Rilevanza penale del falso valutativo nel delitto di false comunicazioni sociali

Gianluca Soana
19 Aprile 2016

Le Sezioni unite, all'esito dell'udienza del 31 marzo del 2016, hanno affermato che sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di “valutazione”, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l'agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni.
1.

La Corte di cassazione a Sezioni unite, all'esito dell'udienza del 31 marzo del 2016, ha affermato che sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di “valutazione”, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l'agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni.

Le Sezioni unite, con la sentenza indicata in epigrafe, di cui ancora non sono note le motivazioni, hanno risolto il contrasto giurisprudenziale, sorto all'interno della V Sezione penale, avente ad oggetto la corretta interpretazione dell'art. 2621 c.c., per come questa norma è stata introdotta, nella sua attuale formulazione, dall'art. 9 della legge 27 maggio 2015 n. 69; in particolare, le Sezioni unite sono state chiamate a stabilire se il c.d. falso valutativo e cioè l'indicazione nei bilanci, nelle relazioni e nelle altre comunicazioni sociali di valutazioni non rispondenti al vero, possa assurgere a condotta penalmente rilevante con riferimento al delitto di false comunicazioni sociali.

In modo sintetico, nella formulazione originaria di questa norma si punivano quelle condotte dirette ad esporre nelle comunicazioni sociali fatti non rispondenti al vero, con una locuzione che, allora, la giurisprudenza valutava come idonea a determinare la punibilità anche delle cd. false valutazioni in quanto costituenti in se attività fattuale (Cass. pen., Sez. V, 18 maggio 2000, n. 8984).

Questa rilevanza penale delle valutazioni, aveva trovato un'esplicita conferma nella successiva formulazione dell'art. 2621 c.c., avutasi con il d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61. In questa occasione, infatti, si era previsto, in modo esplicito, tra le condotte sanzionate quelle che espongono fatti materiali non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni.

La appena indicata formulazione dell'art. 2621 c.c. è stata superata dalla riforma avutasi con la legge 27 maggio 2015 n. 69 che – almeno nelle intenzioni dichiarate dai proponenti – è stata diretta a ripristinare la punibilità del reato di false comunicazioni sociali, tenuto conto della circostanza che, a seguito del d.lgs. 61/2002, di fatto, la formulazione di quella fattispecie rendeva meramente ipotetica la commissione del reato in essa regolato.

Nel nuovo art. 2621 c.c., nella descrizione della condotta penalmente rilevante, si fa, nuovamente, riferimento alla condotta di coloro i quali espongono fatti materiali non rispondenti al vero, senza, tuttavia, la presenza della locuzione, contenuta nel testo previgente, ancorché oggetto di valutazioni. Quest'omissione ha, fin dai primi commenti sul nuovo art. 2621 c.c., aperto un confronto, sia in dottrina che in giurisprudenza, sul significato da attribuirgli ed, in particolare, se con essa il legislatore abbia voluto affermare l'irrilevanza penale del c.d. falso valutativo o se, invece, la stessa trovi origine nella ritenuta superfluità di una tale precisazione.

Il tutto, senza che nessun aiuto, a risolvere questa incertezza interpretativa, potesse venire dai lavori parlamentari, tenuto conto che durante di essi, quando la questione era stata posta, si era, esplicitamente, scelto di non dare alcuna esplicita indicazione, rinviando alla nostra Corte di cassazione … valutare se gli elementi valutativi e le stime possano o meno rientrare all'interno di un concetto che implica fatti materiali rilevanti (Senatore D'Ascola, relatore del disegno di legge nella seduta del 31 marzo 2015).

L'indirizzo diretto ad affermare la non rilevanza penale delle false valutazioni – Secondo un primo orientamento, rappresentato da due sentenze, con il nuovo art. 2621 c.c. è intervenuta l'abrogazione del falso valutativo o estimativo (Cass.pen., Sez. V, 16 giugno 2015, n. 33774; Cass. pen., Sez. V, 22 febbraio 2016, n. 6916).

Per queste decisioni, il dato testuale ed il confronto con la previgente formulazione degli artt. 2621 e 2622 c.c., sono elementi indicativi della volontà del legislatore di far venire meno la punibilità dei fatti valutativi, tenuto conto, da un lato, che si è ripresa la formula, utilizzata nella norma del 2002, diretta a circoscrivere l'oggetto della condotta attiva ai fattimateriali, in modo diverso dalla nozione più ampia di fatti contenuta nell'originario art.2621c.c., e dall'altra si è tolto l'esplicito riferimento alla rilevanza delle valutazioni contenuto nel testo previgente.

