Profili dubbi dell'indagine dattiliscopica
31 Agosto 2015
Abstract
Le indagini dattiloscopiche hanno lo scopo di individuare la persona che ha lasciato un'impronta papillare o accertare il legame, sempre che esista, tra una superficie sulla quale l'impronta si trova ed un soggetto. Le impronte papillari sono un dato biometrico personale molto importante che trova applicazione in molti settori. Non necessariamente il fine è giudiziario. Si fa uso delle impronte per porre dei limiti all'accesso di persone in determinate aree o per impedire l'utilizzo di strumentazioni. Non c'è dubbio, però, che da oltre un secolo sono ancora uno dei più significativi oggetti di prova di cui si avvale il processo penale allo scopo di individuare l'autore del crimine, a prescindere dalla gravità e dalla tipologia del crimine stesso. Di conseguenza, è forte l'esigenza di ognuna delle parti processuali di conoscerne lineamenti, punti di forza e criticità così da comprendere cosa effettivamente c'è “dietro” ad un responso tecnico presentato, in corso di indagini o di dibattimento, da un esperto dattiloscopista.
Il responso di un'indagine dattiloscopia, nel nostro Paese, è considerato un risultato definitivo, una specie di “punto fermo”, un'expertise oggettiva che non lascia molto spazio alla discussione; insomma, un esito le cui conclusioni si intendono basate su un processo logico deduttivo. In realtà, benché costituisca un mezzo di prova molto “forte” e poco ambiguo, presenta delle criticità e limiti che è bene saper individuare in quanto, a volte, influenti nelle decisioni da prendere. Anche in dattiloscopia vi possono essere delle situazioni di ambiguità.
Le impronte papillari: nozioni preliminari
L'interesse scientifico per le impronte papillari risale alla metà del 1600 quando l'italiano Malpighi, nella sua pubblicazione De externo tactus organo del 1665, trattò in modo approfondito l'aspetto istologico e fisiologico della cute (ed è proprio in onore di tale studio che uno degli strati della pelle prende appunto il suo nome: strato Malpighi). È alla fine dell'800, invece, che si può far risalire l'utilizzo delle impronte lasciate dalle creste papillari per venir incontro ad esigenze di giustizia della società: identificare i recidivi e individuare i responsabili di eventi criminosi.
Dalla dattiloscopia hanno avuto origine:
Mentre nei primi due settori la dattiloscopia si evolve seguendo i differenti criteri che vanno dalla interpretazione di una traccia o dallo sviluppo della tecnologia attinente alla lettura e alla archiviazione ad aspetti esterni alla dattiloscopia (sociologici e politici), nel terzo settore lo sviluppo della dattiloscopia sostanzialmente corre in parallelo allo sviluppo delle scienze fondamentali (chimica, fisica e biologia) ed al conseguente sviluppo della tecnologia. La possibilità di archiviare le impronte è il fondamento della dattiloscopia preventiva. Fino a qualche anno fa la classificazione veniva effettuata fisicamente attraverso la collocazione dei documenti di segnalamento (schede cartacee, di formato standardizzato, con dati biometrici, fotografici e dattiloscopici del soggetto segnalato) in archivi ed organizzati sulla base dei sistemi di classificazione delle impronte. Un importante ed internazionale sistema di classificazione è stato il sistema Henry mentre nel nostro Paese i documenti di segnalamento venivano organizzati negli archivi sulla base del sistema Gasti. Attualmente gli archivi cartacei sono generalmente affiancati, se non sostituiti, da sistemi di archiviazione elettronica: sistema APFIS (Automated Palmprint Fingerprint Identification System. Stesso significato dell'acronimo AFIS con l'aggiunta della P che sta per Palmprint in riferimento alle impronte palmari inserite nello stesso archivio). L'identificazione dattiloscopica si basa su tre premesse fondamentali che ci riconducono poi ai più generali principi della criminalistica. Come si evince da tali principi, infatti, l'impronta più che una "traccia fisica" è la fisica riproduzione, più o meno dettagliata, di quest'ultima su una superficie. Per poter affermare che due impronte, che non possono definirsi uguali, provengano da una medesima sorgente, è necessario che dal confronto siano emersi due elementi:
