Difensore cassazionista sostituto del collega non cassazionista. Ricorso inammissibile, chi paga le spese?

02 Novembre 2016

È stata rimessa alle Sezioni unite la questione relativa alla possibilità o meno di pronunciare condanna alle spese del procedimento a carico del difensore dell'imputato, quando il ricorso sia inammissibile per carenza di legittimazione derivante dalla mancanza di abilitazione al patrocinio superiore del difensore stesso.
1.

La prima Sezione penale, rilevando un contrasto giurisprudenziale tra le sezioni ed anche interno alla stessa Sezione, ha rimesso alle Sezioni unite la questione relativa alla possibilità o meno di pronunciare condanna alle spese del procedimento, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., a carico del difensore dell'imputato, allorquando il ricorso venga dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione derivante dalla mancanza di abilitazione al patrocinio superiore del difensore stesso e non sia possibile ravvisare a carico della parte privata alcun profilo di colpa al riguardo (Cass. pen., Sez. I, 18 dicembre 2015 - dep. 16 febbraio 2016, ord. n. 6328).

Una situazione piuttosto singolare ha condotto la prima Sezione penale a rimettere alle Sezioni unite la soluzione di un contrasto giurisprudenziale che – altrettanto singolarmente – appare influenzato da alcune pronunce adottate dalle Sezioni civili della suprema Corte.

Nel caso di specie era stata proposto ricorso per Cassazione avverso ordinanza dd. 10 settembre 2015 emessa ai sensi dell'art. 310 c.p.p. dal tribunale di Palermo in accoglimento di appello cautelare del P.M., a fronte del rigetto della richiesta di applicazione della misura cautelare in carcere a carico di un c.d. scafista, indagato per i reati di cui agli art. 110 c.p. e art. 12, comma 3, lett. a) e b); 3-bis e 3-ter lett. b) d.lgs. 286/1998. L'indagato risultava tuttavia già espulso dal territorio dello Stato con decreto prefettizio dell'agosto 2015.

La prima Sezione della suprema Corte di cassazione ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso, sul rilievo che esso risultava proposto da soggetto non legittimato. Era infatti accaduto che il difensore di fiducia dell'indagato, privo dell'abilitazione al patrocinio per le giurisdizioni superiori, avesse designato quale proprio sostituto processuale un difensore iscritto nell'Albo dei cassazionisti, il quale aveva proposto il ricorso. Nella sentenza viene sottolineato che: In tal modo l'originario patrocinatore ha inteso superare l'impedimento alla proposizione dell'impugnazione, dipendente dall'assenza del titolo abilitante, mediante la designazione di altro legale iscritto nell'apposito albo professionale. Tale soluzione non può ritenersi consentita dall'ordinamento processuale.

In effetti il codice di rito disciplina in modo specifico i casi di sostituzione del difensore agli artt. 97, comma 4, e 102, comma 1, c.p.p. laddove occorra provvedere ad assicurare la difesa tecnica in luogo del difensore di fiducia o d'uffici che sia assente, non comparso o che abbia abbandonato la difesa (salvo il caso del legittimo impedimento che dà invece luogo a rinvio, ai sensi dell'art. 420-ter c.p.p.). Mentre l'art. 97, comma 4, c.p.p. regolamenta in tali casi la sostituzione del difensore ad iniziativa ufficiosa del P.M. o del giudice, l'art. 102 c.p.p. riguarda invece i casi di designazione del sostituto ad opera dello stesso titolare dell'incarico difensivo, sia esso di fiducia o d'ufficio. Ciò che accomuna le due situazioni è però il fatto che il sostituto del difensore interviene nel processo in forma estemporanea ed episodica in surroga del difensore assente. A ciò consegue l'impossibilità di riconoscere alla figura del difensore sostituto un autonomo ruolo difensivo, distinto da quello del difensore sostituito. Al contrario, come rilevato dalle Sezioni unite nella sentenza n. 22/1994, Nicoletti, citata nell'ordinanza: il titolare dell'ufficio di difesa rimane sempre l'originario difensore designato, il quale, cessata la situazione che alla sostituzione ha dato causa, può riprendere immediatamente il suo ruolo e ricominciare le sue funzioni, non richiedendo la legge, proprio per la immutabilità della difesa e per l'automatismo della reintegrazione, comunicazioni o preavvisi di sorta.

