Quali rimedi contro il provvedimento che nega (o ammette) il controllo giudiziario “su richiesta”?

Ferdinando Brizzi
26 Novembre 2019

Alle Sezioni Unite è stato richiesto di stabilire se sia proponibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento con cui il tribunale competente per le misure di prevenzione neghi l'applicazione del controllo giudiziario richiesto dall'impresa destinataria di una informazione antimafia interdittiva, ai sensi dell'art. 34 bis, comma 6 d.lgs. 159/2011.
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Alle Sezioni unite è stato richiesto di stabilire se sia proponibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento con cui il tribunale competente per le misure di prevenzione neghi l'applicazione del controllo giudiziario richiesto dall'impresa destinataria di una informazione antimafia interdittiva, ai sensi dell'art. 34-bis, comma 6, d.lgs. 159/2011.

Il controllo giudiziario “su richiesta” - La misura del controllo giudiziario di cui al d.lgs. 159/2011, art. 34-bis, comma 6, ha natura del tutto peculiare nella quale vengono in contatto istituti diversi, per struttura e caratteri: da un lato quello del controllo giudiziario regolato, in generale, dal d.lgs. 159/2011, art. 34-bis, e dall'altro la informazione antimafia interdittiva di cui al d.lgs. 159/2011, art. 84. Le “informazioni antimafia”, disciplinate dall'art. 84 cit. appartengono al sistema della documentazione antimafia e, unitamente alle “comunicazioni antimafia”, costituiscono le fondamentali misure di prevenzione amministrative previste dal “codice antimafia” nel libro II e confermate, nel loro impianto, anche dalla recente modifica di cui alla l. 17 ottobre 2017, n. 161. L'informazione antimafia, come precisato nel comma 3 dell'art. 84, consiste nell'attestazione della sussistenza, o meno, di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all'art. 67 (relativo a tutti gli effetti che si producono a seguito di irrogazione di misura preventiva con carattere definitivo nei confronti dei destinatari), nonchè, fatto salvo quanto previsto dall'art. 91, comma 6, nell'attestazione della sussistenza, o meno, di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, volti a condizionare le scelte o gli indirizzi della società o delle imprese interessate. L'informazione antimafia ha natura discrezionale, laddove incarica il prefetto di verificare la sussistenza, o meno, di tentativi di infiltrazione mafiosa nell'attività di impresa, desumibili o dai provvedimenti e dagli elementi, tipizzati nel d.lgs. 159/2011, art. 84, comma 4, o dai provvedimenti di condanna, anche non definitiva, per reati strumentali all'attività delle organizzazioni criminali, unitamente a concreti elementi da cui risulti che l'attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose (“contiguità concorrente”) o esserne in qualche modo condizionata (“contiguità soggiacente”). L'informazione antimafia preclude qualunque attività nei rapporti d'impresa con la pubblica amministrazione (contratti, concessioni o sovvenzioni pubblici), incidendo anche in quelli tra privati, poichè l'effetto interdittivo si estende alle autorizzazioni, in forza del d.lgs. 153 del 2014.

Il Consiglio di Stato ha, a più riprese, precisato le caratteristiche e le finalità di tale forma di provvedimento prefettizio, individuandone i requisiti e gli effetti (cfr. ex multis Consiglio di Stato sentenza n. 3268 del 31 maggio 2018). L'informazione antimafia, secondo l'organo di giustizia amministrativa, costituisce un provvedimento discrezionale e non vincolato che deve fondarsi su un autonomo apprezzamento da parte dell'autorità prefettizia degli elementi emersi dalle indagini svolte o dei provvedimenti emessi in sede penale. Il provvedimento di cd. interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità ex lege, parziale – in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la pubblica amministrazione – e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto destinatario è precluso avere con la pubblica amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dal d.lgs. 159/2011, art. 67. Il provvedimento in esame è soggetto alle impugnative; giurisdizionali e amministrative, dei provvedimenti prefettizi.

Il d.lgs. 159/2011, art. 34-bis, comma 6, prevede che le imprese destinatarie di “informazione antimafia interdittiva” ai sensi dell'art. 84, comma 4, che abbiano proposto impugnazione del relativo provvedimento del prefetto, possono richiedere al tribunale competente per le misure di prevenzione l'applicazione del controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 del “presente articolo” (vale a dire la nomina di un giudice delegato e di un amministratore il quale riferisce all'autorità giudiziaria, almeno bimestralmente, gli esiti dell'attività di controllo). L'iter procedimentale della richiesta è disciplinato dal medesimo comma 6: il tribunale, sentiti il procuratore distrettuale competente e gli altri soggetti interessati, nelle forme di cui all'art. 127 c.p.p., accoglie la richiesta, ove ne ricorrano i presupposti. Successivamente, prosegue il citato comma 6, anche sulla base della relazione dell'amministratore giudiziario, può revocare il controllo e, ove ne ricorrano i presupposti, disporre altre misure di prevenzione patrimoniali. Effetto della disposta misura del controllo giudiziario richiesto dall'impresa, come innanzi anticipato, è la sospensione degli effetti di cui all'art. 94, ossia degli effetti prodotti dalla informazione prefettizia, esito che rende evidente, ictu oculi, al mero confronto con i descritti effetti prodotti dall'interdittiva prefettizia e dal controllo giudiziario, la vantaggiosità per le aziende contaminate che intendano essere depurate e rimanere sul mercato, dell'ammissione al controllo giudiziario: da qui l'affermazione della natura mitigatrice degli effetti dell'interdittiva prefettizia dell'istituto in parola.

Rispetto alla generale figura del controllo giudiziario di azienda adottabile dal tribunale quale misura di prevenzione di carattere patrimoniale, ma non ablatoria, l'istituto in esame si caratterizza per la previsione di specifici requisiti del soggetto che può avanzare la richiesta, ovverosia le imprese già destinatarie di informazione antimafia interdittiva ai sensi dell'art. 84, comma 4, e dell'ulteriore requisito che l'impresa richiedente abbia proposto impugnazione del provvedimento del prefetto.

