La rilevanza della colpa grave nella causa di non punibilità prevista per il sanitario dalla legge Gelli-Bianco

27 Febbraio 2018

L'art. 590-sexies, comma 2, c.p., articolo introdotto dalla l. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), prevede una causa di non punibilità dell'esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa, rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali ...
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L'art. 590-sexies, introdotto dalla l. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), prevede, nel solo caso di imperizia, una causa di non punibilità dell'esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa, ossia il rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso. Rimane controverso se la suddetta causa di non punibilità operi anche nelle ipotesi di colpa grave del sanitario.

La sentenza della Cassazione, Sez. IV, 19 ottobre 2017 (dep. 31 ottobre 2017), n. 50078, Cavazza, malgrado il proscioglimento per prescrizione del medico-chirurgo condannato per lesioni in primo e secondo grado con accertamento di una imperizia connotata da colpa grave, ha affrontato il tema dell'applicazione dell'art. 590-sexies c.p. nell'ipotesi di imperizia connotata da colpa grave del sanitario, in quanto la norma, introdotta dalla l. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), non prevede alcuna distinzione nei gradi della colpa, come invece faceva la legge c.d. Balduzzi ora abrogata. Nel caso di specie peraltro l'imperizia del medico si era manifestata nella fase esecutiva dell'intervento chirurgico, ipotesi di certo diversa dal caso dell'errore di diagnosi o di imperizia nell'individuazione delle linee guida più appropriate.

La Suprema Corte si è fatta carico di rispondere all'obiezione di fondo che la dottrina maggioritaria ha mosso alla nuova disciplina, secondo cui in presenza di colpa grave sarebbe oltremodo difficile ipotizzare come sussistenti le condizioni concorrenti previste per l'impunità del sanitario, nel senso che sembrerebbe difficile conciliare il grave discostamento del sanitario dal proprium professionale con il rispetto delle buone pratiche clinico assistenziali, e, soprattutto, decisivamente, che possa conciliarsi la colpa grave con un giudizio positivo di adeguatezza delle linee guida al caso concreto.

Secondo la sentenza n. 50078/2017, Cavazza deve essere data massima importanza al concorrente profilo del significato letterale e della finalità della legge, poiché il Legislatore «[…] innovando rispetto alla legge Balduzzi, non attribuisce più alcun rilievo al grado della colpa, così che, nella prospettiva del novum normativo, alla colpa grave non potrebbe più attribuirsi un differente rilievo rispetto alla colpa lieve, essendo entrambe ricomprese nell'ambito di operatività della causa di non punibilità; sotto l'altro concorrente profilo, giova ribadire che con il novum normativo si è esplicitamente inteso favorire la posizione del medico, riducendo gli spazi per la sua possibile responsabilità penale, ferma restando la responsabilità civile».

Ad avviso del Collegio la nuova legge, in sostanza, ha cercato di proseguire in un percorso di attenuazione del giudizio sulla colpa medica, introducendo così una causa di esclusione della punibilità per la sola imperizia la cui operatività è subordinata alla sola condizione che dall'esercente la professione sanitaria siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge, ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali e che dette raccomandazioni risultino adeguate alla specificità del caso concreto.

La Corte nell'apprezzabile sforzo di fornire un'interpretazione complessiva della nuova disciplina, da un lato ha ribadito quanto già sostenuto dalla Corte in ordine alla permanente responsabilità penale nell'ipotesi in cui il medico compia per imperizia un'errata scelta delle linee guida da seguire nell'intervento a lui richiesto, oppure assecondi linee guida che solo in astratto appaiano attinenti alla patologia in esame ma che in concreto, in relazione alle peculiarità del caso specifico, siano da valutare come inadeguate. Dall'altro lato però, con uno sguardo al caso in esame, ha poi svolto un'altra importante affermazione, sostenendo che «[…]non vi sono dubbi sulla non punibilità del medico che seguendo linee guida adeguate e pertinenti pur tuttavia sia incorso in una "imperita" applicazione di queste (con l'ovvia precisazione che tale imperizia non deve essersi verificata nel momento della scelta della linea guida - giacché non potrebbe dirsi in tal caso di essersi in presenza della linea guida adeguata al caso di specie, bensì nella fase "esecutiva" dell'applicazione). È una scelta del Legislatore – che si presume consapevole – di prevedere in relazione alla colpa per imperizia nell'esercizio della professione sanitaria un trattamento diverso e più favorevole rispetto alla colpa per negligenza o per imprudenza».

