L'arcipelago dei rimedi post-giudicato. L'ambito delle questioni sul titolo esecutivo dopo l'introduzione della rescissione del giudicato

08 Giugno 2021

Le Sezioni unite sono chiamate a delimitare l'eventuale ambito ‘residuo' di applicazione della previsione di legge di cui all'art. 670 c.p.p. (questioni sul titolo esecutivo) dopo l'introduzione...
1.

Le Sezioni unite sono chiamate a delimitare l'eventuale ambito ‘residuo' di applicazione della previsione di legge di cui all'art. 670 c.p.p. (questioni sul titolo esecutivo) dopo l'introduzione – per la verifica della legittima celebrazione del processo in assenza – del rimedio particolare della rescissione del giudicato (art. 629-bisc.p.p.).

1. La dimensione procedimentale del giudizio penale, inteso come serie di atti funzionali a emettere una decisione sulla fondatezza o meno di una accusa, si confronta, da sempre, con il tema della possibile patologìa degli atti medesimi.

Il fenomeno della invalidità, in termini di difformità del singolo atto del procedimento dal proprio ‘modello legale' di riferimento, è regolamentato nel sistema processuale da un complesso congegno di ‘governo' delle possibili patologìe, improntato al rispetto del principio di tassatività (art. 177 c.p.p.) e alla graduazione degli effetti della invalidità medesima.

In virtù del primo principio (tassatività) non ogni difformità dal modello legale determina un ‘vizio' dell'atto, dovendo la nullità (principale sanzione processuale) trovare fonte in una previsione di legge (sia essa di carattere generale o specifica).

In virtù del secondo principio (il trattamento della incidenza) la graduazione del vizio, operata in via generale e astratta dal legislatore, si realizza tramite la previsione di cause di sanatoria (per cui l'atto originariamente invalido, saldandosi ad un posteriore accadimento continua a produrre effetti stabili), modellate anche su particolari cadenze di rilevabilità del vizio e diversificate modalità di attribuzione soggettiva del potere di ‘denunzia' della patologìa.

2. Ciò che tuttavia è importante comprendere è che l'atto processuale, pur se invalido (nel senso di difforme dal proprio modello legale) è capace di produrre effetti nella ‘catena procedimentale', sino a quando un ‘controllore di legalità processuale' (il giudice, stimolato o meno da una iniziativa di parte) non apprezzi e dichiari l'esistenza e l'incidenza dell'eventuale vizio.

Si tratta, dunque, di un fenomeno assimilabile alla ‘annullabilità', nel senso che l'atto vive nella sequenza processuale (anche se invalido) sino al momento della declaratoria di nullità. Questa è la ragione sistematica per cui, per principio generale e salve eccezioni, la dichiarazione di nullità di un atto si diffonde agli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo (art. 185, comma 1,c.p.p.) e comporta la regressione del procedimento allo stato e al grado in cui è stato compiuto l'atto nullo (art. 185, comma 3,c.p.p.).

Per essere ancora più chiari, il procedimento penale è un treno che, una volta partito, può giungere a destinazione (con sentenza definitiva) anche portando nel ‘motore' un vizio del procedimento, lì dove tale vizio non sia stato mai rilevato dal giudice o mai eccepito da una delle parti.

Così come una sentenza di primo grado mal motivata in fatto (contenente un errore di giudizio) o erronea in diritto (sulla interpretazione della norma incriminatrice) può divenire irrevocabile se non viene sollecitata, attraverso l'impugnazione, la verifica del procedimento logico e giuridico che ha condotto alla affermazione di responsabilità penale.

3. Di regola, i vizi relativi agli atti del procedimento (tra cui quelli di instaurazione del contraddittorio) e anche quelli di maggior rilievo (definiti dal legislatore, in modo enfatico, ‘insanabili' ai sensi dell'art. 179 c.p.p.), non sopravvivono alla formazione del giudicato formale, ovvero alla irrevocabilità della sentenza che quei vizi potrebbe incorporare.

Ciò perché la ‘insanabilità' di cui parla il legislatore all'art. 179 c.p.p. è collocata all'interno del procedimento (… sono rilevabili in ogni stato e grado del procedimento) ed è sinonimo di ‘assenza di preclusioni' alla rilevazione del vizio durante il procedimento.

La giurisprudenza della Cassazione è in assoluta prevalenza attestata, da molti anni, sul principio generale per cui le patologìe degli atti processuali vanno denunziate attraverso i mezzi di impugnazione (ordinari) nei confronti della decisione che li incorpora come proprio antecedente (tra le molte Cass. pen., Sez. I, 14 gennaio 1992; Cass. pen., Sez. I, n. 3246 del 25 maggio 1995, rv 202129; Cass. pen.,Sez.VI, n. 748 del 4 marzo 1998, rv 210408; Cass. pen., Sez. I, n. 3517 del 15 giugno 1998, rv 211025; Cass. pen., Sez. I n. 37979 del 10 giugno 2004, rv 229580; Cass. pen., Sez. I n. 8776 del 28 gennaio 2008, rv 239509; Cass. pen., Sez. I n. 5880 dell'11 dicembre 2013, rv 258765; Cass. pen., Sez. I n. 58524 dell'11 dicembre 2018) e non sopravvivono alla formazione del giudicato.