In criminalistica, l'individuazione dell'origine di una generica impronta avviene attraverso un processo di riduzione nel corso del quale vengono di volta in volta escluse le possibili fonti che non condividono le informazioni individuate. Sostanzialmente, nel confronto non si cercano le coincidenze ma gli elementi discordanti che sono oltre il livello di tolleranza accettato e che quindi confermano una differente provenienza. Il processo va avanti per esclusione fino ad arrivare al punto ove tra l'impronta rilevata sulla scena del crimine e quella di fonte nota non si rilevano differenze, cioè fino alla individuazione della probabile origine. In questo processo, entrano in relazione due elementi: il "fattore di riduzione", dato dall'insieme e dal valore discriminante delle informazioni che costituiscono l'individualità della traccia, e la "popolazione di riferimento", che è l'insieme di individui, o oggetti, nell'ambito del quale si ritiene possa provenire la traccia. Il variare di questi due elementi fornisce il peso, in termini di probabilità, dell'elemento di prova. Questo approccio, che prevede una valutazione statistica dell'impronta, non è condiviso in tutti i settori della criminalistica, ancorché sia insito nei principi che ne sono alla base, e nonostante diversi studiosi, tra questi citiamo gli studi di Champod ed Evett, abbiano dimostrato come l'individuazione dell'origine di una traccia non possa che seguire un processo di tipo induttivo il cui risultato, benché apparentemente certo, è sempre probabile. E l'esperto deve sempre essere in condizioni di mostrare l'entità di questo errore, come tra l'altro la nota sentenza Daubert (Corte Suprema U.S.A.-1993) ha suggerito e le linee guida ENFSI indicano. Nel confronto tra impronte balistiche, di calzatura, di utensile, consegue una valutazione di unica provenienza basata sulla intima convinzione dell'esperto. Nei settori appena citati, infatti, difficilmente troviamo che dietro un responso positivo vi siano dei calcoli statistici per misurare la probabilità di errore e per supportare l'esito fornito. Se questo fa apparentemente venir meno l'aspetto di scientificità dell'accertamento, bisogna tener presente che in queste situazioni l'errore è talmente ininfluente e le informazioni sono talmente discriminanti che, solitamente, si è nel cosiddetto “aldilà di ogni ragionevole dubbio” (quando si parla di errore, qui e nel resto del testo, si fa riferimento all'ambito di incertezza che il sistema di valutazione e calcolo comporta e non all'errore umano dovuto a disattenzione, bias o impreparazione). Per analogia, se accostiamo le due parti di un foglio di carta precedentemente strappato, per l'abbondanza delle informazioni date dalla casualità del profilo creato nello strappo non occorre molta esperienza, benché meno calcoli statistici, per convincerci che le due parti una volta erano unite. Il punto critico si nasconde, però, nel fatto che quando le informazioni sono limitate, l'esperto inconsapevolmente rimane esposto ad errori dovuti a bias cognitivi, dovendo lo stesso esprimersi solo in termini di certezza nell'uno o nell'altro senso. La corretta procedura ACE-V limita questo tipo di errore. In relazione alle impronte papillari da più parti è indicata l'opportunità di procedere alla valutazione di una corrispondenza con approccio statistico. In questo caso, è consuetudine ritenere che la popolazione di riferimento sia quella mondiale, mentre il fattore di riduzione è costituito dalle informazioni rilevabili sulle creste ai diversi livelli di dettaglio che si sono riprodotti.