In forza di queste premesse la Suprema Corte ha perciò formulato in maniera espressa il seguente principio di diritto:

«Il secondo comma dell'art. 590-sexies c.p., articolo introdotto dalla l. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), prevede una causa di non punibilità dell'esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso), nel solo caso di imperizia, indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guide e delle buone pratiche con la condotta imperita nell'applicazione delle stesse».

Va detto che nella motivazione il Collegio ha mostrato consapevolezza del fatto che l'interpretazione formalistica dell'art. 590-sexies c.p. da esso fornita, potrebbe profilare un'illegittimità costituzionale della norma per violazione degli artt. 3 e 32 Cost., in quanto essa delineerebbe un sistema all'evidenza sperequato, ove il medico verrebbe assolto nei casi di imperizia anche connotata da colpa grave, mentre verrebbe sempre condannato nelle ipotesi di negligenza o imprudenza compiute anche con mera colpa lieve. Tale irragionevolezza potrebbe peraltro ritorcersi (con un'evidente eterogenesi dei fini rispetto all'intenzione del legislatore) in danno della classe medica, poiché i concetti di imperizia, negligenza o imprudenza, rimangono tuttora indefiniti e di difficile inquadramento, con la conseguenza che la pubblica accusa potrebbe facilmente qualificare una condotta come negligente/imprudente piuttosto che imperita, senza che ciò si presenti come una forzatura o un arbitrio. La Cassazione non ha ritenuto però si sollevare la questione davanti alla Corte costituzionale per difetto di rilevanza nel caso di specie.

Quanto al tema dell'imperizia verificatasi nel corso dell'esecuzione dell'intervento medico, va evidenziato che la sentenza di cui sopra si pone in contrasto con altra precedente decisione della stessa Quarta Sezione, la n. 28187 del 20 aprile 2017, De Luca. Quest'ultima ha infatti affermato in maniera inequivoca che: «[] la considerazione della generica osservanza delle linee guida costituisce – si confida sia ormai chiaro – un aspetto irrilevante ai fini della spiegazione dell'evento e della razionale analisi della condotta ai fini del giudizio di rimproverabilità colposa. Insomma, razionalità e colpevolezza ergono un alto argine contro l'ipotesi che voglia, in qualunque guisa, concedere, sempre e comunque, l'impunità a chi si trovi in una situazione di verificata colpa per imperizia». Per cui prima di escludere la responsabilità penale, bisognerà vedere in concreto se l'osservanza delle linee guida applicate dal medico era adeguata al caso clinico specifico: permarrebbe, dunque, la rilevanza di errori nella decisione di seguire le linee guida anche laddove la peculiarità del malato o della malattia in concreto sviluppatasi imponevano invece di non osservarle o quantomeno di derogarvi in maniera significativa. In queste ipotesi peraltro il sanitario risponderà anche per colpa lieve, essendo venuta meno la distinzione propria della legge c.d. Balduzzi. La sentenza n. 28187/2017, De Luca ha però anche sottolineato che la responsabilità per colpa rimarrà pure nell'ipotesi in cui le linee guida fossero in astratto adeguate al caso clinico in esame ma il medico sia poi incorso in un errore nella fase di esecuzione dell'intervento, in difformità, come già detto, di quanto più recentemente affermato .

