La Cassazione può revocare il gratuito patrocinio? La risposta delle Sezioni Unite

12 Maggio 2020

La Seconda Sezione della Suprema Corte ha rimesso gli atti al Presidente della Corte per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione relativa alla competenza a decidere sulla revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili su cui procede la Cassazione.
QUESTIONE CONTROVERSA

Con riguardo alla competenza alla revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili, il primo comma dell'art. 136 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico sulle spese di giustizia) fa riferimento al “giudice che procede.

Tale soggetto può essere agevolmente individuato nel giudice che tratta il processo nel momento in cui si realizza una delle ipotesi che possono giustificare la revoca del beneficio. Potrà, quindi, trattarsi anche del giudice di appello, rispetto ad un'ammissione relativa al giudizio di primo grado e intervenuta dopo la definizione di tale giudizio ovvero rispetto ad un'ammissione disposta in grado di appello.

Tale conclusione pare pienamente coerente con la previsione di cui all'art. 83, comma 2, secondo periodo, del Testo unico, che attribuisce al giudice competente il potere di liquidazione dei compensi dovuti per le fasi o i gradi anteriori del processo, se il provvedimento di ammissione è intervenuto dopo la loro definizione.

L'art. 136, comma 1, del Testo unico, a differenza della norma corrispondente relativa al processo penale (art. 112, comma 3, T.U. spese giustizia), nulla dice rispetto al caso in cui le predette evenienze si verifichino durante la pendenza del giudizio di cassazione ma deve ritenersi che la Suprema Corte non possa provvedere in merito, così come, ai sensi dell'art. 83, comma 2, prima parte T.U. spese giustizia, non può procedere alla liquidazione del compenso per la fase svoltasi davanti a sé.

La lacuna potrebbe, però, colmarsi ricorrendo ad un'interpretazione analogica della norma dettata per il processo penale, cosicchè si dovrebbe concludere che, anche con riguardo al caso in esame, la competenza spetti all'autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento impugnato.

ORIENTAMENTI CONTRAPPOSTI

Secondo un primo orientamento, in tema di patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, la competenza a provvedere sulla revoca per il giudizio di cassazione spetta al giudice di rinvio ovvero a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, similmente a quanto avviene nei procedimenti penali e con riguardo alla liquidazione degli onorari e delle spese del difensore in Cassazione, ai sensi rispettivamente degli artt. 112, comma 3, e 83, comma 2, del d.P.R. n. 115/2002. Tale revoca, avendo efficacia retroattiva nelle ipotesi previste dall'art. 136, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 115/2002, ripristina l'obbligo della parte assistita in giudizio di sopportare personalmente le spese della sua difesa e determina, perciò, le conseguenti restituzioni sulla base di accertamenti di fatto che esulano dai poteri cognitori della Corte di cassazione (Cass. civ., ord., 2 ottobre 2018, n. 10916). Si è, in particolare, precisato che l'art. 112, comma 3, del Testo unico, nell'ambito delle disposizioni particolari sul patrocinio a spese dello Stato nel processo penale, chiarisce, a proposito della revoca del decreto di ammissione, che «competente a provvedere è il magistrato che procede al momento della scadenza dei termini suddetti ovvero al momento in cui la comunicazione è effettuata o, se procede la Corte di cassazione, il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato».

Un'identica esplicita previsione di competenza in ordine alla revoca non è stabilita per i processi civili davanti alla Corte di cassazione.

Peraltro, l'art. 83, comma 2, del Testo unico, per il giudizio di cassazione, affida anche la liquidazione dell'onorario e delle spese spettanti al difensore al giudice di rinvio, ovvero a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato.

Deve, quindi, ritenersi che competente a provvedere sulla revoca dell'ammissione al patrocinio per il giudizio di cassazione, come nella specie provvisoriamente disposta dal consiglio dell'ordine degli avvocati, sia comunque il giudice di rinvio, ovvero quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato.

Avendo, peraltro, efficacia retroattiva, nelle ipotesi indicate dai commi 2 e 3 dell'art. 136 del d.P.R. n. 115/2002, il provvedimento di revoca ripristina l'obbligo della parte assistita in giudizio di sopportare personalmente le spese della sua difesa (Cass. civ., sez. I, 5 marzo 2010, n. 5364), e determina perciò le conseguenti restituzioni sulla base di accertamenti di fatto esulanti dai poteri cognitori della Corte di cassazione.