Per quanto concerne la difesa nel giudizio di legittimità, occorre fare particolare riferimento all'art. 613, comma 1, c.p.p., a norma del quale: Salvo che la parte non vi provveda personalmente, l'atto di ricorso, le memorie e i motivi nuovi devono essere sottoscritti, a pena di inammissibilità, da difensori iscritti nell'albo speciale della corte di cassazione. Il comma 2 dello stesso articolo specifica che: Il difensore è nominato per la proposizione del ricorso o successivamente; in mancanza di nomina il difensore è quello che ha assistito la parte nell'ultimo giudizio, purché abbia i requisiti indicati nel comma 1.

Nell'ordinanza in commento viene sottolineato che il difetto dell'abilitazione al patrocinio superiore inibisce al difensore – di fiducia o d'ufficio – che ne sia privo, di esercitare tutte le facoltà che siano comunque riconducibili all'esplicazione del mandato difensivo, inclusa quella nominare un proprio sostituto processuale per l'attività che non è abilitato a svolgere in proprio. Quanto esaminato, e in tali termini risolto, dalla I Sezione penale, mette in luce in realtà solo una delle problematiche che concernono l'esercizio del diritto alla difesa nel giudizio di Cassazione e che derivano dall'applicazione dell'art. 613 c.p.p. e su cui la suprema Corte si è a più riprese occupata (si v. ad es.: Cass. pen., Sez. I, 14 marzo 1996, Cappellazzo, con cui è stata dichiarata l'infondatezza manifesta della questione di legittimità costituzionale dell'art. 613, comma 1, c.p.p. in riferimento alla mancata previsione che il ricorso per Cassazione possa essere sottoscritto anche da difensore non iscritto all'albo speciale, quando lo stesso abbia assistito la parte nel corso di tutto il procedimento svoltosi nei gradi di merito; nonché Cass. pen., Sez. un., 11 luglio 2006 n. 24486 circa l'inammissibilità del ricorso per Cassazione presentato dal difensore di ufficio del latitante, non abilitato al patrocinio superiore; tale orientamento in seguito risulta però contraddetto dalle Sezioni semplici: Cass. pen., Sez. V, 7 luglio 2009, n. 40441 e Cass. pen., Sez. VI, 20 aprile 2005, n. 6221).

Resta comunque il fatto che tali considerazioni hanno condotto i giudici di legittimità a ritenere che, nel caso di specie, l'inammissibilità del ricorso era da ricondursi ad un'errata condotta del difensore non abilitato, il quale anziché operare a sua scelta l'individuazione di un sostituto, esercitando un diritto di cui era privo, avrebbe potuto e dovuto mantenere contatti con il proprio assistito e suggerirgli di scegliere altro legale in grado di assisterlo adeguatamente nel giudizio di legittimità. Da tale presupposto scaturisce l'ulteriore passaggio dell'ordinanza che ha dato luogo al rilievo del contrasto giurisprudenziale ed alla rimessione del ricorso alle Sezioni unite.

Infatti, a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso, il giudice di legittimità, ai sensi dell'art. 616 c.p.p. pronuncia in via accessoria la condanna la parte privata alle spese del procedimento oltre che, in caso di ravvisata colpa, l'eventuale condanna ad una sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende. Ma nel caso di specie la I Sezione penale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per tali statuizioni a carico dell'indagato, attesa la sua irreperibilità antecedente al momento dell'impugnazione in Cassazione, da lui quindi ignorata, con conseguente manifesta impossibilità di ravvisare qualsiasi elemento di colpa.

La I Sezione penale si è quindi posta il dubbio circa: la possibilità di adottare statuizioni di condanna nei riguardi difensore, trovandosi però al cospetto di un contrasto di orientamento giurisprudenziale.

