Limiti all'abuso del processo con riferimento alla parcellizzazione delle pretese creditorie derivanti da un rapporto di durata o complesso

Cesare Trapuzzano
28 Marzo 2017

Nella giurisprudenza di legittimità si era formato un contrasto in ordine all'estensione della regola di infrazionabilità della domanda anche ai plurimi diritti di credito derivanti dal medesimo rapporto di durata o, comunque, da un rapporto complesso. Nel risolvere il contrasto le Sezioni Unite stabiliscono, in via di principio, la possibile parcellizzazione delle pretese creditorie ricadenti nel medesimo rapporto, salvo che, a fronte dell'iscrizione di tali pretese nell'ambito oggettivo di un possibile giudicato ovvero della loro genesi dallo stesso fatto costitutivo, difetti un interesse obiettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata.
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Il punto controverso sul quale le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi concerne l'ambito applicativo del principio di infrazionabilità giudiziale del credito, che costituisce diritto vivente nel nostro ordinamento alla stregua della giurisprudenza di legittimità che si è formata a decorrere dalla sentenza di Cass. Sez.Un. 15 novembre 2007, n. 23726, la quale, a sua volta, ha superato il precedente indirizzo, inaugurato da Cass. Sez.Un. 10 aprile 2000, n. 108, secondo cui l'ammissibilità della parcellizzazione della pretesa creditoria avrebbe trovato fondamento nel diritto sostanziale del creditore a rivendicare l'adempimento parziale, ai sensi dell'art. 1181 c.c.

Sennonché, in forza della posizione assunta dalle Sezioni Unite, con la citata sentenza del 2007, alla quale si sono adeguati gli arresti successivi delle Sezioni semplici, non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto dell'obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità, con unilaterale modificazione aggravativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti, non solo durante l'esecuzione del contratto, ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale.

Nelle più recenti pronunce la portata di tale assunto trova dei temperamenti. Essenzialmente sembra emergere che l'infrazionabilità giudiziale del credito, con la conseguente declaratoria di improponibilità della domanda successiva, atta a far valere la parte residua di un credito già azionato, non abbia un valore assoluto, sicché la parcellizzazione è ammissibile qualora sia giustificata, ossia sia riconducibile a ragioni obiettivamente rilevanti. In specie, quando solo una quota del credito sia assistita da documentazione idonea a supportare un'azione monitoria, è possibile che l'unica pretesa sia frazionata, con l'esperimento del ricorso per decreto ingiuntivo solo in ordine alla parte di cui sussistano i requisiti e con l'instaurazione di un giudizio ordinario (o sommario di cognizione) per la quota residua. E così avviene quando, per effetto dello scorporamento della medesima pretesa, possa essere seguito un iter processuale più spedito, anche con riferimento all'individuazione dell'ufficio giudiziario cui spetta la competenza per valore. O ancora con riferimento alla sussistenza delle condizioni che giustificano l'insinuazione al passivo nel fallimento solo per una frazione del credito. Nondimeno, siffatti argomenti sono stati specificamente utilizzati per “giustificare” la parcellizzazione a fronte del medesimo credito, ossia della pretesa derivante da un'obbligazione unica, in cui il diritto si identifica sul piano strutturale con l'unità economica della prestazione. Prendendo le mosse da questa tendenza, il tema specifico sul quale le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi, in ragione dell'ordinanza interlocutoria che ha sollevato la questione, riguarda l'estensione della categoria dell'abuso del processo, non solo all'ipotesi in cui il credito trovi genesi in un rapporto obbligatorio unico, ma anche nel caso in cui si tratti di un fascio di pretese creditorie avvinte ad un rapporto obbligatorio complesso, come accade specialmente nei rapporti di durata, soprattutto all'esito della loro cessazione. Pertanto, il quesito rimesso alla S.C. attiene specificamente all'integrazione di un abuso processuale ove siano attivate in giudizio autonomamente e separatamente più pretese creditorie facenti capo ad un rapporto obbligatorio complesso, aventi diversa fonte, contrattuale o legale, retributiva o risarcitoria, diverso regime prescrizionale e probatorio, nonché concernenti istituti economici diversi.