Secondo un opposto orientamento, invece, anche la Suprema Corte può provvedere alla revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Cass. civ.,sez. III, sent., n. 17037/2018, preso atto che il competente Consiglio dell'Ordine non aveva rilevato la totale mancanza del requisito della «non manifesta infondatezza delle ragioni del richiedente», dispose essa stessa la revoca della ammissione al patrocinio a Spese dello Stato.

Anche Cass. civ., sez. II, ord., n. 26060/2018, dopo aver rilevato che la ricorrente risultava ammessa al patrocinio a spese dello Stato, ha proceduto alla revoca dell'ammissione per manifesta infondatezza della pretesa e per colpa grave nel promovimento del giudizio, «con effetto retroattivo e con quanto ne consegue in tema di obbligo di pagamento del doppio contributo unificato».

Secondo questo orientamento, non è pertinente il richiamo all'art. 112, comma 3, del T.U. spese giustizia, in quanto del tutto diverse sono le fasi ed i presupposti dell'ammissione al patrocinio nel processo penale e nel processo civile, e conseguentemente diverse sono le ipotesi della revoca, che nel solo processo civile può avvenire altresì "per ragioni di merito", e cioè se l'azione o l'impugnazione sia stata esercitata con mala fede o colpa grave. Solo il giudice della fase e del grado e, quindi, anche la Corte di cassazione, ove si proceda innanzi ad essa, può valutare la manifesta infondatezza della domanda o dell'impugnazione, e non certo poi il giudice di merito del grado precedente, il quale abbia pronunciato la sentenza passata in giudicato, pur essendo chiamato dalla legge a liquidare il compenso al difensore della parte ammessa al patrocinio.

Inoltre, si è osservato che l'eventuale esclusione della competenza della Corte di Cassazione sulla revoca dell'ammissione comporterebbe una generalizzata "disapplicazione di fatto", in favore del soccombente ammesso al patrocinio, dell'obbligo di versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ex art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012.

Al contrario, va però evidenziato come, ad esempio, Cass. civ., sez. VI-3, ord., n. 5535/2018, affermava in modo esplicito: «il potere di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, attribuito dall'art. 136 del d.P.R. n. 115/2002 al giudice davanti al quale si procede, in base alla ricostruzione sistematica di cui si è dato fin qui conto (e che sostanzialmente qualifica la revoca come espressione, in senso negativo, del medesimo potere di liquidazione dei compensi spettanti al difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio), deve ritenersi riservato al giudice di ciascun grado del giudizio di merito, in relazione alla (sola) fase processuale svoltasi davanti a lui, mentre, per quanto attiene al giudizio di legittimità, va riconosciuto in capo al giudice di merito cui spetta il potere di liquidazione dei relativi compensi ai sensi dell'art. 83 del d.P.R. n. 115/2002 (cfr., per l'individuazione di tale giudice, Cass. civ., sez. III, ord., n. 11028/2009; Cass. civ.,sez. I, ord., n. 23007/2010). Si tratta, comunque, di un potere diverso rispetto a quello di decidere la controversia tra le parti, e per tale motivo esso va di regola esercitato con autonomo decreto, la cui natura è quella di un provvedimento non decisorio e non definitivo in relazione al merito della suddetta controversia, rispetto alla quale risulta del tutto estraneo, sia per quanto attiene all'oggetto, sia per quanto attiene alle parti del procedimento».

Al riguardo, Cass. civ., sez.VI-1, ord., n. 21610/2018 ha inoltre precisato proprio come «l'articolo 136, comma 2, del d.P.R. n. 115/2002, in materia di revoca del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio, nel disporre che con decreto il magistrato revoca la suddetta ammissione nell'ipotesi in cui venga accertato che l'interessato abbia agito o resistito in giudizio con dolo o colpa grave, disancora il giudizio sul merito dell'azione giudiziaria proposta da quello della fondatezza del decreto di revoca, che deve basarsi esclusivamente sul dolo o colpa grave nell'agire in giudizio, e non sull'infondatezza dell'azione nel merito».