Corollario di tale impostazione è che salvi i casi – invero di rara individuazione – di ‘inesistenza', la decisione passata in giudicato non può essere oggetto di rivalutazione, in sede esecutiva, quanto alla esistenza di vizi del procedimento verificatisi nel cammino che ha determinato la irrevocabilità.

In tale direzione, anche un chiaro passaggio della Relazione al testo definitivo del codice (in GU del 24 ottobre 1998, suppl. ord., pag. 203), ove si afferma, a proposito del testo dell'art. 670 c.p.p., che la verifica della dichiarazione di irreperibilità del ‘condannato' si riferisce alla fase della notifica del provvedimento che si assume esecutivo «essendo escluso che possano venire in rilievo eventuali dichiarazioni relative a fasi processuali precedenti, la cui irritualità dovrà essere fatta valere in sede di impugnazione».

La inesistenza della sentenza è stata ritenuta, va detto per completezza, in tutti quei casi in cui l'atto, per difetto di alcuni elementi strutturali che devono contraddistinguerlo, si pone totalmente fuori dal sistema, non è ad esso riferibile, e non è riconoscibile all'esterno, nel senso che è assolutamente inidoneo a produrre un qualsiasi effetto sia nell'ambito che al di fuori del processo. (in tali termini Cass. pen., Sez. VI n. 3683 del 2000, rv 215844). Tra questi, è stata riconosciuta – nel corso del tempo – la inesistenza: a) della sentenza emessa nei confronti di un minore non imputabile al momento del fatto (da ultimo Cass. pen., Sez. I n. 35 del 4 dicembre 2018, dep. 2019, rv 274644); b) la sentenza ove manchi, in dispositivo, la statuizione decisoria su un capo di imputazione (Cass. pen., Sez. VI n. 39435 del 14 luglio 2017, rv 271710); c) la sentenza emessa dal giudice civile in un ambito riservato al giudice penale (Cass. pen., Sez. Unite, n. 25 del 1999, rv 214694); d) la sentenza emessa nei confronti di persona già deceduta al momento dell'esercizio dell'azione penale (Cass. pen., Sez. III n. 1502 del 19 aprile 1990, rv 184294).

4. Tuttavia, l'assetto sinora schematicamente riassunto non può dirsi esaustivo di alcune esigenze, che nel corso degli anni hanno attraversato la giurisdizione e la legislazione italiana, anche in virtù del necessario adeguamento a principi e decisioni sovranazionali, specie in riferimento ai vizi che ineriscono la fase della instaurazione e – pertanto – la effettività del contraddittorio processuale.

Sono note, in particolare, le vicende del giudizio contumaciale, che hanno determinato – anche in virtù di decisioni di condanna emesse dalla Corte Edu nei confronti dell'Italia – in un primo momento l'intervento legislativo del 2005 (con riforma e valorizzazione dell'istituto della restituzione nel termine per proporre impugnazione, di cui all'art. 175 c.p.p.) e, successivamente, gli interventi legislativi del 2014 e del 2017 con abolizione del giudizio contumaciale, riduzione delle ipotesi di restituzione nel termine ed introduzione di una nuova categoria tipica di impugnazione straordinaria, rappresentata dalla rescissione del giudicato (attuale art. 629-bisc.p.p.).

Prima di affrontare, tuttavia, gli interrogativi applicativi derivanti, in particolare, dalla introduzione del rimedio della rescissione del giudicato (applicabile alle ipotesi di avvenuta celebrazione del giudizio ‘in assenza', secondo le coordinate normative della legge n.67 del 2014) va ricordato che nel quadro dei rimedi esperibili avverso una decisione apparentemente esecutiva (rectius posta in esecuzione dall'organo titolare del relativo potere) è iscrivibile, sin dalla emanazione del codice del 1989, la disposizione contenuta nell'articolo 670 del codice di rito, secondo cui il giudice della esecuzione può essere chiamato ad accertare che il provvedimento, pur posto in esecuzione, «manca» o «non è divenuto esecutivo», con eventuale sospensione della esecuzione e «rinnovazione della notificazione non validamente eseguita».

5. La disposizione testè citata (art. 670 c.p.p.) nel corso del tempo è stata, potremmo dire, una vera e propria “valvola di sicurezza” del sistema processuale, atteso che, con un nobile utilizzo pretorio, ha consentito di evitare (attraverso la valorizzazione della ‘mancanza', vista non in senso materiale) la esecuzione di decisioni formalmente valide ma sostanzialmente inique.

