Rigetto della richiesta di archiviazione e imputazione coatta per reati diversi. Sul ricorso in Cassazione dell'indagato

10 Ottobre 2018

Se sia ammissibile il ricorso per cassazione proposto dall'indagato avverso il provvedimento del giudice per le indagini preliminari che respinga la richiesta di archiviazione e disponga la formulazione dell'imputazione ...
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Se sia ammissibile il ricorso per cassazione proposto dall'indagato avverso il provvedimento del giudice per le indagini preliminari che respinga la richiesta di archiviazione e disponga la formulazione dell'imputazione, ai sensi dell'art. 409, comma 5, c.p.p., per un reato diverso da quello per il quale il pubblico ministero ha richiesto l'archiviazione.

Una doverosa premessa. La questione che è stata rimessa alle Sezioni unite riguarda la possibilità per l'indagato di ricorrere per cassazione avverso il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari rigetti la richiesta di archiviazione e ordini l'imputazione coatta nei confronti dell'indagato per reati diversi da quelli per i quali il pubblico ministero aveva richiesto l'archiviazione.

Per capire la rilevanza pratica della questione occorre ricordare che la Suprema Corte (cfr. Cass. pen., Sez. I, 29 settembre 2016, n. 47919; Cass. pen., Sez. II, 7 luglio 2015, n. 31912; Cass. pen., Sez. VI, 22 giugno 2011, n. 34284) ritiene pacificamente non impugnabile il provvedimento con il quale il giudice rigetta la richiesta di archiviazione e dispone di formulare l'imputazione, in quanto per esso non è previsto dall'ordinamento alcun mezzo di impugnazione.

Dunque, l'unico modo per dare al pubblico ministero accesso a un gravame atto a rimuovere la decisione reiettiva è quello di qualificare come abnorme e dunque ricorribile per cassazione.

In conformità al principio di diritto espresso dalla Suprema Corte nomofilattica (cfr. Cass. pen., Sez. un., 28 novembre 2013, n. 4319), esito di un percorso giurisprudenziale contrastato (cfr. Cass. pen, Sez. V, 16 febbraio 2012; Cass. pen., Sez. II, 3 aprile 2006, n. 19447; contra: Cass. pen., Sez. VI, 28 settembre 2012, n. 42508; Cass. pen., Sez. VI, 20 gennaio 2010, n. 9005) e non ancora del tutto sopito (cfr. Cass. pen., Sez. I, 29 settembre 2016, n. 47919), è infatti inibito al giudice per le indagini preliminari ordinare al pubblico ministero la formulazione della imputazione nei confronti della persona indagata per ipotesi di reato diverse da quelle per le quali è stata richiesta l'archiviazione, dovendo in tal caso il giudice limitarsi a ordinare l'iscrizione nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. degli ulteriori reati che abbia ravvisato nelle risultanze delle indagini portate a sua conoscenza. Diversamente, il giudice per le indagini preliminari che disponga la formulazione dell'imputazione compie un atto abnorme che, imponendo al pubblico ministero il compimento di atti al di fuori delle ipotesi espressamente previste dal codice di rito, esorbita dai poteri ad esso assegnati dall'ordinamento. Il giudice dell'archiviazione non può pertanto tracciare con la sua decisione un percorso che finisce con l'espropriare il pubblico ministero del suo diritto-dovere di esercitare l'azione penale, precludendogli la possibilità di adottare autonome determinazioni all'esito delle ulteriori indagini che la pubblica accusa ritenga di espletare sulle diverse ipotesi di reato rilevate dal giudice.

Come è noto, poi, la patologia giurisprudenziale della abnormità comporta la ricorribilità in cassazione dell'atto affetto dal vizio radicale (cfr. Cass. pen., Sez. unite, 24 novembre 1999, n. 26).

A conclusione di tale percorso ermeneutico, restava dunque sul tavolo degli Ermellini l'ulteriore e susseguente questione dell'individuazione dei soggetti legittimati a ricorre per cassazione avverso un provvedimento abnorme del Giudice per le indagini preliminari.