Ad ogni modo raramente viene seguito in dattiloscopia un approccio che prevede una conclusione in termini di probabilità: dall'esperto ci si aspetta di comprendere se una impronta papillare sia o meno da riferire ad un soggetto, ed è consuetudine per l'esperto di rispondere in termini di certezza. È comunque da ricordare che il rapporto tra i valori in gioco (popolazione di riferimento ed informazioni rilevabili nell'impronta) fa sì che una conclusione sia solitamente certa al di la di ogni ragionevole dubbio. In dattiloscopia sono generalmente diffusi due tipi di approcci che poi portano a conclusioni così determinate: di tipo olistico e con standard numerico. Nel primo, la valutazione consegue all'osservazione di tutte le informazioni rilevabili sull'impronta e, in linea con questa posizione sono tutti i Paesi aderenti all'IAI (Internatianal Association for Identification) che infatti non prevedono una standard minimo affidando, tutto, alla competenza e all'esperienza del dattiloscopista (in modo analogo a come abbiamo appena detto per le impronte di armi o di utensile). Per questi non è concepito l'uso della probabilità ma, in quanto approccio olistico, una conclusione non può che essere positiva, negativa o inconcludente. La correttezza del risultato, essendo la conclusione l'esito di una interpretazione personale, è affidata alla esperienza e professionalità dell'esperto che ha svolto l'accertamento nel rispetto della procedura ACE-V. Nel secondo, la valutazione prevede il raggiungimento di uno "standard numerico" di minuzie che è una combinazione di punti caratteristici minima, prestabilita e ritenuta sufficiente per dare sicurezza sulla unicità della configurazione. La garanzia del risultato è pertanto affidata alla rarità della combinazione di minuzie imposta dallo standard numerico da raggiungere piuttosto che dalla esperienza e competenza dell'operatore, benché comunque queste siano sempre importanti nella interpretazione dei dati. La presenza di uno standard impone una conclusione che non può che essere o positiva o negativa. Un risultato inconcludente potrebbe verificarsi solo nel caso di un confronto tra impronte con entrambe un numero sufficiente di minuzie, ma che si riferiscono a zone differenti del disegno papillare. Impronte con meno minuzie vengono ritenute non utilizzabili, quindi scartate a priori dal dattiloscopista. Questo standard varia nei vari Paesi. Gran parte degli stessi rientrano in un range tra 8 e 12, e questo perché lo standard fa seguito alle indicazioni di Edmond Locard (dirigente del primo servizio di polizia scientifica che è sorto a Lione in Francia nei primi del 900) il quale, riferendosi alle indicazioni del contemporaneo Balthazard, indicò 12 come quantitativo più che sufficiente per dare certezza di unica provenienza, ma aggiunse che il limite poteva essere ridotto fino a 8 in presenza di alta qualità della traccia. Con meno di 8 minuzie la traccia non avrebbe garantito la certezze ma per Locard era comunque da ritenere valida per le indagini.
In Italia, benché è riconosciuta dalla gran parte degli esperti l'importanza di distinguere il valore che può avere anche una singola minuzia o anche un frammento con un numero limitato delle stesse (non mancano esempi con valutazione statistica per venire incontro alle esigenze di particolari situazioni investigative), di fatto si mantiene il limite di sicurezza di 17 minuzie per confermare l'utilizzabilità di un frammento papillare per l'identificazione personale. Cioè si segue lo standard numerico. Questo limite, indicato a volte con 16-17, costituisce il minimo da raggiungere per escludere la possibilità di un errore per falso positivo. È infatti relativamente elevato, quindi ritenuto una garanzia dal nostro sistema giudiziario a tal punto che è indicato come tale (certezza di unica provenienza) nelle diverse Sentenze della Suprema Corte che si sono susseguite nel tempo a partire da quella alla quale si fa prevalentemente riferimento del 21 aprile 1954 della Suprema Corte, Sez. II, o del 14 novembre 1959 (Cass. Sez. II n. 2559) il cui contenuto è riportato nel riquadro che segue.