Nata per garantire il controllo formale della ‘esistenza ed eseguibilità del titolo' specie in rapporto alla disciplina del ‘previgente' giudizio contumaciale (nel cui ambito era prevista ai sensi dell'art. 548 c.p.p. la notifica all'imputato dell'estratto contumaciale della sentenza, quale condizione per la decorrenza dei termini di impugnazione, con disposizione soppressa dalla legge n.67 del 2014) ma senza estensione di poteri valutativi del giudice della esecuzione, come si è detto, su ipotesi di nullità verificatesi nel giudizio di cognizione, la disposizione in esame ha in sede applicativa, consentito (ad esempio) di risolvere casi ‘imbarazzanti' per il nostro sistema giudiziario come il caso Dorigo, in epoca antecedente alla introduzione, con sentenza additiva della Corte Costituzionale n.113 del 2011, della revisione europea. Con la decisione n. 2800 del 1 dicembre 2006 la Prima Sezione della Corte di Cassazione ebbe, infatti, ad affermare che «..il giudice dell'esecuzione deve dichiarare, norma dell'art. 670 c.p.p., l'ineseguibilità del giudicato quando la Corte europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali abbia accertato che la condanna è stata pronunciata per effetto della violazione delle regole sul processo equo sancite dall'art. 6 della Convenzione europea e abbia riconosciuto il diritto del condannato alla rinnovazione del giudizio, anche se il legislatore abbia omesso di introdurre nell'ordinamento il mezzo idoneo ad instaurare il nuovo processo»

Si trattò, in tutta evidenza, di un utilizzo atipico della disposizione (rispetto al testo di legge) ma ‘necessitato' dal fatto che lo Stato italiano non aveva introdotto nell'ordinamento interno uno strumento giuridico teso ad assicurare la esecuzione, nei confronti del soggetto vittorioso, della sentenza emessa dalla Corte Edu, con palese violazione dei contenuti dell'art. 46 della Convenzione Edu.

Ancora, in epoca recente, l'art. 670 è stato applicato – con dichiarazione di ineseguibilità della sentenza – nel noto caso Contrada (Cass. pen., Sez. I n. 43112 del 6 luglio 2017, rv 273905) anche in ragione del fatto che il procedimento di revisione cd. europea si era concluso con una rinunzia al ricorso da parte dell'interessato.

Ciò tuttavia non autorizza a costruire, in via concettuale, la disposizione di cui all'art. 670 c.p.p. – collocata in sede di esecuzione – come una forma atipica di impugnazione straordinaria.

6. In realtà, come il caso portato dalla Prima Sezione penale alla attenzione delle Sezioni Unite, di cui si dirà, sta a dimostrare, vi sono oggi in campo due temi giuridici di estremo rilievo che tendono ad intrecciarsi tra di loro, in virtù del nuovo assetto legislativo che ha determinato la ‘trasformazione' del giudizio contumaciale nel giudizio ‘in assenza' (e la correlata abolizione della notifica dell'estratto contumaciale al condannato, come si è detto).

Il primo è rappresentato dalla emersione di una tendenza giurisprudenziale che pone in discussione – almeno in parte – il radicato principio secondo cui attraverso l'incidente di esecuzione (procedura che non ha natura di impugnazione) non si possano denunziare “macro-vizi” del procedimento che ha condotto al giudicato.

Con la decisione n. 16958 del 23 febbraio 2018, ric. Esposito, la Prima sezione della Corte di cassazione ha infatti affermato che in un caso di avvenuta violazione del principio di «continuità ed effettività» della difesa (verificatosi nel giudizio che ha dato luogo al titolo definitivo, in virtù di episodiche nomine di sostituti processuali, e non di un difensore titolare, al soggetto rimasto privo di difesa) la sua rilevazione può essere operata anche in sede esecutiva, con lo strumento di cui all'art. 670 c.p.p. . Si è detto, in particolare, che il principio generale, pur ricordato in apertura, non può trovare applicazione rispetto «a quei vizi che interferiscano con la formazione del giudicato»; tale sarebbe, secondo l'arresto citato, il vizio «che incidendo in modo determinante sulla assistenza tecnica dell'imputato» finisca con il compromettere l'autonoma facoltà di impugnazione spettante al difensore.

Con la decisione n. 48723 del 18 ottobre 2019, ric. Piccolo, rv 277822, la Corte di legittimità, pur pervenendo (in situazione di fatto similare) al rigetto del ricorso, non ha emesso una statuizione di inammissibilità ed ha trattato la doglianza.

Ed ancora, un limitato intervento in sede esecutiva è stato ritenuto possibile in casi particolari di illegalità della pena secondo Sez. Unite n. 47766 del 26 giugno 2015.

Tuttavia va precisato che anche tale ultimo arresto non va letto come ricognitivo di un potere ordinario, tale da consentire un sindacato in sede esecutiva in ogni caso di potenziale erroneità di statuizioni e/o argomentazioni concorrenti a determinare la sanzione, ma rappresenta una valvola di sicurezza del sistema a fronte di un trattamento sanzionatorio elaborato, anche in parte, sulla base di norme dichiarate incostituzionali (ai sensi della legge n. 87 del 1953, art. 30 come precisato da Cass. pen., Sez. Unite, n. 42858 del 2014), contrastante con la la interpretazione della Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali fornita dalla CEDU (v. Cass. pen., Sez. Unite, n.18821 del 24 ottobre 2013 rv 258651) o ancora frutto di «palesi errori giuridici o materiali» commessi dal giudice della cognizione (sanzione non prevista dall'ordinamento in rapporto al fatto dedotto in giudizio o determinata in modo superiore al massimo edittale, sì da ritenersi abnorme).