Una parte della dottrina ha mostrato apprezzamento per il tentativo della sentenza n. 28187/2017, De Luca di fornire un'interpretazione sistematica, che consentisse di superare i gravi limiti dati dalla nuova disciplina che ha eliminato la distinzione tra colpa grave e colpa lieve, utile a modulare meglio la colpevolezza. In particolare si è osservato che una grave imperizia potrebbe «[…] leggersi quale sinonimo di mancato rispetto delle linee guida», con l'effetto che le condotte connotate da colpa grave, configurabile nel caso di una deviazione ragguardevole rispetto all'agire appropriato, ossia nel caso dell'errore inescusabile del sanitario, non potessero comunque rimanere non punibili ai sensi dell'art. 590-sexies c.p.

In conclusione le due decisioni della Corte di cassazione più importanti dopo l'entrata in vigore della legge 24/2017 hanno visto da un lato un'interpretazione sistematica del nuovo articolo 590-sexies c.p., attenta ai valori costituzionali sottesi e, dall'altro, invece un'interpretazione formalistica, attenta al dato letterale della norma, che escluderebbe la punibilità del sanitario imperito, anche nell'ipotesi di colpa grave, purché questi abbia agito nell'osservanza delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso.

2.

Il Presidente della quarta Sezione penale della Corte di cassazione ha trasmesso, in data 7 novembre 2017, al Primo Presidente il fascicolo processuale n. 10952/2017 c. Mariotti (assegnato all'udienza del 29 novembre 2017) affinchè possa valutare l'esistenza delle condizioni per l'assegnazione alle Sezioni unite. Il procedimento ha a oggetto il reato di lesioni colpose a carico di medico specialista in neurochirurgia e richiede la discussione in merito all'osservanza delle linee guida in tema di trattamento della sindrome da compressione della coda equina.

L'innovazione apportata dalla legge Gelli- Bianco ha suscitato rilevanti dubbi interpretativi su un tema di grande rilievo e nella giurisprudenza della quarta Sezione penale è insorto un significativo contrasto nei termini suesposti. La radicale diversità delle interpretazioni e le rilevanti implicazioni applicative potrebbero rendere necessario l'urgente intervento delle Sezioni unite.

3.

Il Primo Presidente della Corte di cassazione, rilevata la sussistenza del contrasto giurisprudenziale all'interno della quarta Sezione penale con riferimento a un tema di grande delicatezza quale la rilevanza penale della c.d. colpa medica a fronte del rispetto delle linee guida dettate in materia dalla legge 8 marzo 2017, n. 24, ha fissato per il 21 dicembre 2017 l'udienza per la trattazione della questione controversa davanti alle Sezioni unite.

4.

Le Sezioni unite della Cassazione hanno espresso il seguenti principio di diritto:

«L'esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall'esercizio di attività medico-chirurgica:

a) se l'evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;

b) se l'evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia:

  1. nell'ipotesi di errore rimproverabile nell'esecuzione dell'atto medico quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o, in mancanza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali;
  2. nell'ipotesi di errore rimproverabile nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto, fermo restando l'obbligo del medico di disapplicarle quando la specificità del caso renda necessario lo scostamento da esse;

c) se l'evento si è verificato per colpa (soltanto “grave”) da imperizia nell'ipotesi di errore rimproverabile nell'esecuzione, quando il medico, in detta fase, abbia comunque scelto e rispettato le linee-guida o, in mancanza, le buone pratiche che risultano adeguate o adattate al caso concreto, tenuto conto altresì del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell'atto medico».

5.

L'art. 590-sexies, comma 2, c.p., articolo introdotto dalla l. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), prevede una causa di non punibilità dell'esercente la professione sanitaria operante, ricorrendo le condizioni previste dalla disposizione normativa (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso), nel caso di imperizia, nei limiti della sola colpa lieve, tenuto conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell'atto medico.

