Il rapporto tra rigetto della domanda di messa alla prova e richiesta di giudizio abbreviato

Leonardo Degl'Innocenti
Eleonora Antonuccio
17 Gennaio 2019

Nel silenzio del codice di procedura penale, è insorto tra le Sezioni semplici della Corte di cassazione un contrasto sulla possibilità per l'imputato di lamentare in appello la mancata concessione in primo grado della sospensione del procedimento con messa alla prova nell'ipotesi in cui, a seguito del rigetto, il processo sia proseguito nelle forme del giudizio abbreviato.
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Nel silenzio del codice di procedura penale, è insorto tra le Sezioni semplici della Corte di cassazione un contrasto sulla possibilità per l'imputato di lamentare in appello la mancata concessione in primo grado della sospensione del procedimento con messa alla prova nell'ipotesi in cui, a seguito del rigetto, il processo sia proseguito nelle forme del giudizio abbreviato.

Il quadro normativo. Il rapporto tra la sospensione del procedimento con messa alla prova e i vari snodi processuali trova la sua disciplina nell'art. 464-bis, comma 2, c.p.p. che individua i termini per avanzare la relativa richiesta in relazione all'udienza preliminare (fino alle conclusioni), al giudizio direttissimo e al procedimento per citazione diretta a giudizio (fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento), al decreto di giudizio immediato (entro il termine di quindici giorni dalla notifica) e al procedimento per decreto penale di condanna (con l'atto di opposizione). Come si vede, in ciascuna di queste occasioni, il Legislatore ha individuato il termine massimo entro cui l'interessato può esercitare l'opzione per la messa alla prova. Tra i riti speciali, non sono menzionati dall'articolo né il giudizio abbreviato, né l'applicazione della pena su richiesta delle parti, per i quali, peraltro, l'accesso incontra termini di decadenza sovrapponibili a quelli appena ricordati.

La questione controversa. Con specifico riferimento al giudizio abbreviato, si registra nella giurisprudenza di legittimità una casistica che ha trovato soluzioni discordanti. L'ipotesi di cui si tratta riguarda la possibilità di coltivare in appello la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova già tempestivamente avanzata in primo grado e rigettata, quando, però, l'imputato abbia scelto, a quel punto, di definire il processo a suo carico nelle forme del giudizio abbreviato.

Giova, intanto, premettere che sul sindacato del provvedimento reiettivo della richiesta di messa alla prova si era già formato un diverso contrasto giurisprudenziale tra l'orientamento che riteneva immediatamente ricorribile per cassazione il rigetto e l'altro che, invece, riteneva l'ordinanza impugnabile solo congiuntamente alla sentenza conclusiva del grado di giudizio, ai sensi dell'art. 586 c.p.p. Sia sufficiente qui ricordare che le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno risolto la questione aderendo a tale secondo orientamento, riconoscendo che il giudice di appello possa sostituirsi al giudice di primo grado ammettendo l'imputato alla messa alla prova (Cass. pen., Sez. unite, 31 marzo 2016, n. 33216).

Oggetto della presente analisi è, come accennato, la situazione più complessa in cui, negato l'accesso alla messa alla prova, l'imputato abbia optato, in via subordinata, per il giudizio abbreviato, semplice o condizionato, definendo con tale rito il primo grado di giudizio e, in sede di impugnazione, abbia poi dedotto l'illegittimità del rigetto della richiesta di sospensione al fine di essere ammesso alla prova in appello.

Il primo orientamento. La prima decisione che consta sulla questione è costituita dalla sentenza Cass. pen., Sez. VI, 28 marzo 2017, n. 22545, secondo cui si deve escludere che, una volta celebrato il giudizio di primo grado nelle forme del rito abbreviato, si possa dedurre, in sede di appello, l'ingiustificato diniego della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.