Viceversa la misura di cui all'art. 34-bis è attivata su proposta dei soggetti di cui al d.lgs. 159/2011, art. 17 ovvero è disposta d'ufficio dal tribunale, in pendenza di richiesta di distinta misura di prevenzione patrimoniale della quale non ricorrono i presupposti, quali la richiesta di sequestro – cfr. il d.lgs. 159/2011, art. 20 – o la richiesta di confisca di prevenzione – cfr. l'art. 24 d.lgs. cit. – ovvero in caso di revoca della già disposta amministrazione giudiziaria – cfr. art. 34, comma 6, cit..

Contrastante in dottrina e nelle prime applicazioni pratiche dell'istituto, è stato l'apprezzamento della misura di cui al d.lgs. 159/2011, art. 34-bis, comma 6, misura che ha trovato favorevole accoglimento nella prassi, documentata dal numero di richieste rivolte ai tribunali di prevenzione per l'applicazione dell'istituto.

È stata criticata come artificiosa la scelta legislativa di condizionare la richiesta dell'impresa alla previa impugnazione del provvedimento prefettizio, con il rischio di vanificare, a cagione delle lungaggini del procedimento amministrativo, l'adesione spontanea all'istituto che realizza il positivo effetto di affrancare l'impresa dall'invasività del provvedimento prefettizio, mettendola immediatamente al riparo dalla misura di prevenzione amministrativa.

Per altro aspetto, è risultata complessa, nelle prime applicazioni giurisprudenziali, la ricostruzione dei presupposti applicativi dell'istituto.

Sono stati discussi, in particolare, l'individuazione del margine di discrezionalità in capo al tribunale competente destinatario della richiesta nella valutazione dei presupposti applicativi essendo, viceversa, proposto un automatismo di applicazione della misura del controllo giudiziario in presenza dei meri requisiti formali, cioè l'assoggettamento all'interdittiva e l'impugnazione del provvedimento prefettizio; sui poteri del tribunale della prevenzione in merito alla valutazione della legittimità delle misure interdittive antimafia adottate dal prefetto; sul contenuto prescrittivo del controllo, se, cioè, limitato alla nomina del giudice delegato e dell'amministratore, ai sensi del comma 2, lett. b) dell'art. 34-bis cit. ovvero esteso agli obblighi recati dal comma 3 dell'art. 34-bis cit.

Soprattutto sono risultati controversi i rapporti che intercorrono tra l'impugnazione in sede amministrativa e la misura del controllo giudiziario.

L'analisi del rapporto tra la impugnazione – che può essere amministrativa o giurisdizionale non essendovi specificazione nella norma – del provvedimento di interdittiva antimafia e la richiesta di applicazione della misura del controllo giudiziario, sposta direttamente l'attenzione sul tema della proponibilità, o meno, del ricorso per cassazione avverso il provvedimento emesso dal tribunale della prevenzione.

L'orientamento favorevole – L'orientamento che ammette la ricorribilità per cassazione contro l'ordinanza del tribunale, sia essa di accoglimento o di rigetto, che decide sulla richiesta di controllo giudiziario formulata dall'impresa destinataria dell'informazione antimafia interdittiva, assume che a questo fine i soggetti interessati possono proporre ricorso per cassazione secondo il procedimento di carattere generale previsto dall'art. 127 c.p.p., comma 7, (Sez. II, n. 16105/2019, Panges Prefabbricati s.r.l.; Sez. II, n. 17451/2019, Fradel Costruzioni; Sez. II, n. 14586/2019, Sviluppo Industriale s.p.a.; Sez. II, n. 18564/2019, Consorzio Sociale COIN; Sez. V, n. 34526/2018, Eurostrade s.r.l., Rv. 273646).

Si assume che il richiamo alle forme del procedimento in camera di consiglio fornisce “l'addentellato normativo”, secondo “un modello snello, idoneo a contemperare le esigenze di celerità, proprie di un procedimento a carattere para-incidentale, con la necessità di assicurare il controllo di legittimità, imposto, ex art. 111 Cost., dalla interferenza con diritti soggettivi costituzionalmente garantiti, quale è la libertà d'impresa”. Da questo assunto si fa derivare la conclusione che il provvedimento emesso dal tribunale ex art. 34 bis, comma 6, d.lgs. 159/2011 è impugnabile soltanto mediante ricorso per cassazione (Sez. 5, n. 34526 del 2/07/2018, cit., con argomentazione reiterata nelle successive sentenze), ma solo per violazione di legge d.lgs. 159/2011, ex art. 10, comma 3, (Sez. II, n. 18564/2019, cit.).

L'orientamento contrario - Una diversa interpretazione, invece, esclude ogni impugnabilità e sostiene che il rinvio all'art. 127 c.p.p., operato in altre norme dello stesso codice con la formula “secondo le forme previste” o con altre equivalenti riguarda le regole di svolgimento dell'udienza camerale, non implica, di per sè, la ricezione completa del modello procedimentale descritto in questa norma, ivi compreso il ricorso in sede di legittimità, tanto che per diverse disposizioni contenenti tale rinvio il legislatore ha previsto espressamente quel rimedio (Sez. Unite, n. 17/1992, Bernini ed altri, Rv. 191786), per cui il richiamo all'art. 127 c.p.p., contenuto nel d.lgs. 159/2011, art. 34 bis, comma 6, riguarda solo la forma partecipata del procedimento e non può estendersi ai mezzi di impugnazione per i quali vale il principio di tassatività ex art. 568 c.p.p., comma 1.

