Annullamento con rinvio dell'ordinanza coercitiva e termini per il deposito del nuovo provvedimento

14 Giugno 2016

In tema di misure cautelari personali, a seguito della novella operata dalla l. 16 aprile 2015, n. 47, è sorto un contrasto in seno alla giurisprudenza di legittimità in merito alla possibilità, per il giudice del rinvio, a seguito di annullamento dell'ordinanza coercitiva, di disporre un termine per il deposito del nuovo provvedimento superiore a trenta giorni, come previsto dal nuovo comma 10 dell'art. 309 c.p.p. per la decisione del tribunale del riesame.
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La Sezione II della Corte di cassazione, con sentenza del 6 maggio 2016, n. 20248, ha escluso che il giudice del rinvio possa usufruire della facoltà di prorogare il termine di deposito in cancelleria dell'ordinanza cautelare (da trenta ad una massimo di quarantacinque giorni dalla decisione) prevista per il giudice del riesame e d'appello dagli artt. 309, comma 10, e 310, comma 2, c.p.p.

Al riguardo, si è infatti osservato che il comma 5-bis dell'art. 311 c.p.p. (inserito dalla l. 16 aprile 2015, n.47) ha introdotto anche per il giudizio di rinvio un termine per la decisione (dieci giorni decorrenti dalla ricezione degli atti) e uno per il deposito dell'ordinanza (trenta giorni decorrenti dalla decisione).

Tuttavia, a differenza di quanto previsto dagli artt. 309, comma 10, e 310, comma 2, c.p.p. (anch'essi novellati con la riforma del 2015) per il tribunale del riesame e d'appello, non è stata introdotta, per il giudice del rinvio, la possibilità di disporre la proroga del termine di deposito in misura non superiore a quarantacinque giorni, per il caso in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli "arrestati" o la gravità delle imputazioni.

Inoltre, il nuovo comma 5-bis sanziona con l'inefficacia della misura il mancato rispetto dei suddetti termini di decisione e deposito, salvo che l'annullamento con rinvio riguardi un'ordinanza applicativa di misura cautelare emessa dal tribunale in accoglimento di un appello del pubblico ministero, perché in questo caso l'esecuzione della misura resta sospesa fino a che la decisione non sia divenuta definitiva.

Secondo la suddetta pronuncia, l'introduzione di termini perentori anche per la definizione del giudizio di rinvio risponderebbe all'esigenza di una rapida definizione della posizione cautelare di chi, pur avendo ottenuto una decisione di annullamento dalla suprema Corte, si trova comunque ancora esposto alla possibilità di essere colpito da un presidio cautelare.

Inoltre, ad avviso dell'orientamento in esame, la mancata previsione di una facoltà di estensione del termine di deposito da parte del giudice del rinvio troverebbe una giustificazione nel carattere non particolarmente complesso del nuovo giudizio scaturito dall'annullamento con rinvio.

L'opposto orientamento, che ritiene possibile che il giudice di rinvio disponga un termine di deposito superiore ai trenta giorni indicati dall'art. 311, comma 5-bis, c.p.p. ma comunque non superiore ai quarantacinque giorni, alla stregua del comma 10 dell'art. 309 c.p.p., è stato adottato dalla Sezione V della Corte di cassazione, con sentenza dell'8 gennaio 2016, n. 18571.

Secondo la suddetta pronuncia, scopo del nuovo comma 5-bis dell'art. 311 c.p.p. sarebbe quello di equiparare la disciplina del procedimento di rinvio a quella del procedimento ordinario.

Infatti, prima della riforma, la giurisprudenza riteneva che nel giudizio di rinvio conseguente all'annullamento di un'ordinanza de libertate non fosse applicabile la disciplina dei termini prevista dall'art. 309 c.p.p. per il giudizio di riesame, bensì quella dettata dall'art. 127 c.p.p. (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 29 maggio 2006, n. 22310).

Ciò in quanto le esigenze di speditezza nei due procedimenti erano valutate diversamente. Infatti, mentre il riesame dell'ordinanza impositiva richiede una rapidità di giudizio, in quanto costituisce il primo controllo giurisdizionale su un provvedimento che incide sulla libertà personale, nel giudizio di rinvio non è necessaria una tale concentrazione di tempi, perché sul provvedimento de libertate si è già pronunciato il tribunale del riesame, quindi in due diversi gradi di giurisdizione vi è stata una prima valutazione sul provvedimento coercitivo.

Secondo la decisione in esame, quindi, con la riforma del 2015 il legislatore avrebbe inteso equiparare la disciplina del procedimento di riesame, anche quando esso segue ad una sentenza di annullamento con rinvio, di talché tale finalità rimarrebbe pregiudicata dalla mancata applicazione del comma 10 dell'art. 309 c.p.p.

Del resto, osserva la suddetta sentenza, non vi è motivo di distinguere i due procedimenti, anche perché a seguito dell'annullamento con rinvio non si realizza un giudizio chiuso e limitato alle precedenti acquisizioni. Infatti, se è vero che, il giudice del rinvio è vincolato al principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione ed è limitato, nell'indagine di merito devoluta, all'esame del punto della prima decisione attinto da annullamento, con divieto di estendere l'indagine a vizi di nullità o inammissibilità non riscontrati dalla Corte, resta comunque salva la sopravvenienza di nuovi elementi di fatto, sempre valutabili nel giudizio allo stato degli atti (Cass. pen., Sez. II, 12 marzo 2014, n. 16359), con la conseguenza che non si giustifica neppure astrattamente una presunzione di maggiore semplicità nella redazione del provvedimento.

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