Si tratta, in ogni caso, di ipotesi in cui è stato attribuito al giudice dell'esecuzione un sindacato su ‘situazioni processuali' o ‘contenuti della decisione' apparentemente estraneo ai poteri tipizzati dal legislatore.

7. Il secondo tema, correlato al primo, è quello che riguarda la “perimetrazione” del rimedio rescissorio (attuale art. 629-bisc.p.p.) introdotto per la contestazione della equità del giudizio celebrato in assenza.

Come è noto, la disposizione di legge pone quale condizione della rescissione (rimedio che, trattandosi di impugnazione straordinaria, è sottoposto ad un termine di decadenza, a differenza dell'incidente di esecuzione) la prova, da parte dell'istante, di una condizione di «incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo».

Tale condizione si ricollega alla conformazione legislativa della dichiarazione di assenza di cui all'art. 420-bisc.p.p. Le ipotesi descritte in tale norma dal legislatore presuppongono la validità della notifica degli atti di instaurazione del contraddittorio (visto che la verifica formale è operata preliminarmente ed in sede di costituzione delle parti, ai sensi dell'art. 420 comma 2 o dell'art. 484 comma 1 c.p.p.) e si pongono su un piano in parte diverso, che possiamo definire «effettuale», legato alla possibilità o meno di interpretare (in base a determinati indicatori, descritti dal legislatore) la mancata comparizione dell'imputato (legalmente raggiunto da notifica della citazione) come frutto di: a) rinunzia espressa; b) rinunzia tacita, perché assistita da conoscenza effettiva della pendenza del processo e della data e luogo di udienza; c) sottrazione volontaria alla conoscenza degli atti del procedimento.

In tale interpretazione della condizione di ‘non comparizione' convergono, pertanto, due aspetti rappresentati dalla ‘legalità' delle forme di notificazione (pre-condizione delle successive valutazioni) cui si aggiunge quello della ‘qualità' del contatto tra autorità procedente e soggetto raggiunto dalla accusa (su tali aspetti, di recente, v. Cass. pen., Sez. Unite, n.23948 del 28 novembre 2019 dep. 2020, rv 279420), posto che il giudice procedente pure a fronte di notifica formalmente valida può ritenere che la mancata comparizione derivi da una mancata conoscenza ‘effettiva' della contestazione o della data e luogo di celebrazione del processo, specie in sede di verifica dei parametri della cd. ‘rinunzia tacita'.

Da qui derivano gli interrogativi che hanno dato luogo alla ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite.

Ci si chiede, in particolare, se il vizio ‘legale' della notifica dell'atto di instaurazione del contraddittorio – che è una precondizione della dichiarazione di assenza – possa e debba essere dedotto esclusivamente in sede di rescissione del giudicato (atteso che indubbiamente la notifica invalida crea un dubbio rilevante sulla produzione dell'effetto di conoscenza in capo al destinatario, con correlata incolpevole mancata conoscenza) oppure possa essere, in alternativa, dedotto in sede di incidente di esecuzione con lo ‘strumento' dell'art. 670 c.p.p.

È evidente che la seconda ipotesi presuppone, sul piano dogmatico, la affermazione (in contrasto con la prevalente giurisprudenza e in adesione all'orientamento prima sintetizzato) della esistenza – in tale particolare caso – del potere del giudice della esecuzione di apprezzare vizi ‘interni' al procedimento che ha condotto alla formazione del giudicato, posto che non si tratterebbe di vizi correlati, come in passato, alla notifica del (solo) estratto contumaciale.

2.

All'udienza del 23 giugno 2020, la Prima Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la decisione delle seguenti questioni oggetto di contrasto giurisprudenziale:

  • se in caso di sentenza pronunciata in assenza siano deducibili ex art. 670 c.p.p. le nullità assolute insanabili derivanti dall'omessa citazione dell'imputato e del suo difensore, ovvero se esse siano coperte dal giudicato, essendo piuttosto esperibile in relazione a tali situazioni unicamente il rimedio rescissorio di cui all'art. 629-bisc.p.p. allo scopo di far valere, nel termine di legge, l'incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo;
  • se i due rimedi possano, invece, concorrere essendo l'incidente ex art. 670 c.p.p. rivolto ad eliminare la irrevocabilità della sentenza viziata dall'indicata nullità assoluta insanabile, mentre la rescissione presuppone la legittimità formale del contraddittorio ed è tesa a far valere specificamente l'incolpevole mancata conoscenza dell'accusa portata a giudizio.

Il caso concreto che ha dato luogo al provvedimento di rimessione (con giudizio celebrato in assenza) è caratterizzato da una accertata invalidità degli atti di instaurazione del contraddittorio, posto che l'elezione di domicilio utilizzata per le notificazioni era stata, in realtà, operata dalla indagata in relazione ad un diverso procedimento penale.

La originaria istanza ha introdotto una domanda di declaratoria di ineseguibilità del titolo ai sensi dell'art. 670 c.p.p. .

La particolarità segnalata dal Collegio remittente sta nel fatto che la domanda della condannata -qualificata dal giudice del merito in termini di rescissione del giudicato- è stata dichiarata inammissibile perché tardiva.