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ORIENTAMENTO FAVOREVOLE ALLA PARCELLIZZAZIONE

Secondo l'indirizzo più risalente, l'infrazionabilità giudiziale del credito opera solo all'interno del rapporto obbligatorio ritenuto unico in senso proprio. Viceversa, dai rapporti complessi, e in specie da quelli di durata, come i rapporti di lavoro o di locazione, discende una pluralità di obbligazioni, ognuna con propria specifica fonte, contrattuale o legale, concernente istituti economici eterogenei, sicché tali pretese possono essere fatte valere in giudizio separatamente (in questo senso, tra le altre, Cass., sez. lav., 3 dicembre 2008, n. 28719; Cass., sez. 3, 11 giugno 2008, n. 15476). Così il primo arresto citato ha sostenuto che, in tema di trattamento di fine rapporto, qualora si sia formato il giudicato sull'inserimento, nella base di calcolo, delle indennità contrattuali erogate in maniera fissa e continuativa, resta preclusa una nuova domanda di riliquidazione della prestazione medesima, ancorché fondata su profili differenti quali il riconoscimento dei compensi per lavoro straordinario, trattandosi di ragioni che, pur se non dedotte, erano deducibili nel precedente giudizio, dovendosi ritenere non consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto dell'obbligazione, traducendosi in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte per la corretta tutela del suo interesse sostanziale, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, sia con il principio costituzionale del giusto processo, nella cui prospettiva occorre considerare lo stesso concetto di “deducibile”. La seconda pronuncia ha affermato, nello stesso senso, che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto dell'obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione peggiorativa della posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l'esecuzione del contratto ma anche nell'eventuale fase dell'azione giudiziale per ottenere l'adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l'ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale. In conseguenza del suddetto principio, pertanto, tutte le domande giudiziali aventi ad oggetto una frazione di un unico credito sono da dichiararsi improponibili.

Ancora secondo Cass., sez. 1, 14 novembre 1997, n. 11271, con riguardo al frazionamento di crediti derivanti dal diritto al risarcimento dello stesso danno, deve ritenersi contrario a buona fede, e quindi inammissibile, siccome illegittimo per abuso del diritto, il comportamento del creditore il quale, potendo chiedere l'adempimento coattivo dell'intera obbligazione, frazioni, senza alcuna ragione evidente, la richiesta di adempimento in tutta una pluralità di giudizi di cognizione davanti a giudici competenti per le singole parti. Né vale ad escludere questo giudizio di sfavore il fatto che nessun vantaggio economico si profili, in tal modo, per il creditore. Ciò che, infatti, unicamente rileva, ai fini di una corretta impostazione del problema entro i canoni ermeneutici del principio di buona fede, è l'esistenza di un qualsivoglia pregiudizio per il debitore, non giustificato da un corrispondente vantaggio - meritevole di tutela - per il creditore.

Ultimamente, Cass., sez. Lav., 21 dicembre 2016, n. 26464 ha puntualizzato che, qualora il lavoratore agisca in via monitoria per ottenere il pagamento di crediti retributivi e, con separato ricorso, per impugnare il licenziamento intimatogli, non sussiste un illegittimo frazionamento del credito, in quanto, benché all'interno di un unico rapporto, si è in presenza di crediti autonomi e distinti, scaturenti da diversi fatti costitutivi, aventi differenti regimi probatori e prescrizionali; peraltro, l'imposizione di un'unica azione impedirebbe al creditore l'uso della tutela monitoria, praticabile per i soli crediti assistiti da prova scritta, né è conferente il richiamo alla ragionevole durata del processo di cui all'art. 111 Cost., da valutarsi in relazione alla durata del singolo processo e non dei molteplici possibili processi fra le stesse parti.

ORIENTAMENTO FAVOREVOLE ALL'INFRAZIONABILITÀ

In senso contrario, con particolare riguardo al rapporto di lavoro, altre pronunce hanno esteso la portata del divieto di frazionamento giudiziale del credito anche alle pretese derivanti da un rapporto obbligatorio complesso. Già Cass., Sez.Un. 22 dicembre 2009, n. 26961, pronunciandosi con riferimento alla giurisdizione, aveva sancito l'unitarietà del rapporto di lavoro e delle pretese che da esso scaturiscono.