Si è aggiunto che la previsione della necessaria materialitàdeifatti penalmente rilevanti, dà ulteriore supporto a questa interpretazione tenuto anche conto del raffronto con altre disposizioni penali. In particolare, in queste decisioni si è richiamato, innanzitutto, quanto stabilito, nel diritto penale tributario, durante la vigenza dell'art. 4 lett. f), d.l. 429/1982, conv. modif. legge 516/1982 ove l'analogo riferimento, quali condotte sanzionate, unicamente a quelle aventi ad oggetto fatti materiali aveva portato la giurisprudenza ad escludere dalle condotte di frode fiscali ivi sanzionate quelle derivanti da false valutazioni. Un ulteriore argomento è stato, poi, tratto dalla circostanza che la stessa legge 69/2015, nell'intervenire anche sull'art. 2638 c.c. (Ostacoloall'esercizio delle funzionidelleautorità pubbliche di vigilanza), ha lasciato per quest'ultima fattispecie invariata quella parte della disposizione diretta a sanzionare coloro i quali espongono fatti materiali non rispondenti al vero, ancorché oggetto di valutazioni, in misura tale da far ritenere che la circostanza per la quale la stessa espressione sia stata cancellata dal testo dell'art. 2621 c.c. ed, invece, mantenuta in quello dell'art. 2638 c.c., dimostri l'intento del legislativo di sottrarre dall'incriminazione della prima norma i fatti valutativi.

In queste decisioni, si è, poi, concluso precisando il significato che deve darsi al falso valutativo privo di rilevanza penale per il delitto qui in esame, indicando che lo stesso ricorre quando un dato numerico venga associato ad una realtà economica, comunque, esistente, dunque quale risultato di un'operazione valutativa. Restano, invece, penalmente sanzionate quelle ipotesi in cui, attraverso una simile operazione, si fornisce una situazione di fatto difforme dal vero attraverso la rappresentazione in bilancio di valori oggettivamente non esistenti e difformi dal dato reale in quanto queste non rientrano nell'ipotesi del falso valutativo, bensì nella rappresentazione di fatti non esistenti e dunque oggettivamente falsi.

L'indirizzo diretto ad affermare la rilevanza penale delle false valutazioni - Di segno opposto è, invece, quanto sostenuto dalla Corte di cassazione, Sez. V, del 12 novembre 201512 gennaio 2016, n. 890che ha respinto le argomentazioni contenute nella sentenza Crespi,concludendo per la rilevanza penale delle c.d. false valutazioni nel delitto di false comunicazioni sociali.

In questa sentenza, si è, innanzitutto, ritenuto che, sul piano letterale, la rimozione dal testo previgente dellalocuzione ancorché oggetto di valutazione non assume alcuna valenza decisiva, in quanto la congiunzione ancorché riveste una finalità ancillare, meramente esplicativa e chiarificatrice del nucleo sostanziale della proposizione principale e pertanto non ha, sicuramente, una funzione additiva.

