Profili dubbi dell'indagine dattiliscopica

Roberto Gennari
31 Agosto 2015

Le indagini dattiloscopiche hanno lo scopo di individuare la persona che ha lasciato un'impronta papillare o accertare il legame, sempre che esista, tra una superficie sulla quale l'impronta si trova ed un soggetto. Le impronte papillari sono un dato biometrico personale molto importante che trova applicazione in molti settori. Non necessariamente il fine è giudiziario. Si fa uso delle impronte per porre dei limiti all'accesso di persone in determinate aree o per impedire l'utilizzo di strumentazioni.
Abstract

Le indagini dattiloscopiche hanno lo scopo di individuare la persona che ha lasciato un'impronta papillare o accertare il legame, sempre che esista, tra una superficie sulla quale l'impronta si trova ed un soggetto.

Le impronte papillari sono un dato biometrico personale molto importante che trova applicazione in molti settori. Non necessariamente il fine è giudiziario. Si fa uso delle impronte per porre dei limiti all'accesso di persone in determinate aree o per impedire l'utilizzo di strumentazioni. Non c'è dubbio, però, che da oltre un secolo sono ancora uno dei più significativi oggetti di prova di cui si avvale il processo penale allo scopo di individuare l'autore del crimine, a prescindere dalla gravità e dalla tipologia del crimine stesso. Di conseguenza, è forte l'esigenza di ognuna delle parti processuali di conoscerne lineamenti, punti di forza e criticità così da comprendere cosa effettivamente c'è “dietro” ad un responso tecnico presentato, in corso di indagini o di dibattimento, da un esperto dattiloscopista.

Dottrina e protocolli

Dattiloscopia (parola composta da dattilo, dal greco dàktylos, = dito, e da scopia, skopìa, = esame) è un termine coniato alla fine del 1800 dallo statistico argentino Fancisco Latzina nella sua pubblicazione "Reminiscencias Platenses" per indicare un insieme di attività scientifico/forensi che riguardano lo studio delle creste papillari presenti sulla pelle che ricopre i polpastrelli, il palmo delle mani e la pianta dei piedi, nonché lo studio delle impronte (impronte papillari appunto) che le stesse producono sulle varie superfici.

(Andrea Giuliano, Impronte digitali. Lineamenti di dattiloscopia, Torino, 2014)

Il responso di un'indagine dattiloscopia, nel nostro Paese, è considerato un risultato definitivo, una specie di “punto fermo”, un'expertise oggettiva che non lascia molto spazio alla discussione; insomma, un esito le cui conclusioni si intendono basate su un processo logico deduttivo.

In realtà, benché costituisca un mezzo di prova molto “forte” e poco ambiguo, presenta delle criticità e limiti che è bene saper individuare in quanto, a volte, influenti nelle decisioni da prendere. Anche in dattiloscopia vi possono essere delle situazioni di ambiguità.

Dottrina e protocolli

È generalmente noto nel nostro Paese che, per avere un riscontro dattiloscopico certo, sia necessaria la presenza di almeno 16-17 punti caratteristici, le minuzie. Non è, tuttavia, da escludere che un riscontro apparentemente oggettivo, costituito da una sommatoria di punti caratteristici, elementi oggettivi, superiore a 16-17, sia in effetti la sommatoria di 16-17 interpretazioni personali. Dall'esito di uno studio in cui una stessa impronta viene fatta esaminare a più esperti per indicare il numero di minuzie presenti, è emerso che ognuno di essi ha fornito valori differenti. Curiosità dell'esperimento, oltre alla varietà dei risultati ottenuti, è che poi nessuno dei periti ha indicato di averne trovate 15, un vuoto che gli studiosi hanno visto troppo vicino a quel limite, il sedicesimo punto, considerato indispensabile per un riscontro certo.

Le impronte papillari: nozioni preliminari

L'interesse scientifico per le impronte papillari risale alla metà del 1600 quando l'italiano Malpighi, nella sua pubblicazione De externo tactus organo del 1665, trattò in modo approfondito l'aspetto istologico e fisiologico della cute (ed è proprio in onore di tale studio che uno degli strati della pelle prende appunto il suo nome: strato Malpighi). È alla fine dell'800, invece, che si può far risalire l'utilizzo delle impronte lasciate dalle creste papillari per venir incontro ad esigenze di giustizia della società: identificare i recidivi e individuare i responsabili di eventi criminosi.

Dottrina e protocolli

L'esperto ricorda che le creste papillari sono la particolare conformazione della cute visibile sui polpastrelli e sulle relative zone delle falangi, sul palmo delle mani e sulla pianta dei piedi. Si parla, perciò, di impronta digitale, di impronta palmare o di impronta plantare quando si osserva una traccia che si riferisce al contatto con una di queste zone. Più genericamente si parla di impronta papillare quando si sconosce a quale di queste zone la traccia si possa riferire.

Questa particolare conformazione è caratterizzata da sporgenze, creste appunto, separate da solchi. Le creste, viste nel loro insieme, danno forma a delle figure con vortici, che vengono in genere utilizzate per la classificazione delle varie impronte e l'archiviazione dei documenti dove le stesse vengono assunte, mentre, osservando le stesse più da vicino, si può notare che presentano delle interruzioni o delle congiunzioni con le creste adiacenti. Queste piccole conformazioni sono chiamate in vario modo: punti caratteristici, minuzie o punti Galton. Osservando ancora più da vicino il polpastrello (con una lente) si potrà osservare che le creste presentano dei margini molto irregolari e, all'apice delle stesse e lungo il loro profilo, è possibile osservare file di pori dai quali fuoriesce il sudore proveniente dalle ghiandole ecrine sottostanti.

