Guida in stato di ebbrezza e tenuità del fatto

Luigi Levita
29 Gennaio 2016

Come era agevolmente prevedibile, le Sezioni unite della suprema Corte di cassazione vengono immediatamente chiamate a pronunciarsi su numerose questioni concernenti l'ambito applicativo del novello istituto della particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.; nelle vicende in rassegna, il supremo Collegio dovrà esprimersi sull'applicabilità o meno dell'istituto forgiato dalla legge 67/2014 ai reati previsti dall'art. 186 del codice della strada, le cui fattispecie sono di frequentissima emersione statistica e già solo per questo rendono ormai ineludibile un intervento nomofilattico.
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Come era agevolmente prevedibile, le Sezioni unite della suprema Corte di cassazione vengono immediatamente chiamate a pronunciarsi su numerose questioni concernenti l'ambito applicativo del novello istituto della particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p.; nelle vicende in rassegna, il supremo Collegio dovrà esprimersi sull'applicabilità o meno dell'istituto forgiato dalla legge 67/2014 ai reati previsti dall'art. 186 del codice della strada, le cui fattispecie sono di frequentissima emersione statistica e già solo per questo rendono ormai ineludibile un intervento nomofilattico.

Allorché all'interno di un sistema normativo penale si inserisce un nuovo istituto, dalla natura bifronte sostanziale e processuale come quello della particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis c.p., le ripercussioni esegetiche e le incertezze applicative sono un leitmotiv al quale l'operatore è ormai abituato, soprattutto laddove – come nel caso di specie – la chiarissima ratio legis della depenalizzazione si scontra con le salde categorie dogmatiche del diritto penale, dando luogo a dubbi interpretativi che soltanto le Sezioni unite possono dirimere.

Ed infatti, con due pregevoli e diffusamente argomentate ordinanze di rimessione, la quarta Sezione penale (ud. 3 dicembre 2015) si è interessata della compatibilità di alcuni reati in materia di circolazione stradale con l'istituto della particolare tenuità, giungendo ad approdi ermeneutici originali ma coerenti ed invocando, per l'effetto, l'intervento del supremo Collegio (programmato per l'udienza del 25 febbraio 2016).

In particolare, con l'ordinanza n. 49824, la Corte ha affrontato il caso di un imputato condannato in sede di merito ex art. 186, comma 2, lettera b), cos. strada (in correlazione all'art. 186-bis), conferendo innanzitutto all'istituto della particolare tenuità una natura eminentemente sostanziale (il che, nonostante le altrettanto ineludibili ricadute processuali, fonda in ogni caso il potere di intervento del giudice di legittimità), la cui deduzione risulta officiosa ex art. 609, comma 2, c.p.p. e né potendosi escludere questo intervento officioso in ragione di un'ipotetica inammissibilità del gravame, dovendosi in ogni caso procedere alla rivalutazione di specifiche situazioni giuridiche soggettive lese dallo ius superveniens.

Evidenzia infatti la Corte, con argomentazione decisamente calzante, che la particolare tenuità dell'offesa rilevante ex art. 131-bis c.p. assume una connotazione peculiare allorché l'interprete debba confrontarsi con reati caratterizzati dalla sussistenza di espresse soglie di punibilità, come accade fra l'altro per il reato in esame, laddove si oscilla fra la sanzione amministrativa e quella penale a seconda della gravità della condotta accertata in concreto.