Ciò rende necessario, residuando esclusivamente l'ipotesi di intervento ai sensi dell'art. 670 c.p.p., dirimere il contrasto interpretativo prima segnalato.

3.

La questione è stata ritenuta ricevibile ed è stata fissata per la trattazione, prevista per il 26 novembre 2020.

4.

Con sentenza emessa in data 26 novembre le Sezioni Unite hanno respinto il ricorso proposto da Valentina Lovric.

5.

1. In data 23 aprile 2021 è intervenuto il deposito dei motivi della sentenza, avente numero 15498/2021.

Le Sezioni Unite realizzano una compiuta ricognizione della natura giuridica dei rimedi di cui in premessa e attribuiscono precise connotazioni da un lato alla tipologia di doglianza proponibile in tema di «esistenza» del titolo esecutivo (art.670 c.p.p.), dall'altro alla domanda di rescissione del giudicato (art.629-bis c.p.p.).

Precisano inoltre che l'istanza rivolta al giudice della esecuzione – ai sensi dell'art.670 c.p.p. – non può essere oggetto di ‘diversa qualificazione' da parte del giudice cui è rivolta, non versandosi in tema di impugnazione.

2. Ma conviene procedere con ordine.

2.1 Il primo aspetto oggetto di esame è quello della ricognizione dei contenuti della disposizione di cui all'art.670 c.p.p.

Sul punto, non può che condividersi la operazione ermeneutica realizzata dall'organo di composizione dei conflitti.

L'incidente di esecuzione, per quanto abbia assunto – nel corso del tempo – le sembianze di un luogo di ‘limitata ridiscussione' dei contenuti del giudicato (in rapporto a particolari esigenze di legalità della decisione emessa in cognizione), non è un mezzo di impugnazione delle decisioni divenute irrevocabili.

Le Sezioni Unite lo ribadiscono con forza e con ottimi argomenti letterali, sistematici e di attualizzazione della originaria ratio legis (anche con riferimento ai contenuti della Relazione Ministeriale al testo definitivo del codice, in precedenza citata).

In particolare, può dirsi - in sintesi - che la funzione assegnata dal Legislatore alla previsione di cui all'art.670 c.p.p. (questioni sul titolo esecutivo) è quella di riconoscere, su domanda di parte, la mera «apparenza» del giudicato, lì dove il titolo posto in esecuzione non sia concretamente eseguibile.

Per comprendere la logica sottesa alla previsione di legge in parola bisogna partire da una banale constatazione: l'iniziativa esecutiva spetta al Pubblico Ministero, dunque ad un soggetto pubblico non avente i connotati della giurisdizionalità (artt.665 e ss. c.p.p.).

Ben può accadere, pertanto, che l'organo titolare del potere di ‘portare ad esecuzione' il contenuto di una decisione (apparentemente irrevocabile) non si avveda della assenza dell'attributo essenziale della decisione, rappresentato dalla sua effettiva irrevocabilità e/o dalla esistenza di un limite legale alla eseguibilità (anche in ragione di quanto previsto dall'art.656 comma 5 c.p.p.).

In tale ottica, l'intervento del giudice della esecuzione – descritto nel testo dell'art.670 c.p.p. – stimolato da domanda di parte, è teso a riconoscere essenzialmente l'esistenza e la effettiva eseguibilità del titolo e si ricollega da un lato alle (limitate) ipotesi di inesistenza vista come macro-vizio dell'atto portato ad esecuzione, immediatamente percepibile (le ipotesi qui ricordate in precedenza al paragrafo 3, rievocate dalle stesse Sezioni unite alla pagina 10 della motivazione), dall'altro alle ipotesi di giudicato solo apparente in virtù della erronea presupposizione (in capo al PM procedente) della intervenuta irrevocabilità ed eseguibilità della decisione portata ad esecuzione (sulla differenza tra le due nozioni, di recente, Cass. pen., Sez. Un.,29 ottobre 2020, n. 3423).

Ed è quest'ultimo il tema, a ben vedere, decisivo.

Ciò che le Sezioni Unite, sulla base della pluriennale elaborazione interpretativa ampiamente citata nel testo della sentenza, ribadiscono, è che l'indagine sulla effettiva eseguibilità del titolo non riguarda le ipotesi di “erroneità” della decisione emessa in cognizione o quelle di vizi del procedimento verificatisi in fase di trattazione del giudizio che ha portato alla decisione (che si pretende di eseguire), ma riguarda, sotto il profilo del vizio, esclusivamente l'esistenza di «condizioni» che impediscono l'esecuzione in virtù di: a) erronea considerazione della tempistica della possibile impugnazione (non sono in realtà decorsi i termini per proporre impugnazione ordinaria); b) esistenza di un vizio nel sub-procedimento, posteriore alla decisione, di conoscenza legale della medesima, tale da impedire la formazione del giudicato.

Si tratta, in tutte le ipotesi sin qui esposte, di rispondere al quesito sulla “effettiva esistenza” di un giudicato eseguibile e corrispondente a quello azionato.