L'argomentazione sviluppata a sostegno di questa tesi considera che la disciplina del controllo giudiziario non prevede un mezzo di impugnazione, nè contiene un rinvio al procedimento applicativo delle misure di prevenzione personali o patrimoniali o al sistema di impugnazione dei provvedimenti patrimoniali, previsto dal d.lgs. 159/2011, artt. 27 e 10, e che anche nella materia delle misure di prevenzione vale il principio di tassatività (art. 568 c.p.p., comma 1) e osserva che la mancanza di previsione di uno specifico mezzo di impugnazione risulta non casuale se si valuta la specificazione, inserita nell'art. 34, ultimo comma, dalla novella n. 161 del 2017, unitamente all'introduzione dell'esaminato art. 34 bis, di uno specifico richiamo ai mezzi di impugnazione esperibili avverso quel provvedimento. Osserva, anche, che non è conducente il richiamo all'art. 111 Cost., perchè il provvedimento d.lgs. 159/2011, ex art. 34 bis, comma 6, non incide sulla libertà personale, nè concerne l'esercizio di diritti di rango costituzionale. Inoltre, si rileva che la decisione del tribunale della prevenzione ha un contenuto provvisorio sempre rivedibile in forza di elementi nuovi che sopraggiungano fino al momento in cui, attraverso il giudicato amministrativo, gli effetti della misura di prevenzione amministrativa si stabilizzano e che un potere di controllo da parte del tribunale di prevenzione sui presupposti che legittimano l'applicazione delle interdittive antimafia duplicherebbe i controlli sulla legittimità delle stesse, la cui valutazione resta esclusivamente di competenza del prefetto e del giudice amministrativo (Sez. VI, 09/05/2019, Labate; Sez. VI, 09/05/2019, Lucianò; Sez. VI, 09/05/2019, Gienne costruzioni s.r.l.; Sez. VI, 9/05/2019, Scaramuzzino; Sez. VI, 09/05/2019, PM c. Eurostrade s.r.l.; Sez. VI, 04/04/2019, Consorzio Go Service scarl; segnalate con notizia di decisione n. 20 del 9 maggio 2019).

Ulteriori posizioni interpretative - Più articolato appare il ragionamento sviluppato, da ultimo, da Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 09/05/2019) 14-06-2019, n. 26349 in un caso in cui vi era stato l'accoglimento della richiesta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale del controllo giudiziario, avanzata dall'impresa destinataria di informazione antimafia interdittiva, ai sensi del d.lgs. 159/2011, art. 34-bis, comma 6 (c.d. cod. antimafia) ed il pubblico ministero aveva ritenuto di impugnare tale provvedimento.

Si legge nella sentenza che, secondo un consolidato orientamento, formatosi prima della riforma introdotta con la l. 161 del 2017, la disciplina delle impugnazioni nell'ambito del sistema delle misure di prevenzione deve ritenersi soggetta al principio di tassatività, con la conseguenza che, essendo precluso il ricorso all'interpretazione analogica, i provvedimenti non contemplati negli artt. 10 e 27, d.lgs. cit., e neppure in altre disposizioni espresse che richiamino tali articoli, non sono soggetti ad alcuna impugnazione, fatto salvo l'incidente di esecuzione nei limitati casi in cui possa trovare applicazione detto istituto.

Si rammenta che il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione in materia di misure di prevenzione è stato affermato con riguardo alla questione della impugnabilità dei provvedimenti di sequestro di prevenzione e di rigetto della relativa istanza di revoca, che già prima della introduzione del codice antimafia non erano stati ritenuti suscettibili di impugnazione e che anche dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 159/2011, sono stati ritenuti soggetti unicamente al rimedio dell'opposizione nelle forme dell'incidente di esecuzione ex art. 667 c.p.p., comma 4, da proporsi davanti allo stesso giudice della prevenzione (Sez. II, n. 4400/2015, Rv. 262373; Sez. II n. 4729/2018 Rv. 272084). È opportuno tenere presente che con la l. 17 ottobre 2017, n. 161, il d.lgs. 159/2011, art. 27, è stato parzialmente modificato nel senso che è stato ampliato l'ambito dei provvedimenti appellabili, prevedendo l'appello anche per i provvedimenti con cui viene applicato, negato o revocato il sequestro.

Il predetto intervento legislativo di ampliamento dei provvedimenti appellabili conferma, peraltro, il carattere tassativo dell'elencazione contenuta nel predetto articolo, e l'impossibilità di estenderla in mancanza di una previsione normativa espressa.

Invero è sufficiente leggere i primi due commi dell'art. 27 cit., inserito nel capo II del titolo II dedicato alle misure di prevenzione patrimoniali, per evincerne il carattere tassativo dell'elencazione dei provvedimenti concernenti le misure di prevenzione patrimoniali riportata al comma 1 (1. “I provvedimenti con i quali il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati, l'applicazione, il diniego o la revoca del sequestro, il rigetto della richiesta di confisca anche qualora non sia stato precedentemente disposto il sequestro ovvero la restituzione della cauzione o la liberazione delle garanzie o la confisca della cauzione o l'esecuzione sui beni costituiti in garanzia...”), e per i quali soltanto opera il richiamo, contenuto al comma 2 (2. “Per le impugnazioni contro detti provvedimenti si applicano le disposizioni previste dall'art. 10”), delle disposizioni previste dall'art. 10 cit., dedicato alla disciplina delle impugnazioni, inserita nella sezione II del titolo I, dedicato alle misure di prevenzione personali.

Dal combinato disposto delle due predette disposizioni si desume, infatti, che sono soggetti al ricorso, anche nel merito, davanti alla corte di appello, ed al ricorso per cassazione per violazione di legge avverso i decreti emessi dalla corte di appello, i provvedimenti con i quali il tribunale dispone: a) la confisca dei beni sequestrati; b) l'applicazione, il diniego o la revoca del sequestro; c) il rigetto della richiesta di confisca; d) la restituzione della cauzione; e) la liberazione delle garanzie; f) la confisca della cauzione; g) la esecuzione sui beni costituiti in garanzia.

Date queste premesse, Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 09/05/2019) 14-06-2019, n. 26349 giunge ad affermare che la mancanza di mezzi di impugnazione in tema di controllo giudiziario appare coerente con la natura provvisoria e le finalità di carattere esplorativo ed investigativo che la misura del controllo giudiziario espleta, insieme a quella di promuovere il recupero delle imprese infiltrate dalle organizzazioni criminali, non essendo prevista coerentemente neppure l'impugnabilità da parte del pubblico ministero nel caso di accoglimento dell'istanza.