Consapevolmente discostandosi dalla sentenza Longoni (Cass. pen. 44132/2015), la quale aveva predicato un giudizio di compatibilità dell'istituto, la quarta Sezione propende per la soluzione negativa, muovendo in prima battuta da un argomento di ordine sistematico, secondo cui la stessa progressione criminosa costruita dal legislatore appare indicativa della volontà di non consentire uno spazio residuo di tenuità dell'offesa, laddove l'analiticità della perimetrazione delle condotte penalmente rilevanti non si apprezza soltanto a livello della tecnica di redazione del precetto, bensì anche nel correlato sistema delle ipotesi aggravate (le quali contribuiscono a perimetrare ulteriormente l'antigiuridicità delle fattispecie, come si desume dall'aumento di pena irrogato in caso di guida in fascia notturna ovvero nell'ipotesi di aver provocato un sinistro stradale). Tale ultima argomentazione, invero, a sommesso avviso di chi scrive sembra provare troppo, dal momento che non necessariamente la previsione di una o più circostanze aggravanti può ritenersi indicativa di una sicura voluntas legis di graduare l'offesa sino al punto di escludere astrattamente e costantemente fatti di particolare tenuità (se così fosse, ragionando a contrario, potrebbe ritenersi che alcuno dei reati per i quali il legislatore ha previsto un catalogo di circostanze aggravanti potrebbe essere inciso dalla non punibilità ex art. 131-bis c.p., né – allo stesso modo – il fatto di reato concreto ulteriormente colorato dalla sussistenza in concreto di una circostanza aggravante comune, ad esempio).

Maggiormente persuasiva appare invero l'opzione ermeneutica lucidamente esposta in prosieguo dalla Corte, laddove fondatamente si argomenta che la subordinazione del verificarsi del reato ad un accertamento di natura eminentemente tecnica non consentirebbe di individuare agevolmente un autonomo settore di inoffensività della fattispecie concreta (come a dire: il fatto è tipico o non tipico, tertium non datur).

Con la coeva ordinanza n. 49825, sempre la quarta Sezione prende le mosse da una vicenda di condanna per il reato di rifiuto della sottoposizione ad accertamenti alcolimetrici ex art. 186, comma 7, cod. strada, consapevolmente discostandosi dal tenore della sentenza Pasolini (Cass. pen. 33821/2015) ed invocando l'intervento chiarificatore delle Sezioni unite.

Nel caso di specie, peraltro, la questione viene posta dalla Sezione con ancora maggiore linearità argomentativa, laddove è la stessa natura della condotta vietata (il “rifiuto”, che si ha ovvero non si ha: tertium non datur) a non far apparire configurabile, in concreto, uno spazio applicativo utile per comportamenti connotati da particolare tenuità.

Ed infatti, evidenzia la Corte come il rifiuto, anche se implicito, viene pur sempre espresso anche con la sola mera inottemperanza all'invito a sottoposizione formulato dagli agenti accertatori, tanto più che anche il mero rifiuto manifestato mediante modalità elusive non vale ad elidere la penale rilevanza del fatto.

L'ineludibile ed atteso intervento della suprema Corte nella sua massima composizione e per entrambe le questioni sollevate dalle due ordinanze in rassegna, oltre a dipanare l'intricata matassa in tema di circolazione stradale, appare quindi ulteriormente necessario perché dal complessivo argomentare delle Sezioni Unite si trarranno di certo notevoli spunti d'interesse per un quadro sistematico, giacché è agevole ipotizzare che il percorso logico seguito dalla Corte conterrà affermazioni di principio valevoli non soltanto per i reati di cui all'art. 186 cod. strada ma anche per tutti quei reati caratterizzati da un'anticipazione della soglia di punibilità (si pensi ai reati di pericolo ed ai reati di attentato) ovvero per le fattispecie in tema di edilizia, ambiente e lavoro (per le quali, di massima, la verificazione del reato sul piano oggettivo si manifesta attraverso la concretizzazione di fatti oggettivamente misurabili e verificabili sul piano squisitamente tecnico).

2.

All'udienza del 3 dicembre 2015, la quarta Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la decisione delle seguenti questioni oggetto di contrasto ugiurisprudenziale:

  • se sia applicabile o meno l'istituto della particolare tenuità del fatto al reato di cui all'art. 186, comma 7, cod. strada (ordinanza n. 49825);
  • se sia applicabile o meno l'istituto della particolare tenuità del fatto al reato di cui all'art. 186, comma 2, lettera b) e c), cod. strada (ordinanza n. 49824).
3.

