La nozione di privata dimora nella giurisprudenza di legittimità

Donatella Perna
28 Marzo 2017

Con l'ordinanza n. 652 del 19 dicembre 2016, depositata il 9 gennaio 2017, la quinta Sezione della suprema Corte rileva l'esistenza di un contrasto ...
1.

La nozione di privata dimora nella giurisprudenza di legittimità è da sempre oggetto di contrasto: ora intesa in senso restrittivo, ovvero limitata al luogo del quale si ha il godimento esclusivo e dal quale si ha quindi diritto di escludere chiunque altro; ora intesa in senso più ampio, come luogo non pubblico, all'interno del quale le persone possono trattenersi anche in maniera transitoria e contingente, per svolgere atti della propria vita privata.

Con la sentenza n. 30419 del 16 marzo 2016, emessa nell'ambito di un procedimento per rapine consumate all'interno dei saloni di ricezione della clientela di alcuni sportelli bancari, la seconda sezione della suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dal procuratore generale presso la Corte d'appello, il quale aveva contestato la mancata applicazione da parte dei giudici di merito dell'aggravante prevista dall'art. 628, comma 3, n. 3-bis c.p., osservando che la nozione di privata dimora – secondo il prevalente orientamento dei giudici di legittimità – non è limitata all'abitazione ma è ben più ampia, e comprende ogni luogo in cui le persone si trattengono per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della propria vita privata.

In effetti, tale ampia nozione di domicilio è alla base di molte pronunce, anche recenti, della suprema Corte: si è ad es. ritenuto che commette il reato di furto in abitazione (art. 624-bis c.p., cui l'art. 628, comma 3, n. 3-bisc.p. fa esplicito rinvio) chi si introduce durante l'orario di chiusura in un bar (Cass. pen., Sez. V, n. 428/2016) o in un ristorante (Cass.pen.,Sez. II, n. 24763/2015; Cass.pen., Sez. IV, n. 32232/2009) o in un'edicola di giornali, e in genere in ogni pubblico esercizio in cui, interrotto ogni rapporto con l'esterno, il proprietario svolga un'attività lavorativa, sia pure inerente alla gestione del locale stesso (Cass. pen., Sez. V, n. 7293/2015).

La suprema Corte si è spinta anche oltre, ritenendo che – a prescindere dalla circostanza che al momento del fatto i locali siano o meno aperti al pubblico – costituisce privata dimora ogni luogo in cui il gestore compie, ancorché in maniera transitoria e contingente, atti della vita privata, coincidendo detto luogo con quello ove la persona offesa trascorre buona parte della sua giornata, coincidente con l'orario lavorativo (Cass. pen., Sez. V, n. 6210/2016).

Così, si è ritenuta sussistente l'aggravante ex art. 628, comma 3, n. 3-bis c.p. nel caso di rapina all'interno di un supermercato durante l'orario di apertura, poiché tale luogo è adibito dai dipendenti anche per atti della loro vita privata, seppur in modo transitorio e contingente (Cass. pen., Sez. II, n. 24761/2015); o l'ipotesi ex art. 624-bis c.p. nel caso di furto all'interno di una tabaccheria (Cass. pen.,Sez. V, n. 32026/2014); o di furto all'interno di un negozio (Cass. pen., Sez. V, n. 43089/2007); o, ancora, di furto del denaro contenuto in una cassetta per la raccolta di elemosina, posta all'esterno di un edificio di culto, poiché luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora è qualsiasi luogo nel quale le persone si trattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata, comprese le parti accessorie di un edificio (Cass. pen., Sez. V, n. 7266/2015).

Alla stregua del principio sopra enunciato, si è affermato che costituiscono luogo di privata dimora lo spogliatoio di un circolo sportivo (Cass. pen., Sez. V, n. 12180/2015), quello di un cantiere edile (Cass.pen., Sez. V, n. 32093/2010) e lo stesso cantiere edile, ancorché allestito nel cortile disabitato di un immobile in fase di ristrutturazione (Cass.pen., Sez. V, n. 2768/2015): ciò in quanto l'ipotesi di reato delineata dall'art. 624-bis c.p. (introdotto dall'art. 2, l. 128/2001) in tema di furto in abitazione, ha espressamente ampliato la portata della nozione di privata dimora, in modo da ricomprendervi tutti quei luoghi nei quali le persone si trattengono per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della loro vita privata: studi professionali, stabilimenti industriali, esercizi commerciali.

