Iscrivere o non iscrivere l'archiviazione per particolare tenuità del fatto nel casellario giudiziale?

Valeria Bove
31 Maggio 2019

Con ordinanza n. 9836 del 27 febbraio 2019 (dep. 6 marzo 2019) la prima Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: «se il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto a norma dell'art. 131-bis cod. pen. sia soggetto all'iscrizione nel casellario giudiziale ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313».
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Con ordinanza n. 9836 del 27 febbraio 2019 (dep. 6 marzo 2019) la prima Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: «se il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto a norma dell'art. 131-bis cod. pen. sia soggetto all'iscrizione nel casellario giudiziale ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313».

La decisione sulla questione è fissata all'udienza del 30 maggio.

Il caso. Il Tribunale di Salerno, quale giudice del casellario, ordinava la cancellazione dell'iscrizione del provvedimento di archiviazione, che aveva ravvisato la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, richiamando sul punto la sentenza della Sezione Quinta della Corte di cassazione (n. 3817 del 15/01/2018 Cc. - dep. 26/01/2018-, Pisani), nella quale si è affermato che «il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto, non rientrando nella categoria dei provvedimenti giudiziari definitivi di cui all'art. 3, co.1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, non è soggetto ad iscrizione nel casellario giudiziale».

Avverso il provvedimento proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Salerno, chiedendone l'annullamento, perché adottato in violazione di legge in relazione all'art. 3, comma 1, lett. f) d.P.R. cit; assumeva in particolare che l'ultima parte della norma «tramite la congiunzione «nonché», fa espresso riferimento a tutti i provvedimenti che hanno dichiarato la non punibilità del fatto ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., essendo l'iscrizione funzionale al corretto apprezzamento, in eventuali procedimenti futuri, dell'abitualità del comportamento illecito da parte dello stesso soggetto, integrante condizione ostativa all'ulteriore applicazione della medesima causa di non punibilità.»

A sua volta il Procuratore generale chiedeva che il ricorso venisse rimesso alle Sezioni Unite, rilevando l'esistenza di un contrasto di giurisprudenza, segnalato anche dall'Ufficio del massimario e del ruolo; in subordine concludeva per l'annullamento del provvedimento con rinvio.

Il contrasto giurisprudenziale. La Prima Sezione, con l'ordinanza del marzo 2019 (ud. 27 febbraio 2019), n. 9836, in commento, ha rilevato un contrasto tra l'orientamento giurisprudenziale maggioritario contrario all'iscrizione del provvedimento di archiviazione nel casellario giudiziale (espresso in ultimo da Cass. pen., Sez. I, 25 giugno 2018, n. 31600; Cass. pen., Sez. III, 26 gennaio 2017, n. 30685, Vanzo; Cass. pen., Sez. V, 15 gennaio 2018, n. 3817, Pisani) e quello minoritario, espresso da una sentenza della Sezione V (Cass. pen., 15 giugno 2017, n. 40293, Serra), cui il giudice rimettente aderisce, e ha quindi rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: «se il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto a norma dell'art. 131-bis cod. pen. sia soggetto all'iscrizione nel casellario giudiziale ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313».

Secondo il giudice rimettente sarebbe necessario un ripensamento dell'interpretazione adottata dall'orientamento maggioritario perché l'omessa iscrizione del provvedimento di archiviazione nel casellario giudiziale impedirebbe «all'organo inquirente di avere un quadro completo e veritiero sulla personalità del soggetto, per mancata iscrizione dei decreti di archiviazione pronunciati ai sensi dell'articolo 131-bis c.p., così pregiudicando le successive valutazioni del requisito della non abitualità del comportamento che la stessa disposizione pone a fondamento dell'istituto».

L'iscrizione è resa possibile perché alla congiunzione nonché, utilizzata nella disposizione di cui all'art. 3 d.P.R. cit, deve essere attribuito il valore di «congiunzione aggiuntiva, sicché oltre ai «provvedimenti giudiziari definitivi» dovrebbero essere iscritti nel casellario anche quelli, indipendentemente dalla loro definitività, che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'articolo 131-bis del codice penale».

Si evita così anche una disparità di trattamento tra situazioni analoghe «laddove, in caso di proscioglimento ai sensi dell'articolo 131-bis cod. pen. disposto con sentenza, l'imputato vede iscritta tale pronuncia nel casellario; e aggiunge che è priva di concreto rilievo la possibilità di procedere alla revoca del provvedimento di archiviazione a supporto della non definitività del medesimo provvedimento».

