L'applicabilità della sospensione feriale anche per la redazione della motivazione della sentenza

Enrico Campoli
19 Ottobre 2017

Il termine per la redazione della motivazione della sentenza (art. 544 c.p.p.) è sospeso durante il periodo feriale ovvero continua a decorrere secondo la consolidata giurisprudenza risalente a Sezioni unite n. 7498/1996?
1.

Il termine per la redazione della motivazione della sentenza (art. 544 c.p.p.) è sospeso durante il periodo feriale ovvero continua a decorrere secondo la consolidata giurisprudenza risalente a Sezioni unite n. 7498/1996? Che incidenza assumono, in proposito, le modifiche intervenute con la legge 162/2014 che hanno ridotto il periodo feriale di quindici giorni?

Dopo un primo “rimpallo” tecnico da parte del Primo Presidente – che, con provvedimento del 29 marzo 2017, restituiva gli atti alla IV Sezione penale della Corte di cassazione, rilevando una mancata opzione interpretativa (contraria) riguardo a quella consolidata delle Sezioni unite n. 7498 de 19 giugno 1996 – gli atti sono stati nuovamente rimessi (e questa volta recepiti con un'immediata fissazione d'udienza al 20 luglio 2017) al fine di chiarire l'ostica questione – di particolare rilievo e di potenziale contrasto giurisprudenziale – in merito alla concreta incidenza delle modifiche intervenute in materia di ferie giudiziarie riguardo alla sospensione dei termini per la redazione delle motivazioni delle sentenze ed al conseguente decorso di quello per la loro impugnazione.

La questione appare come il frutto malato di una riforma ordinamentale affrontata con approssimazione ed in modo a-sistematico: quella che, difatti, con tanto di conferenza stampa e slides illustrative, è stata “venduta” dall'Esecutivo come una specifica accelerazione dei tempi del processo, a tutto beneficio degli utenti della giustizia ed a disdoro di chi godeva di privilegi ingiustificati, rischia di dimostrarsi per quel che è: una demagogica dissertazione propagandistica che, nel migliore dei casi, non otterrà il risultato sperato se non, addirittura, avere introdotto, maldestramente, nell'ingranaggio processuale l'ennesimo, pericoloso, sassolino che lo inceppa.

Com'è noto, il combinato disposto di cui agli artt. 544 e 585 c.p.p. individua nella tempistica dettata per la redazione dei motivi della sentenza quello della decorrenza del termine per l'impugnazione, tempistica che, in seguito alla legge 67/2014, ha, però, “perso” un pezzo importante non essendo più previsto per l'imputato assente (a differenza di quello contumace) il c.d. avviso di deposito (art. 585, comma 1, lett. d), c.p.p., novellato).

Nel caso rimesso alle Sezioni unite, è accaduto che :

  • in seguito alla sentenza di condanna, emessa il 28 luglio 2015 dal giudice monocratico presso il tribunale di Chieti, per il deposito della motivazione indica il termine di trenta giorni (scadenza : 27 agosto 2015);
  • la motivazione della sentenza viene depositata il 31 luglio 2015, cioè entro il termine indicato dei trenta giorni;
  • il difensore dell'imputato deposita l'atto di appello in data 29 ottobre 2015, ritenendo che, stante il riservato deposito della motivazione entro trenta giorni dalla lettura del dispositivo e la sospensione di tale termine in considerazione del periodo feriale (1-30 agosto), il termine ultimo per l'impugnazione (45 gg.) doveva avere decorrenza dal 27 settembre 2015, e non dal 27 agosto 2015 (con scadenza 11 novembre 2015);
  • la Corte d'appello di L'Aquila dichiara inammissibile il gravame ritenendolo tardivo sulla base del fatto che avendo il giudice, alla lettura del dispositivo, indicato il termine per il deposito della motivazione in trenta giorni il dies a quo, non essendo ad esso applicabile il regime di sospensione feriale, va individuato in quello del 27 agosto 2015 e quello per l'impugnazione, questo sì soggetto alla sospensione, dall'1 settembre 2015 con la conseguenza che i 45 giorni per la formulazione dell'appello trovavano consumazione il 15 ottobre 2015, cioè prima del deposito dello stesso.