Si è osservato che tra gli elementi innovativi della fattispecie è stata inserita l'indicazione del locus nel quale è necessario che l'agente si introduca al fine della commissione del reato, nel senso che la formulazione previgente incentrata sul luogo destinato ad abitazione è stata sostituita dal riferimento all'edificio, o ad altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora ed alle pertinenze di essa (come il garage, Cass. pen., Sez. II, n. 22937/2012; o il cortile condominiale, Cass. pen., Sez. VII, n. 3959/2012). In altri termini, il Legislatore, consapevole dell'orientamento giurisprudenziale incline ad una interpretazione estensiva del concetto di abitazione, ne ha esteso la portata, allineandola, sotto questo profilo, a quella propria del delitto di violazione di domicilio di cui all'art. 614 c.p. (Cass. pen., Sez. V, n. 2768/2014).

A tale indirizzo, che può dirsi maggioritario, se ne contrappone storicamente un altro, per il quale la nozione di privata dimora va intesa in senso ben più restrittivo.

Così Cass.pen., Sez. II, n. 39134/2012, pur mostrandosi consapevole che la nuova formulazione dell'art. 624-bis c.p. ha innovato la nozione di abitazione di cui al previgente art. 625, comma 1, n. 1 c.p., introducendo il concetto di privata dimora e recependo in parte i risultati della precedente elaborazione giurisprudenziale, ha ritenuto non configurabile tale fattispecie in relazione a condotte furtive poste in essere all'interno di un pubblico esercizio o di un negozio durante l'orario di apertura, e nella parte concretamente aperta al pubblico.

Ciò in quanto in tali casi: si è fuori dalla ratio della norma in questione, che vuole assicurare particolare protezione ai luoghi nei quali si compiano, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata. Nella sottrazione di una cosa da parte di un avventore presente in orario di apertura in un negozio o in un pubblico esercizio, sia la condotta illecita (non rivolta, fra l'altro, in danno di chi ivi svolge la propria attività lavorativa), sia la introduzione dell'autore del fatto, afferiscono a luogo aperto al pubblico e non ne coinvolgono in alcun modo la potenziale dimensione privata.

Nel medesimo senso anche Cass. pen., Sez. VI, n. 18200/2012, nell'ipotesi di furto in un negozio; e Cass. pen., Sez. VI n. 1707/2012, pronunciandosi sulla utilizzabilità dei risultati delle videoregistrazioni effettuate in un bar e in una cornetteria, ha affermato che tali luoghi non rientrano nella nozione di privata dimora.

La sentenza qui in commento tenta una composizione tra i due orientamenti, cercando di individuare un criterio soddisfacente, che consenta di distinguere in modo puntuale e preciso i luoghi assimilabili a privata dimora da quelli che non lo sono: distinzione di non poco conto, considerate le rilevanti conseguenze in materia di procedibilità e trattamento sanzionatorio che ne possono derivare.

I giudici sanno bene che il concetto di privata dimora accolto dalla prevalente giurisprudenza di legittimità è particolarmente ampio e ricomprende anche luoghi privati aperti al pubblico, quali esercizi commerciali e luoghi di ristoro, in quanto spazi ove le persone si trattengono per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della propria vita privata; e tuttavia, si propongono di definire la nozione di privata dimora sulla base di un parametro diverso, già enunciato dalle Sezioni unite nella sentenza n. 26795/2006 in materia di intercettazioni telefoniche, secondo cui il concetto di privata dimora è caratterizzato da tre elementi: 1) l'esprimere un rapporto stabile tra una persona e un luogo, generalmente chiuso, in cui si svolge la vita privata; 2) la possibilità di sottrarre il soggetto alle ingerenze esterne e di garantirgli la riservatezza (ius excludendi alios; 3) il fatto che la tutela del rapporto tra persona e luogo si estenda anche quando il soggetto sia assente.

