Forme, condizioni e modalità delle intercettazioni a mezzo di virus informatico

05 Luglio 2016

Il decreto che dispone l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni attraverso l'installazione in congegni elettronici di un virus informatico deve indicare, a pena di inutilizzabilità dei relativi risultati, i luoghi ove deve avvenire la relativa captazione? In mancanza di tale indicazione, l'eventuale sanzione di inutilizzabilità riguarda in concreto solo le captazioni che avvengano in luoghi di privata dimora al di fuori dei presupposti indicati dall'art. 266, comma 2, c.p.p.?
1.

Il decreto che dispone l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni attraverso l'installazione in congegni elettronici di un virus informatico deve indicare, a pena di inutilizzabilità dei relativi risultati, i luoghi ove deve avvenire la relativa captazione? In mancanza di tale indicazione, l'eventuale sanzione di inutilizzabilità riguarda in concreto solo le captazioni che avvengano in luoghi di privata dimora al di fuori dei presupposti indicati dall'art. 266, comma 2, c.p.p.? È comunque possibile prescindersi da tale indicazione nel caso in cui l'intercettazione per mezzo di virus informatico sia disposta in un procedimento relativo a delitti di criminalità organizzata?

I profili ermeneutici che le Sezioni unite sono stati chiamati a risolvere dall'ordinanza 13884 della sesta Sezione della suprema Corte non riguardano "un" problema, seppure di grande momento, nel settore delle intercettazioni. Si tratta, molto semplicemente “del” problema, essenziale per il presente e per il futuro – sul piano della legittimità come dell'efficacia – di questo strumento di ricerca della prova.

Come la stessa suprema Corte ha sottolineato, si deve prendere atto della ormai diffusa utilizzazione delle tecniche di intercettazione con il c.d. agente intrusore. Si tratta di una scelta obbligata: un numero sempre maggiore di comunicazioni (numero destinato a crescere) avvengono con modalità criptate, tali da vanificare l'utilizzo di un'intercettazione con forme tradizionali. In tutti questi casi l'unica intercettazione efficace è quella a mezzo di trojan o programmi similari, installati sul dispositivo nella disponibilità del soggetto intercettato; programmi con i quali è possibile monitorare – con modalità occulte ed in continuo – sia il flusso di comunicazioni riguardanti sistemi informatici o telematici, sia il contenuto, consentendo l'acquisizione, mediante copia, di dati presenti o futuri all'interno delle memorie di un dispositivo informatico.

Le due modalità sono state definite online surveillance e online search; la prima consente un monitoraggio costante delle attività compiute in rete – ossia di un flusso di dati trasmessi da un sistema telematico, compresi chat, sms, messaggi su social network e simili - laddove la seconda permette l'acquisizione, mediante copia, di dati contenuti all'interno delle memorie di un dispositivo informatico .

Per l'online search è stato ipotizzata la possibilità di installare e utilizzare i programmi riconducendo tali attività a mezzo atipico di ricerca della prova ex art. 189 c.p.p. (in questo senza Cass. pen., Sez. V, 29 aprile 2010, n. 16556, ha ritenuto legittimo il decreto del P.M. di acquisizione in copia, attraverso l'installazione di un captatore informatico, della documentazione informatica memorizzata nel personal computer in uso all'imputato e installato presso un ufficio pubblico, avendo il provvedimento riguardato l'estrapolazione di dati, non aventi ad oggetto un flusso di comunicazioni, già formati e contenuti nella memoria del "personal computer" o che in futuro sarebbero stati memorizzati).

Al contrario, l'online surveillance deve certamente essere ricondotta nell'ambito dell'attività di intercettazione, così che occorre verificare la concreta compatibilità dell'utilizzo dei programmi in oggetto con la disciplina generale delle intercettazioni, soprattutto sul piano delle garanzie.

Un tentativo di disciplina espressa dell'attività in oggetto era contemplato da un emendamento del Governo al d.d.l. di conversione del d.l. 7/2015, in materia di contrasto al terrorismo, stralciato poi in aula, diretto a modificare l'art. 266-bis c.p.p.; l'emendamento si limitava ad ammettere le intercettazioni da remoto quale ulteriore modalità di realizzazione delle operazioni captative, senza tuttavia introdurre cautele adeguate al grado di invasività che caratterizza “ontologicamente” tale strumento investigativo.