In specie Cass., sez. lav., 10 maggio 2013, n. 11256 e Cass., sez. Lav., 3 dicembre 2013, n. 27064 hanno rilevato che i principi enucleati dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sent. n. 23726/2007 sono perfettamente applicabili alla fattispecie in quanto i crediti, frazionati con due distinti procedimenti, derivano dal medesimo rapporto di lavoro, come tale fonte unitaria di obblighi e di doveri per le parti; la sentenza n. 23726/07 ha infatti parlato di indebito frazionamento di pretese dovute in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, circostanza che sussiste anche nel caso di un rapporto di lavoro subordinato, come tale produttivo sia di crediti di natura contrattuale che di natura legale, collegabili unitariamente alla loro genesi, ossia la decisione originaria delle parti di stipulare un contratto di natura subordinata ex art. 2094 c.c. Questo collegamento - ha affermato la Corte - appare ancor più stretto nel caso in esame posto che le due controversie sono state promosse a rapporto concluso, quando cioè il complesso di obbligazioni derivanti dal contratto era ormai noto e consolidato.

Su questa stessa linea si colloca, da ultimo, Cass., sez. lav., 1 marzo 2016, n. 4016, in forza della quale sussiste indebito frazionamento di pretese, dovute in forza di un unico rapporto obbligatorio, anche nel caso di unico rapporto di lavoro, fonte di crediti di natura contrattuale e legale, con collegamento ancora più stretto se i giudizi siano promossi quando le obbligazioni sono note e consolidate per essersi il suddetto rapporto già concluso, con conseguente necessità di evitare l'aggravamento della posizione del debitore nel rispetto degli obblighi di correttezza e buona fede contrattuali e in coerenza con il principio anche sovranazionale del giusto processo, volto alla razionalizzazione del sistema giudiziario, che non tollera frammentazioni del contenzioso con pericolo di giudicati contrastanti. Segnatamente la S.C. ha cassato la sentenza di appello che aveva ritenuto legittime due distinte azioni giudiziarie del lavoratore nei confronti del medesimo datore di lavoro, instaurate a seguito della cessazione dello stesso rapporto subordinato, relative una al pagamento del premio di risultato e l'altra alla rideterminazione del t.f.r. per l'incidenza di voci retributive percepite in via continuativa.

ORIENTAMENTO CALIBRATO O INTERMEDIO

Secondo una prospettazione più articolata, anche con riferimento alle pretese che discendono da un rapporto complesso occorre valutare caso per caso se il frazionamento dipenda da una colposa inerzia dell'avente diritto ovvero da situazioni oggettive giustificabili: nel primo caso la successiva domanda sarà improponibile; nel secondo non potrà ravvisarsi alcuna condotta di abuso processuale. Sicché, a fronte della proposizione separata di domande che attengono al medesimo rapporto complesso, non si può semplicisticamente ricondurre la fattispecie nella violazione di un precetto di infrazionabilità tout court, ma occorre ponderare la vicenda in ragione delle circostanze peculiari che hanno giustificato tale proposizione separata.

Così Cass., sez. 1, 17 aprile 2013, n. 9317 ha evidenziato che, in materia di insinuazione al passivo di crediti derivanti da un unico rapporto di lavoro subordinato, il principio di infrazionabilità del credito determina l'inammissibilità della domanda frazionata solamente nel caso in cui il rapporto si sia concluso, con conseguente definizione delle rispettive posizioni di debito e credito, ed il creditore abbia dichiarato, nonostante l'unitaria contezza delle proprie spettanze, di voler agire soltanto per una parte di esse, dovendosi, per contro, ritenere ammissibili una pluralità di domande, ove il creditore non abbia effettuato, senza essere in colpa, una considerazione unitaria di distinte voci di credito, ciascuna con autonomi elementi costitutivi, sia pure nella cornice di un unitario rapporto, restando esclusa, in tal caso, una connotazione di abusività della condotta.

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

ESTENSIONE E LIMITI DELL'INFRAZIONABILITÀ DEI CREDITI

Le pretese retributive relative a diversi segmenti temporali del medesimo rapporto di lavoro sono separabili, ossia azionabili in giudizio in via autonoma, senza che ciò determini una condizione di abuso del processo e la conseguente improponibilità delle pretese avanzate successivamente

Cass. – Sez. 1, 7 dicembre 2011, n. 26377, secondo cui è proponibile l'insinuazione tardiva al passivo in ordine al credito relativo alle ultime tre mensilità di retribuzione, benché il lavoratore si sia già tempestivamente insinuato nel fallimento del datore di lavoro per altre mensilità, oltre che per il trattamento di fine rapporto, fatto salvo il regolamento delle spese per l'ipotesi di frazionamento ingiustificato della domanda

Il credito derivante da un unico contratto, benché sia portato da separate fatture, resta comunque un credito unitario, sicché il suo frazionamento giudiziale, contestuale o sequenziale, integra un abuso del processo per violazione dei principi di buona fede e correttezza, con la conseguente declaratoria di improponibilità della domanda successiva con cui si chiede la condanna al pagamento di ulteriori porzioni del medesimo credito