Sulla scorta di tale criterio discretivo, si afferma che – sebbene l'attività lavorativa o professionale possa rientrare nel concetto di vita privata – laddove il soggetto non possa esercitare lo ius excludendi aliose non sia sottratto ad ingerenze esterne, non sarà configurabile la responsabilità aggravata connessa alla violazione dei c.d. luoghi di privata dimora.

Al contrario, anche nel caso di edifici aperti al pubblico in cui l'esercizio dello ius excludendi non sia materialmente ipotizzabile, permarrà la tutela rafforzata penale allorché vengano in considerazione spazi in cui l'accesso non è generalizzato ma limitato, a tutela di un più generale diritto alla riservatezza funzionale allo svolgimento di attività complementari, come ad es. nel caso di spogliatoi, camerini di prova di negozi, abitazioni comunicanti con esercizi commerciali.

Da ciò consegue che non è configurabile la responsabilità aggravata in parola a tutela di una persona giuridica, o in relazione alle persone fisiche dei dipendenti, con riferimento a luoghi – come i saloni di ricezione della clientela degli istituti bancari – in cui non è ipotizzabile lo ius excludendi alios a difesa del più generale diritto alla riservatezza nel senso fin qui descritto.

L'orientamento suesposto è stato ribadito anche da Cass. pen., Sez. II, n. 20200/2016, secondo cui non può considerarsi privata dimora lo spazio antistante gli sportelli all'interno dell'ufficio postale, cui chiunque può accedere liberamente, a differenza dell'area degli uffici in cui il pubblico non può accedere senza autorizzazione, poiché è il divieto di accesso che consente di attribuire all'ambiente le caratteristiche di privata dimora.

Allo stesso modo, non integra il delitto di furto in luogo di privata dimora la condotta di colui che sottragga del danaro dalla cassetta delle elemosine custodita non all'interno della sagrestia ma nella zona della chiesa destinata al culto, atteso che quest'ultima non può considerarsi in alcun modo una privata dimora, trattandosi di luogo frequentato da un numero indeterminato di persone e non destinato allo svolgimento di atti della vita privata (Cass. pen., Sez. V, n. 23641/2016).

Un'ulteriore applicazione del principio in parola si rinviene in Cass.pen., Sez. IV, n. 12256/2016, secondo cui la qualificazione del locus commisssi delicti come privata dimora implica che il giudice accerti la concreta possibilità della presenza nel luogo di persone intente, anche in via occasionale, allo svolgimento di attività connesse alla vita privata, sia pure di tipo lavorativo: ne deriva che la responsabilità aggravata connessa alla violazione dei c.d. luoghi di privata dimora non sussiste nel caso del tentato furto commesso in orario notturno all'interno di un capannone industriale, laddove sia stato omesso l'accertamento sulla natura dell'attività che si svolgeva al suo interno, e sulla concreta possibilità che vi si trattenesse qualcuno anche in quell'orario, avuto riguardo alla frequenza e agli orari di presenza dei dipendenti e di altri soggetti.

A ben vedere, il criterio discretivo in questione non è per nulla nuovo nel panorama giurisprudenziale italiano.

Già Cass. pen., Sez. I, n. 32851/2008, sebbene in materia di ammissibilità ed utilizzabilità delle intercettazioni tra presenti ex art. 266, comma2, c.p.p., aveva affermato che la cella e gli ambienti penitenziari non sono luoghi di privata dimora, poiché non sono nel possesso dei detenuti, ai quali non compete alcuno ius excludendi alios, atteso che tali ambienti si trovano nella piena e completa disponibilità dell'amministrazione penitenziaria, che può farne uso in ogni momento per qualsiasi esigenza d'istituto.