(Arcudi, Montanaro, L'identificazione del vivente e le impronte digitali, in Trattato di Medicina Legale e Scienze Affini, diretto da Giusti, II, Padova, 1998)

Dalla dattiloscopia hanno avuto origine:

  1. Lo studio delle impronte quale mezzo per la identificazione dei recidivi (attraverso lo studio delle particolari forme dei disegni papillari si sono sviluppati sistemi di classificazione e di archiviazione fino ad arrivare alla odierna banca dati elettronica AFIS, Automated Fingerprint Identification System ), un settore di conoscenze e di attività che nel nostro Paese, come in altri, ha una organizzazione ad hoc indicata come "Dattiloscopia Preventiva" e che ha come fine la identificazione di persone sconosciute a prescindere dal verificarsi di una vicenda criminale (il segnalamento di polizia).
  2. Lo studio delle impronte quale mezzo per identificare l'autore di un reato (attraverso lo sviluppo di sistemi di analisi di una traccia e dei modelli statistici per comprendere il valore della stessa e fino a che punto si può avere certezza che provenga da un soggetto rispetto ad un altro), un settore di conoscenze e di attività che nel nostro Paese indichiamo come "Dattiloscopia Giudiziaria" appunto per essere in funzione di un procedimento penale.
  3. Lo studio delle tecniche per individuare, esaltare e documentare le tracce sulle varie superfici.

Mentre nei primi due settori la dattiloscopia si evolve seguendo i differenti criteri che vanno dalla interpretazione di una traccia o dallo sviluppo della tecnologia attinente alla lettura e alla archiviazione ad aspetti esterni alla dattiloscopia (sociologici e politici), nel terzo settore lo sviluppo della dattiloscopia sostanzialmente corre in parallelo allo sviluppo delle scienze fondamentali (chimica, fisica e biologia) ed al conseguente sviluppo della tecnologia.

La possibilità di archiviare le impronte è il fondamento della dattiloscopia preventiva. Fino a qualche anno fa la classificazione veniva effettuata fisicamente attraverso la collocazione dei documenti di segnalamento (schede cartacee, di formato standardizzato, con dati biometrici, fotografici e dattiloscopici del soggetto segnalato) in archivi ed organizzati sulla base dei sistemi di classificazione delle impronte. Un importante ed internazionale sistema di classificazione è stato il sistema Henry mentre nel nostro Paese i documenti di segnalamento venivano organizzati negli archivi sulla base del sistema Gasti. Attualmente gli archivi cartacei sono generalmente affiancati, se non sostituiti, da sistemi di archiviazione elettronica: sistema APFIS (Automated Palmprint Fingerprint Identification System. Stesso significato dell'acronimo AFIS con l'aggiunta della P che sta per Palmprint in riferimento alle impronte palmari inserite nello stesso archivio).

L'identificazione dattiloscopica

L'identificazione dattiloscopica si basa su tre premesse fondamentali che ci riconducono poi ai più generali principi della criminalistica. Come si evince da tali principi, infatti, l'impronta più che una "traccia fisica" è la fisica riproduzione, più o meno dettagliata, di quest'ultima su una superficie. Per poter affermare che due impronte, che non possono definirsi uguali, provengano da una medesima sorgente, è necessario che dal confronto siano emersi due elementi:

  1. analizzate tutte le analogie, ciò che rimane, benché differente, rientra in un range di accettabilità o di tollerato, in quanto tale differenza è ritenuta non sufficiente per affermare una diversa provenienza, e la tolleranza è connessa alla chiarezza ed al livello di dettaglio dell'immagine;
  2. il numero ed il significato delle informazioni concordanti rilevate si ritengono sufficienti per escludere la probabilità o possibilità che quanto rilevato sia avvenuto per mera coincidenza. In altre parole, che si è "identificata" l'origine della traccia (termine ormai usato come sinonimo del più corretto "individuata").

Dottrina e protocolli
Sono tre i fondamentali postulati, o premesse, sui quali si fonda l'identificazione dattiloscopica:
  1. Il disegno papillare inizia a svilupparsi nel corso della vita fetale, rimane invariato per tutta la vita ed anche dopo la morte fino a quanto non si distrugge per la naturale decomposizione della pelle.
  2. Il disegno differisce tra un individuo e l'altro, ed anche tra dito e dito dello stesso individuo, e non si duplicherà mai anche nei suoi più minuti particolari.
  3. Benché tutti i disegni si distinguono nelle loro creste papillari, i loro disegni generali appaiono avere delle similarità che consentono una classificazione sistematica delle impronte.
(Ashbaugh, Quantitative-Qualitative Friction Ridge Analysis-An Introduction to Basic and Advanced Ridgeology, CRC Press, 1999)

In criminalistica, l'individuazione dell'origine di una generica impronta avviene attraverso un processo di riduzione nel corso del quale vengono di volta in volta escluse le possibili fonti che non condividono le informazioni individuate. Sostanzialmente, nel confronto non si cercano le coincidenze ma gli elementi discordanti che sono oltre il livello di tolleranza accettato e che quindi confermano una differente provenienza. Il processo va avanti per esclusione fino ad arrivare al punto ove tra l'impronta rilevata sulla scena del crimine e quella di fonte nota non si rilevano differenze, cioè fino alla individuazione della probabile origine. In questo processo, entrano in relazione due elementi: il "fattore di riduzione", dato dall'insieme e dal valore discriminante delle informazioni che costituiscono l'individualità della traccia, e la "popolazione di riferimento", che è l'insieme di individui, o oggetti, nell'ambito del quale si ritiene possa provenire la traccia. Il variare di questi due elementi fornisce il peso, in termini di probabilità, dell'elemento di prova. Questo approccio, che prevede una valutazione statistica dell'impronta, non è condiviso in tutti i settori della criminalistica, ancorché sia insito nei principi che ne sono alla base, e nonostante diversi studiosi, tra questi citiamo gli studi di Champod ed Evett, abbiano dimostrato come l'individuazione dell'origine di una traccia non possa che seguire un processo di tipo induttivo il cui risultato, benché apparentemente certo, è sempre probabile. E l'esperto deve sempre essere in condizioni di mostrare l'entità di questo errore, come tra l'altro la nota sentenza Daubert (Corte Suprema U.S.A.-1993) ha suggerito e le linee guida ENFSI indicano.

