Se siano valide l'elezione e la dichiarazione di domicilio effettuate dall'indagato nel verbale che si è rifiutato di firmare

16 Novembre 2018

Nonostante la normativa in materia di notificazioni tracci una netta distinzione fra dichiarazione ed elezione di domicilio (artt. 161, 162, 163, 164 e 62 disp. att. c.p.p.), gli elementi costitutivi e differenziali dei due istituti non sono individuabili in via esegetica dalle disposizioni del codice. Infatti, dalle norme che...
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Una doverosa premessa: dichiarazione ed elezione di domicilio

Nonostante la normativa in materia di notificazioni tracci una netta distinzione fra dichiarazione ed elezione di domicilio (artt. 161, 162, 163, 164 e 62 disp. att. c.p.p.), gli elementi costitutivi e differenziali dei due istituti non sono individuabili in via esegetica dalle disposizioni del codice.

Infatti, dalle norme che si dedicano al tema si ricava unicamente che la dichiarazione deve investire uno dei luoghi indicati dal comma 1 dell'art. 157 c.p.p. (art. 161, comma 1, c.p.p.), mentre l'elezione deve contenere anche l'indicazione delle generalità del domiciliatario (art. 62 disp. att. c.p.p.).

Nel resto la disciplina è identica e ciò, da un lato, non aiuta l'interprete nell'individuazione degli elementi differenziali e, dall'altro, giustifica la tendenza della prassi ad equiparare i due istituti.

Tuttavia, giurisprudenza e dottrina hanno da tempo tracciato i confini dei due istituti, osservando che la dichiarazione di domicilio è una comunicazione con la quale l'interessato riferisce dove effettivamente abita o lavora, anche se presso terze persone, mentre l'elezione di domicilio — conformemente all'etimo (dal verbo latino eligere, composto a sua volta dalla preposizione ex, “da, tra, fra”, e dal verbo lego, “scegliere”: scegliere di propria volontà fra più cose quella che si giudica migliore o che piace di più) — è l'atto con il quale l'interessato sceglie una persona investendola del limitato potere di ricevere le notificazioni degli atti del procedimento a lui destinate in un luogo diverso da quello in cui abita o lavora.

Quindi, tra i due istituti vi sono profonde differenze, sia con riguardo alla natura che con riguardo alla funzione, atteso che la prima è una dichiarazione di scienza, meramente ricognitiva di una situazione reale stabilitasi fra il destinatario dell'atto ed il luogo indicato, mentre la seconda è una dichiarazione di volontà, cioè negoziale e costituiva, oltre che recettizia, espressione del potere di autonomia riconosciuto al soggetto di scegliere un luogo e una persona presso cui intende siano eseguite le notificazioni, con i conseguenti diritti e doveri per l'organo notificante e per il domiciliatario.

Tuttavia, questa impostazione, ormai tradizionale, è stata recentemente messa in discussione dalla giurisprudenza, che ha ravvisato una manifestazione di volontà anche nella dichiarazione di domicilio, trattandosi di un atto con il quale l'imputato sceglie uno dei luoghi indicati dall'art. 157 c.p.p. nella consapevolezza degli effetti che discendono da tale opzione (Cass. pen., Sez. unite, 17 ottobre 2006, n. 41280).

La dichiarazione di domicilio implica l'esistenza di un rapporto effettivo e costante fra l'imputato ed un certo luogo, dove dovrà indirizzarsi l'attività del notificante; nell'elezione di domicilio, invece, non si riscontra questo rapporto di effettività, di carattere quasi fisico, con il luogo prescelto, che è sostituito da un rapporto fiduciario con il terzo domiciliatario, in forza del quale quest'ultimo si impegna a ricevere gli atti destinati all'imputato e a tenerli a sua disposizione in un luogo diverso da quello reale.

Per l'elezione di domicilio sono, quindi, necessari due elementi: l'indicazione di un luogo diverso da quello di abitazione o di esercizio abituale dell'attività lavorativa e la designazione di una persona come destinatario legale ai fini della ricezione degli atti.

