Rinnovazione delle prove orali in appello in caso di assoluzione in primo grado: vale anche per i periti?

14 Novembre 2018

Il contrasto giurisprudenziale nasce dalla necessità di chiarire se il giudice di appello, che intenda ribaltare la prima decisione di carattere assolutorio, abbia l'obbligo di rinnovare altresì le dichiarazioni rese dai periti e dai consulenti tecnici, ritenute decisive ma diversamente valutate dal giudice di primo grado.
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Il contrasto giurisprudenziale nasce dalla necessità di chiarire se il giudice di appello, che intenda ribaltare la prima decisione di carattere assolutorio, abbia l'obbligo di rinnovare altresì le dichiarazioni rese dai periti e dai consulenti tecnici, ritenute decisive ma diversamente valutate dal giudice di primo grado.

Premesso che, al caso di specie, non è applicabile (come peraltro rileva l'ordinanza in esame), ratione temporis, il nuovo articolo 603, coma 3-bis c.p.p., introdotto dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, art. 1, comma 58, la Corte rimettente analizza, prima di affrontare i diversi orientamenti contrastanti in materia di equiparazione delle dichiarazioni dei periti e dei consulenti tecnici alle prove dichiarative, alcune pronunce del Supremo Consesso che, già prima della riforma ed in ossequio al diritto sovranazionale, avevano affrontato la questione della rinnovazione istruttoria in appello in caso di prove dichiarative diversamente valutate dal giudice di secondo grado.

Ebbene, con la sentenza n. 27260 del 28 aprile 2016 (Dasgupta), le Sezioni unite erano state investite della questione relativa alla rilevabilità di ufficio, in sede di legittimità, della violazione dell'art. 6 della Cedu, per avere la Corte territoriale riformato la sentenza di primo grado, affermando la responsabilità dell'imputato sulla base di una diversa valutazione delle prove dichiarative, senza procedere, tuttavia, ad una nuova escussione dei testi.

I giudici, invero, hanno chiarito che la previsione di cui all'art. 6, par. 3, lett. d) della Cedu che tutela il diritto dell'imputato di esaminare o fare esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico, implica che il giudice di secondo grado, investito della impugnazione del pubblico ministero avverso una sentenza di assoluzione, e nella quale si rappresenti un'erronea valutazione delle prove dichiarative, non può riformare la sentenza impugnata, a meno di aver proceduto, anche d'ufficio, alla rinnovazione dell'istruzione dibattimentale attraverso l'esame dei soggetti che abbiano reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini del giudizio assolutorio di primo grado.

In tal caso, secondo la Corte, la sentenza di appello che ribalti il giudizio di primo grado, operando una diversa valutazione delle prove dichiarative decisive, in assenza di rinnovazione dibattimentale, è affetta da vizio di motivazione per mancato rispetto del principio di giudizio dell'al di là di ogni ragionevole dubbio.

E invero, l'affermazione di colpevolezza, in siffatta ipotesi, è legata ai principi del contraddittorio, dell'oralità e dell'immediatezza. In conseguenza di ciò, dunque, posto che anche la sentenza di appello richiede l'osservanza dei limiti imposti dal ragionevole dubbio, è evidente che i tre pilastri del modello processuale accusatorio debbano essere applicati anche in secondo grado.

In tali ipotesi, dunque, la rinnovazione dibattimentale deve ritenersi assolutamente necessaria ai sensi dell'art. 603, comma 3, c.p.p. («La rinnovazione dell'istruzione dibattimentale è disposta di ufficio se il giudice la ritiene assolutamente necessaria»).

La situazione è diversa, invece, nel caso di ribaltamento in senso favorevole all'imputato, in quanto, in questo caso, il principio cui si fa riferimento non è più quello dell'oltre ogni ragionevole dubbio ma quello, costituzionalmente garantito, di presunzione di non colpevolezza.

Nella medesima direzione, si è posta anche la sentenza delle Sezioni unite n. 18620, del 19 gennaio 2017 (Patalano), che ha fatto un'ulteriore passo avanti. La sentenza, invero, ha addirittura previsto che, anche nel caso di giudizio abbreviato, in cui l'imputato decide di essere giudicato allo stato degli atti, la Corte di merito, ove intenda ribaltare il giudizio assolutorio fondato su prove dichiarative non assunte nel contraddittorio delle parti, nel rispetto del principio dell'”al di là di ogni ragionevole dubbio”, deve riassumere dette prove, rinnovando l'istruttoria in appello. Pena: vizio di motivazione ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p.