Infatti le Sezioni semplici della Corte di cassazione, nel tempo, hanno affermato l'interpretazione, allo stato maggioritaria, secondo il quale, nei casi di ricorso dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione dell'avvocato, siccome sottoscrittore del ricorso per conto dell'imputato, non può darsi luogo alla condanna della parte che ne sia inconsapevole o a carico della quale non sia ravvisabile colpa alcuna al riguardo ma nemmeno a carico del difensore, che non è né soccombente, né parte privata del procedimento.

Tale orientamento affermatosi sin dagli anni '90 (Cass. pen., Sez. VI, 29 settembre 1999, Petralia), risulta sviluppato soprattutto con riferimento ai casi di ricorso dichiarato inammissibile per mancanza di legittimazione dell'avvocato che aveva sottoscritto il ricorso per conto di imputato deceduto in epoca antecedente la proposizione del ricorso stesso (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 19 marzo 2007, n. 14248, S.D. L'impugnazione (nella specie, ricorso per cassazione) proposta dopo la morte dell'imputato è inammissibile per difetto di legittimazione e non può comportare né la condanna alle spese della parte privata che, non essendo più soggetto del rapporto processuale, non può essere destinatario della statuizione, né del difensore che, sia pur non legittimato al gravame, rappresentando la difesa tecnica, non è parte in senso tecnico e non è soggetto al principio della soccombenza – cfr. anche ulteriori conformi cit. nell'ordinanza: Cass. pen., Sez. II, 20 marzo 2015, n. 25738; Cass. pen., Sez. III, 10 luglio 2013, n. 41801 e altre). Ad analogo risultato si era tuttavia pervenuti anche muovendo dalla valutazione di casi inammissibilità pronunciata su ricorso proposto da difensore non munito di mandato difensivo (Cass. pen., Sez. VI, 6 giugno 1995, n. 9121. Lovino e Cass. pen., Sez.VI, 21 novembre 1996 n. 3547, Romero) o privo dell'abilitazione al patrocinio superiore (Cass. pen., Sez. IV, 19 ottobre 2004, n. 47928, Petrollini, nella cuimotivazione si affaccia il riferimento a due decisioni delle Sezioni civili, che testimoniano la sussistenza di un analogo contrasto: Vero è che, ritenendosi da una parte della giurisprudenza di dover fondare la decisione in ordine alle spese sul principio di causalità "l'inammissibilità del ricorso per Cassazione per avere il difensore agito senza valida procura comporta che dovendosi ritenere instaurato il rapporto processuale esclusivamente tra il predetto difensore e la controparte, è lo stesso legale che deve rispondere delle spese processuali da quest'ultima sostenute" (Sez. 2^ civ. 20 aprile 1995, n. 4462, in C.E.D. Casa., n. 491939; Sez. 2^ civ., 23 febbraio 1994, n. 1780, ivi, n. 485420), mentre secondo altro filone giurisprudenziale, che privilegia il concetto di soccombenza, quest'ultima non è in alcun modo riferibile al difensore (Sez. 2^ civ., 25 ottobre 1969, n. 3510, in C.E.D. Cass., n. 343661).

In contrasto con tale orientamento risulta tuttavia presente altro indirizzo anche nelle Sezioni penali, espresso sempre con riguardo al ricorso presentato per conto di imputato già deceduto. In particolare la decisione Cass. pen., Sez. VI, 3 maggio 2005, n. 21393, Tramontana e altri, risulta così massimata: La declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione (nella specie, ricorso per cassazione) proposta dal difensore dell'imputato già deceduto, comporta la condanna alle spese del difensore, in quanto costui, una volta scomparsa la persona da lui assistita, viene ad assumere la qualità di parte privata, essendo l'unico promotore della fase processuale dell'impugnazione e l'unico interessato all'esito della stessa. Nell'ordinanza qui in commento viene segnalata anche altra pronuncia (Cass. pen., Sez. I, 9 novembre 2015, n. 44708, non massimata), secondo la quale la qualità di parte del rapporto di impugnazione va riconosciuta al difensore, specie nei casi in cui sia esclusa ogni ipotesi di errore incolpevole nella determinazione della causa di inammissibilità tale da poter giustificare l'esonero della ulteriore condanna al pagamento della sanzione pecuniaria prevista dalla legge, sicchè: il mancato recupero, da parte dell'erario, delle spese del procedimento e delle altre somme dovute a titolo sanzionatorio a carico di un soggetto privo fin dall'origine della legittimazione a instaurare il rapporto processuale, non troverebbe alcuna giustificazione sul piano logico-sistematico, essendo destinato a risolversi in un'inspiegabile indulgenza proprio nei confronti di chi, per le specifiche cognizioni professionali di cui è portatore (a maggior ragione nel caso del ricorso per cassazione, che richiede in capo al proponente la speciale abilitazione di cui all'art. 613 c.p.p., comma 1), deve ritenersi necessariamente in colpa nella presentazione di un'impugnazione di cui difettavano in radice le condizioni richieste dalla legge.