Nel confronto tra impronte balistiche, di calzatura, di utensile, consegue una valutazione di unica provenienza basata sulla intima convinzione dell'esperto. Nei settori appena citati, infatti, difficilmente troviamo che dietro un responso positivo vi siano dei calcoli statistici per misurare la probabilità di errore e per supportare l'esito fornito. Se questo fa apparentemente venir meno l'aspetto di scientificità dell'accertamento, bisogna tener presente che in queste situazioni l'errore è talmente ininfluente e le informazioni sono talmente discriminanti che, solitamente, si è nel cosiddetto “aldilà di ogni ragionevole dubbio” (quando si parla di errore, qui e nel resto del testo, si fa riferimento all'ambito di incertezza che il sistema di valutazione e calcolo comporta e non all'errore umano dovuto a disattenzione, bias o impreparazione). Per analogia, se accostiamo le due parti di un foglio di carta precedentemente strappato, per l'abbondanza delle informazioni date dalla casualità del profilo creato nello strappo non occorre molta esperienza, benché meno calcoli statistici, per convincerci che le due parti una volta erano unite. Il punto critico si nasconde, però, nel fatto che quando le informazioni sono limitate, l'esperto inconsapevolmente rimane esposto ad errori dovuti a bias cognitivi, dovendo lo stesso esprimersi solo in termini di certezza nell'uno o nell'altro senso. La corretta procedura ACE-V limita questo tipo di errore.

In relazione alle impronte papillari da più parti è indicata l'opportunità di procedere alla valutazione di una corrispondenza con approccio statistico. In questo caso, è consuetudine ritenere che la popolazione di riferimento sia quella mondiale, mentre il fattore di riduzione è costituito dalle informazioni rilevabili sulle creste ai diversi livelli di dettaglio che si sono riprodotti.

Dottrina e protocolli

Per parametrizzare i livelli di qualità in un modo da non creare ambiguità nell'analisi dei differenti esperti, si adotta una suddivisione della stessa nei differenti tre livelli di dettaglio, che per le impronte papillari sono:

I° livello. Se di una impronta si riescono ad osservare solo particolari di primo livello significa che si possono distinguere solo l'andamento del flusso delle creste papillari che appaiono come una serie di piccole righe che scorrono una a fianco all'altra formando dei vortici e delle caratteristiche figure. Queste informazioni sono normalmente utilizzate per la classificazione ed archiviazione dei documenti di segnalamento. Ai fini della individuazione dell'origine della traccia papillare, il disegno può comunque fornire ulteriori informazioni, benché vaghe: ad esempio sulla provenienza nel mondo della persona attraverso i dati statistici relativi alla frequenza del disegno nella popolazione, oppure sul sesso, attraverso l'analisi della distanza media tra le creste papillari.

II° livello. Se osserviamo più attentamente una impronta, eventualmente anche con una piccola lente, riusciamo a scorgere che le creste in effetti presentano delle interruzioni in alcuni punti casuali oppure si congiungono ad altre creste adiacenti. Questi particolari, che rientrano nel II° livello di dettaglio, vengono chiamati solitamente con il termine "minuzia" o "punto caratteristico" e sono molto importanti nell'analisi, nel confronto e nella valutazione dell'impronta in quanto consentono, considerati in combinazione tra loro, di giungere alla individuazione dell'origine della traccia. Non esiste una catalogazione unica delle minuzie

III° livello. Se ci troviamo di fronte ad una impronta molto dettagliata o di alta qualità significa che della stessa, con una lente, possiamo distinguere anche l'intrinseca forma di ogni singola cresta, i pori ed i dettagli degli stessi che, essendo all'apice della cresta, appariranno nell'impronta come una serie continua di piccoli pori nella zona centrale della riga che la rappresenta. Sono queste informazioni molto dettagliate che, come sopra detto, impongono un livello di tolleranza per l'esclusione molto ristretto ma, di contro, anche un piccolissimo frammento papillare potrebbe contenere un numero sufficiente di informazioni per esprimersi, in un confronto, con un giudizio finale di unica provenienza.

(Ashbaugh, Quantitative-Qualitative Friction Ridge Analysis- An Introduction to Basic and Advanced Ridgeology, CRC Press, 1999)

Ad ogni modo raramente viene seguito in dattiloscopia un approccio che prevede una conclusione in termini di probabilità: dall'esperto ci si aspetta di comprendere se una impronta papillare sia o meno da riferire ad un soggetto, ed è consuetudine per l'esperto di rispondere in termini di certezza. È comunque da ricordare che il rapporto tra i valori in gioco (popolazione di riferimento ed informazioni rilevabili nell'impronta) fa sì che una conclusione sia solitamente certa al di la di ogni ragionevole dubbio.

In dattiloscopia sono generalmente diffusi due tipi di approcci che poi portano a conclusioni così determinate: di tipo olistico e con standard numerico. Nel primo, la valutazione consegue all'osservazione di tutte le informazioni rilevabili sull'impronta e, in linea con questa posizione sono tutti i Paesi aderenti all'IAI (Internatianal Association for Identification) che infatti non prevedono una standard minimo affidando, tutto, alla competenza e all'esperienza del dattiloscopista (in modo analogo a come abbiamo appena detto per le impronte di armi o di utensile). Per questi non è concepito l'uso della probabilità ma, in quanto approccio olistico, una conclusione non può che essere positiva, negativa o inconcludente. La correttezza del risultato, essendo la conclusione l'esito di una interpretazione personale, è affidata alla esperienza e professionalità dell'esperto che ha svolto l'accertamento nel rispetto della procedura ACE-V.

Nel secondo, la valutazione prevede il raggiungimento di uno "standard numerico" di minuzie che è una combinazione di punti caratteristici minima, prestabilita e ritenuta sufficiente per dare sicurezza sulla unicità della configurazione. La garanzia del risultato è pertanto affidata alla rarità della combinazione di minuzie imposta dallo standard numerico da raggiungere piuttosto che dalla esperienza e competenza dell'operatore, benché comunque queste siano sempre importanti nella interpretazione dei dati. La presenza di uno standard impone una conclusione che non può che essere o positiva o negativa. Un risultato inconcludente potrebbe verificarsi solo nel caso di un confronto tra impronte con entrambe un numero sufficiente di minuzie, ma che si riferiscono a zone differenti del disegno papillare. Impronte con meno minuzie vengono ritenute non utilizzabili, quindi scartate a priori dal dattiloscopista.