La Sesta Sezione, invero, richiamando la già citata sentenza n. 33216/2016 delle Sezioni unite sull'appellabilità con la sentenza di primo grado dell'ordinanza di rigetto della messa alla prova, ribadisce che il giudice d'appello può pronunciarsi in merito, sempre a condizione che la richiesta di messa alla prova sia stata tempestivamente avanzata in primo grado e il suo diniego abbia costituito oggetto di censura nell'atto di impugnazione. Ciò, però, è precluso nel caso in cui l'imputato abbia avanzato in via subordinata richiesta di giudizio abbreviato e il primo grado sia stato celebrato secondo questo rito.

A fondamento di tale soluzione, da una parte, conta la connotazione di rito alternativo assegnata dal legislatore al nuovo istituto, valorizzata anche dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost., 26 novembre 2015, n. 240).

Dall'altra, si deve prendere atto della sostanziale analogia fra i termini finali di richiesta della sospensione con messa alla prova e quelli entro i quali può essere avanzata la richiesta di rito abbreviato, cosicché, in assenza di un'espressa previsione di convertibilità dell'un rito nell'altro, deve negarsi la possibilità di coltivare o ripercorrere altre strade di definizione alternativa del giudizio, secondo il principio electa una via, non datur recursus ad alteram. La Sesta Sezione rinvia testualmente ai precedenti giurisprudenziali che hanno già applicato tale principio ai rapporti tra giudizio abbreviato e patteggiamento: Cass. pen., Sez. I, 25 marzo 2010, n. 15451, Soldano; Cass. pen., Sez. III, 11 luglio 2007, n. 32234, Lupo; Cass. pen., Sez. III, 29 gennaio 2015, n. 21456, Dorre. Per la precisione, nella decisione n. 21456/2015, la Corte ha spiegato che l'imputato che abbia richiesto il giudizio abbreviato non può successivamente chiedere l'applicazione della pena concordata, invece è ben possibile avanzare in via principale una richiesta di patteggiamento e, per il caso in cui questa non sia accolta, chiedere di accedere al rito abbreviato.

In linea con la decisione della Sesta Sezione, la Seconda, con la sentenza Cass. pen., Sez. II, 5 luglio 2017, n. 36672, ha argomentato ulteriormente l'alternatività tra la messa alla prova, il giudizio abbreviato e il patteggiamento a partire proprio dalla mancata menzione di questi due riti nell'art. 464-bis, comma 2, c.p.p., perché entrambi sono rimessi alla libera volontà dell'imputato tanto quanto la richiesta di sospensione per messa alla prova e soggetti ad analoghi sbarramenti temporali.

Similare il ragionamento svolto in Cass. pen, Sez. V, 21 dicembre 2017, n. 9398, riguardante un caso di conversione del giudizio direttissimo in abbreviato, ai sensi dell'art. 452, comma 2, c.p.p., con richiesta di messa alla prova formulata in udienza di discussione, che i ricorrenti ritenevano tempestiva perché intervenuta entro la dichiarazione di apertura del dibattimento. I giudici di legittimità, nel confermare la tardività della richiesta come considerata dai giudici di merito, hanno evidenziato l'alternatività della messa alla prova rispetto al giudizio abbreviato argomentandola dalla previsione dell'art. 464-bis, comma 2, c.p.p. ove si dispone che, nel diverso caso del giudizio immediato, la richiesta di messa alla prova debba essere formulata entro il termine stabilito dall'art. 458, comma 1, c.p.p., ovvero il medesimo termine di quindici giorni previsto per la richiesta di giudizio abbreviato. In altre parole, tale richiamo sembrerebbe doversi intendere nel senso che la richiesta di messa alla prova e quella di rito abbreviato siano alternative anche nel giudizio direttissimo, così come nel giudizio immediato, ove, per espressa previsione codicista, vanno avanzate entro il medesimo termine di decadenza.

Le successive sentenze Cass. pen., Sez. III, 11 aprile 2018, n. 26231; Cass. pen., Sez. IV, 12 luglio 2018, n. 40953, e Cass. pen., Sez. IV, 3 luglio 2018, n. 42469, si sono allineate a tale orientamento riproponendo sostanzialmente le medesime argomentazioni di cui alla precedente Cass. pen., n. 22545/2017.