Il problema della disciplina dell'utilizzo dei trojan era stato posto dalla VI Sezione della Cassazione, che con la sentenza n. 27100 del 26 maggio 2015 aveva dichiarato illegittime (con conseguente inutilizzabilità) le intercettazioni ambientali realizzate, a distanza, mediante immissione di virus informatici in uno smartphone capaci di attivare microfono e videocamera. Un'attività che avrebbe consentito, oltre i limiti del decreto autorizzativo del Gip e i presupposti del codice di rito relativi all'individuazione del luogo ove si stia svolgendo l'attività criminosa, captazioni ambientali ovunque, in qualsiasi luogo e contesto di trovi l'indagato.

Una modalità di captazione che – secondo la prospettiva ermeneutica espressa dalla menzionata sentenza – avrebbe eluso le disposizioni codicistiche consentendo un controllo totale, in qualsiasi luogo e momento, dei soggetti intercettati; in sostanza, un monitoraggio incontrollato, generalizzato e permanente al di fuori dei casi e dei modi previsti dalla legge ed in contrasto con i diritti di cui agli artt. 2, 13, 14 e 15 Cost., nonché con l'art. 8 Cedu.

Non si tratterebbe pertanto di una semplice modalità attuativa del mezzo di ricerca della prova ma di una tecnica di captazione con specifiche peculiarità in grado di attribuire maggiore potenzialità all'intercettazione, in quanto consente la possibilità di captare conversazioni tra presenti non solo in una pluralità di luoghi, a seconda degli spostamenti del soggetto, ma ... senza limitazione di luogo. Secondo la suprema Corte una corretta lettura delle implicazioni derivanti dall'art. 15 Cost. impedirebbe di riconoscere all'art. 266, comma 2, c.p.p. una latitudine operativa così ampia da ricomprendere intercettazioni ambientali effettuate in qualunque luogo.

L'unica interpretazione compatibile con la Costituzione dovrebbe pertanto essere quella in base alla quale nel decreto autorizzativo di tali indicazioni dovrebbero essere espressamente e dettagliatamente indicati i luoghi ove l'intercettazione stessa sarebbe possibile, in quanto il principio costituzionale sulla inviolabilità della libertà e della segretezza di ogni forma di comunicazione imporrebbe una interpretazione in termini stringenti della disciplina dell'art. 266, comma 2, c.p.p. che non potrebbe comunque avere una portata applicativa così ampia da includere la possibilità di una captazione esperibile ovunque il soggetto si sposti.

La mancanza di ogni indicazione circa i luoghi interessati dall'intercettazione o meglio la mancanza di limitazioni spaziali alle captazioni ambientali determinerebbe pertanto l'illegittimità del decreto autorizzativo e l'inutilizzabilità delle conversazioni captate.

2.

L'ordinanza della Cassazione n. 13884/2016 affronta, in chiave completamente differente, il tema della legittimità delle intercettazioni disposte attraverso l'installazione di virus informatici attivati su computer o smartphone e i limiti di utilizzabilità di tali modalità di captazione, ponendo le questione riportate in epigrafe. Ciò anche considerando che, nonostante si debba riconoscere la formidabile invadenza di questo genere di intercettazioni, il principio secondo cui il decreto deve individuare con precisione i luoghi in cui dovrà essere eseguita l'intercettazione delle comunicazioni tra presenti non sarebbe desumibile dalla legge e non sembrerebbe costituire un requisito significativo funzionale alla tutela dei diritti in gioco (artt. 14, 15 Cost. e art. 8 Cedu), dal momento che la stessa Corte europea dei diritti dell'uomo non ne avrebbe mai fatto menzione.