Inoltre, secondo questa diversa ricostruzione, spettando al giudice dell'impugnazione (ovvero, nella specie, alla stessa Corte di cassazione), nel pronunciare il provvedimento che la definisce, di dare atto – senza ulteriori valutazioni decisorie – della sola astratta sussistenza dei presupposti (rigetto integrale, ovvero inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) per il versamento, da parte del soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non sarebbe in alcun modo pregiudicato il potere del magistrato competente per la revoca dell'ammissione provvisoria al patrocinio, ove risulti l'insussistenza dei presupposti per l'ammissione ovvero ove l'interessato abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, di riconoscere retroattivamente (art. 136, comma 3, d.P.R. n. 115/2002) l'obbligo della parte che abbia subito la revoca a versare all'erario le spese prenotate a debito in forza dell'art. 131, d.P.R. n. 115/2002.

RIMESSIONE ALLE SEZIONI UNITE

La Seconda Sezione civile della Corte di cassazione, con ordinanza interlocutoria del 22 gennaio 2019, n. 1664, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite, stante la difformità (quanto meno implicita), segnalata dal pubblico ministero, delle decisioni in punto di competenza a provvedere sulla revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili su cui procede la Corte di cassazione e rilevata pure la particolare importanza della questione di massima.

SOLUZIONE

Le Sezioni Unite ritengono che la quaestio iuris vada risolta nel senso che il potere di revocare l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato non spetta alla Corte di cassazione, ma compete al giudice di rinvio ovvero, nel caso di mancato rinvio, al giudice ha pronunciato il provvedimento impugnato.

Diversi argomenti inducono a tale conclusione.

In primo luogo, va considerata la collocazione istituzionale della Corte di cassazione e il ruolo ad essa attribuito nell'ordinamento giudiziario e nel sistema delle impugnazioni.

Nell'ordinamento giuridico vigente, la Corte di cassazione è un organo giudicante con caratteri del tutto peculiari che lo distinguono da ogni altro giudice (tanto della giurisdizione ordinaria, quanto delle giurisdizioni speciali), essendo ad esso - di norma - preclusa la decisione della causa nel merito, in fatto e in diritto; è un giudice di vertice cui è attribuita la speciale ed esclusiva funzione della cd. "nomofilachia", ossia l'ufficio di controllare la conformità a legge delle sentenze pronunciate dagli altri giudici e di indirizzare e uniformare la giurisprudenza.

Questa è la funzione che traspare dall'art. 65 dell'ordinamento giudiziario (r.d. 30 gennaio 1941, n. 12), laddove alla Corte suprema di cassazione è affidato il compito di assicurare «l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale»; e questa è la funzione che riecheggia nell'art. 111, comma 7, Cost., laddove il Costituente ha sancito la garanzia del ricorso per cassazione avverso le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale, ma solo - con evidente sotteso richiamo alla peculiarità del ruolo della Corte - «per violazione di legge».

Orbene, se questa è la peculiare funzione che l'ordinamento giuridico attribuisce alla Corte di cassazione, è conseguente ritenere che ad essa non possano essere attribuiti compiti estranei a tale funzione, se non in forza di una espressa previsione di legge.

Ognun comprende come, per un verso, il potere di provvedere alla revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato implichi accertamenti di fatto e valutazioni di merito che travalicano i limiti propri delle funzioni attribuite alla Corte di cassazione; e come, per altro verso, il ricorso per cassazione investa la Corte solo della cognizione in diritto della controversia oggetto della pronuncia impugnata, alla quale rimane estranea ogni questione relativa al patrocinio a spese dello Stato, che attiene ad un distinto rapporto giuridico.

La conclusione secondo cui la revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio non compete alla Corte di cassazione, ma al giudice del merito, trova conferma nel fatto che tale revoca (come del resto la stessa ammissione al patrocinio) va disposta con "autonomo" provvedimento, diverso da quello contenente la decisione della causa.

In questo senso depone il chiaro testo dell'art. 136 T.U.S.G., laddove prevede che «Con decreto il magistrato revoca l'ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal consiglio dell'ordine degli avvocati». Tale previsione è coerente col fatto che il potere di revoca dell'ammissione al patrocinio è diverso e indipendente rispetto a quello di decidere la controversia, attenendo esso - come si è detto - ad un rapporto giuridico diverso da quello oggetto della causa.

L'autonomia del provvedimento di revoca rispetto a quello che decide la causa rende possibile, peraltro, adottare la revoca in ogni tempo allorquando vengano meno le condizioni di legge per fruire del patrocinio e, dunque, sia prima che la causa pervenga alla sentenza sia dopo la pronuncia definitiva; ed è funzionale alla previsione di un apposito regime impugnatorio, distinto ed indipendente da quello che vale per la sentenza che definisce il giudizio.

