Immediata impugnabilità delle sentenze di rimessione della causa al giudice di primo grado

03 Giugno 2016

La riforma realizzata dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, intervenendo sull'art. 360 c.p.c., ha previsto, al fine di favorire l'esercizio della funzione nomofilattica della S.C. riducendone il carico di lavoro, la non immediata impugnabilità mediante ricorso per cassazione delle sentenze non definitive emesse in grado d'appello. A seguito di tale novella, la giurisprudenza di legittimità prevalente, talvolta espressasi anche a Sezioni Unite, ha ritenuto applicabile detta regola anche alle decisioni di rinvio al giudice di primo grado emanate nelle ipotesi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. Tuttavia, l'esistenza di un contrasto, sebbene inconsapevole della giurisprudenza della medesima Corte di legittimità sulla questione, e talune considerazioni di carattere logico e sistematico, inducono la I sezione civile a richiedere, con ordinanza interlocutoria, alle Sezioni Unite una rimeditazione sulla questione.
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La problematica in esame attiene alla possibilità di proporre ricorso per cassazione immediato avverso la sentenza del giudice d'appello di rinvio della causa al giudice di primo grado nell'ipotesi in cui la decisione impugnata sia corredata da gravi violazioni ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.

Per comprenderne la portata, occorre ricordare che, in generale, l'art. 340 c.p.c. prevede la possibilità per la parte soccombente rispetto ad una sentenza non definitiva di primo grado di scegliere tra l'appello immediato e la c.d. riserva di gravame. Quest'ultima facoltà ha lo scopo, in omaggio ai principi di concentrazione delle impugnazioni e di economia processuale, di evitare che si celebrino più procedimenti di impugnazione relativi ad un'unica vicenda processuale, attesa, peraltro, la concreta possibilità che la parte soccombente rispetto ad una sentenza non definitiva sia poi priva di interesse, in quanto vittoriosa, all'impugnazione, almeno principale, della sentenza definitiva.

Sul piano esemplificativo, si può richiamare l'ipotesi di un parte convenuta soccombente sulla questione pregiudiziale di carenza di giurisdizione del giudice adito, parte peraltro vittoriosa all'esito del giudizio sulla sussistenza del bene della vita controverso per il rigetto nel merito dell'avversa domanda. Pertanto, il differimento, mediante l'istituto della riserva facoltativa d'appello, della proposizione del gravame al momento della pronuncia della sentenza definitiva è chiaramente orientato ad evitare la proposizione immediata di appelli che si rivelerebbero inutili per la stessa parte appellante all'esito dell'emanazione della sentenza conclusiva del procedimento.

Nella delineata prospettiva, andando a considerare più specificamente la questione controversa, occorre ricordare che, al fine di ridurre il carico di lavoro della Suprema Corte il d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ha introdotto, in omaggio alle direttive della legge delega, un nuovo terzo comma nell'art. 360 c.p.c. secondo cui non sono immediatamente impugnabili con ricorso per cassazione le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire, neppure parzialmente, il giudizio: si prevede, infatti, che, senza necessità di operare alcuna riserva, tale ricorso sia proponibile soltanto a seguito dell'emanazione di una sentenza che decida, anche solo parzialmente, del giudizio. In sostanza, nel novellato assetto normativo è preclusa l'immediata proposizione del ricorso per cassazione avverso le sentenze non definitive su questioni, essendo stata introdotta una sorta di riserva di gravame ex legeche prescinde dall'istanza di parte (mentre resta possibile, ai sensi del primo comma dell'art. 361 c.p.c. il ricorso immediato per cassazione avverso le sentenze di condanna generica e quelle che decidono una o più domande senza definire il giudizio).

La diversa disciplina prevista per le sole sentenze non definitive su questioni si giustifica poiché, come evidenziato, tali sentenze non determinano di per sé soccombenza materiale.

Tuttavia, il problema non può risolversi in termini così semplicistici come rilevato nell'immediatezza della riforma di cui al d.lgs. n. 40 del 2006 da parte della dottrina più attenta, sia per l'impossibilità di distinguere tra sentenze non definitive in senso stretto e sentenze parzialmente definitive, sia per la qualificazione in termini di sentenze non definitive di alcune pronunce.

Invero, proprio con riguardo alla problematica in esame in questa sede, se è evidente che la decisione mediante la quale il giudice d'appello, riscontrando uno dei gravi vizi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c., non si pronuncia su alcuna domanda giudiziale ma soltanto sulla questione correlata al vizio denunciato, nondimeno sorge l'interrogativo se trattasi di una sentenza definitiva per gli effetti che produce e, pertanto, se sia suscettibile di ricorso immediato in sede di legittimità.