Il contrasto. Ebbene, mentre è pacifico in giurisprudenza che il pubblico ministero possa avere accesso ad un gravame atto a rimuovere il provvedimento abnorme, sussiste un non composto contrasto ermeneutico sulla legittimazione ad agire dell'indagato destinatario dell'imputazione coatta per un reato diverso da quello al quale la richiesta dell'accusa si riferisce.

Secondo un primo e maggioritario orientamento della Suprema Corte (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 11 ottobre 2017, n. 49093; Cass. pen., Sez. III, 14 dicembre 2016, n. 15251; Cass. pen., Sez. V, 21 gennaio 2015, n. 6807; Cass. pen., Sez. IV, 20 gennaio 2012, n. 10877) è inammissibile il ricorso con il quale l'indagato eccepisca tale abnormità, non essendo portatore, al di fuori delle diverse ipotesi previste dall'art. 413 del codice di rito, di un interesse pretensivo al controllo sulla regolarità della dialettica interna tra pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari. In tale angolo visuale, unico soggetto legittimato a impugnare l'ordine giudiziale di impugnazione coatta è pertanto il pubblico ministero, atteso che in tale fase si realizza una interlocuzione sull'esercizio dell'azione penale a soli due attori, il giudice dell'archiviazione e il titolare della relativa azione.

Una diversa opzione interpretativa accolta dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 20 luglio 2016, n. 34881) ritiene invece proponibile l'impugnazione promossa dall'indagato per due ordini di ragioni, l'una di carattere formale, l'altra sostanziale. In primo luogo, la Sesta Sezione della Suprema Corte evidenzia che il vizio dell'abnormità, determinando l'insorgenza di un atto radicalmente diverso per struttura o funzione dal modello legale tipico, preclude in radice l'inammissibilità del ricorso. Inoltre, il provvedimento con il quale il Giudice per le indagini preliminari dispone la formulazione dell'imputazione assume una portata lesiva non già unicamente verso le prerogative della pubblica accusa nell'esercizio dell'azione penale e dell'attività di indagine, ma anche nei confronti dei diritti di difesa della persona sottoposta ad indagini che, nel caso in cui il pubblico ministero non ritenga di reagire alla decisione reiettiva con l'impugnazione, si troverebbe a essere penalmente perseguito per un fatto diverso e aggiuntivo rispetto a quello che, riguardo alla medesima persona, sia stato posto ad oggetto della richiesta di archiviazione da parte del pubblico ministero, e ciò quindi in assenza di una regolare interlocuzione in contraddittorio ex art. 409, comma 2, c.p.p.In tale angolo prospettico, l'indagato ricorre così per cassazione avverso il provvedimento abnorme in quanto titolare di un interesse concreto e diretto ad un esercizio dell'azione penale consentanea ai valori e ai precetti costituzionali tanto in punto di riparto dei poteri tra organo giudicante e organo requirente, quanto in punto di tutela effettiva dei principi del giusto processo.

Un caso analogo. Ciò considerato, qualora si consolidasse l'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, occorrerebbe riflettere sulla tenuta del sistema in riferimento anche a notizie di reato oggetto di imputazione coatta nuove in senso soggettivo, e dunque a carico di persone non sottoposte ad indagine, e non già in senso oggettivo, ovvero relative ad ulteriori reati in ipotesi commessi dal soggetto indagato.

Infatti, in tali ipotesi il mancato riconoscimento del diritto dell'indagato a ricorre in cassazione renderebbe ancora più manifesta la vulnerazione dei diritti di difesa dello stesso. L'ordine di imputazione coatta nei confronti di un soggetto non sottoposto ad indagini preclude alla persona rimasta estranea alle indagini di essere destinataria dell'avviso ex art. 409, comma 1, c.p.p. e di partecipare all'udienza camerale, con la conseguente discovery delle risultanze delle indagini.

2.

Con ordinanza emessa in data 12 ottobre 2017, la Sesta Sezione penale ha rimesso al Primo Presidente della Corte di cassazione un ricorso che ha proposto la seguente questione oggetto di contrasto giurisprudenziale: «se sia ammissibile il ricorso per cassazione proposto dall'indagato avverso il provvedimento del giudice per le indagini preliminari che respinga la richiesta di archiviazione e disponga la formulazione dell'imputazione, ai sensi dell'art. 409, comma 5, c.p.p., per un reato diverso da quello per l quale il pubblico ministero ha richiesto l'archiviazione».