Da ciò consegue che la comunicazione di uno dei luoghi indicati dall'art. 157, comma 1, c.p.p. costituisce sempre dichiarazione di domicilio, ancorché nella prassi venga spesso utilizzata impropriamente l'espressione “elezione”

… e relativa comunicazione (in particolare il processo verbale)

Il codice vigente regola in un'apposita norma, l'art. 162 c.p.p., le modalità con le quali l'imputato può comunicare all'autorità che procede il domicilio dichiarato od eletto e ogni loro mutamento, ovvero:

  1. dichiarazione raccolta a verbale;
  2. telegramma;
  3. lettera raccomandata.

In merito ai processi verbali, va ricordato che l'imputato detenuto, all'atto della scarcerazione (così come l'imputato internato in misura di sicurezza, all'atto della scarcerazione), ha l'obbligo di dichiarare od eleggere domicilio. Tali dichiarazioni sono, a cura dell'autorità carceraria, trasfuse in un verbale, iscritte in un apposito registro e comunicate all'autorità che ha disposto la scarcerazione.

Se l'imputato libero si presenta, in mancanza di un invito scritto, al giudice, al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria, sarà redatto processo verbale nel quale saranno inserite le eventuali indicazioni rese, ovvero il rifiuto di dichiarare od eleggere domicilio.

In giurisprudenza si è chiarito che il verbale idoneo a raccogliere la dichiarazione od elezione di domicilio è solo quello regolato dal sistema processuale penale e quindi quello destinato a documentare gli atti del processo compiuti in presenta del giudice (artt. 134 ss. c.p.p.), ovvero l'attività procedimentale del pubblico ministero (art. 373 c.p.p.) e della Polizia giudiziaria (art. 357 c.p.p.), mentre è inidonea a tale scopo la relazione di notificazione che redige l'ufficiale giudiziario (o altro pubblico ufficiale allo scopo delegato) al momento della notifica di atti giudiziari, in quanto non richiede neppure la sottoscrizione del soggetto al quale l'atto notificato viene consegnato (Cfr. anche Cass. pen., Sez. II, 12 luglio 2004, n. 36338).

Il processo verbale implica la presenza fisica del dichiarante, ma secondo la dottrina ciò non significa che l'imputato debba sottoscrivere l'atto, perché la certezza del fatto storico della dichiarazione o elezione, della sua provenienza e del suo contenuto derivano dalla potestà pubblicistica esercitata da chi redige il verbale.

Naturalmente, la dichiarazione od elezione di domicilio non devono necessariamente costituire il contenuto esclusivo del processo verbale che può riguardare anche altri atti procedimentali, come, ad esempio, un interrogatorio.

Le conseguenze della mancata sottoscrizione del verbale

Sul terreno dell'applicazione pratica si è posto il problema delle conseguenze derivanti dal rifiuto dell'imputato (o indagato) di sottoscrivere il verbale ove il pubblico ufficiale ha riportato la dichiarazione od elezione di domicilio formulata.

Sulla questione, in effetti, si registrano diverse opinioni in giurisprudenza, in quanto talune decisioni ravvisato nell'omessa sottoscrizione una causa di nullità o inesistenza della dichiarazione o elezione di domicilio, con conseguente invalidità delle notificazioni eseguite nei luoghi o alle persone indicate dall'interessato, mentre altre decisioni ritengono irrilevante che il verbale non rechi la firma del dichiarante.

Alla luce di tale contrasto – sul quale ci soffermiamo di seguito – la Quinta Sezione, con ordinanza n. 45477 del 12 settembre 2018 (depositata il 9 ottobre 2018), ha chiesto alle Sezioni unite di chiarire «se l'elezione di domicilio contenuta nel verbale di polizia giudiziaria debba essere considerata tamquam non esset quando il verbale non risulti sottoscritto dal dichiarante con conseguente nullità delle notificazioni eseguite nel luogo indicato nel verbale dall'imputato».

L'orientamento minoritario. Secondo l'orientamento minoritario, la dichiarazione o l'elezione di domicilio ricevute a verbale dal pubblico ufficiale, attesa la loro natura di dichiarazioni di volontà aventi valore negozial-processuale, devono considerarsi nulle se il verbale non viene sottoscritto dal dichiarante (Cfr. Cass. pen., Sez. I, 24 novembre 1998, n. 4100; Cass. pen., Sez. VI, 9 dicembre 2003, n. 4921, in Arch. nuova proc. pen., 2005, 399; Cass. pen., Sez. V, 28 maggio 2008, n. 28618; Cass. pen., Sez. VI, 12 maggio 2016, n. 26631).