A seguito del contrasto emerso all'interno della IV sezione della Cassazione in particolare tra la sentenza c.d. Tarabori (Sez. IV, 20 aprile 2017, n. 28187), che ha fornito una lettura rigorista dell'art. 590-sexies c.p. e la successiva sentenza c.d. Cavazza (Sez. IV, 19 ottobre 2017, n. 50078) che invece ha dato un'interpretazione letterale della norma tale da escludere, a certe condizioni, la responsabilità del sanitario anche nei casi di colpa grave, la questione è stata sottoposta dal Presidente della Suprema Corte alle Sezioni unite sottoponendo il seguente quesito: «Quale sia, in tema di responsabilità colposa dell'esercente la professione sanitaria per morte o lesioni, l'ambito applicativo della previsione di "non punibilità" prevista dall'art. 590-sexies c.p., introdotta dalla legge 8 marzo 2017, n. 24». Dalla risoluzione del predetto quesito ne sarebbe poi conseguita anche l'indicazione di quale sia la norma penale più favorevole all'imputato da applicare, ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p., ai fatti antecedenti all'entrata in vigore della legge 24/2017, cosiddetta Gelli-Bianco.

La decisione delle Sezioni unite era tanto attesa, data l'importanza della questione in esame, quanto prevedibile poiché la possibilità di escludere la responsabilità del sanitario anche nei casi di imperizia connotata da colpa grave è apparsa da subito a molti commentatori un'opzione in contrasto con gli artt. 3 e 32 della Costituzione, tanto che la procura generale della Cassazione in sede di udienza ha formulato la richiesta di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 590-sexies c.p., sotto diversi profili.

Le Sezioni unite hanno ritenuto che la suddetta questione di legittimità costituzionale non fosse rilevante nel caso di specie e hanno pertanto articolato l'ampia motivazione al fine di offrire un'interpretazione della norma comunque compatibile con i principi costituzionali, al di là del mero dato letterale.

Il tema controverso in realtà riguardava in particolare un singolo punto, ancorchè rilevante nella pratica oltre che a livello dogmatico. Il dubbio atteneva all'ipotesi di sanitario che aveva correttamente individuato le linee guida da applicare al caso clinico in esame, con il necessario adattamento se questo appariva utile alla migliore cura di quel singolo paziente, e malgrado ciò nel momento esecutivo dell'attività del medico questi incorreva in un errore connotato da colpa grave, che causava lesioni o la morte del paziente. Non si versava perciò in un errore in eligendo, ossia relativo all'individuazione delle linee guida più appropriate o al loro corretto adattamento al caso concreto, ma quanto di una malpractise verificatasi nella fase cosiddetta esecutiva della cura (ad esempio, facendo esempi di scuola, il chirurgo che utilizzava maldestramente il bisturi, o il medico che somministrava il farmaco “giusto” ma in dosi grossolanamente errate).

In tale ipotesi, secondo la lettera del nuovo art. 590-sexies, comma 2, c.p. che non distingue più tra colpa grave e colpa lieve a differenza dell'abrogato art. 3 del c.d. decreto Balduzzi, il sanitario imperito per colpa grave sarebbe comunque non punibile in quanto questi avrebbe agito rispettando le raccomandazioni previste dalle linee guida, che risultavano adeguate alle specificità del caso concreto.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 8770/2018 hanno risolto la questione affermando il seguente principio di diritto secondo cui: «l'esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall'esercizio dell'attività medico chirurgica :

a) se l'evento si è verificato per colpa (anche lieve) da negligenza o imprudenza;

b) se l'evento si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico assistenziali;

c) se l'evento si è verificato per colpa (anche lieve) da imperizia nella individuazione e nella scelta delle linee guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto;

d) se l'evento si è verificato per colpa grave da imperizia nell'esecuzione di raccomandazioni di linee – guida o buone pratiche clinico-ssistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell'atto medico».