Il primo Presidente ha assegnato alle Sezioni unite la decisione delle predette questioni – alla luce della sussistenza di contrasti giurisprudenziali – fissando per la trattazione l'udienza del 25 febbraio 2016.

4.

All'udienza del 25 febbraio, le Sezioni unite penali hanno deciso che

La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è compatibile con il reato di guida in stato di ebbrezza e con il reato di rifiuto di sottoporsi all'accertamento alcoolimetrico.

Con più generale riferimento all'istituto di cui all'art. 131-bis c.p., le Sezioni unite hanno anche ritenuto che:

  • l'art. 131-bis c.p. si applica ad ogni fattispecie criminosa, nella sussistenza dei presupposti e nel rispetto dei limiti fissati dalla medesima norma;
  • il comportamento è abituale quando l'autore ha commesso, anche successivamente, più reati della stessa indole, oltre quello oggetto del procedimento;
  • all'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto consegue l'applicazione, demandata al Prefetto, delle sanzioni amministrative accessorie stabilite dalla legge;
  • l'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la deducibilità e la rilevabilità di ufficio della suddetta causa di non punibilità;
  • per contro, nei soli procedimenti pendenti davanti alla Corte di cassazione per fatti commessi prima dell'entrata in vigore dell'art. 131-bis c.p., la relativa questione (in forza dell'art. 2, comma 4, c.p.) è deducibile e rilevabile d'ufficio ai sensi dell'art. 609, comma 2, c.p.p.;
  • la Corte di cassazione, se riconosce la sussistenza della suddetta causa di non punibilità, la dichiara anche d'ufficio ex art. 129, comma 1, c.p.p., annullando senza rinvio la sentenza impugnata a norma dell'art. 620, comma 1, lett. l), c.p.p.
4.

La pronuncia delle Sezioni unite (Cass. pen. 13681/2016), componendo il descritto contrasto giurisprudenziale, ha stabilito che il reato di guida in stato di ebbrezza non è ontologicamente incompatibile con la causa di non punibilità di particolare tenuità del fatto, muovendo da una considerazione di ordine generale secondo cui la valutazione del disvalore del reato è sempre possibile in concreto (ragion per cui, quindi, non potrebbe mai escludersi astrattamente un'offesa tenue), senza indulgere in pericolose sovrapposizioni rispetto al principio di offensività (che possono invero confondere l'interprete, laddove si sovrapponga il fatto tipico con il fatto storico).

Onde corroborare il proprio percorso argomentativo, le Sezioni unite finiscono tuttavia per degradare il superamento della soglia, al quale la norma riconnette rilevanza penale, ad un indicatore di oggettivo disvalore della situazione pericolosa, il quale da solo non può ritenersi sufficiente per escludere, in presenza di altri elementi del caso concreto, che la condotta realisticamente tenuta possa caratterizzarsi in termini di speciale tenuità.

Né tale indicazione esegetica risulta scalfita, ad avviso del supremo Consesso, dalla sussistenza di un armamentario sanzionatorio amministrativo, giacché le diversità applicative del sistema amministrativo e di quello penale non consentono di predicare una reale risposta graduata dell'ordinamento rispetto all'offesa perpetrata dall'autore.

Le indicazioni scaturenti da questa importante decisione, naturalmente, si astraggono dal caso concreto e dal reato di guida in stato di ebbrezza, potendosi astrattamente applicare ad una ampia tipologia di ipotesi delittuose per le quali, come appare evidente, d'ora in poi risulta sempre più pregnante e decisivo il ruolo dei giudici di merito, chiamati ad una sempre maggiore considerazione del fatto nella sua globalità, soprattutto laddove si controverta di reati di pericolo astratto ovvero presunto.

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