L'emissione di decreti di proroga delle intercettazioni può dar luogo a incompatibilità con il ruolo di Gup?

30 Gennaio 2019

L'art. 111, comma 2, Cost. stabilisce che il giusto processo è quello celebrato di fronte a un giudice che sia terzo rispetto all'oggetto della controversia e imparziale rispetto ai soggetti (rectius le parti). Le ipotesi di incompatibilità del giudice rappresentano il presidio codicistico a una situazione che, in caso contrario, sarebbe in grado di minare alle fondamenta il processo stesso.
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L'art. 111, comma 2, Cost. stabilisce che il giusto processo è quello celebrato di fronte a un giudice che sia terzo rispetto all'oggetto della controversia e imparziale rispetto ai soggetti (rectius le parti). Le ipotesi di incompatibilità del giudice rappresentano il presidio codicistico a una situazione che, in caso contrario, sarebbe in grado di minare alle fondamenta il processo stesso. Nonostante ciò o forse proprio per tale ragione, ancora oggi la giurisprudenza che pure tanto ha scritto si interroga su alcune ipotesi di incompatibilità come appunto rispetto alla possibilità che si celebri l'udienza preliminare innanzi a chi, nel medesimo procedimento abbia disposta la proroga di intercettazioni telefoniche.

L'art. 111 cost., che disciplina il giusto processo, afferma in maniera inequivoca che:

«Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale».

Si tratta del secondo comma della disposizione in esame, che esprime il principio per il quale un processo non può essere giusto se celebrato innanzi a un giudice che parteggi per uno dei contendenti ovvero non sia indifferente, rectius terzo, rispetto all'oggetto.

Appare pertanto quantomai opportuna la cristallizzazione nella formula costituzionale del principio di imparzialità che ne certifica una volta per tutte la centralità e rilevanza nel contesto del giusto processo.

D'altro canto, che in una contesa di qualsiasi natura l'arbitro debba essere per forza di cose imparziale è principio di buon senso prima ancora che di diritto. Se cioè un soggetto è chiamato a dare torto o ragione a una delle parti coinvolte in un confronto non può essere schierato per una delle parti stesse. Solo in questo modo la parte eventualmente soccombente potrà accettare il verdetto senza considerare lo stesso figlio di pregiudizi di sorta.

Calati questi principi nel processo penale ci si trova immediatamente di fronte a una difficoltà. Il procedimento penale è sì un confronto tra parti ma destinato ad attraversare una serie di fasi tra loro diverse. Proprio questa circostanza fa sì che nel corso delle varie fasi si possano creare situazioni nelle quali un giudice compia degli atti che implichino la manifestazione di un convincimento in ordine alla regiudicanda in ragione dei quali lo stesso diventi poi incompatibile per le successive.

In quest'ordine di idee e vista la delicatezza degli interessi in gioco, non stupisce come il codice contempli una disposizione – l'art. 34 c.p.p. – che, come è stato osservato, costituisce il tentativo di individuare quelle situazioni figlie di una pregressa attività svolta nel corso del procedimento o di una precedente posizione funzionale, capaci di alterare la fisiologica imparzialità del giudice.

Se però l'intendimento del legislatore era del tutto meritorio, la formulazione normativa si è trovata di fronte alla difficoltà di includerlo a priori tutte le ipotesi di potenziale incompatibilità del giudice. Il risultato è che la norma risultante ha dato il là ad una serie di pronunce additive della Corte costituzionale che, di fatto, hanno ampliato notevolmente le ipotesi originariamente previste.

Esula dalle finalità del presente elaborato la ricostruzione di tutte le pronunce succedutesi negli anni, tuttavia occorre osservare che, nonostante diversi lustri di pronunce sia della Corte costituzionale che della Cassazione il dibattito ancora non appare sopito.

In particolare appare ancora controversa la questione se il decreto di autorizzazione alla proroga delle intercettazioni telefoniche rappresenti una ipotesi di esercizio della funzione di giudice per le indagini preliminari alla stregua dell'art. 34, comma 2-bis, c.p.p. fonte di incompatibilità a tenere l'udienza preliminare.

In primo luogo, occorre sottolineare come non vi siano invece dubbi nel ritenere incompatibile alla celebrazione dell'udienza preliminare il giudice che abbia esercitato le funzioni di Gip nel medesimo procedimento, autorizzando le intercettazioni telefoniche. Tale ipotesi, infatti, rientra a pieno titolo nella previsione testé richiamata.

Al contrario, è opportuno sottolineare come nella diversa ipotesi di decreti emessi in un procedimento diverso, a carico di soggetti differenti dall'imputato, l'incompatibilità è stata esclusa dalla giurisprudenza recente (cfr. Cass. pen., Sez. V, 7 dicembre 2017, n. 11892).