La quinta sezione giunge a conclusioni opposte a quelle alle quali era giunta la sesta sezione, attraverso un'argomentazione articolata, che può essere così riassunta:

  • l'attività in oggetto deve essere qualificata come intercettazione ambientale, trattandosi di una captazione occulta e contestuale di colloqui tra due o più persone attuata da un soggetto estraneo mediante uno strumento tecnico di percezione in grado di vanificare le cautele poste a protezione del carattere riservato di tali comunicazioni, che però non avvengono tramite telefono o altre forme di telecomunicazioni; in questo caso, il dispositivo elettronico (ad esempio uno smartphone) rappresenta solo il mezzo attraverso cui viene posizionato, da remoto, l'intrusore informatico che funge da microspia e consente l'ascolto delle conversazioni "tra presenti" al soggetto captante, estraneo alla conversazione e che opera in modo clandestino.
  • sul piano tecnico-operativo, l'intercettazione in oggetto, essendo collegata al dispositivo elettronico sul quale l'intrusore è installato determina l'oggettiva impossibilità per il giudice di conoscere preventivamente gli spostamenti della persona che ha in uso il dispositivo elettronico sottoposto ad intercettazione e, quindi, di potere dare indicazioni sui luoghi.
  • per le intercettazioni ambientali in generale, il riferimento al luogo acquista rilievo solo quando l'operazione di captazione deve avvenire in abitazioni o luoghi privati, per i quali l'art. 266, comma 2,c.p.p. consente la captazione in ambiente solo se vi è fondato motivo di ritenere che sia in atto un'attività criminosa; solo in questo caso acquista effettivo rilievo l'indicazione nel decreto dei luoghi, dal momento che il giudice deve motivare in ordine all'attività criminosa in atto. Inoltre nelle intercettazioni disposte ai sensi dell'art. 13 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, non si pone neppure il problema dei luoghi di privata dimora, in quanto l'intercettazione tra presenti disposta in un procedimento relativo a un delitto di criminalità organizzata è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi indicati dall'art. 614 c.p. si stia svolgendo l'attività criminosa. In tali casi pertanto non si porrebbero dubbi sulla possibilità di intercettare utilizzando la tecnica del virus informatico.
  • devono inoltre essere considerate legittime le intercettazioni tra presenti nel corso dell'esecuzione delle quali intervenga una variazione dei luoghi in cui l'attività di captazione deve svolgersi: in tali ipotesi l'utilizzabilità delle conversazioni captate viene giustificata purché il luogo diverso rientri nella specificità dell'ambiente oggetto dell'intercettazione autorizzata.
  • la caratteristica tecnica dell'intercettazione a mezzo di intrusore prescinde dal riferimento al luogo, trattandosi di una intercettazione ambientale per sua natura itinerante; conseguentementeil decreto autorizzativo deve essere adeguatamente motivato per giustificare le ragioni per le quali si ritiene debba utilizzarsi la metodica dell'installazione da remoto, consentendo così una captazione dinamica.
  • se è pertanto ammissibile effettuare intercettazioni a mezzo di virus informatico e se non è ravvisabile la possibilità concreta di sospensione o interruzione della registrazione, è necessario verificare a posteriori se e quali captazioni siano avvenute nei domicilio e nei luoghi di privata dimora considerati dall'art. 614 c.p., espressamente richiamato dall'art. 266, comma 2, c.p.p.; l'attività sarà quindi legittimamente eseguite – in quanto una volta installato il virus informatico la captazione audio avviene seguendo indistintamente tutti gli spostamenti del possessore del dispositivo elettronico – ma quelle avvenute nei luoghi di cui all'art. 266 comma 2 c.p.p. non potranno essere utilizzate.

Sul piano operativo il controllo e la conseguente espunzione delle captazioni potrà avvenire nella fase dello stralcio di cui all'art. 268, comma 6, c.p.p., nella quale il giudice, d'ufficio ovvero su indicazione delle parti, dovrà immediatamente stralciare le registrazioni delle conversazioni avvenute nei luoghi indicati dall'art. 614 cod. pen., trattandosi di intercettazione non consentita e quindi inutilizzabile.

È evidente che non sempre sarà possibile – anche dopo l'ascolto – verificare se le intercettazioni siano state eseguite in uno dei luoghi vietati dalla legge. Una criticità che si porrà in termini ancora più problematici con riguardo all'uso delle intercettazioni con virus informatico nel procedimento de libertate, soprattutto considerando che il giudice può pronunciarsi sulla misura cautelare richiesta sulla base del solo "brogliaccio", dal quale potrebbe non risultare in termini evidenti il luogo della captazione.

Nondimeno, la difesa potrà fornire fondamentali indicazioni al riguardo, considerando che dopo la notificazione o l'esecuzione dell'ordinanza che dispone una misura cautelare personale il difensore – come stabilito dalla Corte costituzionale – può ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni intercettate e utilizzate ai fini dell'adozione della misura, anche se non depositate.