Quel che qui conta osservare è che alla Corte di cassazione non è consentito - in ragione del proprio ruolo di giudice della legittimità e delle sue funzioni di nomofilachia - pronunciare provvedimenti diversi da quelli che decidono il ricorso.

Non potrebbe, perciò, la Corte di cassazione pronunciare separatamente l'apposito decreto di revoca dell'ammissione al patrocinio di cui all'art. 136 T.U.S.G., perché con la decisione del ricorso si consuma la speciale potestas iudicandi ad essa conferita e viene meno l'esercizio della funzione nomofilattica che le è propria.

L'esclusione del potere della Corte di cassazione di revocare il provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è imposta poi - di necessità - dal regime delle impugnazioni del provvedimento di revoca.

Com'è noto, il Testo unico sulle spese di giustizia non prevede espressamente, nella materia civile (a differenza di quanto prevede l'art. 113 T.U. per la materia penale), alcun rimedio avverso il decreto di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Questo silenzio del legislatore non significa, però, che l'ordinamento giuridico neghi alcuna tutela avverso il decreto di revoca dell'ammissione emesso nella materia civile.

Infatti, dall'art. 24, comma 3, Cost., promana un vero e proprio diritto del cittadino non abbiente - corollario della garanzia di eguaglianza prevista dall'art. 3, comma 2, Cost. - alla possibilità di agire o resistere in giudizio munito di difesa tecnica; e come ha sottolineato la Corte costituzionale, «nel decidere se spetti il patrocinio a spese dello Stato, il giudice esercita appieno una funzione giurisdizionale avente ad oggetto l'accertamento della sussistenza di un diritto (...) dotato di fondamento costituzionale, sicché i provvedimenti nei quali si esprime tale funzione hanno il regime proprio degli atti di giurisdizione, revocabili dal giudice nei limiti e sui presupposti espressamente previsti, e rimuovibili, negli altri casi, solo attraverso gli strumenti di impugnazione» (Corte cost., ord., n. 144/1999).

Ora, la valenza costituzionale del diritto del non abbiente a fruire gratuitamente della difesa tecnica e la natura giurisdizionale della pronuncia del giudice sulla spettanza di tale diritto impongono di ritenere che il silenzio della legge, nella materia civile, in ordine alla impugnabilità del provvedimento di revoca del patrocinio a spese dello Stato non possa significare assenza di rimedio impugnatorio avverso tale provvedimento.

La possibilità che il provvedimento di revoca sia lesivo del diritto soggettivo - costituzionalmente rilevante - di chi, essendo stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, ne venga poi escluso, implica la necessaria impugnabilità del provvedimento con gli ordinari strumenti apprestati dall'ordinamento e, in ultimo, con il ricorso per cassazione per violazione di legge, ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., quale strumento di 19 controllo di legalità, costituzionalmente necessario nei confronti di tutti gli atti autoritativi.

In questo quadro, la giurisprudenza ha statuito che, in mancanza di espressa previsione normativa (come quella esistente per il processo penale), il decreto di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è impugnabile mediante l'opposizione di cui all'art. 170 del d.P.R. n. 115/2002, avendo tale opposizione, nell'ambito del Testo unico sulle spese di giustizia, natura di rimedio di carattere generale, esperibile contro tutti i decreti in materia di liquidazione e, quindi, anche contro il decreto del magistrato che la rifiuti (ex plurimis, Cass. civ., sez. I, n. 13833/2008; Cass. civ., sez. I, n. 13807/2011; Cass. civ., sez. VI-2, n. 21685/2013; Cass. civ., sez. II, n. 21700/2015; Cass. civ., sez. VI-2, n. 1684/2019).

Com'è noto, l'art. 170 T.U.S.G. (come sostituito dall'art. 34, comma 17, lett. a), del d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150) stabilisce che «L'opposizione è disciplinata dall'articolo 15 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150».

L'opposizione va, dunque, proposta - come prevede l'art. 15 del d.lgs. n. 150/2011 - con ricorso al «capo dell'ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato» (v. Cass. civ., sez. VI-2, n. 12668/2014, sulla conseguente inapplicabilità della regola del foro erariale); il giudizio segue il rito sommario di cognizione ex art. 702-bis e ss.c.p.c.; l'ordinanza che lo definisce è inappellabile, ma - in ragione della sua natura decisoria e della capacità di incidere in via definitiva su diritti soggettivi - contro di essa è proponibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. (Cass. civ., sez. II, n. 3633/2011).