Premesso cioè che la disciplina delle incompatibilità è ritenuta «di stretta interpretazione e le cause relative sono tassative (Sez. 3, n. 1147 del 18/05/1993, Ferlito, Rv. 194237), e, in quanto determinanti una deroga al principio del giudice naturale (art. 25 della Costituzione), vanno necessariamente considerate di stretta interpretazione (Sez. 2, n. 27813 del 11/06/2013, De Donno, Rv. 255693)».Si è concluso che il principio di incompatibilità del giudice di cui all'art. 34 c.p.p. si applica solo con riferimento ad atti compiuti nel medesimo procedimento, non quando il giudice abbia conosciuto e valutato in altro contesto processuale i medesimi elementi di prova poi utilizzati nei confronti dell'imputato (cfr.Cass. pen., sez. V, 30 novembre 2017, n. 9968).

Diverso e più controverso è il caso in cui il giudice sia intervenuto nel medesimo procedimento ma emettendo dei provvedimenti di proroga di intercettazioni già autorizzate.

Sul punto è possibile individuare un primo orientamento secondo cui certamente non è incompatibile con il ruolo di giudice dell'udienza preliminare il giudice per le indagini preliminari laddove:

  1. si sia limitato ad emettere decreti di proroga di intercettazioni telefoniche già autorizzate;
  2. abbia convalidato l'attività captativa disposta in via d'urgenza dal P.M.

Esprimendo un principio di carattere generale, la giurisprudenza appena ricordata ravvisa la predetta incompatibilità «solo con riferimento ad attività e provvedimenti di natura giurisdizionale di carattere decisorio. Viceversa la stessa deve essere esclusa in relazione a provvedimenti che non incidono sul merito delle questioni oggetto del giudizio e ciò in ragione della finalità della causa di incompatibilità tra Gip e Gup che è quella della configurazione del Gup come giudice terzo e quindi privo della conoscenza di atti in precedenza compiuti»(Cass. pen., Sez. VI, 05 luglio 2017, n. 41776).

Pertanto, secondo questo orientamento, escludendosi che la proroga abbia carattere decisorio, se ne esclude la sussumibilità sub art. 34 c.p.p.

Secondo l'opposto indirizzo ermeneutico, invece, l'incompatibilità a tenere l'udienza preliminare, prevista dall'art. 34 c.p.p. per chi ha svolto funzione di Gip, trova eccezione unicamente nelle ipotesi previste dal medesimo art. 34, commi 3ter e 3quater, c.p.p.

Trattandosi infatti di norme rigide, frutto di successivi interventi legislativi e caratterizzate dalla specificità e chiarezza dei riferimenti, le stesse mal si conciliano ad estensioni analogiche.

Pertanto, secondo questo insegnamento, è incompatibile a tenere l'udienza preliminare il magistrato che, nel medesimo procedimento, abbia proceduto agli adempimenti di cui all'art. 268, comma 6, c. p. p. non essendo tale ipotesi contemplata tra le eccezioni alla incompatibilità del Gip ad esercitare le funzioni di Gup nel medesimo processo (Cass. pen., Sez. VI, 9 luglio 2015, n. 44687.

La questione è stata oggetto di un'ultima e più recente pronuncia della Suprema Corte che si colloca nel secondo dei summenzionati filoni ermeneutici. Il ragionamento seguito dalla Corte parte innanzitutto dal ricordare come le decisioni della Consulta in merito all'art. 34 c.p.p. abbiano individuato una serie di ulteriori ipotesi di incompatibilità. Il tratto comune alle ipotesi aggiunte è individuabile nel carattere pregiudicante dei provvedimenti. Inoltre si ricorda come, a seguito delle pronunce, il legislatore abbia fissato il principio alla stregua del quale in ogni procedimento il giudice per le indagini preliminari e il giudice dell'udienza preliminare debbano essere soggettivamente diversi (Cass. pen., Sez. II, 10 dicembre 2018, n. 55231).

In quest'ottica, per un verso il d.lgs. 51/1998, ha modificato l'art. 7-ter ord. giud., introducendo l'obbligo della designazione di un giudice diverso per lo svolgimento delle funzioni di giudice dell'udienza preliminare. Per altro verso, nel codice di rito è stato inserito l'art. 34, comma 2-bis che sancisce l'incompatibilità a tenere l'udienza preliminare del giudice che, nel medesimo procedimento, ha esercitato funzioni di giudice per le indagini preliminari.

Posta questa premessa, la Corte prosegue ricordando come l'assolutezza della scelta sia stata poi temperata dal legislatore introducendo alcune ipotesi di deroga all'incompatibilità funzionale delineata dall'art. 34, comma 2-bis c.p.p., ipotesi di deroga accomunate dall'assenza, nelle corrispondenti decisioni, di qualsivoglia coefficiente di valutazione contenutistica dell'ipotesi accusatoria.