3.

Il primo Presidente della Corte suprema di Cassazione ha assegnato la questione oggetto di ricorso alle Sezioni unite, fissando per la trattazione l'udienza del 28 aprile 2016.

4.

All'udienza del 28 aprile 2016 le Sezioni unite hanno deciso che:

l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti, mediante l'installazione di un captatore informatico in dispositivi elettronici portatili (ad es., personal computer, tablet, smartphone ecc.) è consentita anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., pure non singolarmente individuati e anche se ivi non si stia svolgendo l'attività criminosa ma limitatamente a procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata, anche terroristica (a norma dell'art. 13 d.l. n. 152 del 1991), intendendosi per tali quelli elencati nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. pen., nonché quelli comunque facenti capo a un'associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato.

5.

La possibilità di disporre intercettazioni a mezzo di captatore informatico è ammissibile indistintamente per le sole intercettazioni disposte per delitti di criminalità organizzata, anche terroristica, secondo la previsione dell'art. 13 d.l. 152 del 1991; al contrario, l'utilizzo di tale tecnologia non è consentito per le intercettazioni di cui all'art. 266 ss c.p.p. nei luoghi di privata abitazione. Per procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata devono intendersi quelli elencati nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. nonché quelli comunque facenti capo a un'associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato.

La motivazione delle Sezioni unite in tema di intercettazione a mezzo di virus informatico è tra quelle che – per rilevanza dell'oggetto, ampiezza di considerazioni e prospettive di “sviluppo” ermeneutico – sono destinate a costituire il fondamento di un lungo dibattito. È tuttavia possibile sin da ora puntualizzare alcuni aspetti di sicura rilevanza ed altrettanta chiarezza.

Per arrivare ad affermare tre importanti principi di diritto, la suprema Corte non ha voluto trascurare una serie di aspetti che forniscono un corretto inquadramento della problematica. La sentenza in primo luogo si preoccupa non soltanto di definire – quale captatore informatico – il dispositivo in oggetto, descrivendone la natura (ossia un software costituito da due moduli principali: un primo programma di piccole dimensioni che infetta il dispositivo bersaglio e un secondo funzionale a controllare il dispositivo stesso) ma ne elenca nel dettaglio le potenzialità (captazione traffico dati, attivazioni di microfoni e web-cam, possibilità di perquisizione e duplicazione delle memorie interne, visualizzazione di ciò che viene digitato sulla tastiere). Un elenco che impone di rilevare come il soggetto intercettato e le persone a quest'ultimo “vicine” possano essere sottoposte ad penetrante controllo.

Per altro, la Cassazione ha sostanzialmente accolto sul punto le considerazioni espresse dalla procura generale, ove si afferma che Se […] è legittimo nutrire preoccupazioni per le accresciute potenzialità scrutatrici ed acquisitive dei virus informatici, suscettibili di ledere riservatezza, dignità e libertà delle persone, è del pari legittimo ricordare che solo siffatti strumenti sono oggi in grado di penetrare canali “criminali” di comunicazione o di scambio di informazioni utilizzati per la commissione di gravissimi reati contro le persone.

Così che, se si valuta l'impiego dei virus informatici in una delle loro molteplici funzionalità, quella relativa alle intercettazioni di conversazioni (l'unica peraltro che viene in rilievo nel presente giudizio di legittimità) si può ben sostenere che essi consentono più che un potenziamento, un recupero dell'efficacia perduta o compromessa delle tecniche tradizionali.

Ed invero, l'assoluta attualità della tematiche viene poi sottolineata con un puntuale richiamo alle recenti proposte di legge che hanno inteso disciplinare la materia; proposte che non sono state approvate ma la cui reiterazione in tempi brevi evidenzia la non differibilità di risposte forti e esaustive a fronte di un panorama tecnologico e di modalità di comunicazione che poco o nulla hanno a che vedere con quelle che aveva presenti il legislatore che pure con la l. 547/1993 aveva disciplinato le intercettazioni telematiche, inserendo nel codice di procedura l'art. 266-bis c.p.p.