Sotto tale diversa prospettiva, si deve rilevare che ove il pubblico ministero non dovesse ritenere adeguata la misura del controllo giudiziario, a fronte della pericolosità maggiore dallo stesso rappresentata del rischio di infiltrazione mafiosa rispetto a quella minore ritenuta dal giudice della prevenzione, la legge gli consente comunque di utilizzare la misura di prevenzione applicata per acquisire proprio grazie ad essa, ad esempio attraverso le relazioni informative dell'amministratore giudiziario e con l'impiego degli altri poteri ispettivi previsti dall'art. 34-bis, comma 4, quegli ulteriori elementi di cognizione necessari per richiedere una diversa e più grave misura di prevenzione, quale quella dell'amministrazione giudiziaria o nei casi più estremi il sequestro e la confisca dell'azienda.

Ad avviso dei supremi giudici, la mancata previsione di un mezzo di impugnazione non sembra perciò essere frutto di una dimenticanza del legislatore, cui si imponga di trovare rimedio in sede interpretativa, ed in ossequio al principio costituzionale della libertà di impresa, ma è coerente con la natura, gli scopi e la tipologia del provvedimento in oggetto.

Un problema di sacrificio non adeguatamente tutelato della libertà di impresa si potrebbe semmai ravvisare nel caso opposto a quello scrutinato nella sentenza, allorchè la medesima misura sia stata applicata su richiesta del pubblico ministero, o di ufficio come prevede l'art. 34-bis cit., comma 1, in cui le posizioni dell'impresa e del pubblico ministero si riallineano secondo la consueta dinamica del “gioco delle parti”, nel senso che la parte privata manifesta l'interesse a non subire la misura di prevenzione, perchè limitativa della sua libertà di impresa, mentre la parte pubblica si attiva per chiederne l'applicazione in funzione di tutela della libertà di impresa dal condizionamento mafioso.

Solo in tale caso, la mancanza di un mezzo di impugnazione potrebbe astrattamente dare adito a possibili rilievi sotto il profilo della tutela della libertà di impresa, perchè deprivata di una tutela giurisdizionale articolata in più gradi di giudizio, ma non certamente nel caso opposto, che viene in esame nella citata sentenza, ed in cui la misura di prevenzione è stata applicata su richiesta della parte.

Peraltro, la scelta del legislatore di non prevedere mezzi di impugnazione, trova logica giustificazione nella natura provvisoria del provvedimento, che come l'amministrazione giudiziaria, può evolvere per decisione dello stesso giudice che le ha disposte, nel senso della revoca o dell'aggravamento, ed al cui prudente apprezzamento le parti possono eventualmente riproporre le proprie istanze, in presenza di una mutata situazione di fatto, stante il principio della permanente verifica dei presupposti di fatto, immanente alla materia della prevenzione, in cui la preclusione del giudicato resta sempre soggetta alla regola rebus sic stantibus.

La giurisdizionalità del procedimento - La risoluzione della questione controversa non può, in ogni caso, prescindere dalla ineliminabile considerazione della giurisdizionalità piena del procedimento attivato dalla parte privata, in una con l'appartenenza della disposizione di cui all'art. 34-bis ad un “sotto-sistema” teso all'individuazione, da parte del Tribunale della Prevenzione, dell'intervento più adeguato al caso concreto sottoposto ad esame. Tale principio è stato affermato da ultimo da Cass. pen. Sez. I, (ud. 07/05/2019) 05-07-2019, n. 29487, che ha precisato come

aspetto di certo connaturale alla giurisdizionalità è quello per cui l'ammissione al controllo “su richiesta” non può ritenersi un effetto automatico della domanda, con accentuazione – tuttavia – della necessità, a fini di accoglimento della domanda, di una immediata qualificazione della relazione intercorsa tra l'azienda ed il gruppo mafioso in termini di “agevolazione occasionale” (requisito introdotto dal legislatore all'art. 34-bis, comma 1). Tale aspetto se da un lato riprende la fisionomia generale dell'istituto, dall'altro potrebbe, in verità, riguardare, nel caso del controllo su richiesta, una fase posteriore all'accoglimento della istanza (ove venga preliminarmente esclusa la pericolosità del gestore dell'attività economica), caratterizzata da migliore conoscenza della realtà aziendale, proprio in quanto assistita dall'esercizio dei poteri attribuiti dalla legge all'amministratore giudiziario nominato ai sensi dell'art. 34-bis, comma 2.

2.

Con ordinanza adottata all'udienza del 15 maggio 2019 e depositata il 3 giugno 2019, n. 24661, Cass. pen. Sez. VI ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione:

«se contro il provvedimento con cui il tribunale, competente per le misure di prevenzione, neghi l'applicazione del controllo giudiziario richiesto d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ex art. 34-bis, comma 6, dall'impresa destinataria di una interdittiva antimafia, sia proponibile il ricorso per cassazione».

Il Tribunale di Roma respingeva la richiesta del legale rappresentante di una società di applicare la misura di prevenzione del controllo giudiziario, prevista dall'art. 34-bis d.lgs. 159/2011, a seguito dell'emissione da parte della Prefettura di Roma di un'informazione antimafia a carattere interdittivo. Avverso tale decisione, ricorreva per cassazione il difensore del legale rappresentante della società, chiedendone l'annullamento. La vicenda, delibata da Cass. pen. Sez. VI, ha dato luogo alla rimessione alle Sezioni Unite. Importante evidenziare come gli stessi giudici rimettenti abbiano rilevato che le posizioni in contrasto sopra richiamate non esauriscono lo spazio logico-giuridico che i dati normativi offrono per la soluzione della questione, per cui non escludono ulteriori posizioni interpretative: ad avviso di chi scrive, si tratta proprio di quelle opzioni scrutinate dalla medesima Sez. VI, Cass. pen., nella già citata sent., 9 maggio 2019 (dep. 14 giugno 2019), n. 26349.

3.

Il Primo Presidente della Cassazione ha fissato per il 18 luglio 2019 la discussione davanti alle Sezioni Unite della questione:

«se contro il provvedimento con cui il tribunale, competente per le misure di prevenzione, neghi l'applicazione del controllo giudiziario richiesto d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ex art. 34-bis, comma 6, dall'impresa destinataria di una interdittiva antimafia, sia proponibile il ricorso per cassazione»

Tuttavia dalla consultazione dello sito della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, questioni pendenti l'udienza del 18 luglio risulta essere stata soppressa e la decisione è stata rimandata all'udienza del 26 settembre 2019.

4.