Questo standard varia nei vari Paesi. Gran parte degli stessi rientrano in un range tra 8 e 12, e questo perché lo standard fa seguito alle indicazioni di Edmond Locard (dirigente del primo servizio di polizia scientifica che è sorto a Lione in Francia nei primi del 900) il quale, riferendosi alle indicazioni del contemporaneo Balthazard, indicò 12 come quantitativo più che sufficiente per dare certezza di unica provenienza, ma aggiunse che il limite poteva essere ridotto fino a 8 in presenza di alta qualità della traccia. Con meno di 8 minuzie la traccia non avrebbe garantito la certezze ma per Locard era comunque da ritenere valida per le indagini.

Dottrina e protocolli

Comprendere il livello di unicità di una impronta, o la probabilità di trovare una impronta dalle medesime caratteristiche proveniente da altra persona, è stato argomento di interesse già dalla fine dell'ottocento. I primi studi risalgono a Galton che sviluppò in quel periodo un primo modello matematico. Da allora si sono susseguiti diversi altri studi e l'argomento è tuttora di elevato interesse. Nella tabella che segue sono elencati i principali. Gran parte di questi sono basati sulle informazioni di secondo livello, cioè sul calcolo della probabilità di trovare un'altra analoga combinazione di minuzie. Di grande importanza è la relazione matematica sviluppata da Balthazard nel 1911 secondo la quale la probabilità di trovare una determinata combinazione di minuzie P(C) equivale a: P(C/R) = (1/4)N . E' dalla stessa che infatti ha avuto origine il limite delle 16-17 minuzie che abbiamo nel nostro paese. In particolare, il 4 nella formula indica i tipi di minuzie possibili presi a riferimento (biforcazione e termine di cresta nei due orientamenti); l'N si riferisce al numero di minuzie individuate. Una combinazione di 17 minuzie la si può incontrare, secondo la relazione, una volta ogni circa 1,7 miliardi di persone. Il valore, siccome corrispondeva all'allora popolazione mondiale, è divenuto nel tempo il noto limite di certezza di unica provenienza dell'impronta.

(Stoney, Thornton, A critical Analysis of Quantitative Fingerprint Individuality Models, in Journal of Forensic Sciences, 31, n. 4, 1986, 1187 ss.)

In Italia, benché è riconosciuta dalla gran parte degli esperti l'importanza di distinguere il valore che può avere anche una singola minuzia o anche un frammento con un numero limitato delle stesse (non mancano esempi con valutazione statistica per venire incontro alle esigenze di particolari situazioni investigative), di fatto si mantiene il limite di sicurezza di 17 minuzie per confermare l'utilizzabilità di un frammento papillare per l'identificazione personale. Cioè si segue lo standard numerico.

Questo limite, indicato a volte con 16-17, costituisce il minimo da raggiungere per escludere la possibilità di un errore per falso positivo. È infatti relativamente elevato, quindi ritenuto una garanzia dal nostro sistema giudiziario a tal punto che è indicato come tale (certezza di unica provenienza) nelle diverse Sentenze della Suprema Corte che si sono susseguite nel tempo a partire da quella alla quale si fa prevalentemente riferimento del 21 aprile 1954 della Suprema Corte, Sez. II, o del 14 novembre 1959 (Cass. Sez. II n. 2559) il cui contenuto è riportato nel riquadro che segue.

Case report

«Conformemente ai risultati delle più moderne ricerche scientifiche, l'indagine identificativa di una persona attraverso le impronte digitali dà piena garanzia di attendibilità senza bisogno di elementi sussidiari di certezza, quando si riscontri l'esistenza, senza bisogno di elementi sussidiari di certezza, di almeno 16-17 punti caratteristici uguali per forma e posizione anche se le impronte appartengono solo alla porzione di un dito».

Negli stessi termini, la Corte si è espressa in ogni altra occasione in cui si è occupata dell'argomento, da ultimo con la sentenza del 27 ottobre 2014 (Cass. Sez. III, n. 44561).

In effetti questo limite ha origine dagli studi effettuati da Balthazard sopra citati.

Operare con uno standard numerico, ha sì il vantaggio di minimizzare l'errore per falso positivo, ma va rilevato che con lo stesso si presentano alcune criticità che è importante conoscere. Aggravate dal fatto che il raggiungimento del limite porta un senso di sicurezza nell'operatore di poca esperienza che fa venir meno quell'impegno a verificare e a pensare all'ipotesi di un falso positivo benché si è raggiunto il limite.

È ad esempio importante comprendere che, attualmente, con l'uso delle banche dati AFIS per la ricerca delle persone alle quali potrebbero essere attribuite le impronte rilevate sulla scena del crimine, affidarsi allo "standard numerico", benché elevato, senza comprenderne i limiti in questo nuovo contesto, può comportare dei rischi nella valutazione di una corrispondenza. A tal proposito, per comprendere meglio l'influenza di una banca dati nel confronto dattiloscopico, si può richiamare una analogia con la festa di compleanno citata da Neumann nel suo lavoro: “se si ha una popolazione di 100 abitanti, qual è la probabilità di imbattersi in una persona che condivida lo stesso proprio compleanno?” La risposta è: uno sugli eventi possibili, cioè 1 su 365, ossia lo 0,27%. La situazione cambia se ci si pone invece una domanda differente: qual è la probabilità che nel mezzo della popolazione di 100 abitanti vi sia una persona con lo stesso proprio compleanno? La probabilità in questo caso è maggiore: quasi 1 su 4, cioè il 23,9%.

Ritornando alle impronte, nel primo caso si ha un confronto one to one: se si considera un sospetto individuato attraverso le indagini, qual è la probabilità che l'impronta corrisponda allo stesso (è uno sulla rarità della combinazione di minuzie presa in considerazione). Mentre se il sospetto lo si è individuato attraverso la banca dati AFIS si è allora fatto un confronto analogo al secondo esempio: one to many, ove la probabilità di un falso positivo è molto più elevata e non è più scongiurata, come per il primo esempio, dallo standard numerico.

Altro elemento di criticità dello standard numerico è costituito dalle minuzie che vengono individuate.