Secondo il giudice rimettente l'iscrizione del provvedimento di archiviazione ex art. 131-bis c.p. non determina una lesione dei diritti o degli interessi dell'indagato, in quanto la decisione è assunta dal giudice a seguito di un procedimento (art. 411, comma 1-bis, c.p.p.) nel quale è assicurato il pieno contraddittorio, ricevendo le parti regolare avviso e solo dopo aver sentito le parti all'udienza camerale il giudice provvede facendo applicazione di tutti i poteri decisori che la legge ordinariamente gli attribuisce. Il provvedimento di archiviazione, quindi, pur se soggetto alla possibilità di riapertura delle indagini ex art. 414 c.p.p. è destinato a definire il procedimento in modo tendenzialmente stabile e ciò non solo non è sminuito dal fatto che non gli sia riconosciuta efficacia di accertamento extrapenale ai seni dell'art. 651-bis c.p.p., ma non può neanche ipotizzarsi in concreto una riapertura delle indagini per ragioni concernenti il giudizio di particolare tenuità, che sarebbe nel caso in esame meramente teorica, essendo il relativo provvedimento dotato di sostanziale stabilità (Cass. pen., Sez. Unite, 22 marzo 2000, n. 9 Finocchiaro, Rv. 216004; si veda anche Corte cost., 19 gennaio 1995, n. 27).

La riapertura delle indagini, secondo il giudice rimettente sarebbe, dunque, meramente teorica nel caso di archiviazione ai sensi dell'art. 131-bis c.p.., che presuppone già l'accertamento del fatto, la sua attribuzione all'indagato e la riconducibilità all'ipotesi di particolare tenuità, sulla base di indagini complete e non suscettibili di riapertura.

A sostegno dell'orientamento minoritario militerebbe, secondo il giudice rimettente, anche un'altra considerazione: la mancata iscrizione nel casellario determina l'impossibilità di valutare con immediatezza e compiutezza la non abitualità del comportamento in caso di reiterazione di fatti della stessa indole, «con conseguente disparità di trattamento rispetto ai soggetti per i quali sia stata pronunciata sentenza di non punibilità ex art. 131-bis c.p., ridondante a danno dell'efficienza complessiva del sistema processuale, poiché il Pubblico ministero, al fine di conservare traccia della declaratoria di non punibilità, potrebbe scegliere di non anticipare alla fase delle indagini la richiesta ex art. 131-bis c.p., rimettendone l'iniziativa all'imputato dopo l'esercizio dell'azione penale, così determinandosi un inutile dispendio di attività processuali nei casi di procedimenti definibili fin d'all'inizio con provvedimenti di archiviazione».

Si afferma sul punto, operando un parallelo con l'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova ai sensi dell'art. 168-bis c.p., che anche nel caso della declaratoria di non punibilità ex art. 131-bis c.p. ricorre, in effetti, la stessa necessità, perché il giudice è tenuto a verificare che l'indagato non tenga un comportamento abituale ovvero reiteri le condotte illecite, sicché l'autorità giudiziaria deve essere informata del provvedimento di archiviazione per tale causa di non punibilità», in ossequio a quanto già aveva detto a suo tempo la relazione governativa di illustrazione del d.lgs.28/2015.

Di qui la decisione di rimettere la questione alle Sezioni Unite

Nonostante la sua apparente tecnicità, la questione dell'iscrizione del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità nel certificato del casellario giudiziale è tutt'altro che marginale, e con essa l'istituto si gioca una delle sue partite più importanti, dipendendo dalla decisione che assumeranno le Sezioni Unite molto della “sopravvivenza”.

Se la questione – la cui decisione è fissata per il prossimo 30 maggio – sarà decisa in termini affermativi, è verosimile prevedere che il ricorso all'istituto sarà sempre più sporadico e molte di quelle finalità deflattive per le quali esso è stato anche pensato saranno definitivamente neutralizzate; se la decisione sarà nel senso della non iscrizione, continuerà a farsi ricorso all'applicazione della causa di esclusione della punibilità in quella che – a fini deflattivi – è la sua sede fisiologica, ossia la fase delle indagini preliminari, assicurando così la diffusione di un istituto che risponde ad una nuova e più attuale concezione del sistema penale e che resta comunque molto utile nel nostro ordinamento e nel nostro sistema giudiziario.