Intercettazioni ambientali, tra presenti e in luogo di privata dimora. Il punto fondamentale della decisione è quello delle intercettazioni tra presenti poste in essere grazie all'installazione di un virus informatico in un apparecchio elettronico portatile in uso ad una persona; una tipologia di intercettazioni che sono necessariamente prive di una preventiva indicazione dei luoghi dove deve avvenire la relativa captazione .

In questo senso, nella sua argomentazione la suprema Corte precisa che la nozione di intercettazioni ambientali elaborata da dottrina e giurisprudenza, non ha in realtà una base normativa nel sistema: il codice di rito non le contempla, in quanto formula riferimento alle intercettazioni di comunicazioni tra presenti (art. 266, ultimo comma, c.p.p.) nonché alle intercettazioni di comunicazioni destinate ad avvenire nei luoghi indicati dall'art. 614 c.p. (norma incriminatrice delle diverse fattispecie del reato di violazione del domicilio che a sua volta menziona le abitazioni, gli altri luoghi di privata dimora e le relative appartenenze).

Un rapporto genus a species, considerando che non tutte le intercettazioni tra presenti avvengono in luoghi di privata dimora. Una distinzione di fondamentale rilevanza, che è il presupposto delle risposte che la suprema Corte ha fornito, in quanto la disciplina della intercettazioni tra presenti non implica che il provvedimento di autorizzazione indichi i luoghi nei quali le stesse potranno essere legittimamente svolte.

Una valutazione che non solo ha avuto il conforto del giudice delle leggi ma che è stata ritenuto altresì conforme alla disciplina Cedu ed in particolare all'art. 8 della Convenzione. La disamina delle decisioni della Corte Edu consente di ritenere che – con riguardo a provvedimenti quali quelli esaminati nella decisione in oggetto – non sia necessario che nel provvedimento autorizzativo delle intercettazioni siano indicati i luoghi in cui le stesse devono svolgersi, purché ne venga identificato chiaramente il destinatario, dovendosi ritenere alternativi tra di loro i due requisiti contenutistici di tale provvedimento – e cioè la specifica persona da porre sotto sorveglianza oppure l'unico insieme dei luoghi rispetto ai quali viene ordinata l'intercettazione.

Al contrario, deve escludersi la possibilità di compiere intercettazioni nei luoghi indicati dall'art. 614 c.p., con il mezzo indicato in precedenza, al di fuori della disciplina derogatoria per la criminalità organizzata di cui all'art. 13 d.l. 152 del 1991, convertito in l. 203 del 1991, non potendosi prevedere, all'atto dell'autorizzazione, i luoghi di privata dimora nei quali il dispositivo elettronico verrà introdotto, con conseguente impossibilità di effettuare un adeguato controllo circa l'effettivo rispetto del presupposto, previsto dall'art. 266, comma 2, c.p.p., che in detto luogo si stia svolgendo l'attività criminosa.

Un presupposto non richiesto dall'art. 13 del d.l. 152/1991. Norma per la quale: In deroga a quanto disposto dall'articolo 267 del codice di procedura penale, l'autorizzazione a disporre le operazioni previste dall'articolo 266 dello stesso codice è data, con decreto motivato, quando l'intercettazione è necessaria per lo svolgimento delle indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo del telefono in ordine ai quali sussistano sufficienti indizi […] Quando si tratta di intercettazione di comunicazioni tra presenti disposta in un procedimento relativo a un delitto di criminalità organizzata e che avvenga nei luoghi indicati dall'articolo 614 del codice penale l'intercettazione è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi predetti si stia svolgendo l'attività criminosa.

La scelta della suprema Corte è espressiva indubbiamente di un bilanciamento di interessi tra le esigenze di accertamenti di penali responsabilità e tutela della sfera privata che viene risolta dal Legislatore in senso differente laddove l'accertamento abbia ad oggetto gravi e specifiche ipotesi di reato. In questo senso non possono essere rilevate assolute preclusioni riguardanti le intercettazioni effettuate mediante captatore informatico in procedimenti come quelli per delitti di criminalità organizzata in ordine ai quali appare indiscutibilmente rispettato il principio di proporzione tra l'incisività del mezzi usati e la “regolata” compressione dei diritti fondamentali delle persone che ne deriva, a fini di tutela di esigenze vitali di uno Stato democratico di diritto (così il parere della P.G. nel caso di specie).