A ulteriore sostegno del proprio ragionamento, i Giudici richiamano poi un precedente della Corte costituzionale secondo cui è sancita, in termini generali, «l'incompatibilità alla funzione di giudizio (oltre che alla funzione di giudice dell'udienza preliminare o all'emissione del decreto penale di condanna) del magistrato che, nel medesimo procedimento, abbia esercitato funzioni di giudice per le indagini preliminari, fatta eccezione per le ipotesi in cui si sia limitato ad assumere uno dei provvedimenti (di marginale rilievo o anticipatori dell'istruzione dibattimentale) specificamente elencati nei successivi commi 2-ter e 2-quater. Con tale disposizione - come emerge dalla relazione al d.lgs. 51/1998 - il legislatore ha inteso recepire le numerose dichiarazioni di illegittimità costituzionale pronunciate in precedenza da questa Corte in tema di incompatibilità del giudice per le indagini preliminari [...] accorpandole in una previsione unitaria di più immediata leggibilità, che peraltro ne supera l'ambito con la configurazione di una incompatibilità di tipo "funzionale", nella precipua prospettiva di prevenire ulteriori pronunce del medesimo segno» (Corte cost., 21 giugno 2012, n. 153).

Individuato così il quadro normativo giurisprudenziale di riferimento, la Corte respinge l'orientamento interpretativo che attribuisce un rilievo determinante, per l'affermazione dell'incompatibilità del giudice a tenere l'udienza preliminare ai sensi dell'art. 34, comma 2-bis, alla verifica del carattere decisorio, con incidenza nel merito, del provvedimento adottato da quel magistrato in funzione di giudice per le indagini preliminari.

In particolare, pur ammettendo che questo criterio ha concorso a guidare il percorso compiuto dalla Consulta, è innegabile che la scelta legislativa seguita a quel percorso sia nel senso di recepirne il contenuto superandone la matrice casistica a favore di una incompatibilità direttamente correlata alla funzione esercitata dal giudice.

D'altronde, procede la sentenza, se prevalesse l'opposto indirizzo per cui sarebbero esclusi tutti i provvedimenti del Gip non implicanti una valutazione nel merito dell'ipotesi accusatoria risulterebbe difficile comprendere il senso delle disposizioni derogatorie di cui ai commi 2 ter e 2 quater, dell'art. 34, che sono evidentemente prive di aspetti valutativi della fondatezza dell'accusa.

Poste queste premesse, «deve ritenersi, da un lato, che l'attività di proroga delle intercettazioni svolta […] nel procedimento a carico dei ricorrenti rientri appieno nell'esercizio della funzione di giudice per le indagini preliminari, presa in considerazione dall'art. 34, comma 2-bis, quale situazione di incompatibilità a tenere l'udienza preliminare; d'altro lato, risulta del tutto evidente che la predetta attività non sia riconducibile ad alcuna delle ipotesi derogatorie contemplate dai commi 2-ter e 2-quater, dello stesso articolo».

Nel voler fornire una soluzione definitiva alla questione, i giudici si pongono il problema di valutare se la strada prospettata si presti ad applicazioni analogiche. A fronte del carattere rigido delle disposizioni e della specificità e chiarezza dei riferimenti, il primo ostacolo è senza dubbio rappresentato dall'art. 14 delle preleggi.

Tuttavia, anche a voler ritenere superabile tale aspetto e pensare di poter completare in via analogica le ipotesi di deroga all'incompatibilità, sarebbe inevitabile che ciò accada in ipotesi assimilabili a quelle individuate dal codice «ovvero ai soli casi che davvero non pongano in dubbio l'effettiva assenza di apprezzamenti contenutistici».

Ad avviso del Collegio, però, non appare possibile ricondurre in tale quadro i decreti autorizzativi delle intercettazioni telefoniche o ambientali, o di proroga dell'attività captativa già autorizzata, emessi dal Gip nell'ambito del medesimo procedimento.

È noto infatti che, per legittimare la compressione di un diritto di rilievo anche costituzionale, quale quello alla segretezza delle comunicazioni, il Gip è tenuto a verificare tra l'altro - alla luce degli elementi acquisiti e dedotti dal P.M. a sostegno della richiesta di intercettazione o di proroga - la sussistenza/persistenza di gravi indizi di reato (art. 267 c.p.p.), ovvero, nelle ipotesi di cui alla l. 203/1991, art. 13, di sufficienti indizi di reato. Trattasi, con ogni evidenza, di attività non assimilabile in alcun modo alle ipotesi codificate di deroga all'incompatibilità, proprio perchè caratterizzata da una valutazione contenutistica dell'ipotesi accusatoria, operata nel medesimo procedimento (pur se al solo fine di autorizzare le captazioni, e pur se non necessariamente ancorata all'individuazione delle responsabilità di un determinato soggetto): ovvero proprio da quelle connotazioni che, invece, mancano totalmente nelle fattispecie elencate all'art. 34, commi 2-ter e 2-quater.

E, invero, valutando le prerogative del Gip, laddove lo stesso autorizzi l'intercettazione, o la proroga dell'attività captativa, è tenuto ad una delibazione delle risultanze allegate a sostegno della richiesta, in funzione squisitamente valutativa della configurabilità, su quelle basi, di «gravi (o sufficienti) indizi del reato ipotizzato dal P.M. richiedente» (Cass. pen.,Sez. II, 10 dicembre 2018, n. 55231).

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