Tale regime giuridico non muta qualora la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato sia stata irritualmente adottata dal giudice con la sentenza che definisce il giudizio, anziché con separato decreto, in quanto l'irrituale collocazione del provvedimento di revoca in seno al provvedimento che decide la causa (che tuttavia non ne determina la nullità) non ne muta la natura.

Pertanto, anche avverso la revoca dell'ammissione al patrocinio che sia stata disposta con la sentenza che ha deciso la causa va proposta separatamente l'opposizione ex art. 170 T.U.S.G.; dovendosi, invece, escludere che la parte che voglia dolersi dell'ingiustizia del provvedimento di revoca possa impugnare la sentenza con i mezzi di impugnazione previsti per la stessa, con ciò coinvolgendo nel giudizio di impugnazione le altre parti della causa, estranee al rapporto giuridico instauratosi tra chi ha chiesto l'ammissione al patrocinio e il Ministero della Giustizia (Cass. civ., sez. II, n. 29228/2017; Cass. civ., sez. III, n. 3028/2018; Cass. civ., sez. III, n. 5535/2018, non massimata).

In sostanza, il provvedimento di revoca, comunque sia pronunciato (con separato decreto o con la sentenza che definisce il giudizio), va sempre considerato autonomo rispetto alla sentenza che definisce la causa ed è soggetto ad un autonomo regime di impugnazione.

Orbene, quanto appena detto in ordine alla impugnabilità del provvedimento di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato mediante il rimedio dell'opposizione ex art. 170 T.U.S.G. implica che non possa essere la Corte di cassazione ad adottare il detto provvedimento di revoca, neppure con la sentenza che decide sul ricorso.

Invero, in ragione della collocazione istituzionale della Corte suprema quale organo di vertice della giurisdizione, i provvedimenti da essa adottati sono, per loro natura, definitivi e non impugnabili (se non col rimedio della revocazione ex artt. 391-bis e 391-terc.p.c.).

Non è, pertanto, neppure ipotizzabile la proponibilità dell'opposizione ex art. 170 T.U.S.G. ove - in ipotesi - la revoca venisse adottata dalla Corte di cassazione; tantomeno sarebbe dato immaginare l'organo a cui debba in tal caso indirizzarsi l'opposizione (in termini analoghi Cass. civ., sez. I, n. 23009/2004; Cass. civ., sez. I, n. 16986/2006). E peraltro, essendo l'ordinanza che decide sull'opposizione impugnabile col ricorso straordinario per cassazione, ammettere che la Corte suprema possa revocare l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato darebbe luogo ad un inammissibile "cortocircuito processuale", per cui l'originario provvedimento di revoca dell'ammissione al patrocinio adottato - in ipotesi - dalla Corte di cassazione verrebbe poi, dopo il giudizio di opposizione, in ultima analisi sindacato dalla Corte di cassazione medesima.

In realtà, il rimedio dell'opposizione previsto dal combinato disposto degli artt. 170 T.U.S.G. e 15 del d.lgs. n. 150/2011 presuppone che la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato sia adottata da un giudice di merito; di modo che l'opposizione contro il decreto di revoca, ai sensi dell'art. 170 cit., possa essere proposta, come prevede l'art. 15 cit., al presidente del Tribunale o della Corte di Appello cui appartiene il magistrato che ha emesso il decreto di revoca.

Solo così la Corte di cassazione può svolgere, anche all'interno del procedimento di revoca, la funzione che le è propria, quella di giudice della legittimità del provvedimento di revoca.

Il riconoscimento in capo al giudice di merito del potere di provvedere alla revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, anche con riferimento al giudizio di cassazione, non dà luogo ad alcuna sovrapposizione di giudizi o all'attribuzione a quel giudice di apprezzamenti che non gli competono.

Invero, una cosa è la valutazione della fondatezza o infondatezza del ricorso per cassazione e l'adozione dei provvedimenti conseguenti ai sensi dell'art. 96 cod. proc. civ. o - come si dirà - ai sensi dell'art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115/2002, che spettano certamente alla Corte di Cassazione; altra cosa è la valutazione della ricorrenza dei presupposti che comportano, secondo quanto previsto dall'art. 136 T.U.S.G., la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (Cass. civ., sez. VI-2, n. 20270/2017; Cass. civ., Sez. VI-1, n. 21610/2018).