All'udienza del 26 settembre 2019 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla questione controversa loro rimessa «se il provvedimento con cui il tribunale competente per le misure di prevenzione neghi l'applicazione del controllo giudiziario richiesto d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ex art. 34-bis, comma 6 sia impugnabile con ricorso per cassazione», nel senso che è proponibile il ricorso alla Corte d'Appello anche per il merito.

5.

La questione controversa è stata decisa da Corte di Cassazione, Sez. Unite Penali, sentenza 26 settembre – 19 novembre 2019, n. 46898 che ha enunciato il seguente principio di diritto:
Il provvedimento con cui il tribunale competente per le misure di prevenzione neghi l'applicazione del controllo giudiziario richiesto d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, ex art. 34-bis, comma 6, è impugnabile con ricorso alla corte di appello anche per il merito.

La “progressione normativa”. I supremi giudici, per giungere a tale conclusione, hanno ritenuto doveroso premettere un riepilogo di quella che viene definita la progressione normativa culminata con l. 17 ottobre 2017, n. 161 con cui è stato introdotto, nel d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, l'istituto del controllo giudiziario disciplinato dall'art. 34-bis.

A ben vedere la sentenza contiene un'opportuna precisazione: si legge che “alla detta progressione normativa si addice forse di più la definizione di stratificazione per aggiunta”: le innovazioni legislative registrate non sempre sono risultate in tutto armonizzate tra loro, sicché l'interprete viene talvolta chiamato ad operare col compito di individuare “opzioni tanto ineludibili quanto inespresse”.

Questa “stratificazione per aggiunta” parte dal codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione con cui ha visto la luce, il 6 settembre 2011, con la compiuta disciplina, nell'art. 34, accanto a quella delle misure di prevenzione patrimoniali già note e sperimentate del sequestro e della confisca, della sola "amministrazione giudiziaria" dei beni connessi ad attività economiche. Si tratta di una misura di prevenzione patrimoniale che aveva avuto, quale precursore, l'istituto della "sospensione temporanea della amministrazione dei beni", introdotto con d.l. 8 giugno 1992, n. 306, (l'art. 24, introdusse nella l. 31 maggio 1965, n. 575 gli artt. 3-quater e 3-quinquies). La sospensione temporanea fu dunque ridisegnata come misura diversa ed alternativa a quella della confisca e qualificata con apposita collocazione nel Capo V del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, dedicato appunto alle "misure di prevenzione diverse dalla confisca".

Si tratta di una misura geneticamente sganciata dai presupposti per l'applicazione del sequestro e della confisca, tanto da poter essere disposta quando non ricorrono i presupposti per la applicazione di altra misura di prevenzione, ed anzi innestata dal rilievo che il libero esercizio di attività economiche anche imprenditoriali, a causa di infiltrazione di delinquenza di tipo mafioso, possa agevolare le attività di sottoposti a misure di prevenzione o soggetti indagati per taluni gravi reati.
Il legislatore del 2011 ne aveva confermato la possibilità di reflusso, alla scadenza, nel "controllo giudiziario" (art. 34, comma 8), ossia nell'obbligo, che poteva essere imposto a chi aveva subito la misura maggiore, di informare per un certo lasso di tempo, determinate pubbliche autorità, dei movimenti economici e finanziari compiuti o subiti; oppure, (art. 34, comma 7) nella confisca dei beni ritenuti frutto o reimpiego di attività illecite.

La posizione della giurisprudenza: i mezzi di impugnazione. La misura dell'amministrazione giudiziaria era qualificata dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. pen., Sez. VI, n. 49550 del 4 novembre 2014, Nigro, Rv. 261257) come non presidiata da mezzi di impugnazione, valorizzando il criterio ostativo della tassatività di tali mezzi, per far risaltare che la sola norma del Codice antimafia dedicata alle impugnazioni, e cioè il d.lgs. n. 159 del 2011, art. 27, le disciplinava con riferimento ad una serie di istituti tra i quali non figurava quello dell'amministrazione giudiziaria.

Quella stessa giurisprudenza risolse, contestualmente, col ricorso all'applicazione analogica, un'evidente criticità che il testo di legge presentava in punto di impugnabilità della confisca, nel caso specifico in cui tale misura fosse stata adottata alla scadenza della amministrazione giudiziaria: mentre, cioè, la confisca, quale misura adottata in via ordinaria, risultava appellabile e poi ricorribile ai sensi dell'art. 27 cit., per la stessa misura adottata posticipatamente nelle condizioni sopra descritte non era previsto alcun mezzo di impugnazione nel testo originario dell'art. 34 d.lgs. cit.: ciò, rilevano i supremi giudici, costituisce un significativo precedente utile direttamente alla risoluzione del quesito devoluto all'attenzione delle Sezioni unite

Ebbene quella stessa giurisprudenza ammise, per via interpretativa, cioè ricorrendo alla interpretazione costituzionalmente conforme, l'appellabilità e poi la ricorribilità anche per tale ultima misura, avvalendosi e replicando il ragionamento che aveva portato la Corte costituzionale a dichiarare, sul punto, l'illegittimità della norma-precursore del d.lgs. n. 159 del 2011, art. 34, e cioè della l. n. 575 del 1965, art. 3-quinquies, sopra citato. Con la sentenza n. 487 del 20 novembre 1995, il giudice delle leggi, prendendo atto di una certa inamovibilità della giurisprudenza di legittimità nel negare qualsiasi applicazione analogica in tema di mezzi di reclamo concernenti le misure di prevenzione patrimoniale, aveva rilevato la necessità di riequilibrare il sistema, fonte di irragionevole disparità di trattamento in presenza di situazioni assimilabili, e aveva introdotto, con pronuncia additiva, il doppio grado di impugnazione in relazione alla confisca prevista dal l. n. 575 del 1965, art. 3-quinquies. E ciò in quanto l'art. 3-ter, legge cit. prevedeva già la impugnabilità della confisca di cui all'art. 2-ter.