Si può pertanto in sintesi ritenere che:

  • di regola il decreto autorizzativo delle intercettazioni tra presenti deve contenere la specifica indicazione dell'ambiente nel quale la captazione deve avvenire solo quando si tratti di luoghi di privata dimora (in cui tali intercettazioni ambientali possono essere effettuate, in base alla disciplina codicistica, soltanto se vi è fondato motivo di ritenere che in essi si stia svolgendo l'attività criminosa);
  • per le intercettazioni tra presenti da espletare in luoghi diversi da quelli indicati dall'art. 614 c.p. (quali carceri, capanni adibiti alla custodia di attrezzi agricoli, luoghi pubblici e simili) è sufficiente che il decreto autorizzativo indichi il destinatario della captazione e la tipologia di ambienti dove essa va eseguita; l'intercettazione resta utilizzabile anche qualora venga effettuata in un altro luogo rientrante nella medesima categoria.

Il concetto di delitti relativi alla criminalità organizzata. Non possono esservi dubbi che la soluzione proposta dalle Sezioni unite costituirà una significativa limitazione all'utilizzo del captatore informatico, in quanto – e si tratta del profilo della decisione che potrebbe dare luogo alla più “accese” discussioni – non consentirà di disporre in termini generali l'attività. Ciò neppure nella prospettiva di escludere ex post – ritenendole inutilizzabili – le comunicazioni di fatto avvenute in luogo di privata dimora.

L'esclusione dell'utilizzo pare essere generale ed inequivoco e proprio per questo può essere considerata per certi aspetti problematica, ove – per ipotesi – sussistano elementi per ritenere, ad esempio, che un tablet sul quale si intende installare il captatore possa essere utilizzato in luoghi di privata dimora, nei quali risulti certo e prevedibile lo svolgimento di attività criminosa. Anche sulla base di tali presupposti dovrebbe comunque ritenersi non consentito l'utilizzo del captatore informatico? Ciò che è improbabile, può, seppure in un'ottica garantistica, essere considerato comunque impossibile e come tale non autorizzabile?

Per altro, la decisione in oggetto è venuta incontro alle esigenze investigative proponendo un' interpretazione estensiva del concetto di delitti in tema di criminalità organizzata, non rigidamente declinata sul piano normativo

In questo senso l'uso di intercettazioni captate attraverso i c.d. trojian è stato ritenuto legittimo nei procedimenti relativi alla criminalità organizzata, intendendosi per crimine organizzato non soltanto reati di mafia e terrorismo ma tutti quelli facenti capo a un'associazione per delinquere, correlata alle attività criminose più diverse.

Pertanto, per procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata devono intendersi sia elencati non solo nell'art. 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. quanto anche quelli comunque facenti capo a un'associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato, dovendosi ritenersi al riguardo sufficiente la costituzione di un apparato organizzativo, la cui struttura sia tale da assumere un ruolo preminente rispetto ai singoli partecipanti (in questo senso v. Cass. pen., Sez. unite, 11 maggio 2005, n. 17706)

Osserva la suprema Corte, in proposito, che le minacce che derivano alla società e ai singoli dalle articolate organizzazioni criminali che dispongono di sofisticate tecnologie e di notevoli risorse finanziarie, ed oggi anche dalla crescente diffusione ed articolazione su scala mondiale delle organizzazioni terroristiche le cui azioni sono finalizzate ad attentare alla vita ed alle libertà delle persone e alla sicurezza collettiva, richiedono una forte risposta dello Stato con tutti i mezzi che la moderna tecnologia offre, e la vigente legislazione, nonché i principi costituzionali, consentono per adeguare l'efficacia investigativa all'evoluzione tecnologica dei mezzi adoperati dai criminali.

La possibilità che il captatore informatico possa produrre in casi estremi, esiti lesivi della dignità umana, viene ritenuta un pericolo che ben può essere neutralizzato con gli strumenti di cui dispone l'ordinamento; ad esempio, facendo discendere dal principio personalistico enunciato dall'articolo 2 della Costituzione, e dalla tutela della dignità della persona che ne deriva, la sanzione di inutilizzabilità delle risultanze di "specifiche" intercettazioni che nelle loro modalità di attuazione e/o nei loro esiti abbiano acquisito in concreto connotati direttamente lesivi della persona e della sua dignità.​

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