Anche quando la revoca sia disposta, non per l'accertata carenza dei requisiti reddituali, ma per la manifesta infondatezza dell'impugnazione (ciò che costituisce una delle ipotesi di "insussistenza dei presupposti per l'ammissione") o per avere l'interessato agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (art. 136 T.U.S.G.), il giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la revoca dell'ammissione al patrocinio è, comunque, indipendente dal giudizio sulla fondatezza o meno del ricorso, che spetta alla Corte di cassazione; cosicché il primo può essere compiuto dal giudice di merito, senza che si dia luogo ad alcuna sovrapposizione di giudizi.

L'autonomia del giudizio è, peraltro, legata anche alla diversità del materiale istruttorio di cui dispone il giudice della revoca rispetto agli elementi di valutazione di cui dispone la Corte di cassazione.

Mentre, infatti, la valutazione della sussistenza dei presupposti per la condanna ex art. 96 c.p.c. è compiuta dalla Corte di cassazione sulla base dei soli atti ad essa sottoposti, la valutazione della sussistenza dei presupposti per la revoca dell'ammissione al patrocinio va compiuta sulla base di tutti gli atti dei giudizi di merito (di cui non sempre la Corte suprema dispone), arricchiti dalle produzioni documentali che la parte può sempre compiere dinanzi al giudice dell'opposizione.

Non può pertanto escludersi che il giudice della revoca possa ritenere la sussistenza della mala fede o della colpa grave della parte, ai sensi dell'art. 136, comma 2, T.U.S.G., anche in mancanza di una valutazione in tal senso espressa dalla Corte di cassazione ai sensi dell'art. 96 c.p.c.

Attenendo la valutazione del giudice della revoca ad un rapporto giuridico diverso rispetto a quello oggetto della causa (si tratta del rapporto giuridico che sorge tra chi è ammesso al patrocinio e il Ministero della Giustizia), è esclusa la configurabilità di alcun vincolo di giudicato.

L'individuazione del giudice di merito come quello cui soltanto spetta, con riferimento al giudizio di cassazione, l'adozione del provvedimento di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato è coerente, infine, con la necessità di adottare i provvedimenti conseguenti alla revoca, che esulano certamente dalle attribuzioni della Corte suprema.

Infatti, la revoca dell'ammissione al patrocinio, avendo efficacia retroattiva ex art. 136 T.U.S.G. (ad eccezione dei casi in cui sia stata disposta per la sopravvenuta modificazione delle condizioni di reddito), ripristina l'obbligo della parte assistita in giudizio di sopportare personalmente le spese della sua difesa tecnica, con conseguente necessità di provvedere all'adozione dei provvedimenti restitutori, che presuppongono accertamenti di fatto che esulano dai poteri cognitori della Corte di cassazione e che possono essere compiuti solo dal giudice di merito (Cass. civ., sez. I, n. 5364/2010; Cass. civ., sez. II, n. 23972/2018).

È ben vero che la necessità di compiere accertamenti in fatto ai fini della quantificazione delle somme che devono essere oggetto di restituzione all'erario non implica, di per sé, che il provvedimento di revoca non possa essere adottato dalla Corte di cassazione, ben potendo quest'ultima - in ipotesi - limitarsi a disporre la revoca 24 dell'ammissione al patrocinio, lasciando poi al giudice del merito il compito di provvedere ad emettere i provvedimenti restitutori sulla base degli accertamenti fattuali necessari.

E tuttavia, essendo il ruolo del giudice di merito comunque insostituibile nella revoca dell'ammissione al patrocinio, l'attribuzione ad esso del potere di revoca ben si coniuga con la necessità di adottare i conseguenti provvedimenti restitutori.

V'è ancora da stabilire quale sia, tra i giudici di merito, quello cui spetta il potere di provvedere, a seguito del giudizio di cassazione, all'eventuale revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Secondo alcuni precedenti di questa Corte, il potere di provvedere alla revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato andrebbe riconosciuto al giudice di rinvio ovvero a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, similmente a quanto previsto dall'art. 83, comma 2, del d.P.R. n. 115/2002 per la liquidazione degli onorari e delle spese del difensore relativi al giudizio di cassazione (Cass. civ., sez. II, n. 23972/2018; Cass. civ., sez. VI-2, n. 16940/2019; Cass. civ., sez. III, n. 5535/2018, non massimata).

