Sospensione condizionale e condizioni economiche dell'imputato: in attesa delle Sezioni Unite

Luigi Levita
29 Luglio 2015

Le Sezioni semplici della Corte di cassazione consapevolmente perpetuano un contrasto giurisprudenziale sulla natura della sospensione condizionale della pena, dalla quale discende – come logico precipitato – la necessità ovvero la superfluità di un accertamento in concreto delle condizioni economiche dell'imputato, laddove l'applicazione dell'istituto venga subordinata dal giudice di merito all'avvenuto risarcimento del danno a vantaggio della persona offesa.
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Appare ineludibile un intervento chiarificatore delle Sezioni unite in punto di onere valutativo del giudice di merito onde stabilire se lo stesso, sospendendo la pena ex art. 165 c.p., debba sottrarsi ad ogni controllo sulle condizioni economiche dell'imputato ovvero se debba valutarle in concreto (soprattutto laddove, come spesso accade nella prassi giudiziaria, l'imputato alleghi di essere persona sostanzialmente indigente).

La decisione della Sezione IV, 8 maggio 2014, n. 33020 (conforme la coeva decisione n. 33024, nonché il successivo decisum n. 36381/2014), consapevole dell'esistenza di un contrasto giurisprudenziale e richiamando i precedenti arresti della Sez. III, 25 giugno 2013, n. 38345, nonché della Sez. VI, 5 febbraio 1998, n. 3450, ha aderito a quell'orientamento interpretativo secondo cui l'istituto della sospensione condizionale della pena è ispirato a criteri che trascendono la limitata sfera dell'interesse particolare dell'imputato e, quindi, il giudice, nel subordinare il beneficio al pagamento della somma accordata a titolo di risarcimento del danno, non è tenuto a compiere alcuna indagine sulle condizioni economiche dell'imputato.

La Sesta Sezione motiva il proprio assunto sulla scorta di due considerazioni.

La prima è di ordine empirico e fattuale: sostiene infatti la Corte che “… non può derivare al predetto alcun grave e irreparabile danno in ipotesi d'incolpevole inadempimento del detto obbligo, non comportando l'inosservanza dello stesso la revoca automatica del beneficio e potendo il soggetto interessato, in sede di esecuzione, allegare la comprovata assoluta impossibilità dell'adempimento e potendo il giudice valutare l'attendibilità e la rilevanza dell'impedimento dedotto”.

La seconda è di ordine processuale, nonché di economia giudiziaria: “in sede di cognizione il giudice non sempre può avere a disposizione elementi per verificare la reale capacità economica dell'imputato – ad esempio nei casi in cui questi sia assente – e che imporre un simile accertamento comporterebbe la necessità di una istruttoria che, per quanto sommaria, andrebbe comunque effettuata nel contraddittorio delle parti avente ad oggetto il tema della capacità economica dell'imputato, accertamento che peraltro potrebbe rivelarsi inutile, in quanto destinato ad essere ripetuto davanti al giudice dell'esecuzione, sede in cui l'imputato potrebbe dimostrare l'avvenuta modifica peggiorativa della sua situazione economica”.

Le due argomentazioni tuttavia, a sommesso avviso di chi scrive, non sembrano del tutto persuasive.

Quanto alla prima, appare infatti incongruo riconnettere l'esegesi di un istituto – e sua la correlata applicabilità o meno – alla mera circostanza dell'assenza di un pregiudizio immediato in capo al beneficiario, se non altro perché tale pregiudizio, seppur non immediato (incertus quando), rischia di profilarsi come assolutamente certo nell'an, costringendo l'imputato ad un ulteriore onere di allegazione in sede esecutiva, sicuramente defatigante se proveniente da un soggetto in situazione di difficoltà economica.

Quanto invece al secondo argomento utilizzato dalla Corte, esso non appare totalmente convincente giacché nulla esclude, quantomeno nella casistica concreta, che il giudice di merito, laddove l'imputato – pur assente – abbia consegnato al proprio difensore utili elementi probatori in tal senso, possa disporre di tutti gli strumenti istruttori atti a verificarne la reale capacità economica (si pensi, in concreto, ai classici processi ex art. 570 c.p., nell'ambito dei quali l'imputato potrebbe agevolmente allegare elementi dimostrativi della propria indigenza; nulla precluderebbe peraltro al giudice, nell'ottica della ricerca della verità e della tensione verso l'effettività dei comandi giurisdizionali, di porre qualche domanda a chiarimento ai testi citati dalle parti, ivi inclusa la stessa persona offesa, se del caso). I poteri di allegazione delle parti, unitamente al potere d'intervento officioso del giudice, sembrano quindi orientare verso una conoscenza quasi sempre sufficiente delle reali potenzialità economiche dell'imputato, dalle quali far discendere poi l'applicazione della sospensione condizionata, senza indulgere a posizioni formalistiche che non si avvicinano alla giustizia sostanziale.

Il tutto a tacere, peraltro, dell'ovvia considerazione secondo cui l'onere di allegazione da parte dell'imputato della sua situazione di indigenza, soprattutto in fase esecutiva, può assumere tragicamente i contorni di una vera e propria probatio diabolica, dovendo l'imputato provare un fatto negativo (l'impossibilità ad adempiere) mediante l'allegazione non sempre agevole di fatti positivi contrari.