Il secondo orientamento. L'opposto orientamento, invece, più recente e attualmente minoritario, risale alla decisione Cass. pen., Sez. III, 15 febbraio 2018, n. 29622, che espressamente ritiene non condivisibile il decisum di cui alla Cass. pen., n. 22545/2017 per due ordini di motivi: intanto, perché escludere la possibilità di ripercorrere la strada della messa alla prova in appello, in mancanza di una previsione di coordinamento con il giudizio abbreviato celebratosi in primo grado, costituirebbe un'ingiustificata compressione per l'imputato della possibilità di avvalersi di riti alternativi e con essi di esercitare il diritto di difesa costituzionalmente garantito; in secondo luogo, la precipua funzione dell'istituto della sospensione per messa alla prova quale speciale causa di estinzione del reato si pone come alternativa a ogni tipo di giudizio di merito, ivi compreso quello effettuato nelle forme del giudizio abbreviato, per cui non è invocabile il parallellismo tra messa alla prova e giudizio abbreviato e patteggiamento, perché, mentre questi due sono tesi a definire il giudizio di merito, la prima è funzionale alla dichiarazione di estinzione del reato e ha per questo valenza prioritaria, non suscettibile neppure di revoca implicita per effetto della richiesta di ammissione al rito abbreviato, da intendersi necessariamente effettuata con riserva.

Anche la sentenza Cass. pen., Sez. IV, 18 settembre 2018, n. 44888 - per quanto consta seconda e ultima rientrante in questo orientamento minoritario - rimarca che la sospensione del procedimento con messa alla prova costituisce rito differente e più favorevole rispetto al giudizio abbreviato e, quindi, non suscettibile di preclusione.

In conclusione. La tesi sostenuta da tale ultimo orientamento è senz'altro apprezzabile per la sensibilità dimostrata nel valorizzare la particolarità del nuovo istituto. Tuttavia, la netta differenziazione compiuta tra, da un lato, la messa alla prova quale causa di estinzione del reato, che dovrebbe perciò prevalere sulle scelte di riti alternativi al dibattimento, e, dall'altro, il giudizio abbreviato e l'applicazione della pena su richiesta delle parti quali meri moduli processuali di definizione del giudizio di merito, non sembra del tutto condivisibile dal punto di vista sistematico.

Sul piano sostanziale, sembra utile sottolineare, infatti, che le cause di estinzione del reato hanno, nel codice penale, diversi contenuti e strutture. Alcune, in effetti, sono indenni da sbarramenti processuali (come la morte del reo prima della condanna, l'amnistia, la remissione di querela, la prescrizione), per altre, invece, sono previsti dei termini di decadenza (oblazione, condotte riparatorie) che le configurano come processualmente alternative ai riti speciali previsti nel codice di rito. Come per l'oblazione e per le condotte riparatorie, i presupposti per l'estinzione nella messa alla prova non si sono ancora perfezionati, ma sono condizionati alla valutazione positiva di un comportamento dello stesso interessato successivo alla richiesta di ammissione.

Per altro verso, non è automatico che l'accesso alla messa alla prova sia più favorevole rispetto al giudizio abbreviato, il quale può, almeno astrattamente, condurre anche a un'assoluzione nel merito dell'imputato, seppure a seguito di accertamento “contratto”. Inoltre, la funzione di estinzione del reato è riconoscibile anche all'applicazione della pena su richiesta delle parti nell'ipotesi di cui all'art. 444, comma 2, c.p.p.

Per cui, entrambi gli argomenti addotti dall'orientamento minoritario sopra richiamato non sembrano idonei a smentire quella valutazione di alternatività tra i riti alternativi che fonda l'orientamento contrario.

Viste le ricadute pratiche dell'una e dell'altra scelta ermeneutica, si auspica senz'altro l'intervento chiarificatore delle Sezioni unite.

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