Riconoscere quali sono le minuzie da utilizzare nel confronto non è un aspetto secondario, soprattutto nei Paesi, come il nostro, ove esiste un limite determinato ed ove lo stesso è anche il limite per una sua utilizzabilità nel processo, quindi nella attribuzione di responsabilità penali. Quando ad esempio un "trattino" è da considerare due "termini di cresta"? oppure quando un "lago" è da considerare due "biforcazioni". È chiaro che a questa (a volte soggettiva) scelta consegue il raggiungimento o meno del limite; ecco perché, come sopra abbiamo detto, per quanto oggettivo lo stesso appaia (non è raro infatti che l'oggetto di discussione nel corso del dibattimento sia l'interpretazione data alla minuzia dalla quale deriva il totale raggiunto) può, invece, nascondere il risultato di una sommatoria di interpretazioni personali. Va da se che questo tipo di criticità si presenta in un approccio ove vi è una acritica osservanza dello standard numerico da raggiungere e non una valutazione della traccia in quanto tale, con le sue caratteristiche, a prescindere dal tipo di approccio scelto. E' infatti da precisare che una minuzia "composta" (che è un insieme di minuzie “fondamentali”, come il citato “lago”) è un evento raro, la quasi totalità dei confronti sono basati su minuzie fondamentali, come tra l'altro dovrebbe essere, vista l'origine del limite numerico; ma, anche se fosse, una minuzia “composta” possiede già di per se un valore molto più elevato nella valutazione dell'impronta (ritornando all'esempio, nel considerare una minuzia di tipo "lago" come due "biforcazioni" certamente si ha il guadagno di una minuzia ma si perde molto di più in termini di valore statistico dell'intera combinazione di minuzie).

Dottrina e protocolli

Una minuzia è un evento naturale/biologico di disturbo al regolare flusso delle creste papillari. La stessa può assumere la forma di una biforcazione, di un termine di cresta o di un punto. Tutti gli altri tipi di minuzia sono una conformazione di due o più minuzie base che ne fanno una minuzia composta. Una minuzia composta è tale, quindi da considerare non una unica ma due o più distinte minuzie, se la lunghezza di una cresta che la compone è maggiore della distanza tra due creste adiacenti del disegno papillare.

(Interpol European Expert Group on Fingerprint Identification II IEEGFI - 2006)

La ricerca e la documentazione dell'impronta

La ricerca e la documentazione delle impronte, che poi diverranno elementi di prova, il più delle volte viene effettuata nella fase preliminare delle indagini; in un contesto unilaterale ove alla controparte rimane di prendere visione di attività già compiute. È da precisare che per queste attività di ricerca delle impronte tutte le organizzazioni si stanno adeguando a procedure riconosciute nel mondo scientifico forense, con linee guida periodicamente ridiscusse in gruppi di lavoro; esempio in ambito ENFSI del quale l'Italia è membro fondatore.

Case report

A tal proposito si ritiene opportuno citare due casi giudiziari in cui è stato elemento di interesse la contestualizzazione della traccia.

Il primo caso è preso da una sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Sez. II, Sentenza n. 11693 del 2012). Ad un soggetto era stata attribuita una impronta rilevata in una banca a seguito di una rapina mediante l'utilizzo della banca dati (AFIS). Il medesimo contestava la procedura di rilevazione della traccia in quanto eseguita senza una corretta documentazione, quindi senza che sia stata dimostrata con certezza la provenienza dell'impronta in causa. Lo stesso asseriva infatti di trovarsi in altro luogo il giorno della rapina. La corte ha rigettato la contestazione.

Il secondo caso proviene dalla European Court of Human Rights - First Section - Case of Horvatic v. Croatia (Application no. 36044/1999). In questo caso la Corte Europea ha condiviso le contestazioni di un imputato in un processo in Croazia il quale sosteneva che la ricerca e la documentazione dell'impronta era stata effettuata senza che lo stesso vi avesse potuto assistere e che l'attività non era supportata da adeguata documentazione per dimostrare la provenienza della traccia. La Corte accolse il ricorso contestando il mancato rispetto delle procedure internazionali sulla documentazione della traccia.

I punti di interesse che si ritiene importante citare per la fase di ricerca delle impronte, e che per certi aspetti ci rimandano ai principi sopra indicati, sono:

1) Ove una ricerca abbia dato esito negativo non significa necessariamente assenza di una impronta e quindi assenza di contatto con tutto ciò che ne può conseguire dal punto di vista della ricostruzione di una dinamica. Certamente il noto principio di Locard (every contact leaves a trace), afferma un criterio assoluto: ad ogni contatto consegue uno scambio di materiale, ma a questo non consegue necessariamente che l'insieme, o la combinazione di tecnologia a disposizione, materiali e scelte giuste dell'operatore, siano ogni volta sufficienti ad individuare l'impronta. Se una impronta non si trova su una superficie ove si supponeva che vi fosse, non significa che non vi sia stato alcun contatto ma solo che è probabile che lo stesso non sia avvenuto.

2) Una impronta, in quanto fenomeno naturale, degrada nel tempo. Il sudore trasferito contiene il 98-99% di acqua ed altre numerose componenti organiche ed inorganiche che degradano, si disperdono, reagiscono con il supporto ed altro. Quindi non è un dato costante nel tempo ma, al di fuori del caso di impronte prodotte per deformazione plastica della superficie (uno stampo permanente), degradano fino ad arrivare ad un punto oltre il quale non sarà più possibile rilevarne la presenza. A questo consegue che:

  • La ricerca delle stesse deve essere effettuata nel più breve tempo possibile. Questo aspetto comporta che, nella scelta sull'eseguire o sull'accettare o meno l'esecuzione di determinati atti che vincolano la gestione materiale di un oggetto sul quale individuare le impronte, si deve tener conto anche di tale aspetto. I tempi processuali purtroppo non sempre corrispondono ai tempi di persistenza di una traccia sulla superficie (esempio: decidere di procedere con un incidente probatorio per la ricerca delle impronte papillari in sede di perizia è certamente una scelta saggia per l'esecuzione di un atto in presenza di un contraddittorio, ma occorre conoscere se le potenziali condizioni della traccia lo consentono, altrimenti il contraddittorio verrà fatto “sul nulla”).
  • Una volta attribuita la provenienza di una traccia papillare ad un determinato soggetto occorre contestualizzare la stessa all'epoca e al luogo ove si è verificato il reato. Per quanto riguarda l'aspetto temporale, viene spesso chiesto, nel corso delle indagini, ma anche durante il processo, se è possibile stimare il momento in cui è stata lasciata l'impronta (per verificare ad esempio se è stata lasciata il giorno della rapina o il giorno precedente, quando cioè l'indagato afferma di aver fatto accesso alla banca). La datazione è al momento difficile, costituisce ancora un dato molto approssimativo: il degrado di una impronta varia in relazione a diverse variabili, poco e difficilmente prevedibili, che influiscono nel microambiente dove la stessa si trova. Vi sono certamente degli studi e degli esperimenti su ciò, ma gli esiti sono al momento ancora molto generici. Ad ogni modo, benché con possibilità remote, non occorre escludere a priori la presenza anche di questa importante informazione nella traccia la quale, benché il dato è molto approssimativo, a volte è comunque sufficiente per dare delle risposte in un processo penale (esempio, forse non sarà possibile dire quando una impronta è stata lasciata ma probabilmente sarà possibile dire se la stessa è più o meno recente). Per quando riguarda il luogo, ogni investigatore conosce già le basilari accortezze per evitare che si creino ambiguità circa la provenienza della stessa (nel fascicolo devono ad esempio essere presenti una serie di foto che mostrino un avvicinarsi progressivo alla traccia).
  • L'impronta, come detto, è un trasferimento di materiale tra le diverse superfici che vengono a contatto o, in alcuni casi, una deformazione plastica delle stesse. L'impronta degrada e, a volte anche dopo breve tempo, sparisce. L'analisi e il confronto, come è facile comprendere, non avviene, e difficilmente potrebbe avvenire, ispezionando direttamente la traccia lasciata. Si fa uso, come anche le procedure prevedono (vedasi "Fingermark Visualisation Manual". Ed. Home Office 2014) di una sua riproduzione che, trattandosi di una immagine, non può che essere un'altra immagine: una fotografia. A tal proposito esistono infatti delle linee guida per far si che in questa venga mantenuta la qualità e la genuinità delle informazioni presenti sulla traccia originale in quanto di quest'ultima rimarrà nel processo, e non potrebbe essere altrimenti, solo la sua documentazione fotografica (anche supporti adesivi nel caso la stessa sia stata evidenziata con polvere).

Le fasi dell'indagine dattiloscopica

Descritti quali sono i principi generali sui quali si fonda una identificazione dattiloscopica vediamo ora come la stessa viene effettuata ed i punti di criticità che sono dietro le singole fasi e che comportano un inevitabile range di ambiguità colmabile solo con il rispetto delle linee guida, delle raccomandazioni convenute in ambito dei SWG delle varie organizzazioni scientifico forensi e con una sufficiente competenza professionale dell'investigatore.

Per quanto la tecnologia sia avanzata, l'accertamento dattiloscopico, in particolare quello giudiziario (cioè il confronto tra l'impronta rilevata sulla scena del crimine e quelle di individui presenti in una banca dati), viene effettuato de visu dall'esperto dattiloscopista. I sistemi di lettura e di confronto automatico, come il sistema AFIS ormai diffuso in tutti gli stati tecnologicamente avanzati, consentono solo di effettuare delle scremature iniziali attraverso dei complessi algoritmi. I sistemi di ricerca automatica attualmente consentono di avere, per il favorevole rapporto tra coincidenze e discordanze rilevate, un determinato elenco di impronte che dovranno poi essere fisicamente esaminate dall'operatore.

Dottrina e protocolli

L'accertamento, sia esso compiuto nella fase finale della ricerca in una banca dati o nel confronto con l'impronta di un determinato sospetto, viene effettuato seguendo delle fasi universalmente conosciute con l'acronimo ACE-V (Analysis, Comparison, Evaluation - Verification) Analisi La prima fase consiste nella Analisi, cioè nello scrupoloso esame della traccia rilevata sulla scena del crimine nel corso del quale viene verificato se vi è una “sufficiente” presenza, in qualità e quantità, di informazioni per eseguire poi un confronto con la traccia proveniente dalla persona sospetta ed una valutazione finale. Le informazioni sono quelle, relative ai tre livelli di dettaglio, necessarie per distinguere e discriminare la traccia dalle altre, che poi in effetti si limitano a quelle che il tipo di approccio seguito, olistico o standard numerico, richiede: valutazione d'insieme nel primo, il semplice conteggio delle minuzie nel secondo caso. Viene in primo luogo accertato se la stessa sia effettivamente tale, cioè proveniente da un contatto papillare. Non è da escludere infatti la possibilità di trovare impronte papillari false, come nei sistemi di accesso alle banche a seguito di rapina. Segue una analisi per comprendere a quale area delle zone papillari (palmo, dita o pianta del piede) l'impronta si riferisca. Questa è una fase indicata con il termine “orientamento”. Viene poi valutata la qualità della traccia e la tolleranza accettabile, di conseguenza, le informazioni relative ai tre livelli di dettaglio a cui fare riferimento nelle fasi successive. Si individuano le cicatrici, le rughe e le minuzie. Quest'ultime devono essere individuate facendo riferimento prima di tutto alla qualità della traccia: se, ad esempio, nella stessa non appaiono evidenti i particolari di terzo livello, nella individuazione delle minuzie occorre tralasciare quelle potenzialmente ambigue (es.: le creste che presentano brevi interruzioni o le biforcazioni che appaiono molto vicine ed orientate in direzione opposta) perché potrebbero non esservi o essere differenti. Le minuzie individuate devono essere collegate tra loro attraverso il sequencing ed il ridge counting: ogni minuzia deve poter essere raggiunta saltando da una cresta a quella vicina adiacente oppure seguendo il percorso di una cresta; le distanze tra minuzie si indicano in numero di creste e non in mm (una impronta documentata senza riferimento metrico è sempre utilizzabile per un confronto, la mancanza comporta delle difficolta nella ricerca in una banca dati AFIS). Se questo non è possibile, è probabile che si tratti di due distinte impronte sovrapposte o vicine. Il collegamento tra minuzie, e non solo la loro presenza, è uno dei parametri che un tecnico deve essere in grado di provare per dimostrare che le stesse appartengono ad una unica impronta. In caso contrario occorre discutere e mostrare il significato di due impronte che sono una vicino all'altra.