Si osserva, infatti, che la dichiarazione e l'elezione di domicilio sono atti personalissimi dell'indagato che non ammettendo equipollenti, e dunque richiedono una consapevole ed esplicita manifestazione di volontà della persona che li effettua.

All'interno di questa linea interpretativa si rinvengono pronunce che considerano addirittura inesistente la suddetta dichiarazione di volontà perché il rifiuto di sottoscrivere il relativo verbale impedisce la (formale e concreta) riferibilità della dichiarazione al soggetto dichiarante, di talché il rifiuto della sottoscrizione finisce per esprimere anche il rifiuto di dichiarare od eleggere il domicilio (Cfr. Cass. pen., Sez. V, 28 maggio 2008, n. 28618).

Secondo tale impostazione il riferimento inderogabile è costituito dall'art. 162 c.p.p., con la conseguenza che la mancata sottoscrizione del verbale implica il rifiuto di eleggere domicilio da parte dell'imputato nel luogo indicato nel verbale stesso, con conseguente applicazione dell'art. 161, comma 4, c.p.p.

L'orientamento prevalente. Ad avviso dell'orientamento prevalente, invece, la mancata sottoscrizione del verbale da parte del dichiarante può essere considerata causa di invalidità della dichiarazione o della elezione di domicilio ivi contenuta solo laddove dal verbale risulti che l'imputato (o indagato) abbia rifiutato di sottoscriverlo perché non riconosceva il contenuto conforme a quanto da lui dichiarato oppure perché non intendeva più dichiarare o eleggere domicilio (Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 19 dicembre 1995, n. 5038,; Cass. pen., Sez. IV, 21 maggio 2002, n. 24080; Cass. pen., Sez. IV, 28 marzo 2003, n. 25427; Cass. pen., Sez. I, 24 novembre 2004, n. 1606; Cass. pen., Sez. V, 24 febbraio 2006, n. 13288; Cass. pen., Sez. I, 29 marzo 2007, n. 22760; Cass. pen., Sez. I, 17 aprile 2007, n. 32035; Cass. pen., Sez. I, 22 ottobre 2009, n. 46886; Cass. pen., Sez. V, 1 luglio 2010, n. 35506; Cass. pen., Sez. III, 26 aprile 2013, n. 23870; Cass. pen., Sez. IV, 26 febbraio 2015, n. 22372; Cass. pen., Sez. V, 14 aprile 2016, n. 40286; Cass. pen., Sez. V, 7 marzo 2017, n. 23000). Con l'ulteriore conseguenza che deve essere ritenuta valida la dichiarazione od elezione riporta nel verbale se il rifiuto di sottoscriverlo non viene giustificato da una specifica ragione, posto che l'omessa sottoscrizione delle persone intervenute non è causa di nullità del verbale e che il pubblico ufficiale, in caso di rifiuto della sottoscrizione, deve dare indicazione del motivo, in assenza del quale l'atteggiamento dell'interessato non può intendersi mirato alla revoca della dichiarazione verbalizzata (Cfr. Cass. pen., Sez. I, 24 novembre 2004, n. 1606, in Arch. nuova proc. pen., 2006, 338; Cass. pen., Sez. V, 25 gennaio 2008, n. 9752).

Si osserva, infatti, che il verbale redatto e sottoscritto dal pubblico ufficiale è valido anche laddove alcuno degli intervenuti non voglia o non sia in grado di sottoscriverlo, in quanto per tale ipotesi gli artt. 137 e 142 c.p.p. prevedono soltanto la necessità di indicare il motivo della mancata sottoscrizione. L'art. 142 c.p.p. prevede, quale ipotesi di nullità del verbale, soltanto l'incertezza assoluta sulle persone intervenute o la mancanza di sottoscrizione del pubblico ufficiale curatore dell'atto.

Dunque, la dichiarazione o l'elezione di domicilio rimane valida ed efficace se l'imputato si rifiuta di sottoscrivere il verbale che la contiene, senza rappresentare che l'indicazione del luogo ove ricevere le notificazioni o del domiciliatario (di regola il difensore d'ufficio) non risponde al reale contenuto delle dichiarazioni da lui stesso rese o non corrisponde più alla sua volontà.

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