Quando poi il legislatore del 2011 aveva sostanzialmente riprodotto il testo dell'art. 3-quinquies, comma 2, negli originari d.lgs. n. 159 del 2011, art. 34, commi 7 e 8, senza mostrare di recepire la “magistrale” rilevazione della Corte costituzionale in punto di necessitata impugnazione anche di tale confisca, la giurisprudenza della Cassazione sopra evocata, dequotando in parte qua la rigidità del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione onde non incappare nella violazione del principio costituzionale della parità di trattamento, non aveva avuto esitazioni a rendere effettivo lo stesso risultato processuale ed aveva patrocinato un'interpretazione dell'art. 34, costituzionalmente conforme, riconoscendo l'impugnabilità con doppio grado, omessa dal legislatore.
Tale opzione ermeneutica era stata, quasi contemporaneamente, normativizzata con d.lgs. 13 ottobre 2014, n. 153 (il cui art. 5, comma 1, lett. a)), aveva appositamente integrato l'art. 34, comma 7), ed infine recepita anche dalla l. 17 ottobre 2017, n. 161, art. 10, che ha interamente riscritto l'art. 34 inserendo, nel relativo comma 6, ultima parte, una previsione di impugnazione col doppio grado di giudizio, ivi riferita, però – come già fatto con la novella del 2014 – non solo alla confisca emessa a seguito della revoca della amministrazione giudiziaria, ma anche alla misura del controllo giudiziario adottabile nello stesso contesto.

La disciplina del controllo giudiziario. Si giunge così alla introduzione della disciplina del "controllo giudiziario".

Con la medesima l. 161/2017, mediante l'art. 11 che ha inserito nel codice antimafia l'art. 34-bis, è stato compiutamente ridisegnato l'istituto che qui interessa, quello cioè del controllo giudiziario delle aziende, misura non più soltanto servente e funzionale a quella dell'amministrazione giudiziaria, ma da questa indipendente perché fondata, ab origine, sul rilievo che la possibile agevolazione di persone sottoposte a misure di prevenzione o indagate per gravi reati – comune con la piattaforma operativa della misura ex art. 34 – sia soltanto occasionale.

La misura in questione – a differenza di quella della amministrazione giudiziaria che comporta la temporanea estromissione del proprietario dei beni e della azienda dall'esercizio dei propri poteri in quanto sostituito dal giudice delegato e dall'amministrazione giudiziario – ha un approccio meno deflagrante poiché implica essenzialmente poteri di controllo in capo al giudice delegato e all'amministratore eventualmente nominato dal tribunale. Essa, cioè, è coadiuvante di un nuovo corso della gestione della azienda, finalizzato ad un suo recupero alla libera concorrenza, una volta affrancata dalle infiltrazioni mafiose che ne avevano condizionato l'attività.

Non per questo è meno cogente per l'impresa, la quale si vede colpita da una iniziativa dell'Ufficio pubblico cui può resistere, a posteriori, con una istanza di revoca da discutere dinanzi allo stesso tribunale, in udienza camerale ex art. 127 c.p.p.

Tuttavia, se il prodromo è non la determinazione del Tribunale, ma l'informazione antimafia interdittiva del prefetto (comportante l'inibizione dei poteri di stipula di contratti e di fruizione di concessioni o erogazioni: d.lgs. n. 159 del 2011, art. 94), è data facoltà, alla stessa impresa destinataria di interdittiva – che contesti con impugnazione in sede amministrativa la legittimità di tale provvedimento – di richiedere l'ammissione al controllo giudiziario (art. 34-bis, comma 6): una richiesta che viene discussa, ugualmente, con procedura camerale ex art. 127, e che, in caso di accoglimento prevede la rilevante conseguenza della sospensione degli effetti inibitori di cui all'art. 94.
Può altrimenti essere rigettata per mancanza dei presupposti o, se accolta, dare poi luogo alla revoca per le stesse ragioni sopravvenute e refluire nella applicazione di altra, e più gravosa misura di prevenzione patrimoniale.

Un sotto-sistema di risposte alternative. Le Sezioni Unite richiamano adesivamente quello che viene definito il condivisibile apporto ermeneutico dovuto a Cass. pen., Sez. I, n. 29487, del 7 maggio 2019, Rv. 276303: questa sentenza ha ben posto in evidenza come, rispetto ad un pregresso assetto del sistema delle misure di prevenzione volto ad accertare e ad operare – coi mezzi ablativi del sequestro e della confisca – in presenza di una relazione tra situazioni di pericolosità soggettiva e accumulazione ingiustificata di beni, il complesso costituito dalla misura di prevenzione patrimoniale dell'amministrazione giudiziaria, rinforzata nel 2017 con il potenziamento di quella del controllo giudiziario anche "volontario", rappresenta una risposta alternativa da parte del legislatore. Alternativa è la finalità di queste, volte non alla recisione del rapporto col proprietario, ma al recupero della realtà aziendale alla libera concorrenza, a seguito di un percorso emendativo.

Ne consegue il corretto suggerimento di un accostamento ad esse come ad un sotto-sistema omogeneo, con la potenzialità che detta assimilazione torni in gioco anche quando si tratterà di analizzarne gli effetti compensativi rispetto alle lacune che connotano la fase delle impugnazioni.
secondo i supremi giudici, la seconda riflessione che nasce dalla lettura della detta sentenza, come auspicato anche da parte della dottrina che si è espressa sul tema, riguarda, ancor più approfonditamente, la ratio delle citate misure e, conseguentemente, il percorso accertativo che esse attivano in capo al giudice.

Non vi è alcun dubbio che con riferimento all'istituto di cui al d.lgs. n. 159 del 2011, art. 34, e a quello del controllo giudiziario a richiesta della parte pubblica o disposto di ufficio sia doveroso il preliminare accertamento da parte del giudice delle condizioni oggettive descritte nelle norme di riferimento e cioè il grado di assoggettamento dell'attività economica alle descritte condizioni di intimidazione mafiosa e l'attitudine di esse alla agevolazione di persone pericolose pure indicate nelle fattispecie.

Con riferimento, poi, alla domanda della parte privata, che sia raggiunta da interdittiva antimafia, di accedere al controllo giudiziario, tale accertamento non scolora del tutto, dovendo pur sempre il tribunale adito accertare i presupposti della misura, necessariamente comprensivi dell'occasionalità dell'agevolazione dei soggetti pericolosi, come si desume dal rilievo che l'accertamento della insussistenza di tale presupposto ed eventualmente di una situazione più compromessa possono comportare il rigetto della domanda e magari l'accoglimento di quella, di parte avversa, relativa alla più gravosa misura della amministrazione giudiziaria o di altra ablativa.