ConfrontoIn questa fase l'esaminatore pone a fianco della traccia papillare analizzata l'impronta del sospetto, ricerca poi nella prima le particolarità individuate nel corso della ”analisi” ed effettua il confronto di queste con quanto rilevabile in quest'ultima. Le due impronte poste a confronto saranno sicuramente differenti perché differenti sono le condizioni in cui sono state apposte. Il dattiloscopista dovrà analizzarle e verificare se queste sono “sufficientemente” simili da rientrare nell'ambito della tolleranza prestabilita. Se nell'analisi ci si è limitati alla individuazione ed al conteggio delle minuzie, queste vengono confrontate partendo dalla prima individuata, si verifica in particolare se la stessa è presente, nella medesima posizione, nell'impronta di confronto. In caso di esito positivo l'accertamento prosegue in modo analogo per la seconda e così via per il resto delle minuzie individuate, o almeno fino a raggiungere il minimo previsto dallo standard numerico.

È importante che questa fase sia preceduta dall'analisi dell'impronta rilevata sulla scena del crimine in quanto ove il confronto venisse effettuato partendo dall'impronta assunta al sospetto, certamente di migliore qualità, si possono verificare errori dovuti alla predisposizione visiva, bias (vedere informazioni o particolarità ove non sono o con una diversa interpretazione).Al termine del confronto l'esperto dovrà produrre una documentazione che dimostri le concordanze rilevate (nella figura vi è un esempio), in particolare dovrà mostrare le impronte prima prive di ogni indicazione seguite dalle stesse impronte, affiancate, con l'indicazione delle minuzie corrispondenti rilevate (la presenza di immagini delle impronte nel fascicolo prive di ogni indicazione é necessaria per consentire altre interpretazioni nel corso del contradditorio). ValutazioneIn questa fase l'esaminatore valuta le discordanze rilevate per comprendere se le stesse rientrano o meno nell'ambito della tolleranza imposta dalla qualità dell'immagine. In caso di presenza anche di una discordanza non tollerata l'impronta viene esclusa e si passa al confronto con quella successiva. Ove non si riscontrino differenze non tollerabili si valuta l'insieme delle informazioni concordanti e questo in relazione al tipo di approccio seguito: con approccio olistico l'esperto, nell'ambito della valutazione delle informazioni presenti nei tre livelli di dettaglio, giudica se sono “sufficienti” per affermare che le due tracce sono state lasciate dal medesimo soggetto; in presenza di uno standard minimo, l'esperto accerta il numero delle minuzie corrispondenti individuate ed attesta l'identificazione ove queste raggiungano il minimo richiesto. VerificaAl termine dell'accertamento la procedura prevede che dello stesso sia fatta una verifica da parte di persona diversa da quella che ha operato nelle prime fasi. Questo, insieme al rispetto di procedure, serve a garantire una maggiore obiettività della verifica: una corretta verifica è quella fatta da altro esperto che nulla sa o può immaginare dell'esito avuto. (Interpol European Expert Group on Fingerprint Identification II IEEGFI - 2006)

Queste fasi sono indicate come il metodo scientifico dell'indagine dattiloscopica e devono essere eseguite secondo le procedure e le raccomandazioni indicate dai vari SWG e sopra parzialmente accennate; nell'ambito di un sistema di certificazione della qualità, delle stesse fasi deve rimanere anche traccia documentale che ne dimostri il rispetto.

Nel corso di ognuna queste fasi si deve raggiungere ed oltrepassare un limite di sufficienza per passare a quella successiva. Ove si segua uno standard numerico per sufficienza si intende anche il venir incontro ad esigenze non prettamente scientifiche. Nella prima fase di analisi, ad esempio, si va più incontro ad esigenze pratiche operative del reparto piuttosto che ad aspetti scientifici. Un esito al termine della fase di analisi può essere solo del tipo: “utile per la identificazione- utile per la esclusione- inconcludente”. Come abbiamo visto nel descrivere l'identificazione dattiloscopica, da un punto di vista scientifico tutte le tracce sono potenzialmente utili per la identificazione personale, quindi sufficienti per essere oggetto di confronto, ma tutte le tracce sono certamente utili per la sola esclusione. Di fatto però sarebbe praticamente impossibile che un reparto possa gestire e sottoporre a confronto tutte le tracce presenti in una scena del crimine misurandone il valore statistico per una identificazione o per la loro ipotetica futura utilizzabilità per la esclusione di qualche soggetto. Di conseguenza solo ciò che potenzialmente è utile per una identificazione, o, come nel nostro paese, supera uno standard numerico, viene sottoposto a confronto, quindi trattenuto. E' infatti da ricordare che in realtà una vera e propria analisi e selezione la si effettua sulla scena del crimine ove si cerca, con logica investigativa, di individuare ciò che può essere attinente alla vicenda criminale in base alle possibili proprie ipotesi su quanto avvenuto. Quest'ultimo aspetto soggettivo della indagine tecnica indica l'importanza che tutte le parti coinvolte assistano anche alle operazioni sulla scena del crimine se ci si trova in una fase processuale ove questo è consentito (es. un sopralluogo fatto dopo l'arresto).

In relazione alla terza fase, come si può notare, a prescindere dal tipo di approccio un esito può essere o negativo o positivo. Tuttavia si sta sempre di più avendo consapevolezza dell'importanza di inserire un terzo tipo di approccio (statistico) per tener conto del reale valore di una traccia in relazione al caso specifico, per far fronte a situazioni di incertezza e per limitare quell'ampio spettro di soggettività che abbiamo visto anche nella figura iniziale.

Vengono sviluppati, infatti, sempre più modelli matematici che mettono in relazione tra loro le varie ipotesi alternative sulla provenienza della traccia, prima ed alla luce del confronto. Si parla appunto di approccio bayesiano. A tal proposito si possono citare, essendo tra i più noti, i lavori del NIST (National Institute of Standards Technology - Agenzia americana) citati come riferimento dai vari esperti nelle loro valutazioni; oppure i lavori di Neumann e di altri tra i quali quelli citati di seguito nelle letture consigliate.

