Prova per testi ed efficacia probatoria: tra forma scritta ad substantiam e forma scritta ad probationem

04 Febbraio 2020

Rilevata l'esistenza di un contrasto di giurisprudenza tra le sezioni semplici in tema di prova testimoniale della transazione, la Suprema Corte riscontra la necessità di rimessione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni.
QUESTIONE CONTROVERSA

Il ricorso della società è affidato a quattro motivi ma in particolare va esaminata la questione relativa alla validità ed utilizzabilità della prova testimoniale dedotta in primo grado. La ricorrente sosteneva che la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere inammissibile la prova testimoniale ammessa ed espletata in primo grado, escludendone l'efficacia probatoria per violazione dell'art. 1967 c.c., sul presupposto che la transazione doveva essere provata per iscritto, senza tenere conto che la prova scritta sarebbe richiesta ad probationem. La Corte di cassazione, precisando in primo luogo che la qualificazione giuridica operata dalla Corte di merito, della vicenda in termini di transazione attiene ad un giudizio del giudice di merito e non di quello di legittimità, passa ad esaminare la giurisprudenza delle sezioni semplici in tema di prova testimoniale della transazione, rilevando, come vedremo, l'esistenza di un contrasto di giurisprudenza con la necessità di rimettere la questione alle Sezioni Unite.

ORIENTAMENTI CONTRAPPOSTI

Va premesso che, secondo la giurisprudenza in tema di transazione, laddove l'atto scritto è richiesto ad probationem al fine di preservare gli effetti positivi di composizione della lite inter partes, l'accettazione stragiudiziale della transazione può essere effettuata dalla parte che non ha sottoscritto il contratto ma è necessario che essa manifesti anche solo in forma implicita il suo consenso con l'attuazione dei patti in essa contenuti (in questo senso, richiamate in motivazione, Cass. civ., n. 5489/1993 e Cass. civ., n. 3013/1985). Peraltro, ricorda la Corte, la giurisprudenza relativa ai rapporti tra transazione e quietanza di pagamento afferma che la quietanza, anche ove contenga l'affermazione creditoria di essere stato integralmente soddisfatto, è un atto unilaterale di riconoscimento mero del pagamento, ed è idoneo a configurare una transazione solo laddove dallo stesso atto risultino gli elementi necessari per individuare il contratto tra le parti (così, sempre richiamata in motivazione, Cass. civ., n. 5702/1986).

La Corte, fatta questa premessa, richiama l'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'inammissibilità della prova testimoniale, ai sensi degli artt. 2722 e 2723 cod. civ., poiché deriva non da ragioni di ordine pubblico processuale, ma piuttosto dall'esigenza di tutelare interessi di natura privata, non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata, prima dell'ammissione del mezzo istruttorio; laddove, nonostante l'eccezione d'inammissibilità, la prova sia stata egualmente espletata, è onere della parte interessata eccepirne la nullità, nella prima istanza o difesa successiva all'atto, o alla notizia di esso (in questo senso, richiamata in motivazione Cass. 9 settembre 2013 n. 21443; v. anche Cass. 13 marzo 2012 n. 3959; Cass. 30 marzo 2010 n. 7765; Cass. 8 gennaio 2002 n. 144).

Diversamente, tuttavia, altra pronuncia della Corte del 2014, secondo cui in tema di prova testimoniale, l'unitarietà della disciplina risultante dagli artt. 2725 cod. civ. e 2729 cod. civ. esclude l'esistenza di un diverso regime processuale in ordine al rilievo dell'inammissibilità della prova testimoniale con riferimento ai contratti per i quali la forma scritta sia richiesta ad probationem ovvero ad substantiam, sicché quando, per legge o per volontà delle parti, sia prevista, per un certo contratto, la forma scritta ad probationem, la prova testimoniale (e quella per presunzioni) che abbia ad oggetto, implicitamente o esplicitamente, l'esistenza del contratto, è inammissibile, salvo che non sia volta a dimostrare la perdita incolpevole del documento (in questo senso Cass. civ., 14 agosto 2014, n. 17986).