La peculiarità dell'accertamento del giudice, sia con riferimento all'amministrazione giudiziaria che al controllo giudiziario, ed a maggior ragione in relazione al controllo volontario, sta però nel fatto che il “fuoco” della attenzione e quindi del risultato di analisi deve essere posto non solo su tale pre-requisito, quanto piuttosto, valorizzando le caratteristiche strutturali del presupposto verificato, sulle concrete possibilità che la singola realtà aziendale ha, o meno, di compiere fruttuosamente il cammino verso il riallineamento con il contesto economico sano, anche avvalendosi dei controlli e delle sollecitazioni (nel caso della amministrazione, anche vere intromissioni) che il giudice delegato può rivolgere nel guidare la impresa infiltrata.

L'accertamento dello stato di condizionamento e di infiltrazione non può, cioè, essere soltanto funzionale a fotografare lo stato attuale di pericolosità oggettiva in cui versi la realtà aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto a comprendere e a prevedere le potenzialità che quella realtà ha di affrancarsene seguendo l'iter che la misura alternativa comporta.
La ratio di ciascuna delle descritte iniziative e l'interesse sotteso variano non di poco a seconda della identità del soggetto promovente (pubblico o privato) e della natura del provvedimento (di accoglimento o di revoca o reiettivo), ma è altrettanto evidente che per nessuna delle descritte situazioni (applicazione della amministrazione giudiziaria; reiezione della istanza; applicazione del controllo giudiziario su iniziativa della parte pubblica o della impresa; revoca successiva; reiezione della domanda per accertamento di infiltrazioni non occasionali) il legislatore ha inteso disciplinare in modo parcellizzato un mezzo di impugnazione, salvo il caso di quello sopra ricordato, ai sensi del d.lgs. n. 159 del 2011, art. 34, comma 6, che però, come sottolineato, ha una derivazione storico-giuridica ben precisa, originando dalla pronuncia della Corte costituzionale del 1995.

Quello che si può constatare positivamente è, peraltro, che mentre per una serie di provvedimenti afferenti le misure patrimoniali del sequestro, della confisca e della cauzione, il legislatore ha previsto al d.lgs. n. 159 del 2011, art. 27, (peraltro ampliato con il recente intervento del 2017, l. n. 161) un sistema di posticipata comunicazione alle parti interessate finalizzato all'esercizio del potere di impugnazione secondo la disciplina del d.lgs. n. 159 del 2011, art. 10, (che è la norma fondamentale delle impugnazioni, collocata nel Capo II dedicato alle misure di prevenzione personali), invece nella riedizione degli artt. 34 e 34-bis, effettuata con la l. n. 161, l'intervento del legislatore sembra essersi concentrato piuttosto sulla previsione di procedure camerali ex art. 127 c.p.p., destinate a garantire, in molti dei casi previsti, la conoscenza ed il contraddittorio anticipati: così dando la sensazione di non occuparsi, o meglio, come le Sezioni Unite ritengono, lasciando libero, in punto di impugnabilità, uno spazio che è possibile ed anzi doveroso occupare, col ricorso al principio generale sotteso al sistema delle impugnazioni delle misure di prevenzione, che è quello elaborato nell'art. 10 citato.

Un sistema che, col doppio grado di giudizio – il primo dei quali, di merito, ed il secondo per sola violazione di legge – si pone come quello generale e di riferimento a tutela degli interessi perseguiti dal corpo normativo, aventi tanto natura pubblicistica, quanto garanzia costituzionale come la libertà di iniziativa economica e la proprietà privata.

I “casi analoghi”. Queste premesse servono ai supremi giudici per affermare che l'intervento sull'originario d.lgs. n. 159 del 2011, art. 34, comma 7, ha creato un nuovo scompenso, sul terreno dei "casi analoghi", perché prevedendo l'appellabilità della confisca emessa all'atto della revoca della amministrazione giudiziaria, vi ha aggiunto, per simmetria, anche l'appellabilità del controllo giudiziario che rappresentava, con la confisca, l'altro possibile sbocco della situazione conclusa con la revoca.

Una volta cioè, che con la successiva l. n. 161 del 2017, il testo dell'art. 34, comma 7, è rifluito nel nuovo art. 34, comma 6, e che, contestualmente è stato disciplinato autonomamente l'istituto del controllo giudiziario introducendo il nuovo art. 34-bis, è balzata all'evidenza la incongruenza dell'accostamento di una previsione differenziata della impugnabilità di decisioni su oggetti del tutto assimilabili: il controllo giudiziario apparirebbe, cioè, appellabile se emesso all'esito della procedura della amministrazione giudiziaria e non impugnabile se emesso in modo autonomo da quella.
E se tale accostamento è irragionevole, illogico sarebbe anche inferirne una scelta volontaria da parte del legislatore. Doverosa è stata pertanto ritenuta l'emenda con una interpretazione analogica, volta a ricomporre la parità di trattamento.

Decisivo rilievo è dunque quello della irragionevole disparità di trattamento di situazioni analoghe, derivante da un assetto normativo che assoggetta il provvedimento applicativo della misura del controllo giudiziario alla impugnabilità con appello e poi con ricorso, soltanto in una ipotesi residuale e non in quella maggiore che, a differenza della prima, non è nemmeno preceduta dal collaudo quantomeno sulla tenuta delle comuni premesse e dalla possibilità di revoca della misura della amministrazione giudiziaria.

Ne consegue che, se deve ritersi ammissibile, per colmare tale ingiustificato scompenso, il ricorso al sistema impugnatorio derivante dal combinato disposto dell'art. 27 e del d.lgs. n. 159 del 2011, art. 10, con riferimento al provvedimento dispositivo del controllo giudiziario, l'applicazione analogica deve investire parimenti anche i provvedimenti diversi sul tema e segnatamente quello reiettivo della domanda della parte privata.