Fatta questa premessa, la Corte ha evidenziato che i fattimaterialirilevanti, richiamati dalla norma attualmente vigente, sono di natura squisitamente tecnica, frutto di una trasposizione letterale di formule lessicali in uso nelle scienze economiche anglo-americane e nella legislazione comunitaria, di talché la qualificazione materiale si connette, sempre, al concetto tecnico di “materialità” che da tempo e stato adottato dagli economisti anglo-americani come criterio di redazione dei bilanci di esercizio e di revisione. Pertanto questo termine va qualificato come sinonimo di “essenzialità”, nel senso che nel bilancio devono entrare solo dati informativi “essenziali” ai fini dell'informazione, restandone fuori tutti i profili marginali e secondari, in aderenza a quanto stabilito dalla legislazione comunitaria (art. 2, comma 3, della IV direttiva Cee sul bilancio di esercizio e art. 16, comma 3, della VII direttiva Cee sul bilancio consolidato) e dalla legislazione nazionale all'art.2423c.c. Nel contempo, si è precisato che l'aggettivo “rilevante”, utilizzato nell'art. 2621 c.c., è di stretta derivazione dal lessico della normativa comunitaria - riconnettendosi al concetto di rilevanza sancito dall'art. 2, punto 16, della direttiva 2013/34/Ue - realizzandosi quando l'omissioneo l'errataindicazionedelfatto possano ragionevolmenteinfluenzareledecisioni prese dagli utilizzatori sulla base del bilancio di impresa. Con la precisazione, tuttavia, che la rilevanza delle singole vociè giudicatanelcontesto dialtre vocianaloghe, con la ulteriore conseguenza che deve ritenersi, pertanto, normativamente introdotto nel nostro ordinamento un nuovo principio di redazione dei bilancio, e cioè proprio quello della rilevanza. Ne consegue ancora che “materialità" e “rilevanza” dei fatti economici da rappresentare in bilancio costituiscono facce della stessa medaglia, postulando un'indicazione di indefettibile “corretta” informazione e che le aggettivazioni “materiali” e “rilevanti”, lungi dal costituire una ridondante endiadi, dovrebbero trovare senso compiuto nella loro genesi, connessa come tale alla funzione di corretti veicoli di informazioni capaci di orientare le scelte operative e le decisioni strategiche dei destinatari. In tale contesto ermeneutico – prosegue la sentenza – anche il lemma “fatto” non potrebbe essere inteso nel significato comune, ossia come fatto/evento fenomenologico, quanto piuttosto nella sua accezione tecnica più lata, di dato informativo della realtà che i bilanci e le altre comunicazioni sono destinati a proiettare all'esterno, con la conseguente irrilevanza, sul piano della interpretazione sistematica della norma, della soppressione del termine “informazioni” e del rispristino dell'originario lemma “fatti”.

Conclude, pertanto, la Corte che nella nozione di rappresentazione di fatti materiali e rilevanti non possano non ricomprendersi anche le valutazioni, giacché le valutazioni espresse in bilancio non sono il frutto di mere congetture od arbitrari giudizi di valore, ma devono uniformarsi a criteri valutativi positivamente determinati dalla disciplina civilistica (art.2426c.c.), dalie direttive e regolamenti di diritto comunitario o da prassi contabili generalmente accettate, con la conseguenza che ii mancato rispetto di tali parametri comporta la falsità della rappresentazione valutativa, punibile ai sensi del nuovo art.2621c.c., nonostante la soppressione dell'inutile inciso ancorché oggetto di valutazione.

Un'ultima notazione la Corte l'ha fornita sul paragone con l'art. 2638 c.c. osservando innanzitutto, che il mantenimento in essa del sintagma ancorchéoggetto di valutazioni, non assume valore decisivo nell'interpretazione dell'art. 2621 c.c. in quanto il ricorso a criteri logici di comparazione può avere una ragionevole affidabilità solo in presenza di identità delle fattispecie di riferimento, non, quindi, nel caso in esame (rispettivamente previste dagli artt.2621 e 2638c.c.) relativo a fattispecie che hanno natura ed obiettività giuridiche diverse e perseguono finalità radicalmente differenti. D'altronde, se non si dovesse tenere ferma la diversità dei beni giuridici tutelati dalla richiamate fattispecie delittuose e fosse, viceversa, praticabile la tesi opposta, si avrebbe il risultato paradossale che la redazione di uno stesso bilancio, recante falsi valutativi, sarebbe penalmente irrilevante se diretto ai soci ed al pubblico e penalmente rilevante se rivolto alle autorità pubbliche di vigilanza.

Guida all'approfondimento

D'ALESSANDRO, La riforma delle false comunicazioni sociali al vaglio del Giudice di legittimità: davvero penalmente irrilevanti le valutazioni mendaci?, in Giur. It., 2015, 2013;

GAMBARDELLA, Il ritorno del delitto di false comunicazioni sociali: tra fatti materiali, fatti di lieve entità e fatti di particolare tenuità, in Cass. pen., 2015, 1740;

MANES, La nuova disciplina delle false comunicazioni sociali, in Dir. pen. cont.;

MUCCIARELLI, Oltre un discusso <<ancorché>> le sezioni unite della Corte di cassazione e la legalità dell'interpretazione: qualche nota, in Dir. pen. cont.;

MUCCIARELLI, <<Ancorché>> superfluo ancora un commento sparso sulle nuove false comunicazioni sociali, in Dir. pen. cont;

SCOLETTA, Le parole sono importanti? Fatti materiali, false valutazioni di bilancio e limiti all'esegesi del giudice, in Dir. pen. cont;

SEMINARA, False comunicazioni sociali e false valutazioni in bilancio: il difficile esordio di una riforma, in Riv. it. Dir. proc. pen., 2015, 1510.