Come si vede, anche solo leggendo il principio di diritto espresso in conclusione alla sentenza, le Sezioni Unite hanno voluto fare chiarezza su ogni punto della nuova disciplina, anche ribadendo alcune affermazioni che non erano in realtà controverse.

In primo luogo si precisa che la causazione di un evento lesivo per negligenza o imprudenza del sanitario non trova alcuna limitazione di responsabilità, perché l'art. 590-sexies, comma 2, c.p. si riferisce espressamente alla sola imperizia. Va ricordato che la c.d. legge Balduzzi non distingueva tra le tre tipologia di colpa generica, ed anche le ultime sentenze della Suprema Corte (vedi ad es. Sez. IV, n. 23283/2016, Denegri) non limitavano più la causa di non punibilità alla sola imperizia, avendo constatato che a volte le linee guida contengono raccomandazioni relative a profili di diligenza del sanitario nel suo agire. Inoltre non può essere sottaciuto che in alcuni casi il concetto di imperizia si sovrappone a quello di negligenza o imprudenza; anche la scienza medico-legale nella pratica ha dei problemi ad individuare la corretta nozione, per cui questa incertezza lascia ampio spazio alla pubblica accusa di contestare al medico la negligenza anziché l'imperizia, con la conseguenza che l'art. 590-sexies, comma 2, c.p., neppure potrebbe essere preso in considerazione. Nessun dubbio perciò in tali ipotesi che la riforma del 2017 ha limitato l'ambito applicativo della causa di non punibilità per i medici.

In secondo luogo si afferma che se il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee–guida o dalle buone pratiche clinico assistenziali, il sanitario che sbaglia risponderà anche per colpa lieve, dato che tutta la disciplina penalistica ormai ruota sull'osservanza delle linee guida accreditate dagli organismi pubblici ( quando la disciplina sarà a regime). Ed anche su questo punto non risultano contrasti.

In terzo luogo il medico che sbaglia nell'individuazione delle linee guida più appropriate alla specificità del caso concreto oppure non provvede a discostarsene nella misura in cui ciò risulta necessario dalla particolarità del singolo paziente (si immagini i casi di co-morbillità), risponderà anche per colpa lieve. Anche su tale punto non appaiono esserci dubbi sulla bontà dell'interpretazione fornita dal massimo Collegio, perché l'art. 590-sexies, comma 2, c.p, espressamente limita l'applicazione della causa di non punibilità al fatto che «[…] le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto». Tale previsione è volta ad evitare la burocratizzazione dell'attività professionale, a scongiurare il pericolo che il medico sia indotto ad osservare le linee guida in maniera pedissequa per il timore di incorrere in forme di responsabilità per la loro inosservanza. Il sistema ovviamente non poteva consentire un simile approccio alle linee guida, che secondo le Sez. unite, non sono […] uno "scudo" contro ogni ipotesi di responsabilità, essendo la loro efficacia e forza precettiva comunque dipendenti dalla dimostrata "adeguatezza" alle specificità del caso concreto (art. 5), che è anche l'apprezzamento che resta, per il sanitario, il mezzo attraverso il quale recuperare l'autonomia nell'espletare il proprio talento professionale e, per la collettività, quello per vedere dissolto il rischio di appiattimenti burocratici. Evenienza dalla quale riemergerebbero il pericolo per la sicurezza delle cure e il rischio della "medicina difensiva", in un vortice negativo destinato ad autoalimentarsi».

Il quarto punto riguarda invece la questione della responsabilità in executivis nell'ipotesi del sanitario che agisce con l'osservanza delle raccomandazioni di linee guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate alla specificità del caso concreto. Le Sezioni Unite concludono affermando che, anche in base al nuovo art. 590-sexies, comma 2, c.p., il sanitario risponderà se l'evento lesivo è stato causato per imperizia connotata dal colpa grave.