E Cass. pen., Sez. IV, n. 40245/2008, in tema di furto in sagrestia, secondo la quale integra il delitto di furto in abitazione la condotta di colui che sottragga del danaro dal cestino delle offerte custodito in una sagrestia, poiché tale locale, in quanto funzionale allo svolgimento di attività complementari a quelle di culto, serve non solo l'edificio sacro ma anche la casa canonica, e dunque deve ritenersi luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora, trattandosi di luogo in cui l'ingresso può essere selezionato a iniziativa di chi ne abbia la disponibilità.

Guida all'approfondimento

APRILE, sub art. 624-bis in Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, diretta da G. LATTANZI-E. LUPO, VIII, Agg. 2016.

2.

Con l'ordinanza n. 652 del 19 dicembre 2016, depositata il 9 gennaio 2017, la quinta Sezione della suprema Corte rileva l'esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, meritevole di essere sottoposto all'attenzione delle Sezioni unite, in relazione alla configurabilità del reato di cui all'art. 624-bis c.p. (furto in abitazione ossia mediante introduzione in luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora), quando l'azione delittuosa sia posta in essere in esercizi commerciali, studi professionali, stabilimenti industriali e, in genere, in luoghi di lavoro, durante l'orario di chiusura al pubblico della sede lavorativa e in assenza di persone intente ad una qualche attività o mansione all'interno dei predetti luoghi ed in detti orari.

Il caso concreto all'origine dell'ordinanza in oggetto, riguarda un furto commesso in un ristorante, durante l'orario di chiusura pomeridiana, da parte dell'imputato, introdottosi nell'esercizio da una finestra, e poi scoperto dal proprietario, sopraggiunto per l'apertura, mentre stava fuggendo con il bottino.

Condannato per il reato di cui all'art. 624-bis, comma 3, c.p., in quanto aggravato ex art. 625, comma 1, n. 2 c.p., questi ha proposto ricorso dinanzi alla suprema Corte, lamentando che il giudice a quo aveva considerato privata dimora un ristorante, per giunta durante l'orario di chiusura, secondo un'impostazione certamente criticabile e comunque contrastata in giurisprudenza.

La quinta Sezione della suprema Corte, investita del ricorso, ricostruisce in maniera molto articolata i termini del problema, offrendo una panoramica completa delle varie fattispecie in cui la nozione di privata dimora viene in rilievo.

Fin dalla giurisprudenza più risalente, esiste un concetto di privata dimora nel reato di violazione di domicilio (art. 614 c.p.), ben più ampio del concetto di abitazione e comprende ogni luogo che, pur non essendo destinato a casa di abitazione, viene usato, anche in modo transitorio e contingente, per lo svolgimento dell'attività privata, come quella di studio, svago, lavoro, commercio, rientranti nella larga accezione di libertà domestica. Così, sono stati considerati privata dimora il bar ed il negozio in cui il titolare, dopo la chiusura dell'esercizio al pubblico, si trattenga per svolgervi un'attività privata (Cass pen., 8955/1976).

E questo stesso concetto è stato poi ripreso, mediante richiamo espresso all'art. 614 c.p., nel delitto di cui all'art. 615 c.p., dove comprende ogni luogo che assolva alla funzione di proteggere la vita privata, come quello destinato ad attività culturale con soggiorno che, per quanto breve, abbia comunque una certa durata; e nel delitto di cui all'art. 615-bis c.p., ove ha la funzione di delimitare gli ambienti nei quali l'interferenza nell'altrui vita privata assume penale rilevanza (Cass. pen., Sez. V, n. 9235/2011); e nell'aggravante prevista dall'art. 52, comma 2, c.p., ove il concetto è stato utilizzato per escludere che l'abitacolo di un'autovettura possa considerarsi luogo avente i requisiti minimi necessari per potervi soggiornare per un apprezzabile periodo di tempo, e nel quale possano compiersi atti caratteristici della vita domestica; e, ancora, in materia di intercettazioni ambientali, laddove si precisa che l'intercettazione – quando le attività investigative avvengano nei luoghi indicati dall'art. 614 c.p. – è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa.

Ma non vi è dubbio – osserva la suprema Corte – che il concetto di privata dimora come rilevante ai fini della integrazione del reato di cui all'art. 624-bis c.p., è quello che ha dato luogo ai maggiori contrasti giurisprudenziali; e che la maggiore casistica è proprio quella dei furti presso esercizi commerciali, stabilimenti industriali, studi professionali e luoghi aperti al pubblico con gestione di un'attività d'impresa.