Il punto, nell'ordinanza, è considerato di centrale rilievo, tanto che il collegio ha fatto riferimento, ai fini del superamento del segnalato contrasto, al valore orientativo, che sarebbe rappresentato dalla posizione assunta dalle Sezioni unite civili (Cass. civ. Sez. un., 10 maggio 2006 n. 10706; e da conformi sezioni semplici tra cui Cass. civ.,Sez. lav., 4 marzo 2015 n. 11551), secondo le quali nei casi di impugnazione promossa dal difensore privo di procura ad litem o in possesso di procura falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato et similia, l'attività del difensore non produce alcun effetto sulla parte e configura attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità, con conseguente ammissibilità della sua condanna alle spese del giudizio.

Tale riferimento alla giurisprudenza delle Sezioni civili appare tuttavia da sottoporre ad ovvie cautele, derivanti dal fatto che il processo civile, diversamente da quello penale è governato – come lo stesso collegio riconosce – da regole differenti e dal principio dispositivo e dell'onere della parte, anche se a parere della sezione remittente tale orientamento può adattarsi anche al processo penale dal momento che la causa di inammissibilità dell'impugnazione, preesistente alla sua proposizione, in tali casi, risulta imputabile direttamente al difensore in dipendenza della sua scelta di ricorrere per cassazione nel difetto originario ed insanabile di un valido rapporto di rappresentanza della parte.

Sull'argomento, si veda NAPPI, La condanna alle spese del difensore nel vigente sistema processuale, in Cass. pen. 1998, 1215.

2.

All'udienza del 18 dicembre 2015, la prima Sezione penale della Corte di cassazione ha rimesso alle Sezioni unite la decisione della seguente questione oggetto di contrasto giurisprudenziale:

se la condanna alle spese ex art. 616 c.p.p.– conseguente alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso – possa essere pronunciata a carico del difensore privo di abilitazione al patrocinio nel giudizio di legittimità, e non della parte, nei casi in cui quest'ultima non versi in colpa alcuna al riguardo o sia estranea od inconsapevole della scelta del difensore di ricorrere per cassazione pur in mancanza delle condizioni di legge.

3.

Il Primo Presidente della Corte suprema di cassazione ha assegnato alle Sezioni unite, fissando per la trattazione l'udienza del 28 aprile 2016, un ricorso avente ad oggetto la seguente questione, ritenuta dalla I Sezione penale oggetto di contrasto giurisprudenziale:

Se alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione, in quanto proposto da difensore cassazionista nominato quale sostituto processuale dal difensore di fiducia non cassazionista, consegua, ed eventualmente a carico di chi, la condanna al pagamento delle spese del procedimento

4.

È ammissibile il ricorso per cassazione proposto da avvocato iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione, nominato quale sostituto dal difensore dell'imputato, di fiducia o di ufficio, non cassazionista.

5.

La Corte di cassazione ha depositato in data 29 settembre 2016 la decisione assunta all'udienza del 28 aprile 2016. Le Sezioni unite penali hanno deciso che: È ammissibile il ricorso in cassazione proposto da avvocato iscritto nell'albo speciale della Corte di cassazione, nominato quale sostituto dal difensore dell'imputato, di fiducia o d'ufficio, non cassazionista.