Cass. – Sez. 6-1, 9 marzo 2015, n. 4702; Cass. – Sez. 2, 27 maggio 2008, n. 13791, secondo cui le 24 fatture relative a crediti nascenti dallo stesso contratto di somministrazione del servizio idrico costituiscono un'unica legittima richiesta creditoria, artificiosamente frazionata

Non ricorre una condotta di abuso del processo con riferimento alla proposizione di distinte domande volte a far valere crediti derivanti da diverse obbligazioni, sebbene omogenee

Cass., sez VI-2, 26 settembre 2016, n. 18810, secondo cui possono essere richiesti in giudizio separatamente i compensi professionali relativi allo svolgimento di perizie assicurative conferite con singoli incarichi e collegate a diversi sinistri

È possibile il frazionamento giudiziale dei crediti derivanti da rapporti contrattuali anomali, con successione di contratti per le annualità successive, trattandosi di rapporti obbligatori distinti, anche se omologhi

Cass., sez. I, 31 ottobre 2016, n. 22037, secondo cui non ricorre l'abuso del processo nel caso del pagamento di prestazioni socio-assistenziali annuali dovute da una Regione al medesimo soggetto, avendo quest'ultima stipulato più contratti annuali che hanno dato vita a distinti rapporti obbligatori

Non ricade nell'abuso del processo l'ipotesi in cui il medesimo credito sia parcellizzato in ragione della ricorrenza dei presupposti per l'esercizio dell'azione monitoria solo con riferimento ad una quota di esso, poiché è diritto del creditore accedere ad una tutela accelerata, mediante decreto ingiuntivo, per la parte di credito assistita dai requisiti per la relativa emanazione, sicché la pretesa fatta valere in via ordinaria, con riguardo alla parte di credito non assistita da prova documentale, non è improponibile

Cass., sez. II, 7 novembre 2016, n. 22574; Cass., sez. II, 18 maggio 2015, n. 10177, secondo cui l'attore che, a tutela di un credito nascente da un unico rapporto obbligatorio (segnatamente per il pagamento di compensi professionali), agisce - dapprima - con ricorso monitorio per la somma già documentalmente provata e - poi - in via ordinaria per il residuo non viola il divieto di frazionamento di quel credito in plurime domande giudiziali e non incorre, pertanto, in abuso del processo, quale sviamento dell'atto processuale dal suo scopo tipico, in favore di uno scopo diverso ed estraneo al primo

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La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con ord. interlocutoria del 25 gennaio 2016, n. 1251 ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite, avendo rilevato contrasti nella giurisprudenza della Corte sulla seguente questione: se il principio di infrazionabilità della domanda giudiziale, pena l'improponibilità della successiva azione volta a far valere la pretesa parcellizzata, operi esclusivamente all'interno di un rapporto obbligatorio ritenuto unico in senso proprio oppure si estenda anche al rapporto di lavoro da cui discende una pluralità di obbligazioni, ognuna con una specifica fonte, di natura legale oppure contrattuale e, più specificamente, “se, una volta cessato il rapporto di lavoro, il lavoratore debba avanzare in un unico contesto giudiziale tutte le pretese creditorie che sono maturate nel corso del suddetto rapporto o che trovano titolo nella cessazione del medesimo e se il frazionamento di esse in giudizi diversi costituisca abuso sanzionabile con l'improponibilità della domanda”.

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Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la pronuncia 16 febbraio 2017, n. 4090,, hanno sancito il principio di diritto secondo cui le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell'identica vicenda sostanziale - le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata e, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183 c.p.c., riservando, se del caso, la decisione, con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101, comma 2, c.p.c.

Il caso concreto e le posizioni delle parti

La Corte d'appello di Torino ha accolto la domanda dell'appellante, intesa al ricalcolo del premio di fedeltà con inclusione dello straordinario prestato a titolo continuativo, in difformità dalla sentenza di primo grado, che aveva invece dichiarato improponibile la domanda, siccome successiva ad altra, anch'essa proposta dopo la cessazione del rapporto di lavoro, ed intesa ad ottenere la rideterminazione del TFR tenendo conto di alcune voci retributive percepite in via continuativa. Con un unico motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e art. 111 Cost., la società ricorrente ha sostenuto che la domanda proposta in giudizio avrebbe violato il divieto di abuso del processo per indebito frazionamento, come affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 23726 del 2007, poiché: a) entrambe le domande scaturivano da un unico rapporto obbligatorio, avente ad oggetto il contratto di lavoro; b) la scelta di parcellizzare i giudizi non era in alcun modo motivata; c) il lavoratore, al momento dell'attivazione della prima vertenza, era nelle condizioni di fatto e di diritto per far valere entrambe le pretese e non aveva addotto alcuna ragione a sostegno della scelta di promuovere giudizi separati.