In effetti questo limite ha origine dagli studi effettuati da Balthazard sopra citati. Operare con uno standard numerico, ha sì il vantaggio di minimizzare l'errore per falso positivo, ma va rilevato che con lo stesso si presentano alcune criticità che è importante conoscere. Aggravate dal fatto che il raggiungimento del limite porta un senso di sicurezza nell'operatore di poca esperienza che fa venir meno quell'impegno a verificare e a pensare all'ipotesi di un falso positivo benché si è raggiunto il limite. È ad esempio importante comprendere che, attualmente, con l'uso delle banche dati AFIS per la ricerca delle persone alle quali potrebbero essere attribuite le impronte rilevate sulla scena del crimine, affidarsi allo "standard numerico", benché elevato, senza comprenderne i limiti in questo nuovo contesto, può comportare dei rischi nella valutazione di una corrispondenza. A tal proposito, per comprendere meglio l'influenza di una banca dati nel confronto dattiloscopico, si può richiamare una analogia con la festa di compleanno citata da Neumann nel suo lavoro: “se si ha una popolazione di 100 abitanti, qual è la probabilità di imbattersi in una persona che condivida lo stesso proprio compleanno?” La risposta è: uno sugli eventi possibili, cioè 1 su 365, ossia lo 0,27%. La situazione cambia se ci si pone invece una domanda differente: qual è la probabilità che nel mezzo della popolazione di 100 abitanti vi sia una persona con lo stesso proprio compleanno? La probabilità in questo caso è maggiore: quasi 1 su 4, cioè il 23,9%. Ritornando alle impronte, nel primo caso si ha un confronto one to one: se si considera un sospetto individuato attraverso le indagini, qual è la probabilità che l'impronta corrisponda allo stesso (è uno sulla rarità della combinazione di minuzie presa in considerazione). Mentre se il sospetto lo si è individuato attraverso la banca dati AFIS si è allora fatto un confronto analogo al secondo esempio: one to many, ove la probabilità di un falso positivo è molto più elevata e non è più scongiurata, come per il primo esempio, dallo standard numerico. Altro elemento di criticità dello standard numerico è costituito dalle minuzie che vengono individuate. Riconoscere quali sono le minuzie da utilizzare nel confronto non è un aspetto secondario, soprattutto nei Paesi, come il nostro, ove esiste un limite determinato ed ove lo stesso è anche il limite per una sua utilizzabilità nel processo, quindi nella attribuzione di responsabilità penali. Quando ad esempio un "trattino" è da considerare due "termini di cresta"? oppure quando un "lago" è da considerare due "biforcazioni". È chiaro che a questa (a volte soggettiva) scelta consegue il raggiungimento o meno del limite; ecco perché, come sopra abbiamo detto, per quanto oggettivo lo stesso appaia (non è raro infatti che l'oggetto di discussione nel corso del dibattimento sia l'interpretazione data alla minuzia dalla quale deriva il totale raggiunto) può, invece, nascondere il risultato di una sommatoria di interpretazioni personali. Va da se che questo tipo di criticità si presenta in un approccio ove vi è una acritica osservanza dello standard numerico da raggiungere e non una valutazione della traccia in quanto tale, con le sue caratteristiche, a prescindere dal tipo di approccio scelto. E' infatti da precisare che una minuzia "composta" (che è un insieme di minuzie “fondamentali”, come il citato “lago”) è un evento raro, la quasi totalità dei confronti sono basati su minuzie fondamentali, come tra l'altro dovrebbe essere, vista l'origine del limite numerico; ma, anche se fosse, una minuzia “composta” possiede già di per se un valore molto più elevato nella valutazione dell'impronta (ritornando all'esempio, nel considerare una minuzia di tipo "lago" come due "biforcazioni" certamente si ha il guadagno di una minuzia ma si perde molto di più in termini di valore statistico dell'intera combinazione di minuzie).
La ricerca e la documentazione delle impronte, che poi diverranno elementi di prova, il più delle volte viene effettuata nella fase preliminare delle indagini; in un contesto unilaterale ove alla controparte rimane di prendere visione di attività già compiute. È da precisare che per queste attività di ricerca delle impronte tutte le organizzazioni si stanno adeguando a procedure riconosciute nel mondo scientifico forense, con linee guida periodicamente ridiscusse in gruppi di lavoro; esempio in ambito ENFSI del quale l'Italia è membro fondatore.