Sulla scia di tale indirizzo formalistico, ancor più di recente il Supremo Consesso ha precisato (Sez. V, 29 gennaio 2015, n. 14206) che è onere della parte introdurre nel processo, quantomeno a livello di deduzione, quei profili fattuali che consentano di prefigurare l'assoluta incapacità di sostenere il peso dell'obbligo risarcitorio; in tema di distribuzione dell'onere probatorio, spetta alla pubblica accusa la prova del reato. Tuttavia, come ha similmente precisato la Sezione II (23 ottobre 2014, n. 47719), ove l'imputato deduca eccezioni o argomenti difensivi, spetta a lui provare o allegare, sulla base di concreti ed oggettivi elementi fattuali, le suddette eccezioni perché è l'imputato che, in considerazione del principio della c.d. "vicinanza della prova", può acquisire o quantomeno fornire, tramite l'allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (la fattispecie concreta è emblematica della problematica in questione: invero, a fronte di una sentenza di primo grado che aveva già subordinato la sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale, non poteva l'appellante limitarsi, sic et simpliciter, a dolersi dell'erroneità della decisione ma avrebbe dovuto allegare ed eventualmente provare le ragioni per le quali si trovava nelle condizioni di non poter adempiere alla provvisionale, proprio perché solo lei era in grado di conoscere le proprie condizioni economiche e, quindi, dimostrare, la sua concreta impossibilità di sopportare l'onere del risarcimento pecuniario, non potendo certo farsi carico del suddetto onere la Corte territoriale e, quindi, gravarla di un improprio onere processuale).

La Seconda Sezione, con decisione 15 febbraio 2013, n. 22342, ha invece convintamente aderito al secondo indirizzo esegetico, soprattutto sulla scia delle acute riflessioni della Corte costituzionale la quale, con pronuncia 49/1975, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 165 c.p. nella parte in cui consente al giudice di subordinare la sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno, ha avvertito nella motivazione che spetta al giudice di valutare, con apprezzamento motivato ma discrezionale, la capacità economica del condannato e la sua concreta possibilità di sopportare l'onere del risarcimento pecuniario. Secondo la Corte, quindi, “solo una preventiva valutazione, sia pure sommaria, delle condizioni economiche del condannato costituisce mezzo idoneo per evitare che si realizzi in concreto un trattamento di sfavore a carico dello stesso condannato in ragione delle sue condizioni economiche”.

L'opinione si pone in scia di quanto stabilito con la decisione 3 novembre 2010, n. 4527 della Sezione V, la quale ha avuto modo di puntualizzare che “la giurisprudenza di legittimità, con statuizione per vero risalente, ma non contraddetta da successivi arresti di segno opposto, ha enunciato il principio a tenore del quale "il giudice di merito è tenuto a procedere alla valutazione, sia pur sommaria, delle condizioni economiche dell'imputato quando intende subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale" (Cass. 11 luglio 1979 n. 3050)”.

Incidentalmente e con riguardo ad un procedimento di esecuzione caratterizzato dalla totale assenza di motivazione nonché di scrutinio delle eccezioni difensive, la Suprema Corte, con decisioni recentissime (27 maggio 2015, nn. 27312-3-4), ha rinviato al tribunale di Fermo per un nuovo esame, con ciò implicitamente di prestare adesione al secondo indirizzo qui sommariamente ricostruito; sempre la Prima Sezione, con decisione 11 giugno 2015, n. 26895, ha rinviato al tribunale di Brescia sulla scorta delle medesime considerazioni giuridiche.

Conferma del rilievo si trae proprio dalla giurisprudenza costituzionale, che ha univocamente correlato la valutazione, ai fini della subordinazione della sospensione condizionale della pena, della capacità economica del condannato anche al momento del giudizio di condanna: ha infatti osservato il giudice delle leggi, come ricorda la decisione 2 febbraio 2015, n. 21557, Sezione Quinta, che “lo stesso art. 165, la cui legittimità è qui in esame, riconosce al giudice il potere di subordinare o meno all'adempimento dell'obbligo del risarcimento del danno la sospensione condizionale della pena: ciò come effetto di una valutazione, motivata ma discrezionale, della capacità economica del condannato e della concreta sua possibilità di sopportare l'onere del risarcimento pecuniario. E tale valutazione può intervenire, secondo giurisprudenza della Corte di cassazione, sia nel momento del giudizio di condanna, sia anche nel momento successivo di incapacità che sopravvenga entro il termine fissato per l'adempimento della condizione (Corte cost., sent. n. 49 del 1975)”.

Tanto premesso, l'intervento chiarificatore delle Sezioni unite appare sommamente opportuno, soprattutto alla luce di un inevitabile margine di empirismo e di disomogeneità pretoria nell'individuazione di una convincente linea di demarcazione fra le condotte riparatorie concretamente esigibili e quelle in fatto inesigibili, tenuto conto ad esempio che la Suprema Corte, con recente arresto (8 gennaio 2015, n. 11189), ha rimarcato come “… anche a volere seguire orientamento minoritario più favorevole alla ricorrente non può farsi a meno di rilevare che su costei gravava per lo meno l'onere, non soddisfatto, di allegare la propria specifica condizione d'impossibilità a far fronte all'obbligo risarcitorio, peraltro modesto (Euro 3.000,00), in relazione, secondo l'id quod, al reddito di un salariato medio basso”, con un giudizio valoriale su una somma che, probabilmente, tanto modesta non appare agli occhi di un soggetto in situazione di indigenza.

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