Primo asserto: l'infrazionabilità si riferisce al singolo credito e non al fascio di pretese riconducibili ad un rapporto complesso

In prima battuta, la Suprema Corte ha chiarito che, quando Cass., Sez. Un., n. 23726/2007 ha affrontato il tema della (in)frazionabilità del credito, si è riferita sempre ad un singolo credito, non ad una pluralità di crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso. Pertanto, l'espressione “unico rapporto obbligatorio”, anche alla luce dello specifico contesto su cui la pronuncia della Corte si è innestata, esclude che il divieto di parcellizzazione sia applicabile, non (soltanto) in relazione ad un singolo credito, bensì (anche) in relazione ad una pluralità di crediti imputabili ad un unico rapporto di durata. Ne consegue che l'infrazionabilità del singolo diritto di credito non comporta inevitabilmente (tanto meno implicitamente) la necessità di agire nel medesimo, unico processo per diritti di credito diversi, distinti ed autonomi, anche se riconducibili ad un medesimo rapporto complesso tra le stesse parti.

Siffatta conclusione si sorregge su tre argomenti concorrenti: la disciplina processuale, l'appesantimento e l'allungamento del processo e il pregiudizio economico.

a) La disciplina processuale

Per un verso, la tesi secondo cui più crediti distinti, ma relativi ad un medesimo rapporto di durata, debbono essere necessariamente azionati tutti nello stesso processo non trova conferma nella disciplina processuale, la quale viceversa consente la proposizione in tempi e processi diversi di domande intese al recupero di singoli crediti facenti capo ad un unico rapporto complesso esistente tra le parti, come può arguirsi dagli artt. 31, 40 e 104 c.p.c. in tema di domande accessorie, connessione, proponibilità nel medesimo processo di più domande nei confronti della stessa parte. Ulteriori spunti in tal senso possono trarsi dalla contemplata possibilità di condanna generica ovvero dalla prevista necessità ex art. 34 c.p.c. di esplicita domanda di parte perché l'accertamento su questione pregiudiziale abbia efficacia di giudicato. D'altro canto, l'elaborazione giurisprudenziale e dottrinaria in tema di estensione oggettiva del giudicato perderebbe gran parte di significato se dovesse ritenersi improponibile qualunque azione per il recupero di un credito solo perché preceduta da altra, intesa al recupero di credito diverso e tuttavia riconducibile ad uno stesso rapporto di durata tra le medesime parti, a prescindere dal passaggio in giudicato della decisione sul primo credito o comunque dall'attrazione della diversa pretesa creditoria successivamente azionata al medesimo ambito oggettivo di un giudicato in fieri tra le stesse parti, relativo al medesimo rapporto di durata.

b) L'appesantimento e l'allungamento del processo

Per altro verso, una generale previsione di improponibilità della domanda relativa ad un credito dopo la proposizione da parte dello stesso creditore di domanda riguardante altro e diverso credito, ancorché relativo ad un unico rapporto complesso, risulterebbe ingiustamente gravatoria della posizione del creditore, il quale sarebbe costretto ad avanzare tutte le pretese creditorie derivanti da un medesimo rapporto in uno stesso processo e, quindi, in uno stesso momento, dinanzi al medesimo giudice e secondo la medesima disciplina processuale. Ciò implicherebbe l'indebita sottrazione all'autonoma disciplina prevista per i diversi crediti vantati e la perdita, a titolo esemplificativo, della possibilità di agire in via monitoria per i crediti muniti di prova scritta o di agire dinanzi al giudice competente per valore per ciascuno dei crediti - quindi di fruire del più semplice e spedito iter processuale eventualmente previsto dinanzi a quel giudice -, con la possibile esposizione alla necessità di scegliere di proporre (o meno) una tempestiva insinuazione al passivo fallimentare e con il rischio di improponibilità di successive insinuazioni tardive per altri crediti. In ogni caso, l'onere di agire contestualmente per crediti distinti, che potrebbero essere maturati in tempi diversi, avere diversa natura (ad esempio -come frequentemente accade in relazione ad un rapporto di lavoro - retributiva e risarcitoria), essere basati su presupposti in fatto e in diritto diversi e soggetti a diversi regimi in tema di prescrizione o di onere probatorio, oggettivamente complica e ritarda di molto la possibilità di soddisfazione del creditore, traducendosi quasi sempre - non in un alleggerimento bensì - in un allungamento dei tempi del processo, dovendo l'istruttoria svilupparsi contemporaneamente in relazione a numerosi fatti, ontologicamente diversi ed eventualmente tra loro distanti nel tempo. É verosimile che per questa via il processo (lungi dal costituire un agile strumento di realizzazione del credito) finisca per divenire un contenitore eterogeneo smarrendo ogni duttilità, in violazione del principio di economia processuale, inteso come principio di proporzionalità nell'uso della giurisdizione.