In attesa di conoscere quale sarà la decisione del collegio riunito e per quale dei due orientamenti esso opterà, possono già essere anticipate alcune considerazioni che militano a favore della tesi opposta a quella proposta dal giudice rimettente.

A favore dell'orientamento maggioritario, contrario all'iscrizione del provvedimento giudiziario dell'archiviazione nel casellario giudiziale, vi sono non pochi elementi, non smentiti, a parere di chi scrive, dalla tesi opposta.

In primo luogo, viene in rilievo il dato letterale.

La disposizione normativa che disciplina l'iscrizione dei provvedimenti giudiziari che applichino la particolare tenuità del fatto è l'art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, così come modificato dall'art. 4, comma 1, lett a) del d.lgs. 28/2015, a norma del quale nel casellario giudiziale si iscrivono per estratto «i provvedimenti giudiziari definitivi che hanno prosciolto l'imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilità, o disposto una misura di sicurezza, nonché' quelli che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'articolo 131-bis del codice penale».

Ebbene, non convince, sul punto, l'interpretazione proposta nell'ordinanza di rimessione di quel nonché, ritenuto essere una mera congiunzione aggiuntiva.

Il nonché di cui si discute è seguito da un termine - quelli che - che va letto e interpretato unitamente a tutto il periodo precedente e che nell'ordinanza di rimessione non viene in alcun modo considerato.

Il termine quelli che, letto nel contesto del periodo, rimanda necessariamente ad un oggetto già indicato e che non viene ripetuto nuovamente. Rileggendo quindi il periodo quelli che è chiaramente e inequivocabilmente riferito ai provvedimenti giudiziari definitivi che, nella prima parte del periodo sono individuati in quelli «che hanno prosciolto l'imputato o dichiarato non luogo a procedere per difetto di imputabilità, o disposto una misura di sicurezza» mentre, nella seconda parte, sono indicati come quelli «che hanno dichiarato la non punibilità ai sensi dell'articolo 131-bis del c.p.».

Quindi, se non vi è dubbio che la congiunzione nonché abbia un contenuto additivo, nel momento in cui ad essa segue l'aggettivo dimostrativo quelli, quella congiunzione va letta unitamente all'aggettivo dimostrativo e sta ad indicare che il contenuto additivo si riferisce all'oggetto già individuato nel corpo del testo, ossia ai provvedimenti giudiziari definitivi.

L'interpretazione letterale della disposizione di cui all'art. 3 d.P.R. cit che appare più fedele al testo normativo è dunque nel senso ritenuto dall'orientamento maggioritario, in omaggio ad una visione dell'interpretazione letterale che non sia meramente grammaticale, bensì di tipo logico-complessivo.

È un punto di partenza, questo, difficilmente superabile, non solo perché rispondente al dato testuale, ma anche perché rispondente alla ratio del sistema.

Si discute infatti non di un qualunque provvedimento giudiziario, ma di un provvedimento di archiviazione, adottato quindi nella fase delle indagini preliminari su richiesta del pubblico ministero che non ha ritenuto di esercitare l'azione penale nei confronti del soggetto il cui nominativo è iscritto nel registro delle persone indagate. È dunque un provvedimento che chiude la fase delle indagini preliminari, rispetto ad un fatto che il P.M., prima, e il GIP, poi, non ritengono debba essere oggetto di un processo penale ed esso, come ogni provvedimento di archiviazione non va iscritto, secondo una regola di ordine generale, che tutela l'indagato e non lede il suo interesse a non ritrovarsi “una macchia”, seppur nel casellario giudiziale per uso interno, rispetto ad un fatto in relazione al quale si è ritenuto di non esercitare l'azione penale perché non meritevole di pena, neanche all'esito di un eventuale processo e che, proprio perché non è stato provato in esito ad un processo, non può ritenersi né coperto da efficacia di giudicato né definitivamente accertato.

Ebbene, l'ordinanza di rimessione ritiene che l'iscrizione del provvedimento di archiviazione ex art. 131-bis c.p.p. non determini invece alcuna lesione dei diritti o degli interessi dell'indagato e trae implicitamente questa affermazione dal fatto che la decisione viene assunta dal giudice a seguito di un procedimento (art. 411, comma 1-bis, c.p.p.) nel quale è assicurato un contraddittorio pieno.