Tale soluzione interpretativa, tuttavia, non considera i casi in cui la sentenza impugnata non sia passata in giudicato né sia stata cassata con rinvio, come avviene, ad es., quando la Suprema Corte abbia emesso una pronuncia di cassazione senza rinvio (art. 382, comma 2, c.p.c.) o una pronuncia di cassazione con decisione della causa nel merito (art. 384, comma 2, c.p.c.).

Si tratta di ipotesi che, adottando il criterio di cui sopra, rimarrebbero prive di disciplina. Soccorre allora il criterio previsto dall'art. 112, comma 3, T.U.S.G. per disciplinare la revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale, laddove è stabilito 25 che, se procede la Corte di cassazione, la competenza a provvedere spetta al «magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato».

Tale criterio risulta idoneo ad individuare il giudice competente a revocare l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato in tutte le ipotesi diverse dalla cassazione con rinvio (integrale rigetto, declaratoria di inammissibilità o improcedibilità del ricorso, cassazione senza rinvio ai sensi dell'art. 382, comma 2, c.p.c., cassazione con decisione della causa nel merito ai sensi dell'art. 384, comma 2, c.p.c.).

Deve, pertanto, ritenersi che il potere di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel giudizio civile spetta, per il giudizio di cassazione, al giudice di rinvio ovvero - in mancanza di rinvio - al giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato.

Rimane da precisare con quali modalità il giudice competente a provvedere alla revoca del patrocinio a spese dello Stato per il giudizio di cassazione, quando non corrisponda al giudice di rinvio (che è espressamente investito del riesame della causa dalla Corte di cassazione), può essere investito della verifica della sussistenza delle condizioni per la revoca dell'ammissione al patrocinio ai sensi dell'art. 136 T.U.S.G.

A questo proposito, va ricordato che l'art. 388 c.p.c., come sostituito dall'art. 14 del d.lgs. n. 40/2006, prevede che «Copia della sentenza è trasmessa dal cancelliere della Corte a quello del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, affinché ne sia presa nota in margine all'originale di quest'ultima».

Il precedente originario testo della disposizione prevedeva che il cancelliere della Corte trasmettesse a quello del giudice che aveva pronunciato il provvedimento impugnato soltanto la «copia del dispositivo della sentenza»; e la sostituzione di tale testo, con la previsione della trasmissione di copia integrale della sentenza, ha avuto il significato di superare la funzione meramente endoprocessuale dell'annotazione del dispositivo della pronuncia della Corte suprema sull'originale della sentenza oggetto del ricorso per cassazione (finalizzata ad attestare il valore giuridico di quest'ultima a seguito della pronuncia della Corte di cassazione), per creare un canale ufficiale di comunicazione tra Corte di legittimità e giudici di merito.

Nella visione del legislatore della novella di cui al d.lgs. 2 febbraio 2006 n. 40, la trasmissione di copia integrale della sentenza deve servire a potenziare la funzione nomofilattica della Corte e ad orientare i giudici di merito nelle loro future decisioni, portandoli a conoscenza della pronuncia della Corte suprema in ordine alle soluzioni giuridiche da essi adottate. Orbene, nell'ambito di questo canale di comunicazione diretto tra la Corte di cassazione e il giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato, ben si colloca il ruolo che va riconosciuto a quest'ultimo ai fini della revoca, con riguardo al giudizio di cassazione, del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Deve invero ritenersi, nel quadro della previsione di cui al nuovo testo dell'art. 388 c.p.c., che gli uffici dei giudici territoriali che hanno emesso il provvedimento impugnato col ricorso per cassazione, nell'esaminare la sentenza della Suprema Corte ad essi trasmessa, sono tenuti - salvo il caso in cui la causa sia stata rimessa al giudice di rinvio - a valutare la sussistenza delle condizioni previste dall'art. 136 T.U.S.G. per la revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato eventualmente disposta in favore di una delle parti; fermi restando, da un lato, l'autonomia della loro valutazione circa la sussistenza dei presupposti per la revoca e, dall'altro, il successivo controllo di legittimità della stessa Corte di cassazione sull'ordinanza che abbia deciso l'eventuale opposizione.

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