c) Il pregiudizio economico

Infine, l'affermazione di un principio generale di necessaria azione congiunta per tutti i diversi crediti nascenti da un medesimo rapporto di durata, a pena di improponibilità delle domande proposte successivamente alla prima, sarebbe suscettibile di arrecare pregiudizievoli conseguenze sul piano economico. Facendo, infatti, riferimento, anche in chiave futura, non solo ai crediti derivanti dai rapporti di lavoro, ma a tutti i crediti riferibili a rapporti di durata, anche tra imprese (consulenza, assicurazione, locazione, finanziamento, leasing), la necessità che essi siano ineluttabilmente tutti veicolati - pena la perdita della possibilità di farli valere in giudizio - in un unico processo monstre (meno spedito dei processi adeguati per i singoli, differenti crediti) risulta incompatibile con un sistema inteso a garantire l'agile soddisfazione del credito, quindi a favorire la circolazione del danaro e ad incentivare gli scambi e gli investimenti.

Secondo asserto: la tutela processuale frazionata è comunque abusiva ove non corrisponda ad un interesse oggettivamente valutabile

La Corte di legittimità soggiunge però che, con riferimento a tali crediti, il ricorso alla tutela giudiziale frazionata non può essere ammesso senza limiti. La disciplina codicistica innanzi richiamata - relativa, tra l'altro, a connessione, domande accessorie, preclusione da giudicato - si presta in realtà ad una significativa lettura speculare. Se è vero, infatti, che la citata disciplina ipotizza la proponibilità delle pretese creditorie suddette in processi (e tempi) diversi, è anche vero che essa è univocamente intesa a consentire, ove possibile, la trattazione unitaria dei suddetti processi e comunque ad attenuare o elidere gli inconvenienti della proposizione e trattazione separata dei medesimi. Con riguardo alle domande connesse, che siano inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un ipotizzabile giudicato, pur non escludendone la separata proponibilità, l'ordinamento detta una disciplina atta ad evitare, ove possibile, la duplicazione di attività istruttoria e decisoria, il rischio di giudicati contrastanti, la dispersione dinanzi a giudici diversi della conoscenza di una medesima vicenda sostanziale. Ne consegue che, se sono proponibili separatamente le domande relative a singoli crediti distinti, pur riferibili al medesimo rapporto di durata, le questioni relative a tali crediti che risultino inscrivibili nel medesimo ambito di altro processo precedentemente instaurato, così da potersi ritenere già in esso deducibili o rilevabili - nonché, in ogni caso, le pretese creditorie fondate sul medesimo fatto costitutivo - possono anch'esse ritenersi proponibili separatamente, ma solo se l'attore risulti in ciò assistito da un oggettivo interesse al frazionamento.