3.

Il primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione ha assegnato la succitata questione di diritto alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l'udienza camerale del 22 marzo 2018.

4.

All'udienza del 22 marzo 2018, Le Sezioni unite della Corte di cassazioni, chiamate a pronunciarsi sulla questone controversa «se sia ammissibile il ricorso per cassazione proposto dall'indagato avverso il provvedimento del giudice per le indagini preliminari che respinga la richiesta di archiviazione e disponga la formulazione dell'imputazione, ai sensi dell'art. 409, comma 5, c.p.p., per un reato diverso da quello per l quale il pubblico ministero ha richiesto l'archiviazione», hanno dato risposta affermativa.

5.

Le Sezioni unite della Suprema Corte, dopo aver preso le mosse dalla consolidata nozione di abnormità come anomalia strutturale o funzionale (cfr. Cass. pen., Sez. unite, 26 marzo 2009, n. 25957), hanno lucidamente osservato come la questione rimessa alla sua attenzione ponga sul tavolo dell'interprete due distinte questioni, interdipendenti sul piano effettuale ma autonome sul piano ontologico-strutturale. Da un lato, la questione attiene alle ragioni dell'abnormità dell'atto legate alla interlocuzione tra pubblico ministero e giudice dell'inazione, dall'altro investe il diritto di difesa della persona imputata per effetto del provvedimento senza aver interloquito, da indagata, sul fatto contestato. In questo terreno di incontro-scontro tra principi costituzionali entra in scena il diritto di difesa. Pertanto, in tale contesto assiologico la Corte nomofilattica ha condivisibilmente optato per una soluzione interpretativa costituzionalmente orientata che, valorizzando i principi costituzionali e convenzionali del giusto ed equo processo, si armonizzasse ai frutti della giurisprudenza costituzionale (Cfr. Corte cost., ord. n. 286/2012; Corte cost., ord. n. 441/2004; Corte cost., ord. n. 491/2002; Corte cost., ord. n. 460/2002). Sul punto, consolidata giurisprudenza costituzionale ha chiarito che l'effettiva e concreta esplicazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio impongono che l'indagato partecipi all'udienza ex art. 409 c.p.p. con un accesso completo agli atti di indagine e con piena affermazione dello ius ad loquendum.

Ciò posto, i giudici delle leggi non hanno dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 409 c.p.p. nella parte in cui non prescrive che il pubblico ministero spedisca l'avviso di cui all'art. 415-bis c.p.p. anche quando l'imputazione è formulata per ordine del giudice che rigetta la richiesta di inazione. In tali occasioni i giudici di Palazzo della Consulta hanno lucidamente osservato che all'indagato è comunque garantita una occasione di interlocuzione sulla completezza della piattaforma investigativa antecedente all'atto di imputazione, dato che il relativo ordine di formulazione interviene in esito a una procedura camerale partecipata. Del resto, il rito camerale archiviativo si caratterizza per una discovery di non minore portata rispetto a quella che si innesta a seguito della notificazione dell'avviso di conclusione indagini, avendo la giurisprudenza di legittimità persino chiarito che è causa di nullità ex art. 127, comma 3, c.p.p. l'omessa audizione nell'udienza ex art. 409 c.p.p. della parte comparsa che abbia chiesto di essere sentita (cfr. ex multis Cass. pen., Sez. VI, 2 aprile 2014, n. 16169). In tale angolo visuale, la mancanza di una imputazione cristallizzata, analoga a quella di cui all'art. 415-bis c.p.p., diviene inconferente, atteso che l'esplicazione dei diritti difensivi, nella fase delle indagini preliminari, ove la contestazione è intrinsecamente fluida, attiene al diritto di interloquire sulla base di un accesso completo agli atti (Corte cost., ord. 460/2002).