L'applicazione dell'istituto del controllo giurisdizionale sulla “esistenza ed eseguibilità” del titolo non può riguardare pertanto vizi del procedimento avvenuti in sede di cognizione (pur di consistente gravità) che avrebbero potuto determinare la impugnazione della sentenza, proprio in ragione del fatto che siamo di fronte ad una verifica limitata alla attitudine esecutiva del titolo, dunque: a) se il titolo è effettivamente esecutivo, perché la decisione è divenuta irrevocabile, ogni questione in rito relativa al giudizio di cognizione è preclusa; b) se non lo è, l'obbligo del giudice sta nel dichiararlo – svelando la mera apparenza del giudicato - e nel rendere possibile la proposizione della impugnazione, se del caso rimuovendo il vizio del sub-procedimento che ha impedito la formazione del giudicato (si veda l'ordine di rinnovazione della notificazione non eseguita, con nuova decorrenza del termine per proporre impugnazione, di cui al medesimo art.670, comma 1, c.p.p.).

Ed è importante rilevare che a venire in gioco sono esclusivamente eventuali invalidità verificatesi nella fase (posteriore alla decisione) tesa a produrre la conoscenza legale della decisione, tali da impedire la valida produzione del giudicato.

Dunque può dirsi che il vizio del procedimento verificatosi durante il giudizio di cognizione non sopravvive alla “valida” formazione del giudicato ma può sempre fondare una (eventuale) impugnazione lì dove il giudicato sia dichiarato “meramente apparente” dal giudice della esecuzione in esito ad una decisione ex art.670 c.p.p.

Per esservi un giudicato apparente, tuttavia, non rileva alcun vizio del procedimento verificatosi durante la «trattazione» del giudizio (persino l'omessa citazione dell'imputato) ma rilevano esclusivamente i vizi della notifica della sentenza (i vizi posteriori alla decisione) se ed in quanto l'attuale sistema processuale preveda il compimento di atti tesi a rendere edotto l'imputato dell'avvenuta decisione (ad esempio la notifica dell'avviso di deposito della sentenza se ed in quanto depositata fuori termine ai sensi dell'art.548, comma 2,c.p.p., caso ricordato dalle stesse Sezioni Unite nella decisione in commento). La invalidità, in tal caso, non è frutto di “derivazione” dal momento procedimentale che la precede ma rileva “in quanto tale” (si veda quanto affermato a pag. 14 della sentenza in commento).

2.2 La conclusione è coerente alle premesse, proprio perché l'incidente di esecuzione di cui all'art.670 c.p.p. non è uno strumento avente natura di impugnazione (l'unica procedura esecutiva con sostanziale natura di impugnazione straordinaria è rappresentata dal rimedio di cui all'art. 669 c.p.p., in tema di conseguenze della violazione del divieto di secondo giudizio sul medesimo fatto), quanto uno strumento di controllo giurisdizionale della legalità della iniziativa esecutiva intrapresa, nel caso concreto, dal Pubblico Ministero, iniziativa che va paralizzata nella ipotesi in cui ne manchi il presupposto fondante, rappresentato dalla effettiva eseguibilità del titolo, anche per vizi relativi al sub-procedimento di sua formazione.

In tal senso, possono farsi – al più - rientrare in tale schema procedimentale gli interventi del giudice della esecuzione tesi a paralizzare l'esecuzione di un titolo legalmente formatosi ma che andava sospeso ai sensi dell'art.656, comma 5,c.p.p. (vedi per tutte Cass. pen., sez. I, n. 36007/2011 e posteriori sul tema), ma certo non può ammettersi che la cognizione del giudice dell'esecuzione si spinga sino alla verifica di vizi del procedimento antecedenti alla decisione che si pretende di eseguire (non viene, pertanto, ritenuto condivisibile dalle Sezioni Unite il contenuto dell'arresto rappresentato da Cass. pen., sez. I, n.16958/2018, in precedenza ricordato).

E' evidente che tale assetto, in virtù del transito dall'istituto della contumacia a quello dell'assenza (l. n.67/2014, in precedenza ricordata) con avvenuta abolizione della obbligatoria notifica all'imputato dell'estratto contumaciale (la cui osservanza rappresentava la più frequente tipologia di verifica demandata al giudice della esecuzione), tende a ridurre l'ambito applicativo della previsione di legge di cui all'art.670 c.p.p., come evidenziato dalle stesse Sezioni Unite, ma a tale riduzione di operatività corrisponde, nella logica della decisione, l'esatta individuazione dell'ambito operativo dell'istituto della rescissione (impugnazione straordinaria) del giudicato ai sensi dell'art.629-bisc.p.p.

2.3 Ed è qui che si inserisce il secondo passaggio argomentativo rilevante della decisione Sez. Un. Lovric.

Le sezioni unite aderiscono, in particolare, ad una lettura non formale dei contenuti dell'art.629-bisc.p.p. lì dove la disposizione di legge identifica il presupposto della rescissione nella dimostrazione della «incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo» celebrato in assenza.