L'interesse sul quomodo dell'agire

Ad avviso della S.C. si impone a questo punto un chiarimento. Il giusto processo regolato dalla legge resta affidato non solo alle norme che lo regolano, bensì anche agli stessi protagonisti del processo (giudice e parti), responsabilizzati, ciascuno per quanto di competenza, a dare concreta e corretta attuazione alla relativa normativa. Tali concetti, affermati dalla giurisprudenza di legittimità soprattutto con riguardo al principio di non contestazione, quindi con riguardo, in particolare, alla posizione del convenuto, non possono che ritenersi riferiti anche all'attore, il quale deve farsi carico di un esercizio consapevole e responsabile del diritto di azione che la Costituzione garantisce. Pertanto, se l'interesse ad agire esprime il rapporto di utilità tra la lesione lamentata e la specifica tutela richiesta, è da ritenersi, nella prospettiva di un esercizio responsabile del diritto di azione, che tale rapporto abbia ad oggetto anche le caratteristiche della suddetta tutela, con la conseguenza che l'interesse di cui all'art. 100 c.p.c. investe non solo la domanda ma anche, ove rilevante, la scelta delle relative modalità di proposizione. Non si tratta quindi di valutare caso per caso (in relazione al bilanciamento degli interessi di ricorrente e resistente) l'azionabilità separata dei diversi crediti, né tanto meno si tratta di accertare eventuali intenti emulativi o di indagare i comportamenti processuali del creditore agente sul versante psico-soggettivistico. Quel che rileva è che il creditore abbia un interesse oggettivamente valutabile alla proposizione separata di azioni relative a crediti riferibili al medesimo rapporto di durata ed inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un ipotizzabile giudicato, ovvero fondati sul medesimo fatto costitutivo.

Il rilievo dell'interesse al frazionamento

Sul piano della dialettica processuale è indubbio che al creditore procedente debba essere consentito di provare ed argomentare ogni qual volta il convenuto evidenzi la necessità di siffatto interesse e ne denunci la mancanza. Ove il convenuto nulla abbia allegato o dedotto in proposito, il giudice che rilevi ex actis la necessità di un interesse oggettivamente valutabile al “frazionamento” e ne metta in dubbio l'esistenza, dovrà indicare la questione ex art. 183 c.p.c. e, se del caso, riservare la decisione ed assegnare alle parti termine per memorie ex art. 101, secondo comma, c.p.c.

Effetti derivanti da un rapporto complesso: pregiudizialità-dipendenza in senso logico

La discriminazione, ai fini della delimitazione in via di principio dell'ambito applicativo della regola di infrazionabilità giudiziale, tra unicità del credito e crediti che trovano genesi in un rapporto complesso, evoca l'inferenza del concetto processuale di pregiudizialità-dipendenza in senso logico sui limiti oggettivi del giudicato. Il credito unitario è quello che deriva da un'unica obbligazione e finisce con l'identificarsi con l'unità economica della prestazione che ne forma oggetto. Viceversa, si rientra nell'alveo dei crediti che discendono da un rapporto complesso, qualora le plurime prestazioni costituiscano effetti di un rapporto obbligatorio articolato, che ne rappresenta la comune matrice: tale fascio di crediti è avvinto geneticamente al medesimo rapporto, ma ciascun effetto mantiene una propria autonomia strutturale. Sul punto, si riscontrano due distinti fenomeni di pregiudizialità/dipendenza, quella in senso logico e quella in senso tecnico. Nella pregiudizialità logica il nesso di dipendenza intercorre tra il singolo effetto giuridico ed il rapporto obbligatorio complesso di cui è parte o su cui si fonda tale effetto giuridico ed è tale per cui l'esistenza della singola coppia pretesa/obbligo dipende dall'esistenza del rapporto obbligatorio complesso. La giurisprudenza maggioritaria è costante nel ritenere che i limiti oggettivi del giudicato si estendono sempre all'intero rapporto giuridico complesso, costitutivo del singolo effetto giuridico immediatamente dedotto in giudizio come petitum. Da ciò deriva che, ove siano proposte domande che si trovino in rapporto di pregiudizialità logica, quali la domanda di condanna al pagamento del canone e la domanda di accertamento del rapporto di locazione, la domanda di pagamento della retribuzione e la domanda di accertamento del rapporto di lavoro subordinato, l'oggetto o petitum di uno dei due giudizi, quello concernente l'accertamento del rapporto obbligatorio complesso, è già compreso in quello dell'altro, pur non coincidendo con esso. In altri termini, tra le domande che si trovano in rapporto di pregiudizialità logica sussiste parziale identità di petitum, che dà luogo al fenomeno della continenza di cause. A fenomeni di connessione, invece, conduce sempre la pregiudizialità tecnica. Nella pregiudizialità tecnica il nesso di pregiudizialità/dipendenza intercorre tra rapporti giuridici diversi ed è tale per cui l'esistenza di uno dipende dall'esistenza o inesistenza dell'altro. Ciò significa che l'esistenza dell'effetto o rapporto giuridico dipende dall'esistenza del diritto o rapporto giuridico ovvero dall'inesistenza del diritto o rapporto impeditivo, modificativo, estintivo. Nella fattispecie della connessione per pregiudizialità tra domande sussiste un nesso di natura sostanziale tale per cui il diritto che forma oggetto della domanda pregiudiziale assume rilevanza di fatto costitutivo, impeditivo, modificativo, estintivo del diritto che forma oggetto della domanda dipendente. In altri termini, il petitum della domanda pregiudiziale è parte della causa petendi o fatto impeditivo, modificativo, estintivo della domanda dipendente. Alla connessione per pregiudizialità fra le stesse parti appartengono le figure descritte dagli artt. 31 (cause accessorie), 34 (accertamenti incidentali), 35 (eccezione di compensazione) e, in parte, 36 (cause riconvenzionali) c.p.c.. L'art. 31 c.p.c. prevede l'ipotesi che la domanda principale e la domanda dipendente siano cumulate nello stesso processo ab initio dall'attore. L'art. 34 c.p.c. invece prevede l'ipotesi in cui, nel corso di un processo originariamente relativo alla sola causa dipendente, sorga una questione pregiudiziale di merito che, per esplicita domanda di una delle parti o per volontà di legge, debba essere accertata con autorità di cosa giudicata.