Orbene, fatte tali premesse, la questione che deve essere risolta dalle Sezioni unite e per la quale si registra un contrasto giurisprudenziale, evidenziato peraltro anche da parte dell'Ufficio del Massimario, riguarda l'equiparabilità delle dichiarazioni rese da periti e consulenti tecnici alle prove dichiarative rese dagli altri testi e la loro necessaria riassunzione in caso di overturning acccusatorio (ossia di ribaltamento della pronuncia di primo grado).

Orientamento favorevole all'equiparazione delle dichiarazioni peritali a quelle del testimone. Secondo una prima pronuncia della Seconda Sezione, la n. 34843 del 1° luglio 2015, il giudice di appello, ove intenda ribaltare la sentenza assolutoria di primo grado, ha l'obbligo di confutare tutti gli argomenti giuridici sui quali si fondava la motivazione assolutoria della prima sentenza. Ma ciò non basta, così come precisano i giudici di legittimità. Infatti, in linea con quanto affermato anche dalla Corte europea con la sentenza 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia, la Corte di merito deve rinnovare l'assunzione delle prove orali, ove il giudizio di condanna debba fondarsi su un diverso apprezzamento dell'attendibilità delle stesse.

Si è ritenuto che l'esame in dibattimento del perito, svolto con le stesse modalità che per tutti gli altri testi, impone una rivalutazione della prova con precedente riascolto del tecnico.

Ed infatti, è un errore sulla natura stessa della prova ritenere di poter prescindere dal riesame degli autori di perizie e consulenze che vengono rivalutate in appello. La conseguenza di tale errore, per la pronuncia in argomento, è la violazione dell'art. 6 della Cedu, alla luce della sentenza del 5 luglio 2011 citata.

Anche la sentenza n. 6366 del 6 dicembre 2016, della Quarta Sezione della Corte, è giunta alle medesime conclusioni, affermando che la Corte di appello debba verificare preliminarmente (motivo per cui era viziata la motivazione della sentenza) l'incoerenza e l'implausibilità della ricostruzione operata dal tecnico nella sua relazione e pur posta alla base del ribaltamento del giudizio di primo grado. In secondo luogo, gli stessi giudici, devono (e nel caso di specie non l'avevano fatto) rinnovare l'audizione di quell'ausiliario, le cui affermazioni diano luogo a interpretazioni differenti, oppure nominare un nuovo consulente al fine di appianare ogni dubbio.

Stesso discorso anche con riguardo alla pronuncia della Quarta Sezione, la n. 9400 del 25 gennaio 2017. Anche in questo caso, la pronuncia di secondo grado è stata annullata dalla Corte di cassazione, in quanto i giudici di merito avevano riformato la sentenza assolutoria di primo grado, in base ad un diverso apprezzamento delle prove dichiarative, tra cui anche quelle del perito, considerate decisive, pur senza procedere al rinnovo dell'istruttoria così come previsto dall'art. 603, comma 3, c.p.p.

Ancora, in merito alla necessità di riesaminare il perito, si è espressa la Quarta Sezione, con la sentenza n. 14649 del 21 febbraio 2018, con riferimento ad un caso in cui il giudice di appello aveva riformato la sentenza assolutoria proprio formulando una diversa analisi e valutazione complessiva della perizia e delle dichiarazioni peritali.

Infine, l'ultima pronuncia richiamata dalla Corte è la recentissima sentenza n. 14654 del 30 marzo 2018, che ha considerato equivalenti la prova dichiarativa e l'esame del perito, ritenendo censurabile, per vizio di motivazione, la sentenza che fondi le proprie argomentazioni su una diversa valutazione degli esiti peritali, in assenza di una nuova audizione del tecnico esperto.

Orientamento contrario all'equiparazione delle dichiarazioni peritali a quelle del testimone. La prima sentenza richiamata è la n. 1691 del 14 settembre 2016, resa dalla Quinta Sezione che, richiamando la giurisprudenza maggioritaria in tema di valutazione di perizie e consulenze (secondo la quale la Corte di legittimità non deve pronunciarsi sull'attendibilità scientifica delle acquisizioni esaminate dal giudice di merito ma valutare la coerenza logica della motivazione), afferma che la posizione del perito, sentito in dibattimento, non è accostabile a quella del testimone.

La posizione di periti e consulenti tecnici, infatti, non è assimilabile al concetto di prova dichiarativa, così come espresso nella sentenza n. 27620/2016 delle Sezioni unite, atteso che, nella medesima pronuncia, ove si elencano i casi in cui è necessaria la rinnovazione, non si fa alcuna menzione a tali soggetti.