In realtà, a parere di chi scrive, le questioni si pongono su piani diversi: la speciale procedura di cui all'art. 411, comma 1-bis, c.p.p. serve ad assicurare un contraddittorio funzionale ad avere un epilogo, per l'indagato, più favorevole, potendo questi avere interesse a dimostrare l'infondatezza della notizia di reato. Altra cosa è, invece, l'iscrizione del provvedimento nel casellario giudiziale, rispetto alla quale quel contraddittorio garantito non sposta i termini della discussione, perché è indubitabile che ove il provvedimento di archiviazione venisse iscritto, diversamente da quanto si sostiene nell'ordinanza di rimessione, si determinerebbe un effetto pregiudizievole per l'indagato, già solo per il ritrovarsi una “macchia” nel certificato del casellario giudiziale rispetto a un fatto per il quale si è ritenuto di non procedere e con riferimento al quale non si è avuta la prova piena della sussistenza di esso e della sua riferibilità all'indagato, perché è mancato il vaglio dibattimentale, o comunque il vaglio di un processo penale, con tutte le sue garanzie nella formazione della prova.

In questa stessa ottica si spiega la stessa disposizione di cui all'art. 651-bis c.p.p.: venendo in rilievo, con il provvedimento di archiviazione, una decisione che non è stata oggetto di una prova piena, quale quella che può essere assunta all'esito del dibattimento (o giudicata nelle forme del rito abbreviato, disposto su richiesta espressa e volontaria dell'imputato) e che perciò non può avere efficacia extrapenale.

É una garanzia, questa, che va assicurata all'indagato il quale non può vedersi pregiudicato da un provvedimento che comunque gli attribuisce la commissione di un fatto, seppur di particolare tenuità, che non risulta essere stato oggetto di prova assunta nelle forme e con le garanzie proprie di un dibattimento (nel caso dell'abbreviato, questo pregiudizio è superato dalla richiesta volontaria di definizione del procedimento che l'imputato avanza).

La necessità di assicurare tali garanzie, tanto quella dell'efficacia extrapenale – riconosciuta expressis verbis dall'art. 651-bis c.p.p. – quanto quella della omessa iscrizione nel certificato del casellario giudiziale, non può retrocedere rispetto all'esigenza per il giudice, che si trovi chiamato ad applicare la particolare tenuità del fatto, di venire a conoscenza di precedenti archiviazioni per la particolare tenuità del fatto, ai fini della valutazione dell'abitualità del comportamento. Come si vedrà, altri devono essere gli strumenti che il giudice può utilizzare per fronteggiare questa esigenza di valutazione ed occorre far ricorso a essi, evitando così di andare a discapito di garanzie di tutela che sono costituzionalmente riconosciute e che trovano il loro fondamento nell'art. 27 Cost.

Va infatti tenuto presente che il provvedimento di cui si discute è un provvedimento di archiviazione, rispetto al quale non può perdersi di vista un dato, ossia che nessun provvedimento di archiviazione va iscritto nel certificato del casellario giudiziale: è questa la regola generale, rispetto alla quale, se il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalità, decide di discostarsi, lo potrà eventualmente fare (impregiudicata la tenuta costituzionale dell'intervento normativo) con un'espressa ed inequivoca disposizione normativa derogatoria.

Nel caso di specie, non vi è alcuna inequivoca disposizione derogatoria, e anzi, il tenore letterale della disposizione di cui all'art. 3 cit. esclude espressamente una deroga al sistema.

Non convince neanche – riprendendo quel parallelo che lo stesso giudice rimettente fa – il riferimento alla disposizione normativa relativa all'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova.

Non può infatti richiamarsi, a sostegno della tesi qui non accolta, un'identità nelle finalità tra le disposizioni normative, relative rispettivamente alla sospensione del procedimento con messa alla prova e alla causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, trattandosi di disposizioni normative che, in questo aspetto, non sono raffrontabili tra loro.

La scelta del legislatore del 2014 di disporre l'iscrizione dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova nel certificato del casellario giudiziale per uso interno rispondeva (e risponde) alla necessità di rendere immediatamente evincibile, al giudice investito di una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, l'esistenza di una precedente ammissione, che costituisce una preclusione all'ammissione alla prova espressamente prevista per legge (a norma dell'art. 168-bis, comma 4, c.p. «la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato non può essere concessa più di una volta»).