L'impostazione seguita dalla Corte d'appello di L'Aquila – che avalla l'applicabilità del regime della sospensione feriale al termine per l'impugnazione e non al termine per la redazione della motivazione della sentenza – affonda le sue consolidate radici nella sentenza delle Sezioni unite n. 7478/1996 secondo la quale, pur partendo dalla «esatta considerazione che i termini per la redazione della sentenza sono termini processuali non può inferirsi che debbano essere sospesi nel periodo feriale» in quanto, da un lato, essi sono privi di sanzione processuale, «la cui inosservanza può dar luogo solo a sanzioni disciplinari», e, dall'altro, riguardano esclusivamente il giudice e non le parti atteso che per quest'ultime vige il differimento del termine per l'impugnazione laddove lo stesso vada a cadere nel periodo interessato.

Ed è proprio in relazione a tale consolidato orientamento che ci si pone, ora, l'interrogativo sul se le recenti modifiche intervenute in merito al periodo feriale (legge 10 novembre 2014, n. 162) – riduzione a trenta giorni del congedo feriale per i magistrati e sospensione dei termini processuali dal 1 al 30 agosto – possano determinare un mutamento giurisprudenziale.

Nel rimettere la questione all'attenzione del massimo consesso di legittimità si è, dapprima, preferito evidenziare che la riduzione del periodo di sospensione feriale incide indirettamente sul diritto al riposo degli avvocati – e ciò sia per la riduzione oggettiva dell'intervallo prima concesso che per la contemporanea decorrenza al primo settembre dei termini per l'impugnazione di tutte le sentenze depositate durante il periodo feriale – per poi focalizzare l'attenzione sulle conseguenze organizzative che esso comporta invitando, significativamente «gli organi di governo delle magistrature e l'organo dell'avvocatura dello Stato» ad adottare le misure opportune (art. 16, comma 4, legge cit.).

Partendo da tali premesse il periodo feriale ridotto a trenta giorni per i magistrati non può che essere considerato come effettivo con la conseguenza che le decisioni incamerate in prossimità del medesimo cozzano, inevitabilmente, con lo scorrere dei termini stabiliti dalla legge per la redazione della motivazione.

Se, in precedenza, i quindici giorni “in più” concessi ai magistrati – utili, soprattutto, ai giudicanti ma non solo come vedremo più innanzi – potevano rientrare in un tacito patto che gli stessi venissero spesi per la redazione delle motivazioni, ora ciò non è più possibile sostenerlo (né pretenderlo) in quanto su di essi, come su di un qualsiasi altro lavoratore, durante il periodo feriale mensile, non possono più pendere obblighi lavorativi di qualsivoglia natura.

È per questo che le soluzioni organizzative sollecitate dal Legislatore agli organi di autogoverno hanno germinato una normazione di secondo grado con cui si opera, forzosamente, un “recupero” dei giorni “sottratti” e ciò sia anticipando l'interruzione regolare delle udienze (e ritardandone, poi, la ripresa post-estiva) e sia consentendo ai giudici di usufruire delle c.d. settimane-cuscinetto (nella norma due, per un totale di quindici giorni come quelli unilateralmente abrogati) da godere prima e dopo le “vacanze effettive” al fine di dedicare parte di quel tempo a redigere le motivazioni.

Ebbene, riepilogando, essendo pacifico che i termini per la redazione della motivazione sono di natura processuale e volendo sostenere, ancora oggi, alla luce delle modifiche normative intervenute, che solo per quelli sanzionati si applica la sospensione, non può che essere richiamato all'attenzione delle Sezioni Unite il disposto dettato dall'art. 124 c.p.p.secondo cui i magistrati sono tenuti a rispettare le norme anche quando l'inosservanza non comporta sanzioni, pena la loro responsabilità disciplinare.