In tale contesto si fronteggiano due orientamenti contrapposti.

Secondo un primo, prevalente, orientamento, per luogo di privata dimora deve intendersi ogni luogo che serva alla esplicazione di attività culturali, professionali e politiche, ovvero ogni luogo in cui le persone si trattengano per compiere – anche in modo transitorio e contingente – atti della vita privata.

Alla stregua di tale orientamento, dunque, sono stati considerati luoghi di privata dimora una farmacia durante l'orario di apertura (Cass.pen., Sez. IV, n. 37908/2009), il ripostiglio di un esercizio commerciale (Cass. pen., Sez. V, n. 22725/2010); l'interno di un bar (Cass.pen., Sez. V, n.30957/2010) e quello di uno studio odontoiatrico (Cass.pen.,Sez. V, n. 10187/2011); le parti accessorie di un edificio con riferimento al furto del denaro contenuto in una cassetta per le elemosine posta all'esterno di una chiesa (Cass. pen., Sez. V, n. 7266/2014) e anche la sagrestia ove è custodito il cestino delle offerte dei fedeli (Cass. pen., Sez. IV, n. 51749/2014).

Secondo un altro orientamento, più restrittivo, il criterio discretivo va invece ravvisato nella pubblica accessibilità del luogo, ritenuta incompatibile con la nozione di privata dimora.

Non possono quindi rientrare nei luoghi tutelati dall'art. 624-bis c.p. quelli frequentati da un numero indeterminato di persone, come ad es. panetterie (Cass. pen., Sez. V, n. 43672/2015) e chiese, nella zona destinata al culto (Cass. pen., Sez. V, n. 39134/2012).

Tale più restrittivo orientamento sembra quello più seguito in materia di rapina aggravata ai sensi dell'art. 628, comma 3, n. 3-bis c.p., che richiama i luoghi di cui all'art. 624-bis c.p.

Si è infatti affermato che – ai fini della integrazione dell'aggravante in parola – deve intendersi come luogo di privata dimora ogni ambiente in cui le persone autorizzate a soggiornarvi siano titolari di uno ius excludendi alios e che sia in concreto idoneo a proteggere il diritto alla riservatezza, consentendo lo svolgimento di atti della vita privata: ciò comporta che non può ritenersi luogo di privata dimora la parte dell'ufficio postale antistante gli sportelli, dove sosta il pubblico e chiunque può accedere liberamente, a differenza dell'area degli uffici in cui il pubblico non è ammesso, poiché qui il divieto di accesso consente di attribuire al luogo le caratteristiche della privata dimora (Cass.pen., Sez. II, n. 20200/2016).

In definitiva, conclude la Corte, a voler tentare una sintesi dei due orientamenti, si potrebbe dire che per entrambi l'accessibilità limitata al luogo del fatto unitamente alla destinazione dello spazio al compimento di atti della vita privata, è essenziale per definire il luogo come privata dimora.

Senonché ciò non basta a superare il contrasto, per tutti quei luoghi di vita e di lavoro come esercizi pubblici, stabilimenti e capannoni industriali, che sono per natura accessibili ad un numero indeterminato di persone: vi sono decisioni, infatti, che ritengono ininfluente che il fatto si sia verificato durante l'orario di chiusura dell'esercizio oppure no. Altre, invece, ritengono fondamentale accertare se, nel momento dell'azione delittuosa, vi fossero, all'interno di questi luoghi, persone intente a compiere una qualche attività.