Tale motivazione, a parere della Corte, è conforme ad ulteriore pronuncia di legittimità, secondo cui la forma del contratto di agenzia, essendo prevista da una fonte negoziale, deve ritenersi ad probationem sicché, in mancanza di essa, è valida l'esecuzione volontaria del contratto, la conferma di esso e la sua ricognizione volontaria, come pure la possibilità di ricorrere alla confessione ed al giuramento, dovendosi escludere unicamente la possibilità della prova testimoniale (salvo che per dimostrare la perdita incolpevole del documento) e di quella per presunzioni (in tal senso Cass. civ., 28 gennaio 2013, n. 1824; ma anche, nello stesso filone, Cass. civ., 6 maggio 1996, n. 4167 e Cass. civ., 9 ottobre 1996, n. 8838, tutte richiamate in motivazione).

Conseguenza di tale impostazione è che l'inammissibilità di una prova testimoniale per contrasto con le norme che la vietano (artt. 2722 e 2725 c.c.) non può essere sanata dalla mancata tempestiva opposizione della parte interessata perché la sanatoria per acquiescenza riguarda soltanto le decadenze e nullità previste per la prova testimoniale dall'art. 244 c.p.c., e non anche la prova testimoniale ammessa per errore; con la conseguenza che la relativa eccezione può essere utilmente formulata anche dopo l'espletamento della prova vietata, ad es. con i motivi di appello (Cass. civ., 8 marzo 1997, n. 2101).

RIMESSIONE ALLE SEZIONI UNITE

A parere della pronuncia in commento trattasi di un vero e proprio contrasto giurisprudenziale sia rispetto all'esistenza o meno di un regime differente da riportare alla previsione legislativa di una forma scritta ad substantiam ovvero ad probationem, sia con riferimento alla individuazione delle prove che possono essere chieste dalle parti e ammesse dal giudice per accertare l'intervenuto accordo sul piano sostanziale.

In sostanza, secondo il primo orientamento, nell'ipotesi di contratto in cui l'atto scritto è richiesto solo ad probationem è sempre inammissibile la prova testimoniale in base al regime generale del codice sostanziale, ma tale inammissibilità è soggetta al solo rilievo di parte e non a quello officioso e, inoltre, tale rilievo deve essere effettuato ex art. 157, comma 2, c.p.c., nella prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso, poiché l'inammissibilità non atterrebbe a ragioni di ordine pubblico ma, piuttosto, alla tutela di interessi privati.

Diversamente, a parere del secondo orientamento, l'unitarietà della disciplina codicistica sostanziale in tema di inammissibilità della prova per testi, esclude che si possa configurare un regime processuale diverso rispetto al rilievo della inammissibilità della prova testimoniale con riferimento ai contratti per cui la forma scritta è richiesta ad substantiam ovvero ad probationem. Risulterebbe, infatti, già dalla disciplina del codice sostanziale che regola le due ipotesi al primo e al secondo comma dell'art. 2725 c.c. la volontà del legislatore di dettare una normativa del tutto “sovrapponibile” delle due ipotesi di legge.

A tale stregua non potrebbe in alcun modo configurarsi un regime processuale differente rispetto al rilievo della inammissibilità della prova testimoniale con riguardo ai contratti per cui la forma scritta è prevista ad substantiam o ad probationem e, ogni teoria che miri ad affermare una scissione del relativo regime processuale sarebbe ancorata non già alla normativa esistente, ma piuttosto a considerazioni di ordine metagiuridico che si fondano, senza ragione, sulla natura degli interessi in gioco (non ordine pubblico ma interessi privati).

Vi è da dire che l'orientamento che scinde i relativi interessi posti a base della disciplina delle due forme (ad substantiam e ad probationem) lascia senz'altro residuare qualche perplessità anche in ordine all'ancoraggio a interessi che non sarebbero più di ordine pubblico ma meramente privatistici; né pare emergere dalla lettura della disciplina sostanziale alcun segno nel senso della scissione del relativo regime del rilievo.

In effetti sussiste quanto all'indicato profilo un contrasto di giurisprudenza tra le sezioni semplici ed è condivisibile, di conseguenza, la necessità di rimessione degli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite della Corte.

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