Per converso, l'iscrizione del provvedimento di archiviazione nel casellario giudiziale non sarebbe funzionale a palesare una preclusione specifica e dunque di immediata applicazione, ma sarebbe funzionale solo a mettere in evidenza un indice presuntivo ed eventuale di abitualità della condotta, che ha contorni sfumati, sia per la difficoltà di riempire di contenuti certi l'art. 131-bis, comma 3, c.p. (che, nel definire a contrario l'abitualità del comportamento, rinvia a sua volta a concetti vagli e di problematica definizione); sia per la necessità di attenersi all'insegnamento offerto dalle Sezioni Unite Tushaj, che hanno escluso, nella valutazione dell'indice criterio della non abitualità del comportamento, il ricorso ad automatismi, che al contrario scatterebbero se tale abitualità venisse ancorata ad un dato asettico, quale quello della mera iscrizione del “precedente” nel certificato del casellario giudiziale.

Neanche convince la paventata disparità di trattamento tra situazioni analoghe, laddove, in caso di proscioglimento ai sensi dell'art. 131-bis c.p. disposto con sentenza, l'imputato vede iscritta tale pronuncia nel casellario. Si tratta di situazione tra loro nient'affatto analoghe, perché nel caso dell'archiviazione il pubblico ministero ha ritenuto di non esercitare l'azione penale; nel secondo invece l'azione penale è stata esercitata e un processo si è tenuto, con tutte le garanzie che lo connotano nella formazione della prova. Diversa è dunque la situazione, perché diverso è l'epilogo che l'scrizione della notizia di reato ha comportato (dandosi luogo, nel secondo caso, a un processo).

Non appaiono condivisibili neanche le varie ricostruzioni tese a sostenere la definitività e dunque la non revocabilità sostanziale del provvedimento di archiviazione.

Esse infatti sono del tutto contrarie al disposto normativo, perché il provvedimento di archiviazione è per definizione non definitivo, in quanto revocabile in qualunque momento a norma dell'art. 414 c.p.p. e non si sottrae a questa regola, che vale in generale per tutti i provvedimenti di archiviazione, quello che applica la particolare tenuità del fatto. Anzi, portando alle estreme conseguenze quanto asserito nell'ordinanza di rimessione, si arriverebbe a dire che i provvedimenti di archiviazione, in quanto solo astrattamente revocabili, vanno iscritti nel casellario giudiziale, o – il che non muta - che vanno comunque iscritti solo quei provvedimenti per i quali una revoca è difficilmente prospettabile (e quali sarebbero poi i criteri di individuazione di quelli più definitivi di altri?).

Non può infatti sostenersi, come fa l'ordinanza di rimessione, che la revoca non sia concretamente possibile nel caso in cui venga dichiarata la particolare tenuità del fatto. Diversamente da quanto ritenuto, nulla esclude che gli elementi di prova sopravvenuti possano incidere sulla commissione del fatto. Si pensi sotto questo profilo al caso in cui emerga un fatto più grave di quello inizialmente ritenuto, perché realizzato per esempio in contesti di minorata difesa o in presenza di circostanza aggravanti inizialmente non emerse; così come potrebbero emergere elementi che portino a ritenere quel fatto consumato e non meramente tentato, o che portino a ritenere un reato più grave di quello inizialmente contestato, eventualmente non rientrante neanche nei limiti edittali etc. etc.: sono tutte ipotesi, queste, che possono dare luogo ad una revoca del provvedimento di archiviazione e confortano appieno la tesi della non definitività di esso.

La non definitività, in altri termini, non è legata alla formula di archiviazione adottata, ma alla natura del provvedimento adottato, che, in quanto non pronunciato all'esito di un giudizio e dunque senza che sia stata assunta sul fatto in contestazione una prova piena (in questo l'affinità con la sentenza di non luogo a procedere emessa dal GUP), può essere oggetto di revoca.