Recependo tali linee ermeneutiche, e valorizzando la ratio sottesa all'argomento salvifico enunciato dalla giurisprudenza costituzionale, le Sezioni unite hanno affermato che la persona sottoposta a indagine è titolare di un interesse pratico e attuale all'impugnazione dell'ordinanza di imputazione coatta per un reato diverso. Infatti, nei casi di imputazione coatta per un reato diverso, e con ancora maggiore evidenza nelle ipotesi di imputazione coatta nei confronti di persona non indagata, ha luogo una irreversibile ed indebita compromissione dei diritti difensivi della persona sottoposta ad indagine: dopo l'ordinanza d'imputazione coatta, infatti, ulteriori sforzi difensivi sarebbero inutili, poichè il Giudice ha già deciso, ed il Pubblico Ministero non può sottrarsi al dovere di esercitare l'azione penale; l'oggetto processuale è ormai trasferito nell'udienza preliminare o nel dibattimento, e non è più possibile difendersi per evitare il processo (o, comunque, il vaglio giudiziale d'una accusa ormai definitivamente formalizzata).

Per tali ragioni, il contrasto giurisprudenziale – invero in talune ipotesi meramente apparente, attenendo le pronunce alle diverse ipotesi di atto viziato da illegittimità o a situazioni peculiari e contingenti non sovrapponibili al caso in esame, come il procedimento per decreto ove è eccezionalmente omesso l'avviso ex art. 415-bis c.p.p. – è stato risolto adottando l'orientamento minoritario.

La presente quaestio decisa dalle Sezioni unite della Corte di cassazione è espressione di un più ampio e sistemico processo di riperimetrazione dei poteri del giudice dell'archiviazione riguardo ad ipotesi di reato che emergano dagli atti trasmessi dal pubblico ministero, e che quest'ultimo non abbia posto ad oggetto della propria richiesta.

Su tale tavolo si gioca quindi una delicata partita che può potenzialmente condurre alla collisione tra garanzie e principi. Qualora, infatti, al giudice per le indagini preliminari fosse inibita ogni iniziativa riguardo a notizie che, per il soggetto o per il fatto cui si riferiscono, risultino estranee alla richiesta di inazione, il pubblico ministero finirebbe per essere titolare del potere di circoscrivere l'oggetto del controllo giudiziale, potendo scegliere discrezionalmente le notizie da iscrivere e per le quali chiedere l'eventuale archiviazione. In tal modo, il principio di obbligatorietà dell'azione sarebbe nei fatti svuotato di significato.

Tuttavia, nell'esercizio di tale ineludibile controllo, il giudice dell'archiviazione non può eccedere i propri poteri travalicando il campo dell'esercizio dell'azione penale che nel nostro ordinamento è riservato in via esclusiva al pubblico ministero.

Nel contempo, la ricerca di tale difficile equilibrio interessa anche la posizione processuale del destinatario dell'azione penale, al quale sono riconosciuti garanzie di difesa già nella fase delle indagini preliminari, e comunque in vista dell'atto di promovimento dell'azione penale. Nella prospettiva del giusto ed equo processo, e finanche sul piano dell'uguaglianza, appare coerente e giustificata la decisione delle Sezioni unite che, nel caso dell'ordine giudiziale di formulare l'imputazione per reati non riscontrati dal Magistrato inquirente o nei confronti di persone non indagate, riconoscono una non garantistica compressione e finanche amputazione dei diritti di difesa della persona sottoposta a indagine.

Del resto, sempre sul terreno costituzionale del giusto processo e del principio di uguaglianza, l'elevazione di una imputazione senza previa contestazione, neppure nella forma più flebile del riferimento ad una notizia di reato formalmente iscritta e qualificata, desta il dubbio che, in casi del genere, l'accusato sia oggetto di un trattamento processuale deteriore rispetto a colui che riceve la formale contestazione insita nell'avviso ex art. 415-bis c.p.p. Al contrario, la soluzione fisiologica dell'iscrizione delle notizie non registrate dal pubblico ministero, con la conseguente attesa delle determinazioni del magistrato inquirente, prima di formulare un eventuale ordine di imputazione, garantisce sia una corretta interlocuzione tra Giudice dell'archiviazione e accusa sia l'esplicazione dei diritti dell'indagato nella fase delle indagini preliminari. Il riconoscimento del diritto dell'indagato a ricorre in Cassazione avverso l'atto abnorme consente quindi di assicurare la rituale concatenazione degli atti che compongono il procedimento penale e la piena estrinsecazione dei diritti difensivi.

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