Ebbene, quando la pronuncia in commento fa riferimento al rapporto obbligatorio complesso da cui traggono origine plurimi diritti di credito, allude appunto al nesso di pregiudizialità-dipendenza in senso logico, e più specificamente all'ipotesi in cui più effetti del medesimo rapporto siano dedotti in giudizio autonomamente.

In conclusione

All'esito di Cass., Sez. Un., n. 4090/2017 resta confermata l'impostazione di fondo, sottesa a Cass., Sez. Un., n. 23726/2007, sia con riguardo all'enunciazione del principio sia con riferimento all'individuazione delle conseguenze della sua violazione: la regola dell'infrazionabilità giudiziale dei crediti, ossia il divieto di parcellizzazione, la cui trasgressione integra la categoria dell'abuso del processo, e non un abuso processuale da emarginare alla fattispecie concreta, con l'effetto che la sanzione si riflette sull'atto e non sul comportamento, ossia importa l'improponibilità della domanda giudiziale avanzata successivamente e non la mera incidenza sulla regolamentazione delle spese di lite. Piuttosto, l'autentica innovazione di Cass., Sez. Un., n. 4090/2017 può essere ravvisata nella previsione che la richiamata regola di infrazionabilità giudiziale dei crediti, pena l'integrazione della categoria dell'abuso del processo, con la sanzione specifica all'uopo comminata, non ha una portata assoluta ma relativa: essa è superabile qualora emerga un interesse oggettivamente apprezzabile che giustifica la parcellizzazione del caso concreto. Tale ponderazione deve avvenire tenendo conto dei pregiudizi concreti che la separazione delle azioni può arrecare sulle esigenze di economia processuale e dell'incidenza dell'interesse ad agire non solo sull'an della domanda da proporre, ma anche sul quomodo della sua proposizione. A ben vedere la discriminazione, agli effetti della realizzazione dell'abuso per contravvenzione alle clausole di buona fede e correttezza in sede processuale, tra pretesa creditoria derivante da un rapporto obbligatorio unico ovvero dall'obbligazione, pretesa che si identifica con l'unità economica della prestazione, e pretese creditorie derivanti da un rapporto obbligatorio complesso, ossia il fascio di obbligazioni avvinte ad un rapporto composito e articolato mediante un nesso di pregiudizialità-dipendenza in senso logico, deve essere stigmatizzata, poiché nella sostanza il trattamento loro riservato è omogeneo. Benché apparentemente la pronuncia in commento sancisca che per i crediti unitari la regola è quella della non scorporabilità, ai fini dell'azione in giudizio, e l'eccezione è quella del frazionamento, qualora ricorra un interesse oggettivamente rilevante, mentre per i crediti discendenti da rapporti complessi la regola è quella della parcellizzazione e l'eccezione è quella dell'infrazionabilità, ove non sussista un interesse oggettivamente apprezzabile alla separazione, in realtà, sul piano della distribuzione degli oneri processuali, alligatori e probatori, il regime è identico. In entrambi i casi sarà onere dell'attore giustificare ex ante il frazionamento operato ovvero tale giustificazione dovrà essere resa su eccezione della parte convenuta ovvero all'esito della richiesta di chiarimenti proveniente d'ufficio dal giudice entro la prima udienza di comparizione e trattazione, cui potrà seguire la concessione di uno specifico termine per il deposito di memorie. Sicché può concludersi nel senso che il principio di infrazionabilità relativa dei crediti ha in effetti un campo applicativo generalizzato.

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