Tutto ciò sta a significare che, ad oggi, i giudici sono tenuti, per legge, al rispetto dei termini per la redazione della motivazione non potendo usufruire di alcuna sospensione nel periodo feriale mentre, per rango regolamentare, il Consiglio Superiore della Magistratura (delibera 26 marzo 2015) non solo li solleva da tali inadempienze, in considerazione della «necessità di garantire l'effettività della fruizione delle ferie» ma svincola la valutazione della loro professionalità, riguardo al parametro della diligenza, dalle stesse (risoluzione 20 aprile 2016, par. 5).

Per quanto paradossale possa sembrare una norma di rango regolamentare – dettata dall'organo di autogoverno su espressa sollecitazione del Legislatore – elide quella responsabilità disciplinare prevista dalla norma ordinaria, responsabilità disciplinare su cui fondava i propri assunti la sentenza delle Sez. unite (n. 7498/1996).

Ove, pertanto, non dovesse trovare accoglimento la questione potenziale, opportunamente sottoposta al vaglio delle Sezioni unite, le conseguenze, però, non sarebbero solo incoerenti sotto il profilo sistemico ma anche foriere di gravi disservizi.

Sollevando il giudice da ogni responsabilità disciplinare e da ogni conseguenza professionale, e facultandolo a depositare in ritardo si finisce, difatti, non solo per onerare la cancelleria, ex art. 548, comma 2, c.p.p., di tutti gli avvisi di deposito dovuti in tali evenienze ma si va anche ad incidere, indirettamente, sui termini custodiali di fase che continueranno a decorrere oltre il dovuto.

È di tutta evidenza che una simile incertezza sul comportamento del giudice può generare anche disorientamento sull'atteggiarsi processuale delle parti (difensori e pubblici ministeri) che non potranno essere tutelati dal meccanismo – previsto anche nella nuova normativa –, che i termini di impugnazione che cadono nel periodo feriale sono sospesi fino al 1 settembre in quanto questa è solo una delle evenienze di uno spettro più ampio, ben potendo il giudice fissare un termine che va dai trenta ai novanta giorni.

Ad essere concreti, se il giudice decidendo in un prossimo 28 luglio sancisse un termine per la redazione della motivazione di sessanta giorni la scadenza canonica avrà luogo il 27 settembre, per cui laddove sia stato rispettato quello per l'impugnazione dei 45 giorni decorre da quest'ultimo, ma se, invece, “neutralizza” il periodo feriale (dall'1 al 30 agosto) potrà depositare, senza incorrere in sanzioni disciplinari, il 27 novembre innestando, però, la necessità degli avvisi di deposito fuori termine alle parti e determinando l'ulteriore scorrere dei termini custodiali di fase, cioè rallentando quei tempi della giustizia che ci si proponeva di accelerare ed, allo stesso tempo, danneggiando la libertà personale degli imputati.

2.

All'udienza del 13 giugno 2017 – decisione depositata l'indomani –, la quarta Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni unite la decisione sulla seguente questione, oggetto di contrasto giurisprudenziale:

se «dopo l'entrata in vigore della legge 28 aprile 2014 n. 67 e le modifiche apportate al periodo feriale dal decreto-legge 12 settembre 2014 n. 132, convertito con modificazioni dalla legge 10 novembre 2014 n. 612, il termine per la redazione della sentenza di cui all'art. 544 c.p.p., quale presupposto di decorrenza dell'ulteriore termine per l'impugnazione ai sensi dell'art. 585 cod. proc. pen., deve ritenersi soggetto alla sospensione nel periodo feriale a norma dell'art. 1 legge 7 ottobre 1969 n. 742» (ord. 29781/2017)

3.