In conclusione, è il legislatore che impone di non iscrivere nel certificato del casellario giudiziale i provvedimenti di archiviazione e quindi anche il provvedimento di archiviazione per la particolare tenuità del fatto

Rispetto a questo sistema l'esigenza del giudice di avere cognizione di ogni iscrizione di notizia di reato a carico dell'indagato (perché alla fine, se il procedimento è stato archiviato, di esso resta traccia nei registri di iscrizione del nominativo) deve, a parere di chi scrive, e per le ragioni sopraevidenziate, retrocedere e non può andare a discapito degli interessi e dei diritti della parte. E ciò anche a prescindere del fatto che, qualora passasse l'orientamento suggerito nell'ordinanza di rimessione, l'effetto “tombale” sulla particolare tenuità del fatto dichiarata in fase di indagine con archiviazione sarebbe quasi certamente assicurato, perché nessuno vorrebbe correre il rischio di ritrovarsi una “macchia” sul casellario giudiziale, con buona pace per ogni intento deflattivo.

Altri sono gli strumenti cui il giudice può ricorrere per valutare, in concreto, l'indice-criterio della non abitualità del comportamento.

La necessità del giudice, in mancanza di una banca dati nazionale, di venire a conoscenza di eventuali precedenti archiviazioni per la particolare tenuità può essere assicurata, qualora abbia proceduto la stessa A.G. anche per gli altri fatti già archiviati, attraverso la ricerca del precedente, la riunione tra i vari procedimenti (così infatti si stanno orientando attualmente molti uffici di Procura, che, all'atto dell'iscrizione del nominativo della persona indagata, verificano l'esistenza di precedenti archiviazioni, recuperando quelle per la particolare tenuità del fatto) valutando anche, se del caso, la riapertura delle indagini, qualora emergano indici certi di abitualità del comportamento che facciano venire meno i presupposti per i quali era stata a suo tempo disposta l'archiviazione ex art. 131-bis c.p.

Per altro questa stessa necessità di conoscenza del giudice può essere assicurata anche quando le precedenti archiviazioni siano state adottate da altra A.G. e rispetto a esse la ricerca del precedente – ove vi sia stata una denuncia da parte delle forze dell'ordine – potrà essere segnalata dalla polizia giudiziaria, indicando il precedente di polizia e quindi acquisendo informazioni (ed eventuali copie di atti) dall'A.G. che ha proceduto, così permettendo alla A.G. che procede di venire a conoscenza dei relativi provvedimenti conclusivi.

Ricerca del precedente, eventuale riapertura delle indagini, riunione e comunque l'acquisizione degli atti oggetto di precedenti archiviazioni è a parere di chi scrive assolutamente necessaria perché il giudizio sulla non abitualità del comportamento non conosce automatismi e va sempre “calato” nella fattispecie concreta, come hanno insegnato le Sezioni Unite Tushaj: occorre infatti sapere per quali motivi sia stata ritenuta in precedenza la particolare tenuità del fatto e ciò può essere assicurato solo acquisendo copia dei provvedimenti giudiziari di interesse, e non fermandosi al mero dato, asettico, dell'iscrizione.

In definitiva, una buona organizzazione (best practice) interna degli uffici di procura può – senza “macchiare” il certificato del casellario giudiziale dell'indagato e senza dunque andare a discapito di interessi costituzionalmente garantiti alla parte – fornire indicazioni utili ai fini della valutazione da parte del giudice della particolare tenuità del fatto sotto il profilo dell'indice-criterio della non abitualità del comportamento.

È questa dunque la strada per superare l'ultimo, e forse più insidioso, rilievo critico alla tesi maggioritaria che, se accolta, potrà assicurare la sopravvivenza dell'istituto.

2.

Con ordinanza n. 9836 del 27 febbraio 2019 (dep. 6 marzo 2019) la prima Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione:

«se il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto a norma dell'art. 131-bis cod. pen. sia soggetto all'iscrizione nel casellario giudiziale ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313».

3.

L'udienza davanti alle Sezioni Unite per la decisione della questione «se il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto a norma dell'art. 131-bis cod. pen. sia soggetto all'iscrizione nel casellario giudiziale ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313» è stata fissata dal Primo Presidente della Cassazione per il 30 maggio 2019.

4.

All'udienza del 30 maggio 2020 le Sezioni Unite della Cassazione penale, chiamate a decidere sulla questione controversa in giurisprudenza «se il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto a norma dell'art. 131-bis cod. pen. sia soggetto all'iscrizione nel casellario giudiziale ai sensi dell'art. 3, comma 1, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313», hanno affermato il seguente principio di diritto:

Il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. deve essere iscritto nel casellario giudiziale, fermo restando che non ne deve essere fatta menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell'interessato, del datore di lavoro e della pubblica amministrazione.

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