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Orientamento contrario all'ammissibilità del ricorso immediato per cassazione

La giurisprudenza di legittimità assolutamente dominante, anche a Sezioni Unite, aveva sinora affermato, sulla problematica in esame, il principio della non impugnabilità con ricorso per cassazione delle decisioni rese in sede di gravame ex artt. 353 e 354 c.p.c.

Tale tesi si fonda sulla considerazione per la quale sono sentenze non definitive su questioni, ricomprese nel regime di cui all'art. 360, terzo comma, c.p.c., quelle che, pur chiudendo il processo di fronte al giudice d'appello, non statuiscono su alcuna domanda e non decidono la lite, limitandosi a riformare o ad annullare la decisione impugnata ed a restituire la causa al giudice di primo grado perché la decida nuovamente.

In base a siffatto generale orientamento, la Corte aveva quindi avuto occasione di ribadire più volte, rispetto alle pronunce di rinvio al giudice di primo grado, che:

  • non è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione la sentenza d'appello che, dichiarata la nullità del provvedimento appellato, si limiti a rimettere la causa al primo giudice per la decisione di merito per il mancato esame di una domanda (di chiamata in giudizi di terzi: Cass., Sez. Un., 2 luglio 2014, n. 14991, in Foro it., 2014, n. 11, 3098, con nota di Mastrangelo);
  • dichiara la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario o amministrativo che il giudice di primo grado aveva erroneamente escluso (v., tra le tante, Cass., Sez. Un., 7 febbraio 2014, n. 2816). In questa prospettiva, è stato anche precisato che l'inammissibilità del ricorso per cassazione avverso le sentenze che non definiscono, neppure parzialmente, il giudizio di merito concerne anche le decisioni sulla giurisdizione del giudice italiano rispetto al giudice straniero, non sussistendo nel diritto internazionale privato norme ostative all'applicazione del comma terzo dell'art. 360 c.p.c., come sostituito dall'art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, e sussistendo, invece, anche in tale ambito, le esigenze di collegamento tra impugnazione per cassazione e interesse sul merito della controversia, sottese alla previsione d'inammissibilità;
  • non è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione la sentenza d'appello che si limiti a riformare la pronuncia di primo grado dichiarativa dell'estinzione del processo e a rimettere la causa al giudice a quo per la decisione di merito, atteso che il provvedimento con il quale il giudice del gravame rimanda le parti davanti al primo giudice attua anch'esso solo la prosecuzione del giudizio per l'adozione di una definizione dello stesso almeno parziale mentre il discrimine deve essere individuato «con riguardo unicamente alla idoneità della sentenza sulla questione a definire la controversia, prescindendo quindi dal meccanismo processuale di individuazione del giudice che ha il potere di definire, anche parzialmente, la controversia», essendo in difetto violato il canone costituzionale della ragionevole durata del processo (Cass., Sez. I, 9 luglio 2014, n. 15601, in Foro it., 2014, n. 11, 3098, con nota di Mastrangelo).

Rispetto al momento entro il quale la parte poteva proporre ricorso in sede di legittimità avverso la statuizione del giudice d'appello di rinvio a quello di primo grado ex artt. 353 e 354 c.p.c. si era osservato che la stessa doveva attendere che la parte risultasse soccombente nel merito in primo grado, con pronuncia confermata in sede di gravame (Cass., Sez. Un., 31 ottobre 2012, n. 18698).

Orientamento favorevole all'ammissibilità del ricorso immediato per cassazione

Sebbene fosse indiscutibilmente prevalso il delineato orientamento nella giurisprudenza di legittimità antecedente all'intervento delle Sezioni Unite, nondimeno alcune decisioni si erano discostate dallo stesso – pur nell'ambito di un contrasto inconsapevole – poiché la Corte aveva finito con il decidere nel merito i ricorsi formulati in via “immediata” avverso le pronunce rese in appello ex artt. 353 e 354 c.p.c.

Peraltro, tali decisioni non si sono confrontate con la più generale questione dell'ammissibilità di siffatti ricorsi immediati ai sensi del novellato art. 360, terzo comma, c.p.c. (cfr., tra le altre, Cass., sez. I, 8 ottobre 2014, n. 21219; Cass., Sez. Un., 13 luglio 2015, n. 14558; Cass., sez. I, 1° settembre 2015, n. 17398).