E ciò, innanzi tutto, perché si creerebbe, diversamente, una ingiustificata disparità di trattamento nella tutela degli opposti interessi perseguiti da ciascuno dei rispettivi soggetti legittimati (parte pubblica o tribunale e parte privata). In secondo luogo non è stato ritenuto condivisibile l'assunto secondo cui la parte privata non sarebbe, nel caso descritto, titolare di un interesse perseguibile dinanzi alla giurisdizione della prevenzione, poiché la limitazione alla libertà di impresa sarebbe avvenuta ad opera del solo provvedimento prefettizio, aggredibile nella sola sede giudiziaria amministrativa.

Il sindacato del giudice. In realtà, sebbene sia indubbio che il tribunale non abbia potere di sindacato sulla legittimità della interdittiva antimafia adottata dal prefetto, per l'evidente autonomia dei mandati delle due giurisdizioni, è anche vero che l'intera gamma delle situazioni richiamate dal d.lgs. n. 159 del 2011, art. 34-bis, comma 6, è devoluta alla sua cognizione, dovendosi esso esprimere non solo sull'applicabilità del controllo giudiziario "di cui alla lett. b), del comma 2" dell'articolo citato – cioè quello che prevede la nomina del giudice delegato e dell'amministratore giudiziario con poteri di controllo – ma anche di verificare il ricorso dei relativi presupposti – e cioè l'occasionalità dell'agevolazione ai soggetti mafiosi, e non, ivi previsti, il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose e la sua intensità – e saggiare la sussistenza delle condizioni per applicare uno o più degli obblighi informativi ed anche gestionali previsti dall'art. 34-bis, comma 3.

Una serie di controlli e accertamenti penetranti sulla vita e sulla qualità della gestione dell'impresa, che si affianca alla denuncia di infiltrazione mafiosa operata dal prefetto, e che nondimeno la parte privata può avere interesse a contrastare anche con elementi di fatto acquisiti successivamente all'udienza camerale anticipata, pure per non rimanere acquiescente rispetto a conclusioni che la potrebbero esporre all'adozione di misure di prevenzione patrimoniali diverse e più incisive.
A ulteriore conferma di tale assunto va riportato il fuoco dell'analisi sul testo originario del d.lgs. n. 159 del 2011, art. 27, divenuto da ultimo oggetto dell'intervento del legislatore del 2017.

A tale intervento, come detto, non va riconosciuta la valenza di avere delineato un elenco tassativo quanto piuttosto la finalità di perseguire un tendenziale completamento del catalogo di provvedimenti impugnabili in base al criterio del caso analogo. Si è cioè ampliato e integrato il novero dei provvedimenti in tema di sequestro, confisca e cauzione impugnabili in maniera omogenea, trattandosi di provvedimenti volti a realizzare situazioni ablative assimilabili e dunque da presidiare con identico mezzo di impugnazione.

Una ingiustificata lacuna era stata, quasi contestualmente, denunciata da Sez. Unite, n. 20215 del 23 febbraio 2017, Yang Xinjao, Rv. 269590.

Tale sentenza era giunta, infatti, alla conclusione che, analogamente a quanto già previsto dall'art. 27, d.lgs. cit. in tema di appellabilità del provvedimento di revoca del sequestro, anche per il decreto di rigetto della richiesta del pubblico ministero di applicazione della confisca non preceduta dal sequestro anticipatorio, di cui al d.lgs. n. 159 del 2011, artt. 20 e 22, nonostante l'assenza della menzione di tale provvedimento nel testo allora vigente dell'art. 27, d.lgs. cit., si imponesse la impugnazione mediante appello (e non mediante il solo ricorso per cassazione).
La ragione di tale conclusione era indicata nella necessità di evitare irragionevoli conseguenze e, per converso, di riconoscere l'assimilabilità sostanziale delle due situazioni, dati i comuni effetti che ne derivano in termini di insussistenza del vincolo sui beni.

A prescindere da ogni rilievo sull'effettivo completamento di quel catalogo, l'insegnamento utile delle Sezioni Unite, s. Yang Xinjao, è quello di avere fatto ricorso alla qualificazione come "irrazionale" della opzione, in un testo normativo, di previsioni disomogenee quanto alla impugnabilità di provvedimenti assimilabili negli effetti; e di avere, pur senza evocare il principio dell'applicazione analogica, operato rilevando una svista del legislatore che ha dato luogo ad una vera e propria lacuna normativa, da colmare in virtù dei principi generali che regolano il sistema dell'impugnazione dei provvedimenti in materia di misure di prevenzione personale.
La conclusione è che le decisioni del tribunale sulle richieste in tema di controllo giudiziario, al pari di quelle sulla ammissione alla amministrazione giudiziaria, legate con le prime in un unico sotto-sistema, debbano andare soggette al mezzo di impugnazione generale previsto dal d.lgs. n. 159 del 2011, art. 10, come già testimoniato, per le altre misure patrimoniali, dal richiamo contenuto nell'art. 27, e nell'art. 34, comma 6, ultima parte e come del resto reso necessario dal dovere di sopperire a ingiustificate aporie normative, pur in presenza di effetti incisivi del tutto assimilabili su beni e interessi omogenei tutelati dall'ordinamento.

Cenni conclusivi. Questo è stato dunque il “tragitto” argomentativo che ha condotto le Sezioni Unite a ritenere impugnabile con ricorso alla corte di appello anche per il merito il provvedimento con cui il tribunale competente per le misure di prevenzione neghi l'applicazione del controllo giudiziario “volontario”. Se il massimo consesso di legittimità ha definito “magistrale” la sentenza n. 487 del 20 novembre 1995 del giudice delle leggi, analoga apprezzamento può essere mosso alla sentenza in commento sia per il metodo seguito – la rigorosa ricostruzione dal frammentato quadro legislativo e della parallela evoluzione giurisprudenziale – sia per le importanti affermazioni che vi si rinvengono: il fine ultimo del controllo giudiziario è il recupero della realtà aziendale alla libera concorrenza, a seguito di un percorso emendativo. Si è trattato del più autorevole riconoscimento dell'esistenza di un sistema alternativo di giustizia patrimoniale dove la confisca resta confinata, finalmente, sullo sfondo.

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