La pronuncia ha in tal modo disatteso alla base l'impianto argomentativo dell'ordinanza di rimessione del 18 dicembre 2015 della I Sezione penale, togliendo peraltro rilevanza al quesito conseguente, che era appunto oggetto del contrasto tra le Sezioni semplici, in ordine alla condanna alle spese del procedimento ritenuto inammissibile sul rilievo che esso risultava proposto da soggetto non legittimato.

La sentenza tuttavia ha consentito alle Sezioni unite di approfondire esaustivamente la tematica della sostituzione difensiva, valorizzandone aspetti che nell'ordinanza di rimessione non erano stati presi in considerazione. In particolare è stato opportunamente osservato che la facoltà per il difensore di farsi sostituire da altro professionista ha ottenuto una significativa valorizzazione a seguito dell'emanazione della legge 6 marzo 2001, n. 60 (Disposizioni in materia di difesa di ufficio), con cui è stata estesa anche al difensore di ufficio la possibilità di procedere alla nomina dei sostituti processuali. Fu proprio tale intervento normativo a modificare l'originario testo dell'art. 102 c.p.p., che subordinava la facoltà sostitutiva per il caso di impedimento e per tutta la durata di questo, trasformandola in termini potestativi (Il difensore di fiducia e il difensore d'ufficio possono nominare un sostituto). Ancor più di questo, si è evidenziato che la figura del sostituto si è tramutata in una sorta di collaboratore del sostituito, destinato a lavorare anche a fianco del titolare della difesa, senza limiti temporali precostituiti e quindi, eventualmente, anche per tutta la durata del procedimento. Con tale argomento le Sezioni unite hanno dunque dimostrato il superamento normativo dell'impostazione proposta dalla prima Sezione circa l'affermata episodicità ed estemporaneità della surroga del difensore sostituto. Corollario di tale ragionamento diviene il ragionamento offerto dalle Sezioni unite sull'ampiezza dei poteri demandati al sostituto processuale ex art. 102 c.p.p., che corrispondono esattamente a quelli del titolare della difesa, ad eccezione di quelli derivanti da una procura speciale, che sono e restano di competenza esclusiva del difensore originariamente nominato.

Il nodo della problematica relativa alla ammissibilità del ricorso per cassazione proposto dal sostituto processuale (cassazionista) del difensore non cassazionista, è stato sciolto dalle Sezioni unite anche con richiamo al principio espresso dalla sentenza SSUU n. 24486/2006, Lepido, sulla portata del diritto di impugnazione spettante al difensore. La Corte ha precisato che: Il potere del difensore di proporre impugnazione in favore dell'imputato trova, infatti, nell'art. 571, co. 3 c.p.p. , una fonte di legittimazione ben più forte e comunque autonoma rispetto a quella che potrebbe derivargli dall'art. 99 c.p.p. , comma 1, che esclude dall'attribuzione al difensore i diritti riservati personalmente all'imputato, e dall'art. 165 c.p.p. , comma 3, che tratta il difensore come mero rappresentante dell'imputato. Pertanto spetta al difensore un autonomo e personale potere di impugnazione, che incontra tuttavia un limite di estensione nella eventuale mancanza di titolo abilitativo per il giudizio di cassazione, che renderebbe il ricorso, ove proposto, inammissibile (contra si v. però Cass. Sez. V, 7 luglio 2009 n. 40441 Il difensore nominato d'ufficio all'imputato latitante non deve necessariamente essere iscritto nell'albo speciale dei professionisti abilitati al patrocinio presso le giurisdizioni superiori.). A questo punto la conclusione tratta in sentenza è strettamente conseguenziale all'applicazione della facoltà di nomina del sostituto stabilito dall'art. 102 c.p.p., e in particolare del suo secondo comma che assegna al sostituto la possibilità di esercitare i diritti del difensore e di assumerne i doveri, sicchè si conclude che : la sussistenza in capo al difensore (pur privo della legittimazione a ricorrere in cassazione per il mancato titolo abilitativo) di un autonomo diritto di impugnazione rende ammissibile il ricorso per cassazione proposto da avvocato iscritto nell'albo speciale, nominato quale sostituto dal difensore di fiducia dell'imputato non cassazionista.

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