Di conseguenza, in caso di ribaltamento in appello della sentenza assolutoria, a seguito di impugnazione del P.M., non sussiste l'obbligo per il giudice di procedere ad una rinnovazione dibattimentale per sentire periti e consulenti, fermo restando comunque l'onere di motivare il ragionamento difforme, dando conto delle eventuali ritenute incoerenze o incompletezze delle relazioni peritali.

Le stesse conclusioni sono state adottate dalla Terza Sezione con la sentenza n. 57863 del 18 ottobre 2017, ove si dichiara la necessità di una lettura unitaria, in materia, sia dei principi espressi dalla sentenza delle Sezioni unite già citata, che quelli consolidati in tema di valutazione della prova scientifica.

La Corte ritiene che, se anche i periti e i consulenti assumono la veste di testimone in dibattimento, nondimeno la loro relazione forma parte integrante della deposizione; essi forniscono un parere tecnico ed esprimono valutazioni di natura scientifica.

Secondo quest'orientamento, la prova scientifica, in definitiva, non costituisce una vera e propria prova dichiarativa.

Quindi, nei casi di assunzione di prova testimoniale resa dal perito, non si deve stabilire l'attendibilità o meno del dichiarante, quanto valutare la deposizione in considerazione di quelli che sono i principi di valutazione della prova scientifica, che consentono al giudice sia di scegliere tra le varie tesi prospettate quella che ritiene di voler condividere, sia di discostarsi da esse, con una motivazione logica e coerente che, se presente in sede di merito, non può essere censurata in sede di legittimità.

Tale orientamento fa leva sulla diversità del ruolo del testimone rispetto a quello del perito, facendo notare come quest'ultimo sia un professionista incaricato dal giudice o, comunque, da una delle parti al fine di espletare un'attività di supporto tecnico-scientifico, in base alle specifiche competenze e che, da un esame congiunto degli artt. 468, 391-bis, 391-sexies c.p.p. e art. 149 disp.att. c.p.p., si ricava una particolare diversità di ruoli che, evidentemente, se non vi fosse, non avrebbe reso necessario prevedere la clausola di compatibilità contenuta nell'art. 501 c.p.p. (sull'applicabilità all'esame dei periti e consulenti tecnici delle regole sull'escussione del testimone).

Di contro, rileva la Corte, non deve dimenticarsi come l'esame del perito sia preliminare rispetto alla lettura della perizia.

In tal modo, l'attenzione si riversa sull'esperto e non sulla relazione dallo stesso stilata.

Nondimeno, un argomento interessante si rivela quello proposto dalla giurisprudenza civile di legittimità, relativo alla diversa attività deducente o percipiente svolta dal perito.

Ove il perito abbia l'incarico di valutare, semplicemente, fatti o dati preesistenti, la sua è un'attività deducente che, secondo i giudici, non costituisce una prova in senso proprio.

Di contro, se lo stesso ha l'incarico di accertare fatti non diversamente accertabili attraverso prove o tecniche particolari, la sua attività è senz'altro percipiente e, dunque, la consulenza costituisce una vera e propria fonte diretta di prova, utilizzabile al pari di ogni altra prova in giudizio.

Secondo la Corte rimettente, tale principio può essere utilizzato anche in sede penale, e deve ritenersi che, nei casi in cui l'attività del perito sia percipiente, l'apporto cognitivo probatorio del consulente corrisponde a quello del testimone, posto che dà un contributo ulteriore che non avrebbe potuto esserci in sua assenza.

Ad ogni modo, pur di fronte a tale interessante distinzione, resta comunque il fatto che le Sezioni unite, nell'ordinanza più volte citata, non hanno mai indicato, per i casi di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello, il perito quale soggetto sottoposto alla regola di cui all'art. 603 c.p.p..

2.

All'udienza del 23 maggio 2018, pertanto, la Seconda Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni unite la decisione della seguente questione oggetto di contrasto giurisprudenziale:

«Se la dichiarazione resa dal perito o dal consulente tecnico costituisca o meno prova dichiarativa assimilabile a quella del testimone, rispetto alla quale, se decisiva, il giudice di appello avrebbe la necessità di procedere alla rinnovazione dibattimentale, nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento di essa».

3.

Il Primo Presidente della Cassazione ha fissato per il 22 novembre 2018 l'udienza davanti alle Sezioni unite per la discussione della questione controversa:

«Se la dichiarazione resa dal perito o dal consulente tecnico costituisca o meno prova dichiarativa assimilabile a quella del testimone, rispetto alla quale, se decisiva, il giudice di appello avrebbe la necessità di procedere alla rinnovazione dibattimentale, nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento di essa».

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