Così, alcune sentenze hanno ritenuto luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora il bar durante l'orario di chiusura, poiché l'esercizio commerciale è di per sé luogo di privata dimora, destinato allo svolgimento di un'attività che costituisce espressione della personalità del soggetto che ne dispone, ovvero la libertà d'impresa, e non cessa di essere tale durante l'orario di chiusura (Cass. pen., Sez. V, n. 428/2015; Cass. pen., V, n. 6210/2015; Cass. pen.,Sez. II, n. 24763/2015). E persino un cantiere edile, allestito nel cortile di un immobile in cui erano in corso lavori di ristrutturazione, chiuso per ferie estive, atteso che nei cantieri gli operai hanno spogliatoi e depositi per lasciare oggetti propri, e utilizzano tali spazi per le necessità della vita personale, connessa all'attività lavorativa (Cass. pen., Sez. V, n. 2768/2014).

Altre sentenze, invece, considerano i luoghi di svolgimento dell'attività lavorativa come anche luoghi di privata dimora solo se, al momento del fatto, sia accertata la presenza, in loco, di persone intente, sia pure occasionalmente, allo svolgimento di tale attività.

Così, si è escluso che possa considerarsi privata dimora un capannone industriale durante la chiusura notturna, se non è stato fatto alcun accertamento sulla natura dell'attività che vi si svolgeva, e sulla concreta possibilità che anche all'orario del fatto vi si trattenesse qualcuno (Cass. pen., Sez. IV, n. 12256/2016); o uno stabilimento industriale, sempre durante la chiusura notturna, qualora non sia stato accertato in concreto se le caratteristiche dell'attività svolta o la consuetudine o le esigenze del ciclo produttivo, esigessero la presenza in loco di dipendenti o di altri soggetti anche in orario notturno (Cass. pen., Sez. V, n. 18211/2015).

In definitiva, dalla ricostruzione ermeneutica operata dalla Corte, emerge che la nozione di privata dimora, ai fini della configurabilità dell'art. 624-bis c.p., è stata intesa in accezioni molto diverse tra loro:

  • per ammetterla, si è valorizzato il profilo della difesa della privacy, richiedendosi che il luogo sia utilizzato per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata di chi lo occupa, purché vi sia continuità temporale del rapporto tra il luogo e le persone, nonché la effettiva presenza di queste ultime al momento della condotta illecita;
  • per escluderla, si è valorizzato il profilo della accessibilità ai luoghi di un numero indiscriminato di persone, nonostante l'utilizzabilità di tali luoghi anche per atti della vita privata, per cui non può ritenersi privata dimora il luogo che sia accessibile ad un numero indeterminato di persone; o quello della stabilità della presenza nei luoghi, per cui non può invocarsi la riservatezza in relazione a luoghi in cui ci si trovi solo occasionalmente e transitoriamente.

A fronte di tale varietà di applicazioni, è dunque necessario – conclude la suprema Corte – un intervento risolutore delle Sezioni unite, sia sullo specifico tema della interpretazione dell'art. 624-bis c.p., sia – in via più generale – sulla possibilità di individuare un concetto di luogo di privata dimora che sia unitario ed unificante per tutte le fattispecie che lo evocano.

Compito non affatto facile, ove si consideri che la nozione di privata dimora e la sua concreta applicazione, hanno inevitabili conseguenze anche sul piano della politica criminale di un paese in un dato momento storico, potendo comportare l'ampliamento o, al contrario, il restringimento di determinate tutele: si pensi solo a tutto il dibattito che ha sempre accompagnato il concetto di privata dimora in materia di intercettazioni ambientali o di legittima difesa.

Guida all'approfondimento

APRILE, sub art. 624-bis in Lattanzi – Lupo (dirett da) Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, VIII, Agg. 2016.

3.

Il primo Presidente della Cassazione, ravvisando l'esistenza del contrasto giurisprudenziale, ha fissato per il 23 marzo 2017 l'udienza di trattazione davanti alle Sezioni unite.

4.

All'udienza del 23 marzo 2017 le Sezioni unite della Cassazione hanno dato soluzione negativa alla questione se rientra nella nozione di privata dimora, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 624-bis c.p., il luogo dove si esercita un'attività commerciale o imprenditoriale, salvo che il fatto non sia avvenuto all'interno di un'area riservata alla sfera privata della persona offesa. Rientrano nella nozione di privata dimora di cui all'art. 624-bis c.p. esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occassionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico nè accesibili a terzi senza il consenso del titolare.

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