Una parte della dottrina si era mostrata invece espressamente critica rispetto alla tesi dominante della giurisprudenza della S.C. con riguardo alle sentenze di rinvio al giudice di primo grado, rilevando la definitività delle relative statuizioni ed avendo riguardo alla formulazione del non abrogato art. 353, comma terzo, c.p.c. che prevede che, ove nell'ipotesi di erronea declinatoria della giurisdizione ordinaria è proposto ricorso per cassazione, è interrotto il termine per riassumere il processo in primo grado.

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La Prima Sezione civile della Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria del 26 marzo 2015, n. 6127, ha rimesso alle Sezioni Unite la decisione della seguente questione oggetto di contrasto giurisprudenziale (almeno inconsapevole) se tra le sentenze non immediatamente e non autonomamente ricorribili alle quali fa riferimento l'art. 360, terzo comma, c.p.c. debba essere inclusa la pronuncia solo rescindente con la quale il giudice d'appello, nelle ipotesi previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c., riforma o annulla la sentenza di primo grado e rimette la causa allo stesso giudice di “prime cure”.

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Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la pronuncia n. 25774 del 22 dicembre 2015, risolvono il prospettato contrasto giurisprudenziale sancendo il principio per il quale la sentenza, con cui il giudice d'appello riforma o annulla la decisione di primo grado e rimette la causa al giudice a quo ex artt. 353 o 354 c.p.c., è immediatamente impugnabile con ricorso per cassazione, trattandosi di sentenza definitiva, che non ricade nel divieto, dettato dall'art. 360, comma terzo, c.p.c., di separata impugnazione in cassazione delle sentenze non definitive su mere questioni, per tali intendendosi solo quelle su questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito che non chiudono il processo dinanzi al giudice che le ha pronunciate.

Più in particolare, le Sezioni Unite, nel rivisitare l'orientamento dominante anche nella propria giurisprudenza, effettuano importanti considerazioni sulla natura della sentenza di rinvio al giudice di primo grado.

In primo luogo, la Corte rinviene un ostacolo normativo rispetto all'operare della tesi dell'inammissibilità del ricorso per cassazione, costituito dal terzo comma dell'art. 353 c.p.c., laddove prevede l'interruzione del termine per la riassunzione dinanzi al giudice di primo grado ove sia stato proposto ricorso in sede di legittimità. Le Sezioni Unite osservano, a riguardo, che tale norma non potrebbe ritenersi implicitamente abrogata dall'art. 360, terzo comma, c.p.c. per il decisivo argomento della sussistenza della stessa anche prima della c.d. controriforma del codice di procedura civile del 1950 quando il sistema era in generale modellato nel senso dell'inammissibilità dell'impugnazione immediata delle sentenze non definitive e parziali. Nella vigenza di tale regime, peraltro, la stessa S.C. aveva osservato che la prevista eccezione per le sentenze ex artt. 353 e 354 c.p.c. si giustificava poiché in dette ipotesi «il procedimento di appello si esaurisce con la sentenza di remissione della causa al primo giudice, e non v'è, quindi, più possibilità che a detta sentenza segua, nella stessa sede, quella sentenza definitiva, insieme alla quale la prima possa essere impugnata» (Cass., sez. II, 25 marzo 1946, n. 309, citata nella motivazione della pronuncia delle Sezioni Unite).

In sostanza, come rileva la Corte nel risolvere il contrasto interpretativo, la soluzione della questione deve fondarsi sulla circostanza che le sentenze non definitive sono quelle su questioni nelle quali resta fermo il potere dello stesso giudice di decidere il merito della lite, a differenza di quanto accade nell'ipotesi in considerazione nella quale di tale potere il giudice si spoglia definitivamente con l'emanazione della sentenza di rinvio al giudice di primo grado.

Pertanto, le Sezioni Unite non esitano a qualificare come definitive le pronunce di remissione al giudice di “prime cure” rese ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c. avendo riguardo ad ulteriori, non trascurabili, argomentazioni:

a) si tratta dell'unica sentenza pronunciata in quel grado del processo;

b) a differenza di una sentenza non definitiva in senso stretto, è pacifico in giurisprudenza che all'esito della stessa si debba pronunciare sulle spese di lite in base al principio della soccombenza effettiva (Cass., Sez. Un., 9 novembre 2009, n. 23669).

Infine, la Corte non trascura di evidenziare che la soluzione affermata è anche quella maggiormente coerente ai canoni del giusto processo ed, in particolare, al diritto di difesa della parte soccombente che sarebbe gravemente compromesso di fronte ad un'erronea statuizione ex artt. 353 e 354 c.p.c. dalla possibilità di ricorrere per cassazione esclusivamente dopo che la causa è tornata in appello, se vi è stata soccombenza sul merito.

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