La Suprema Corte sul punto afferma a sostegno della sua decisione che: «La ricerca ermeneutica conduce a ritenere che la norma in esame continui a sottendere la nozione di "colpa lieve", in linea con quella che l'ha preceduta e con la tradizione giuridica sviluppatasi negli ultimi decenni. Un complesso di fonti e di interpreti che ha mostrato come il tema della colpa medica penalmente rilevante sia sensibile alla questione della sua graduabilità, pur a fronte di un precetto, quale l'art. 43 c.p., che scolpisce la colpa senza distinzioni interne. Dal punto di vista teorico non si individua alcuna ragione vincolante per la quale tale conclusione debba essere scartata, diversamente da quanto ritenuto da entrambe le sentenze che hanno dato luogo al contrasto».

Queste, peraltro, proprio sulla base di una conclusione di tal genere, fatta discendere dal silenzio della legge, si sono trovate a polarizzare in modo opposto le relative conclusioni, avendo osservato, la sentenza De Luca-Tarabori, che l'esonero complessivo da pena, destinato ad inglobare anche il responsabile di colpa grave da imperizia, non è praticabile perché genera una situazione in contrasto con il principio di colpevolezza e, la sentenza Cavazza, che la novella causa di non punibilità è destinata a operare senza distinzione del grado della colpa.

Al contrario, ritengono le Sezioni unite che la mancata evocazione esplicita della colpa lieve da parte del Legislatore del 2017 non precluda una ricostruzione della norma che ne tenga conto, sempre che questa sia l'espressione di una ratio compatibile con l'esegesi letterale e sistematica del comando espresso.

Ma fatta questa affermazione di principio secondo cui la colpa grave non può mai essere scriminata, pena la violazione di precetti costituzionali, le Sezioni Unite tirano fuori il “coniglio dal cilindro” per dare contenuto più concreto alla propria decisione, richiamando in maniera espressa l'utilizzabilità dell'art. 2236 c.c.. In particolare si afferma: «In tale prospettiva appare utile giovarsi, in primo luogo, dell'indicazione proveniente dall'art. 2236 c.c. L'articolazione colpa grave/altre tipologie di condotte rimproverabili, pur causative dell'evento, è presente nelle valutazioni giurisprudenziali sui limiti della responsabilità penale del sanitario che, sotto diversi profili, hanno valorizzato nel tempo i principi e la ratio della disposizione contenuta nella norma citata, plasmata, invero, nell'ambito civilistico del riconoscimento del danno derivante da prestazioni che implichino soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà e che lo esclude, appunto, salvo il caso di dolo o colpa grave. Ebbene, tralasciando l'ormai sopito dibattito sulla non diretta applicabilità del precetto al settore penale per la sua attinenza alla esecuzione del rapporto contrattuale o al danno da responsabilità aquiliana, merita di essere valorizzato il condivisibile e più recente orientamento delle sezioni penali che hanno comunque riconosciuto all'art. 2236 la valenza di principio di razionalità e regola di esperienza cui attenersi nel valutare l'addebito di imperizia, qualora il caso concreto imponga la soluzione del genere di problemi sopra evocati ovvero qualora si versi in una situazione di emergenza».

Ciò che del precetto merita di essere ancor oggi valorizzato è il fatto che, attraverso di esso, già prima della formulazione della norma che ha ancorato l'esonero da responsabilità al rispetto delle linee-guida e al grado della colpa, si fosse accreditato, anche in ambito penalistico, il principio secondo cui la condotta tenuta dal terapeuta non può non essere parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell'intervento richiesto ed al contesto in cui esso si è svolto. Seppure con l'artificio argomentativo di ritenere che si tratti di una regola di esperienza cui attenersi nel valutare l'addebito di imperizia, la sentenza qui annotata invita i giudici ad avvalersi nel processo penale dei principi espressi dall'art. 2236 c.c., al fine di poter distinguere e graduare i profili di colpa del sanitario, non potendosi accedere, come già detto, all'interpretazione data dalla sentenza Cavazza circa l'esonero da responsabilità anche nel caso di colpa grave.