Secondo una interpretazione giurisprudenziale (adottata tra le altre da Cass. pen.,sez. V, n.7818/2018) posto che la dichiarazione di assenza presuppone la verifica – da parte del giudice procedente – della ritualità degli atti di instaurazione del contraddittorio, e si muove sul diverso piano della «idoneità concreta» dei medesimi ad assicurare la conoscenza effettiva del processo (tale da giustificare la dichiarazione di assenza quale rinunzia tacita o derivante da volontaria sottrazione), il rimedio della rescissione non sarebbe stato esperibile al fine di apprezzare la invalidità degli atti di instaurazione del contraddittorio, tema sostanzialmente estraneo alla dimensione legale dell'istituto.

In tale ottica, la particolare tipologia di vizio (relativo alla notifica dell'atto introduttivo del giudizio) avrebbe potuto formare oggetto di incidente di esecuzione ai sensi dell'art.670 c.p.p.

Tuttavia, una volta riaffermata – come si è detto – l'impossibilità di attribuire simile compito al giudice della esecuzione in sede di verifica della esistenza ed eseguibilità del titolo, le Sezioni Unite Lovric affermano espressamente che i vizi degli atti tesi a realizzare la conoscenza legale dell'accusa e il momento di celebrazione del processo (presupponendo la loro mancata rilevazione da parte del giudice procedente) ben possono contribuire a determinare (al di là della declaratoria di nullità, qui non in rilievo) la “incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo”, sì da rientrare nel perimetro applicativo della rescissione.

Ciò perché la rescissione altro non è che la disposizione di chiusura dell'intero sistema dell'assenza, sicché il controllo sulla effettività della dimensione conoscitiva del processo (v. sul tema Cass. pen., sez. V, n. 43140/2019) si estende anche al rispetto delle forme legali di instaurazione del contraddittorio, se ed in quanto dal mancato rispetto delle medesime sia derivata una dichiarazione di assenza non congrua e non rispettosa del dato normativo (perché non assistita da conoscenza effettiva).

Sul punto è opportuno riportare il passaggio argomentativo che segue:

[..] va piuttosto recepito l'orientamento secondo cui l'art. 629-bis c.p.p. si pone in stretta correlazione con le previsioni dell'art. 420-bis c.p.p. e offre una forma di tutela all'imputato non presente fisicamente in udienza, mediante la possibilità di proposizione di un mezzo straordinario di impugnazione, che realizza la reazione ripristinatoria del corretto corso del processo per situazioni di mancata partecipazione del soggetto accusato, in dipendenza dell'ignoranza incolpevole della celebrazione del processo stesso, che non siano state intercettate e risolte in precedenza in sede di cognizione. Ignoranza che non deve essere a lui imputabile, né come voluta diserzione delle udienze, né come colposa trascuratezza e negligenza nel seguirne il procedere. La correttezza di siffatta impostazione discende dalla formulazione testuale dell'art. 629-bis, che non contiene una tipizzazione, né indicazioni esemplificative degli eventi all'origine della situazione fattuale di assenza incolpevole e dal rilievo che l'art. 420-bis, comma 4, c.p.p., laddove prevede la revoca dell'ordinanza che dispone di procedere in assenza a fronte di determinate evenienze, dedotte dall'imputato, al fine di garantire che il processo in assenza sia legittimamente condotto, implica che tutti i meccanismi di controllo abbiano operato con efficacia prima della declaratoria di assenza e che prima ancora siano stati regolarmente compiuti gli accertamenti sulla costituzione delle parti, secondo l'ordine sequenziale di verifiche, stabilito dall'art. 420, comma 2, c.p.p. Tuttavia, sia lo scrupoloso compimento dei controlli preliminari funzionali alla dichiarazione di assenza, sia la loro conduzione in modo non corretto, possono dar luogo al verificarsi di situazioni concrete, nelle quali l'imputato sia stato privato incolpevolmente della possibilità di conoscere la celebrazione del processo [..].

L'opzione ermeneutica è chiara, nel senso della attribuzione al giudice della rescissione (a fronte della formazione di un giudicato formale ed in sede di impugnazione straordinaria) del compito di apprezzare tanto il rispetto (o meno) delle forme legali di instaurazione del contraddittorio (si compie espresso ruferimento ai casi di nullità assoluta) che la valenza degli “indicatori” di cui all'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. in chiave di rivalutazione della legalità della intervenuta dichiarazione di assenza emessa nel corso del giudizio, doverosamente basata – per espresso dettato normativo – sulla «certezza» della conoscenza del procedimento (su tale aspetto, Cass. pen., Sez. Un.,n. 23948/2019).

Come ogni giudice di una impugnazione, il giudice investito della domanda di rescissione del giudicato (con le modalità e nei termini previsti dalla legge) è chiamato a rivalutare un particolare segmento del giudizio che ha prodotto il titolo, qui rappresentato dalla dichiarazione di assenza.

