La natura della nullità dell'omesso avviso di conclusione delle indagini preliminari: un dubbio, poco amletico, da superare

Enrico Campoli
26 Novembre 2018

Si dibatte, in sede di legittimità, circa la natura, relativa o a regime intermedio, della nullità riguardante l'omesso avviso di conclusione delle indagini preliminari attese le differenze tra i due istituti e, soprattutto, le rilevanti conseguenze processuali che l'accesso all'uno o all'altro comportano.
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Si dibatte, in sede di legittimità, circa la natura, relativa o a regime intermedio, della nullità riguardante l'omesso avviso di conclusione delle indagini preliminari attese le differenze tra i due istituti e, soprattutto, le rilevanti conseguenze processuali che l'accesso all'uno o all'altro comportano.

La Suprema Corte di cassazione, con la sentenza n. 46763 depositata il 15 ottobre 2018, riprende le fila di un argomento già più volte affrontato – ma con esiti contrastanti – riguardo la natura della nullità dell'omesso avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis c.p.p.

Come è noto, il Legislatore tra le ipotesi in cui la richiesta di rinvio a giudizio (nel caso si tratti di condotte che necessitano della celebrazione dell'udienza preliminare) ovvero il decreto di citazione diretta a giudizio sono da ritenersi nulli (così, difatti, rispettivamente dispongono, sia l'art. 416, comma 1, che l'art. 552, comma 2, c.p.p. pen.), annovera quella che tali specifici atti di promovimento dell'azione penale non siano stati preceduti dall'avviso previsto dall'art. 415-bis c.p.p., che l'ufficio del pubblico ministero “fa notificare”, compiutamente, a tutte le parti interessate (indagato, difensore e, per alcuni specifici delitti, al difensore della persona offesa ovvero a quest'ultima).

La ratio di tale fondamentale garanzia – da cui scaturiscono i vari diritti enunciati dal comma 3 dell'art. 415-bis c.p.p. –, risiede nella riconducibilità in capo all'indagato (ed al suo difensore) dello sviluppo, in maniera concreta, del proprio diritto di difesa, ed in particolare di quando l'ufficio del pubblico ministero, all'esito delle indagini preliminari, abbia già ritenuto, nelle diverse alternative offertegli dall'art. 405 c.p.p., di non optare, quantomeno in prima battuta, per la richiesta di archiviazione – («Il pubblico ministero, quando non deve richiedere l'archiviazione, esercita l'azione penale, formulando l'imputazione […]»).

Stante il principio di tassatività delle nullità (art. 177 c.p.p.) e l'espressa volontà legislativa di ricomprendere quella in esame nel perimetro di tale sanzione processuale, ci si deve interrogare, quindi, su quale sia la natura della stessa tenuto conto delle diverse conseguenze che l'inquadramento nell'una o nell'altra categoria (assolute; intermedie; relative) comporta sotto il profilo della corretta sequenza procedimentale.

Sgombrato il campo dalla possibilità che l'omesso avviso della conclusione delle indagini preliminari (melius, la corretta notifica dello stesso a tutte le parti interessate) possa essere riconducibile alla categoria delle nullità assolute, non potendo il disposto di cui all'art. 415-bis ritenersi funzionale «all'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale», – (art. 179, comma 1, c.p.p.) –, né tantomeno ricondursi alla citazione dell'imputato ovvero all'assenza del difensore (attesa la facoltatività dei loro interventi), ci si è confrontati sul se essa configuri una nullità a regime intermedio ovvero una nullità relativa, con tutto quello che ciò di diverso comporta sia in merito al loro regime di deducibilità/rilevabilità e sia riguardo al diversificato ambito di sanatoria che le riguarda.

L'inquadramento dell'omesso avviso di conclusione delle indagini preliminari tra le nullità relative (Cass. pen., Sez. V, n. 34515/2014 e Cass. pen., Sez. V, n. 44825/2014) comporta, difatti, che essa possa essere dichiarata solo su eccezione di parte, – art. 181, comma 1, c.p.p. – e, quindi, mai essere rilevata dal giudice ex officio, e che debba ritenersi sanata, qualora non sia eccepita «entro il termine di cui all'art. 491, comma 1 […] quando manchi l'udienza preliminare» ovvero per tutti i reati in cui è, invece, prevista la celebrazione di quest'ultima essere sollevata in tale sede, per poi, in caso di rigetto, trovare replica nella successiva occasione dibattimentale, e sempre entro il suddetto termine.

Tale impostazione attribuisce all'omissione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari una struttura residuale e ciò non solo perché le nullità relative sono da ritenersi tali, in quanto, nella loro stessa individuazione, diverse da «tutte quelle previste dagli articoli 178 e 179, comma 2» ma anche perché svincola tale atto dal diritto di difesa, relegandolo in un ambito in cui lo stesso potere di intervento del giudice è condizionato dalla esclusiva volontà potestativa dell'interessato.

Nel prendere, però, in esame la situazione processuale nel suo complesso non può essere sottaciuta la circostanza che, a fronte dell'ipotesi in cui l'indagato possa essere già venuto a conoscenza dell'esistenza delle indagini nei propri confronti in forza di specifici atti compiuti nel corso delle stesse, (richiesta proroga indagini; intervento cautelare; atti di perquisizione; incidente probatorio; etc.), ben può accadere, invece, che ciò accada, per la prima volta, proprio con la notifica dell'avviso ex art. 415-bisc.p.p. e, quindi, solo da quel momento essergli attribuita la facoltà di potere sviluppare, in concreto, pienamente le proprie prerogative, e cioè di «prendere visione ed estrarre copia» della documentazione relativa alle indagini svolte, «di presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore» e ancora «di chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine, nonché di presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio», con l'obbligo, solo in quest'ultimo caso, per l'ufficio del pubblico ministero, di procedervi.