Il Primo Presidente della Corte di cassazione ha fissato per il 20 luglio 2017 l'udienza per la trattazione della questione controversa

se «dopo l'entrata in vigore della legge 28 aprile 2014 n. 67 e le modifiche apportate al periodo feriale dal decreto-legge 12 settembre 2014 n. 132, convertito con modificazioni dalla legge 10 novembre 2014 n. 612, il termine per la redazione della sentenza di cui all'art. 544 c.p.p., quale presupposto di decorrenza dell'ulteriore termine per l'impugnazione ai sensi dell'art. 585 cod. proc. pen., deve ritenersi soggetto alla sospensione nel periodo feriale a norma dell'art. 1 legge 7 ottobre 1969 n. 742»

4.

All'udienza del 20 giugno 2017 le Sezioni unite, chiamate a dirimere la questione controversa «Sei termini per lòa redazione della sentenza siano soggetti alla sospensione nel perioso feriale, a seguito della riduzione del periodo annuale di ferie dei magistrati da perioso feriale, a seguito della riduzione del periodo annuale di ferie dei magistrati da 45 a 30 giorni stabilita dal d.l. n. 132/2014, conv. dalla legge n. 162 del 2014», hanno dato risposta negativa.

5.

Con una eludente (e deludente) motivazione le Sezioni unite (n. 42361/2017) respingono la questione del «se i termini per la redazione della sentenza siano soggetti alla sospensione del periodo feriale a seguito della riduzione del periodo annuale di ferie dei magistrati da 45 a 30 giorni stabilita dal d.l. 132 del 2014, conv. con modif. dalla l. 162 del 2014»: la disciplina della sospensione dei termini durante il periodo feriale non si estende a quella in tema di redazione dei motivi della sentenza.

Secondo i giudici del massimo consesso di legittimità tra le due materie non v'è un'interdipendenza tecnica tale da giustificare un mutamento giurisprudenziale rispetto all'arresto sancito con la pronuncia delle Sezioni unite n. 7478/1996.

Il primo argomento speso a tale riguardo – e, peraltro, già punto fermo della pronuncia da ultimo menzionata – è che la normativa avente ad oggetto la sospensione di diritto dei termini processuali riguarda le parti e non i giudici, per poi, eludere la circostanza che tra le prime vadano individuati anche i pubblici ministeri, con due affermazioni quantomeno apodittiche: la prima secondo cui la diversità di “trattamento” tra magistrati giudicanti e magistrati del pubblico ministero è determinata dal fatto che si è in presenza, per quest'ultimi, nella loro equiparazione agli avvocati, «di evidenti ragioni di simmetria procedimentale» laddove, invero, si dà luogo ad un'asimmetria, interna all'ordine giudiziario, contraria al dettato costituzionale (art. 107 Cost.); la seconda che «in alcuni casi specificamente previsti dalla legge e relativi a procedimenti con imputati in stato di custodia cautelare è prevista la rinunciabilità» di tale regime processuale con ciò negando, di fatto, lo status di eccezione che tale situazione comporta e che prescinde dalla stessa asimmetria impropriamente richiamata.

Al di là di tali prime osservazioni ciò che più colpisce è che le Sezioni unite “rimproverano” alla Sezione remittente – forse perché particolarmente insistente nel sollevare la questione nonostante un iniziale diniego del Primo Presidente – di avere dato luogo «più che ad un dibattito di natura interpretativa […] ad una visione critica sul merito della opzione politica di ridurre il periodo feriale: critica che, pur legittima, non potrebbe che avere luogo nelle sedi a ciò preposte» laddove all'opzione politica pare accedersi, proprio allorquando si adottano argomentazioni metagiuridiche senza tenere conto delle conseguenze concrete che queste comportano, come sono senz'altro quelle che individuano la soluzione «nell'art. 16, comma 4, d.l. n. 132 del 2014», attesa la previsione in esso della necessità di misure organizzative atte a scindere le due questioni senza che interferiscano tra di loro.

Il diritto alle ferie dei magistrati – ed il correlato diritto al pieno godimento delle stesse –, secondo la decisione delle Sezioni Unite, è tutelabile altrimenti, a mezzo di specifiche misure organizzative, individuate dall'organo di autogoverno, che contemperino lo stesso con quello di non sacrificare altri diritti di eguale valenza costituzionale, come la libertà personale degli imputati e la ragionevole durata del processo.

