Effetti della recidiva reiterata specifica infraquinquennale sulla prescrizione

Lucia Aielli
20 Maggio 2016

Se la ritenuta recidiva reiterata specifica infraquinquennale possa incidere sul calcolo del tempo necessario a prescrivere, contestualmente e cioè sia con riferimento al termine base correlato alla pena edittale, sia con riferimento al termine prorogato per effetto di atti interruttivi oppure solo con riferimento ad uno di tali elementi ed in particolare al termine massimo in caso di atti interruttivi.
1.

Vi è contrasto in giurisprudenza in merito al computo della recidiva reiterata specifica infraquinquennale ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere.

Ci si interroga se la recidiva di cui al comma 4 dell'art. 99 c.p. possa essere considerata quale elemento per la determinazione del termine prescrizionale base ai sensi dell'art. 157 c.p. e, allo stesso tempo, quale elemento di calcolo del termine massimo di prescrizione in presenza di atti interruttivi ai sensi dell'art. 161, comma 2, c.p. ovvero se essa debba essere computata una sola volta e quindi, in presenza di più atti interruttivi, solo nel momento di determinazione del termine prescrizionale massimo.

Un'isolata pronuncia (Cass.pen., Sez. VI, 9 settembre 2015, n. 47269) ritiene che la recidiva reiterata specifica infraquinquennale, pacificamente riconosciuta circostanza aggravante ad effetto speciale, per effetto del generalissimo principio di specialità immanente nel nostro ordinamento, non possa essere computata due volte ai fini della prescrizione del reato e cioè per la determinazione del termine prescrizionale base commisurato alla entità della pena edittale ex art. 157, comma 2, c.p. e, contemporaneamente, per la determinazione del termine massimo di prescrizione di cui all'art. 161, comma 2, c.p., altrimenti ponendosi a carico del reo lo stesso elemento, in violazione del principio del ne bis in idem sostanziale.

Altro orientamento (Cass.pen., Sez. II, 18 febbraio 2016,n. 13463; Cass. pen., Sez. V, 7 giugno 2010, n. 35852 ed altre ivi citate) sostiene invece che in assenza di riferimenti normativi espliciti, ricorrenti in tutte le altre ipotesi in cui si è voluta escludere in astratto, la doppia valenza di un medesimo elemento (artt. 15, 61, 62, 68, 301, 581 comma 2, c.p.), nel caso esaminato, non possa escludersi la doppia valenza della recidiva che, in quanto circostanza aggravante ad effetto speciale correlata alla sussistenza di indici sintomatici della maggiore colpevolezza e della pericolosità del reo, può incidere sul calcolo del tempo necessario a prescrivere ex art. 157 c.p. e sull'entità della proroga di detto tempo in presenza di atti interruttivi ex art. 161 c. 2 c.p.

Tale soluzione interpretativa appare maggiormente condivisibile alla luce dell'articolato disposto dell'art. 160, comma 3, c.p. che prende in considerazione, doppiamente, la recidiva in questione: con riguardo al momento (atto interruttivo) ed al quantum di pena ai quali correlare il computo del tempo necessario a prescrivere. Detto articolo richiama da un lato l'art. 157 c.p. (nel suo complesso), per individuare la pena edittale, comprensiva della pena base e della circostanza aggravante ad effetto speciale, utili a stabilire il tempo (ordinario), necessario a prescrivere il reato; dall'altro (specificatamente) l'art. 161, comma 2, c.p., per puntualizzare che in presenza di atti interruttivi, si ha un prolungamento di detto tempo ( come precedentemente stabilito) che per effetto della recidiva in parola, può essere aumentato in misura non superiore a due terzi.

La sentenza della Sezione seconda da ultimo indicata, risulta altresì coerente con l'autorevole pronuncia delle Sezioni unite, 4 aprile 2011, n. 20798, che a proposito della natura e degli effetti della recidiva, sottolinea che la stessa, come circostanza pertinente al reato, richiede un accertamento, nel caso concreto, della relazione qualificata tra lo status e il fatto che deve risultare sintomatico, in relazione alla tipologia dei reati pregressi e all'epoca della loro consumazione, sia sul piano della colpevolezza che su quello della pericolosità sociale.

Considerata la sua intrinseca natura e visti i criteri di sua applicazione, che impongono al giudice una verifica nel caso concreto della ricorrenza di detti elementi sintomatici, con esclusione di ogni automatismo (Cfr. Corte cost. n. 192/2007) , la recidiva reiterata specifica infraquinquennale si presta a produrre effetti su piani diversi: quello della sanzione e quello degli effetti secondari tra i quali quello della determinazione del termine massimo necessario a prescrivere, essendo significativa di una maggiore gravità del fatto e di un maggiore allarme sociale.

In linea con tale approccio ermeneutico si collocano le pronunce giurisprudenziali che, in tema di computo dei termini prescrizionali del reato, hanno argomentato che, mentre prima della sentenza di merito, la più severa disciplina dei tempi di estinzione (art. 157, comma 2, c.p.) opera sulla base della mera contestazione della recidiva, da considerare circostanza aggravante ad effetto speciale (Cass. pen., Sez. V, 7 giugno, n. 35852), una volta intervenuta la decisione che non abbia ravvisato una relazione qualificata fra i precedenti dell'imputato e il fatto a lui addebitato (recidiva ritenuta ma non applicata), la circostanza perde il suo rilievo ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato (Cass. pen., Sez. VI, 7 ottobre 2010, n. 43771; Cass. pen., Sez. II, 8 aprile 2009, n. 18595).

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