Ciò che rileva, a tal fine, è dunque l'apprezzamento della condotta del soggetto non comparso al giudizio a suo carico, con qualificazione della medesima in termini di inequivoca rinunzia tacita e consapevole, dunque assistita dalla conoscenza effettiva dei contenuti dell'addebito e del luogo e data di celebrazione del giudizio (o, in alternativa, in termini di volontaria sottrazione alla conoscenza degli atti del procedimento), così come richiesto dalla giurisprudenza convenzionale ed in rapporto ai contenuti dell'art. 6 Conv. Eur. dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Ed è evidente che al fine di compiere simile verifica, sulla base delle allegazioni dell'attore in rescissione, può venire in rilievo il mancato rispetto delle forme legali di notifica dell'atto di citazione, qui intese nel senso della attitudine a produrre (o meno) la conoscenza effettiva in capo al destinatario.

Pur essendo la pronunzia delle Sezioni Unite tesa a valorizzare esclusivamente la potenziale incidenza, in sede di valutazione della istanza di rescissione, delle sole nullità assolute o insanabili è da ritenersi che nulla vieti – nell'ottica sin qui espressa – l'apprezzamento di forme minori di invalidità, posto che ciò che rileva non è la constatazione – in quanto tale – del vizio dell'atto processuale, quanto il parametro della “effettiva conoscenza” del processo in capo all'imputato e, dunque, delle ricadute potenziali della invalidità sulla situazione di ‘incolpevole mancata conoscenza' della celebrazione del processo.

Va inoltre precisato, pur non trattandosi di uno tema oggetto del contrasto risolto dalle Sezioni Unite Lovric, che nelle prime interpretazioni dell'istituto della rescissione, la Corte di Cassazione ha opportunamente precisato (Cass. pen., sez. V n.31201/2020) che a carico del condannato istante in rescissione vi è un mero onere di allegazione quanto alle ragioni che hanno determinato la incolpevole mancata conoscenza del processo, in ciò attenuando – in chiave costituzionalmente e convenzionalmente orientata – la portata letterale della previsione di legge. La decisione Cass. pen., sez. V, n. 31201/2020 ha infatti ritenuto manifestamente infondata la introdotta questione di legittimità costituzionale sul tema, affermando che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 629-bis c.p.p. in riferimento agli artt. 24, comma 2, 111 e 117 Cost., in relazione agli artt. 3 e 6 Cedu, nella parte in cui non consente di ottenere la rescissione del giudicato al condannato nei cui confronti si sia proceduto in assenza, qualora non provi che questa non sia dipesa da "incolpevole mancata conoscenza del processo", in quanto l'art. 629-bis c.p.p., norma di chiusura del sistema del giudizio in assenza, ha il significato di escludere l'accesso ad un nuovo giudizio a chi si sia posto volontariamente nelle condizioni di non avere adeguata notizia del processo, dimostrando di non volervi partecipare, senza alcun automatismo in riferimento all'accertata ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 420-bis c.p.p., e l'onere probatorio imposto al richiedente, che implica l'allegazione di una documentazione a sostegno, non preclude al giudice di disporre d'ufficio le integrazioni istruttorie necessarie ad accertarne l'oggettiva fondatezza.

3. Sulla base delle linee interpretative sin qui rievocate, a divenire “centrale”, anche nel campo della verifica di vizi incidenti sulla effettività del contraddittorio e sulla ritualità della dichiarazione di assenza, è l'istituto della rescissione del giudicato.

I principi di diritto sono stati così espressi: «il condannato con sentenza pronunciata in assenza che intenda eccepire nullità assolute ed insanabili, derivanti dall'omessa citazione in giudizio propria e/o del proprio difensore nel procedimento di cognizione, non può adire il giudice dell'esecuzione per richiedere ai sensi dell'art. 670 c.p.p. in relazione ai detti vizi, la declaratoria della illegittimità del titolo di condanna e la sua non esecutività. Può, invece, proporre richiesta di rescissione del giudicato ai sensi dell'art. 629-bis c.p.p., allegando l'incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo che possa essere derivata dalle indicate nullità».

Inoltre, le Sezioni Unite, nell'arresto in commento, ribadiscono quanto già affermato nella decisione del medesimo organo n. 36848/2014, sul tema della diversa qualificazione della domanda.

Si afferma, in particolare, che la particolare disposizione di cui all'art.568, comma 5,c.p.p. – secondo cui l'impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione ad essa data dalla parte che l'ha proposta – per ambito e ratio è tesa a governare esclusivamente il settore delle impugnazioni e non può trovare applicazione lì dove uno dei due strumenti giuridici in rilievo (qui l'incidente di esecuzione ex art.670 c.p.p.) ha natura giuridica diversa.

Anche in tal caso la decisione risulta del tutto coerente con il percorso argomentativo in diritto, date le precisazioni operate sulla natura giuridica della attribuzione al giudice della esecuzione dei poteri di verifica ai sensi dell'art.670 c.p.p.

In conclusione, va detto che resta affidata alla diligenza degli operatori – data l'esistenza del termine di decadenza per introdurre la domanda di rescissione, ai sensi dell'art. 629-bis comma 2,c.p.p. – la tenuta complessiva dello stesso sistema dell'assenza, in modo non dissimile da quanto previsto dal legislatore per il particolare rimedio della restituzione nei termini di cui all'art.175, comma 2,c.p.p., rimedio limitato (per effetto della novellazione del 2014) al solo istituto del decreto penale di condanna.

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