 d.P.R. 380/2001 e quella conseguente al rinvio su istanza di parte.

Nel primo caso vanno, infatti, applicati i principi anzidetti sviluppati per il condono e per la sanatoria per accertamento di conformità, i quali presuppongono la previa verifica, da parte del giudice, della oggettiva sussistenza dei presupposti di legge. Per contro, invece, avranno sempre effetto sospensivo del corso della sospensione i rinvii disposti in accoglimento di una richiesta dell'imputato o del suo difensore, secondo quanto stabilito nella citata sentenza Zappalorti.

Tale ultima pronuncia ricorda, peraltro, come la giurisprudenza formatasi sul tema teneva conto di quanto stabilito dalla norma di cui all'art. 159 c.p. prima della modifica operata dalla l. 251/2005, la quale è stata sempre interpretata nel senso che il rinvio dell'udienza, accordato su richiesta del difensore, determina la sospensione dei termini di prescrizione del reato.

Alla luce di quanto esposto, quindi, la Corte, in relazione al caso di specie, correttamente ritiene infondato il primo motivo, poiché dagli atti del processo risulta che i rinvii effettuati nel corso del procedimento in causa erano stati sollecitati esclusivamente dalla difesa; degli stessi, pertanto, avrebbe dovuto tenere conto la Corte territoriale, come giustamente ha fatto, escludendo la prescrizione del reato.

I due successivi motivi di ricorso non risultano fondati, invece, perché le opere descritte nel capo di imputazione, necessitavano, per essere eseguite, del preventivo rilascio di costruire, trattandosi, nel caso di specie, di un intervento edilizio che deve essere considerato unitariamente, come correttamente ha fatto dalla Corte territoriale. Infatti, una disamina delle singole opere, al fine di sostenere la soggezione delle stesse ad un diverso regime autorizzatorio, si pone in contrasto con il principio, più volte affermato, secondo cui il regime dei titoli abilitativi edilizi non può essere eluso attraverso la suddivisione dell'attività edificatoria finale nelle singole opere che concorrono a realizzarla, e che risultano astrattamente suscettibili di forme di controllo preventivo più limitate, per la loro più modesta incisività sull'assetto territoriale.

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