Dal punto di vista intertemporale la Suprema Corte non ha dubbi ad affermare che la disciplina prevista dall'abrogato art. 3 del decreto Balduzzi è sostanzialmente più favorevole all'imputato, mentre con riguardo in particolare all'errore in executivis la nuova previsione di non punibilità ex art. 590-sexies c.p. appare essere “ininfluente”, nel senso che sia prima sia attualmente il medico continuerà a rispondere per colpa grave anche in caso di osservanza delle linee guida adeguate al caso specifico.

La sentenza delle Sezioni unite ha fornito un'interpretazione del tutto condivisibile, argomentando a livello sistematico con uno sguardo all'intero ordinamento, e valutando attentamente la vera ratio legis della legge Gelli-Bianco, in cui da un lato è stata esplicitata la volontà del legislatore di rasserenare la classe medica per evitare atteggiamenti da cosiddetta “medicina difensiva”, ma dall'altro lato non risulta in alcun atto parlamentare l'intento di escludere la responsabilità del sanitario nei casi di colpa grave.

Il risultato della riforma, come emergente dall'interpretazione delle Sezioni unite, rappresenta una vera eterogenesi dei fini : essa era volta a limitare la responsabilità del sanitario, mentre in realtà il venir meno della distinzione tra colpa lieve e colpa grave presente nel decreto Balduzzi, ha in molti casi aggravato la posizione del medico. Non è quindi escluso che a breve il legislatore intervenga ancora per rimediare alla propria “imperizia”.

La soluzione adottata dalla Suprema Corte era ampiamente prevedibile. Tuttavia con riguardo alla responsabilità in executivis poteva essere percorsa anche un'altra strada, indicata da una parte della dottrina, la quale ha acutamente osservato che le linee guida contengono inevitabilmente dei richiami impliciti ad altre raccomandazioni specifiche o anche generiche circa le modalità di intervento. Se ad esempio con riguardo ad una appendicite acuta le linee guida raccomandano nella maggior parte dei casi un intervento chirurgico d'urgenza con la chirurgia tradizionale o con la laparoscopia, può accadere che esse facciano implicito richiamo alle raccomandazioni generali su come si deve effettuare un intervento in laparoscopia o compiere un'operazione chirurgica. L'errore nell'esecuzione va quindi valutato anche con riguardo alle linee guida che implicitamente sono richiamate o presupposte. In questi termini non potrebbe perciò sostenersi che il sanitario avrebbe però osservato le linee guida relative al caso di appendicite acuta e quindi potrebbe essere scriminato, perché ciò sarebbe una tesi palesemente irragionevole, frutto di una formalistica lettura delle linee guida.

Percorrendo la suddetta interpretazione il sanitario dovrebbe invece rispondere perché ha agito discostandosi dalle raccomandazioni, anche presupposte, a cui doveva comunque attenersi.

La distinzione tra responsabilità in eligendo ed errore in executivis meriterebbe perciò un miglior approfondimento.

Guida all'approfondimento

BRUSCO, Cassazione e responsabilità penale del medico. Tipicità e determinatezza nel nuovo art. 590-sexies c.p, in Dir. pen. contemp., fasc. n.11/2017;

CUPELLI, La legge Gelli-Bianco nell'intepretazione delle Sezioni unite : torna la gradazione della colpa e si riaffaccia l'art. 2236 c.c., in Dir. pen. contemp., del 22/12/2017;

D'AURIA, Colpa medica: le Sezioni unite indicano il perimetro applicativo della legge Gelli- Bianco, in Quot. giur., del 26/02/2018;

PIRAS, La non punibilità dell'imperizia medica in executivis, in Dir. pen. contemp., del 5/12/2017;

ROSADA, La legge Gelli-Bianco, in sede penale, si applica solo ai fatti commessi in epoca successiva alla riforma, in IlPenalista, del 09/06/2017

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