Del resto, la pienezza del diritto di difendersi provando sta, paradossalmente, proprio nella facoltà dell'imputato (e del suo difensore) tanto di sviluppare le varie possibilità di integrare il materiale probatorio al fine di modificare la volontà dell'ufficio del pubblico ministero di esercitare l'azione penale quanto di rimanere del tutto inerti rispetto all'iniziativa di quest'ultimo non esercitando nessuna delle prerogative assegnategli dalla norma, fosse anche per meri motivi di opportunità essendo, in astratto, possibile, ad esempio, che un'eventuale richiesta di integrazione delle indagini formulata nei termini dettati dall'art. 415-bis, comma 3, c.p.p. possa, - laddove avallata -, anche comportare una proroga della custodia cautelare (art. 305, comma 2, c.p.p.: «[…] il pubblico ministero può altresì chiedere la proroga dei termini di custodia cautelare che siano prossimi a scadere quando sussistono gravi esigenze cautelari che, in rapporto […] a nuove indagini disposte ai sensi dell'art. 415-bis, comma 4, rendano indispensabile il protrarsi della custodia»).

Di contro, anche le richieste dell'imputato, e del suo difensore, di ulteriori indagini non comportano alcun obbligo di espletamento da parte dell'ufficio del pubblico ministero, al quale, pertanto, è attribuita la facoltà tanto di svilupparle quanto di ignorarle totalmente senza che ciò comporti alcuna sanzione di nullità.

Alla nullità della richiesta di rinvio a giudizio qualora non sia preceduta dall'avviso previsto dall'art. 415-bis c.p.p. non fa, difatti, da contraltare quella dell'inerzia del pubblico ministero dinanzi alle richieste difensive, se non quella di dover sottoporre l'indagato all'interrogatorio, – significativamente sanzionata in modo autonomo –, qualora questi lo abbia espressamente richiesto entro il termine di legge.

Proprio il ventaglio di prerogative offerte dal comma 3 dell'art. 415-bis c.p.p. e la loro “naturale” inclusione nella sfera dell'intervento dell'imputato (= indagato), cioè in quelle attività a mezzo delle quali si estrinseca la sua partecipazione personale al processo (= procedimento), – intesa quest'ultima non come mero atto fisico bensì come diritto al contraddittorio, quale esplicazione del suo diritto di difendersi provando –, è l'argomento principale che consente ad altro filone giurisprudenziale (quello da cui tali riflessioni hanno preso spunto, Cass. pen., Sez. II, n. 46763/2018) di ritenere che «la nullità in questione……….implica una lesione del diritto di difesa».

Si afferma, difatti, in quest'ultima pronuncia che l'inquadramento della «nullità in questione […] in quelle generali a regime intermedio» appare più corretto in quanto «incide sulle facoltà di intervento dell'imputato nella fase destinata al confronto preprocessuale con il pubblico ministero collocandosi nell'archetipo delle nullità “generali” previsto dall'art. 178, lett. c), c.p.p. che consente un margine più ampio di tutela essendo esteso il termine entro il quale le stesse possono essere eccepite ovvero fino alla sentenza di primo grado».

La preferibilità di tale opzione ermeneutica risiede, quindi, nella riconducibilità delle facoltà attribuite dall'art. 415-bis, comma 3, c.p.p. all'intervento e all'assistenza del soggetto imputato/indagato (art. 178, comma 1, lett. c),c.p.p.)così ponendo le stesse, da un lato, al di fuori di ogni loro previsione di obbligatorietà, - la qual cosa avrebbe comportato l'accesso al regime delle nullità assolute –, e, dall'altro, pur nella loro facoltatività, impendendo il loro declassamento ad una mera invalidabilità dell'omissione compiuta – e, quindi, il corrispettivo inquadramento nell'ambito delle nullità relative.

È di tutta evidenza, pertanto, la portata delle due diverse impostazioni prese in esame e le differenti conseguenze processuali cui esse, in assenza di un preciso indirizzo nomofilattico, comportano.

Non può, difatti, non sottolinearsi come la qualificazione dell'omesso avviso di conclusione delle indagini preliminari quale nullità a regime intermedio sancisce sì la rilevabilità e la deducibilità fino alla sentenza di primo grado, – art. 180 c.p.p. –ma impone alla parte che vi assiste di intervenire immediatamente onde impedirne la decadenza, – art. 182, comma 1, c.p.p. -, e, soprattutto, ne determina la sanatoria laddove abbia accettato gli effetti del'attoart. 183 c.p.p.

Sono, in definitiva, proprio i due diversi statuti regolamentari scaturenti dalla diversa natura attribuita alla nullità dell'omesso avviso di conclusione delle indagini preliminari – e, in particolare, il malgoverno che il differente approccio può determinare –, a far ritenere assai utile, sul punto, un pronunciamento univoco dei giudici di legittimità, ciò al fine di orientare correttamente l'operato dei giudici di merito in simili occasioni.

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