2.

Con encomiabile velocità, la Sezione semplice interessata (la V) ha preso atto del contrasto sorto al suo interno ed, in modo conseguente, rimesso – con ordinanza del 9 febbraio 2016 - 4 marzo 2016 n. 9186 – la questione alle Sezioni unite, formulando il seguente quesito: Se la modifica dell'art. 2621 c.c. per effetto dell'art. 9 l.n. 69/2015 nella parte in cui, disciplinando “le false comunicazioni sociali”, non ha riportato l'inciso “ancorché oggetto di valutazioni”, abbia determinato o meno un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie.

Sul punto, si precisa che il procedimento, nel quale si inserisce l'imputazione che ha dato origine a questa remissione, è relativo ad una bancarotta societaria – di cui all'art. 223, comma 2 n. 1, r.d. 16 marzo 1942 n. 267, con riferimento alla condotta di cui al delitto previsto e punito dall'art. 2621 c.c. – in un caso ove la falsa informazione sociale ha avuto ad oggetto la intervenuta ricostituzione del capitale sociale della società fallita attraverso il fittizio utilizzo anche delle somme già indicate contabilmente come anticipazione soci, e ciò attraverso l'artifizio consistito nel far figurare i pagamenti come anticipazione soci e non già come risorse finanziarie effettivamente percepite a titolo di pagamenti di crediti per contratti ed altre operazioni diversamente effettuate.

3.

L'udienza per la trattazione della questione sopra esposta è stata fissata, dal primo Presidente della Corte suprema, per il 31 marzo 2016 dinanzi alle Sezioni unite della Corte.

4.

A detto quesito le Sezioni unite hanno dato una risposta immediata con la quale – in presenza del solo dispositivo ed in attesa delle motivazioni – hanno aderito all'indirizzo, in ultimo richiamato, diretto a ritenere che le false valutazioni rientrano tra le condotte penalmente rilevanti ex art. 2621 c.c., ogni qualvolta oggetto della falsa esposizione o della condotta omissiva siano condotte che possono essere sussunte in fatti, in quanto con esse l'agente si è discostato, consapevolmente, da criteri di valutazioni che sono normativamente fissati o generalmente accettati, senza che, nel contempo, sia stata fornita una adeguata informazione, in misura tale da porre in essere una condotta idonea ad indurre in errore i destinatari della comunicazione.

Queste conclusioni, confermano quanto sostenuto, non solo dalla sentenza Giovagnoli ma anche dalla dottrina prevalente diretta ad evidenziare che la locuzione “fatti materiali” (proscritti se falsamente esposti, ovvero se antidoverosamente omessi), in quanto collocati nel contesto delle comunicazioni sociali, rimanda ad un campo semantico nel quale sono comprese le nozioni di informazioni e valutazioni, considerato il tipo di veicolo imposto dalla legge (i bilanci, le relazioni o le altre comunicazioni sociali) nel quale le valutazioni in esso contenute devono tenere conto dell'entità quantitativa del dato di riferimento e dei criteri stabiliti dalle norme, anche solo convenzionali, vigenti in materia che trovano normalmente riscontro nella nota integrativa, in un contesto ove, allora, l'aggettivo materiale è diretto ad escludere – come peraltro risulta anche dal dispositivo delle Sezioni unite – le sole opinioni di natura soggettiva, le previsioni, i pronostici e cioè quelle operazioni che nella lettura aziendalistica vengono denominate le stime di bilancio congetturali (MUCCIARELLI, Oltre un discusso <<ancorché>> le sezioni unite della Corte di cassazione e la legalità dell'interpretazione: qualche nota, in Dir. pen. cont.).

È stata depositata la sentenza n. 22474 del 27 maggio 2016, con la quale le Sezioni uinite, chiamate a stabilire se, in tema di false comunicazioni sociali, la modifica con cui l'art. 9 della legge 27 maggio 2015, n. 69, che ha eliminato, nell'art. 2621 c.c., l'inciso “ancorché oggetto di valutazioni”, abbia determinato un effetto parzialmente abrogativo della fattispecie, ovvero se tale effetto non si sia verificato, hanno deciso che sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di “valutazione”, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l'agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.