Dottrina e protocolli

L'analisi, il confronto e la valutazione sono legati alla osservazione dell'immagine dattiloscopica e l'osservare è un processo mentale nel corso del quale si interpreta ciò che si vede. Non solo l'esperienza quotidiana ma anche molti studi hanno dimostrato come in questa fase di osservazione prevale molto l'aspetto soggettivo, la predisposizione mentale che a volte porta a percepire cose differenti dalla realtà, bias cognitivi appunto. In una indagine dattiloscopica, ove tutto si basa sulla osservazione di due immagini che vengono poste a confronto, questo aspetto non è certamente di secondaria importanza; influisce sulla valutazione finale, ed è pertanto importante seguire le procedure concordate e le raccomandazioni per limitarne gli effetti.

(NIST - NIJ "Latent Print Examination and Human Factors: Improving the Practice through a Systems Approach". The Report of the Expert Working Group on Human Factors in Latent Print Analysis. U.S. Department of Commerce, National Institute of Standards and Technology - National Institute of Justice 2012).

L'utilizzabilità dei risultati

Questa associazione tra il limite numerico e la presenza di Sentenze della Suprema Corte che lo citano quale elemento indispensabile per avere certezza di unica provenienza, ha fatto si che sia rimasto in secondo piano, a volte anche sconosciuto, l'aspetto scientifico che è dietro il limite scelto, di conseguenza la consapevolezza di poter di volta in volta anche scegliere un approccio differente. Di fatto, si è venuto a creare una sorta di vincolo "legale" da mantenere per indicare nella fase analisi quali sono le tracce da utilizzare. Un limite che più volte è stato oggetto di discussione, se non altro per comprendere se effettivamente esiste questo vincolo. In effetti la citata giurisprudenza non impone alcun limite: si limita a sostenere che con un numero di minuzie superiore a 16-17 il Giudice non ha bisogno di altri elementi di prova. Si riferisce quindi all'attività del Giudice e non, ad esempio, a quella del PM nella fase delle indagini o della PG. Non vincola il parere dell'esperto a ritenere inutilizzabili impronte con minor minuzie.

Va ricordato che la presenza di un numero così elevato di minuzie, richiesto dall'attuale giurisprudenza italiana, ha il pregio di annullare l'errore per falso positivo. Per converso, naturalmente, determina l'impossibilità di utilizzare alle volte importanti elementi di prova.

È da ricordare, inoltre, che la presenza di questo limite per alcune situazioni non offre tutte quelle garanzie di certezza che generalmente gli vengono attribuite: In situazioni ove il numero di minuzie individuate è troppo vicino al limite, l'aver utilizzato una banca dati per la individuazione di un soggetto o l'eventuale non corretta procedura ACE-V (dimostrata ad esempio anche in presenza di una verifica finale non fatta con il metodo “in cieco” e ciò avviene ad esempio se è limitata agli accertamenti che hanno avuto esito positivo nella identificazione), devono costituire campanelli di allarme per le parti circa la corretta identificazione dattiloscopica.

Come molti esperti di livello internazionale sostengono l'approccio statistico bayesiano è il più corretto modo per valutare il reale peso di ogni traccia nel determinato contesto ove si è verificata la vicenda criminale: favorisce un contraddittorio e impone all'esperto di riferire il range di incertezza del suo risultato, qualsiasi sia la qualità della traccia. Contrariamente a ciò che invece avviene in presenza di uno standard, il quale, imponendo lo stesso di scartare impronte con poche minuzie, pone inoltre l'esperto investigatore in una situazione di contraddittorietà per almeno due motivi:

  1. Per l'obbligo di carattere generale della polizia giudiziaria (art. 55 cpp) di ... raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale" (spetta ad altri stabilire l'utilità di ogni elemento di prova) e di (art. 347, 348 c.p.p.) riferire all'A.G. “ … ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e alla individuazione del colpevole”.
  2. Per il dovere generale del C.T. del P.M. di fornire comunque il dato oggettivo rilevato (indipendentemente dalla qualità della traccia o dal numero delle minuzie) con tutte le valutazioni ed elementi scientifici allo stesso annessi. Questo a prescindere se è o meno di supporto ad una o all'altra tesi. L'utilizzabilità di un elemento di prova è infatti data dalla sua capacità di fornire informazioni utili per la ricostruzione di una vicenda criminale e non dal fatto se raggiunga o meno uno standard di qualità, e questo può essere stabilito in un contraddittorio tra le parti.

Case report

Le perplessità sopra esposte trovano parziale conferma in una decisione della Corte di Cassazione (Cass., Sez. I, 5 maggio 2011, n. 17424), che ha attribuito una impronta ad un imputato basandosi sulla corrispondenza di sole 12 minuzie. Si tratta, tuttavia, di una delle poche pronunce sul punto; l'orientamento maggioritario continua a ritenere necessari 16/17 punti di corrispondenza.

Attualmente anche nel nostro Paese sono allo studio protocolli per un differente approccio per il confronto e la valutazione dell'impronta papillare. È chiaro che l'approccio statistico, verso il quale si sta andando, verrà incontro anche alla esigenza di mettere in connessione tra loro, in modo coerente, tracce differenti (impronta digitale, natura di una fibra, segno di strumento effrattore, ecc.), apparentemente e singolarmente di scarso valore investigativo, in un'unica valutazione di insieme per comprendere le reali responsabilità di un individuo e dinamica della vicenda avvenuta.

Criticità dell'indagine
  • La ricerca e la documentazione delle impronte deve seguire procedure riconosciute nel mondo scientifico forense. Le linee guida vanno periodicamente ridiscusse in gruppi di lavoro
  • L'accertamento va effettuato seguendo delle fasi universalmente conosciute con l'acronimo ACE-V (Analysis, Comparison, Evaluation - Verification): analisi, confronto e valutazione
  • Rischio di bias cognitivi
  • L'utilizzabilità dei risultati nel processo: qual è il numero di minuzie necessarie affinché, in caso di corrispondenza, si possa asserire che le stesse provengono dalla stessa persona?
Guida all'approfondimento

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