Proprio per tali motivi, si sostiene, è ragionevole tenere scissi i due temi, quello delle ferie dei magistrati e quello della sospensione di talune cadenze processuali, anche alla luce del fatto che le prime ben potrebbero ricadere in un periodo diverso da quello canonicamente deputato ad esse (estivo) con ciò determinando un'ingiustificata disparità di trattamento tra gli stessi titolari qualora si concedesse solo per quest'ultimo il regime di sospensione.

L'elemento che permette, invece, di trovare il giusto equilibrio tra le due esigenze risiede – secondo le motivazioni depositate – nella modulabilità del termine di deposito della sentenza, cioè nella «possibilità per il giudice di assegnarsi termini conformi alla complessità della motivazione, fino a 90 giorni dalla pronuncia», quest'ultimi, peraltro, ulteriormente incrementabili (raddoppio) in presenza dei precisi presupposti dettati dall'art. 154 disp. att. c.p.p.

Ed è qui che le motivazioni mostrano tutti i loro limiti, in quanto l'implicito suggerimento a “sfruttare” la discrezionalità esclusiva del giudice sul punto, allargando i termini per il deposito a seconda del periodo feriale che si va ad affrontare, da un lato, non dovrebbe essere svolta a disdoro di quei valori costituzionali (libertà personale e ragionevole durata del processo) che si è richiamati e che si intende, giustamente, tutelare e, dall'altro, disattende un dato ineludibile, e cioè che laddove i 90 giorni costituiscono una reale necessità per il giudice non si vede per quale ragione una parte di essi debba essere erosa qualora il diritto ad usufruire pienamente delle ferie sia in parte coincidente.

Rimedi peggiore del male appaiono, poi, sia il richiamo alle misure “compensative” adottate dal consiglio superiore della magistratura, non avvedendosi che i “periodi di distacco” e “di rientro” – individuati complessivamente, e non casualmente, in due settimane – non fanno che restituire, surrettiziamente ed ipocritamente, i quindici giorni “sottratti” dal legislatore e, sia l'affermazione che eventuali ritardi, nel deposito delle motivazioni, o dei provvedimenti in generale, dovuti al fatto che essi «comprendano o vadano a scadere proprio nel periodo feriale», non possono incidere sul piano disciplinare e/o su quello della diligenza in tema di valutazione della professionalità.

Su tale ultimo punto, al di là del fatto, non proprio secondario, che, così discettando, una norma regolamentare di secondo grado (circolare del C.S.M.) va a modificare, di fatto, una norma di legge (art. 124 c.p.p.) non può non essere evidenziato che tale disposizione finisce per determinare effetti perversi sotto il profilo della stessa funzionalità del processo ed in danno della libertà personale degli imputati.

Ed è presto dimostrato: tutte le volte in cui il giudice, nell'imminenza della sospensione feriale, dovrà dare luogo ad una decisione in merito ad un processo di rilevante complessità, con imputati sottoposti a custodia cautelare, o calendarizzerà la stessa oltre il periodo estivo (così determinando un allungamento della custodia cautelare ed un fisiologico ritardo nella definizione del processo) oppure propendendo per la definizione, nell'assegnarsi un termine, per il deposito della motivazione, di 90 giorni non potrà che vedere sovrapposti, almeno in parte, il proprio periodo feriale e quello di decorrenza del termine per la motivazione con la conseguenza ineludibile, - secondo le opzioni interpretative delle Sezioni Unite -, che i giorni di ferie coincidenti, non incidendo né sotto il profilo della diligenza né, tantomeno, sotto quello della valenza disciplinare, lo legittimeranno a depositare oltre il termine di legge per i giorni corrispondenti, così comportando, anche in questo secondo caso, un fisiologico allungamento della custodia cautelare (non sospendibile) ed un enorme aggravio per la cancelleria dovuto agli avvisi per il deposito fuori termine.

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