I punti di interesse che si ritiene importante citare per la fase di ricerca delle impronte, e che per certi aspetti ci rimandano ai principi sopra indicati, sono: 1) Ove una ricerca abbia dato esito negativo non significa necessariamente assenza di una impronta e quindi assenza di contatto con tutto ciò che ne può conseguire dal punto di vista della ricostruzione di una dinamica. Certamente il noto principio di Locard (every contact leaves a trace), afferma un criterio assoluto: ad ogni contatto consegue uno scambio di materiale, ma a questo non consegue necessariamente che l'insieme, o la combinazione di tecnologia a disposizione, materiali e scelte giuste dell'operatore, siano ogni volta sufficienti ad individuare l'impronta. Se una impronta non si trova su una superficie ove si supponeva che vi fosse, non significa che non vi sia stato alcun contatto ma solo che è probabile che lo stesso non sia avvenuto. 2) Una impronta, in quanto fenomeno naturale, degrada nel tempo. Il sudore trasferito contiene il 98-99% di acqua ed altre numerose componenti organiche ed inorganiche che degradano, si disperdono, reagiscono con il supporto ed altro. Quindi non è un dato costante nel tempo ma, al di fuori del caso di impronte prodotte per deformazione plastica della superficie (uno stampo permanente), degradano fino ad arrivare ad un punto oltre il quale non sarà più possibile rilevarne la presenza. A questo consegue che:
Descritti quali sono i principi generali sui quali si fonda una identificazione dattiloscopica vediamo ora come la stessa viene effettuata ed i punti di criticità che sono dietro le singole fasi e che comportano un inevitabile range di ambiguità colmabile solo con il rispetto delle linee guida, delle raccomandazioni convenute in ambito dei SWG delle varie organizzazioni scientifico forensi e con una sufficiente competenza professionale dell'investigatore. Per quanto la tecnologia sia avanzata, l'accertamento dattiloscopico, in particolare quello giudiziario (cioè il confronto tra l'impronta rilevata sulla scena del crimine e quelle di individui presenti in una banca dati), viene effettuato de visu dall'esperto dattiloscopista. I sistemi di lettura e di confronto automatico, come il sistema AFIS ormai diffuso in tutti gli stati tecnologicamente avanzati, consentono solo di effettuare delle scremature iniziali attraverso dei complessi algoritmi. I sistemi di ricerca automatica attualmente consentono di avere, per il favorevole rapporto tra coincidenze e discordanze rilevate, un determinato elenco di impronte che dovranno poi essere fisicamente esaminate dall'operatore.
Queste fasi sono indicate come il metodo scientifico dell'indagine dattiloscopica e devono essere eseguite secondo le procedure e le raccomandazioni indicate dai vari SWG e sopra parzialmente accennate; nell'ambito di un sistema di certificazione della qualità, delle stesse fasi deve rimanere anche traccia documentale che ne dimostri il rispetto. Nel corso di ognuna queste fasi si deve raggiungere ed oltrepassare un limite di sufficienza per passare a quella successiva. Ove si segua uno standard numerico per sufficienza si intende anche il venir incontro ad esigenze non prettamente scientifiche. Nella prima fase di analisi, ad esempio, si va più incontro ad esigenze pratiche operative del reparto piuttosto che ad aspetti scientifici. Un esito al termine della fase di analisi può essere solo del tipo: “utile per la identificazione- utile per la esclusione- inconcludente”. Come abbiamo visto nel descrivere l'identificazione dattiloscopica, da un punto di vista scientifico tutte le tracce sono potenzialmente utili per la identificazione personale, quindi sufficienti per essere oggetto di confronto, ma tutte le tracce sono certamente utili per la sola esclusione. Di fatto però sarebbe praticamente impossibile che un reparto possa gestire e sottoporre a confronto tutte le tracce presenti in una scena del crimine misurandone il valore statistico per una identificazione o per la loro ipotetica futura utilizzabilità per la esclusione di qualche soggetto. Di conseguenza solo ciò che potenzialmente è utile per una identificazione, o, come nel nostro paese, supera uno standard numerico, viene sottoposto a confronto, quindi trattenuto. E' infatti da ricordare che in realtà una vera e propria analisi e selezione la si effettua sulla scena del crimine ove si cerca, con logica investigativa, di individuare ciò che può essere attinente alla vicenda criminale in base alle possibili proprie ipotesi su quanto avvenuto. Quest'ultimo aspetto soggettivo della indagine tecnica indica l'importanza che tutte le parti coinvolte assistano anche alle operazioni sulla scena del crimine se ci si trova in una fase processuale ove questo è consentito (es. un sopralluogo fatto dopo l'arresto). In relazione alla terza fase, come si può notare, a prescindere dal tipo di approccio un esito può essere o negativo o positivo. Tuttavia si sta sempre di più avendo consapevolezza dell'importanza di inserire un terzo tipo di approccio (statistico) per tener conto del reale valore di una traccia in relazione al caso specifico, per far fronte a situazioni di incertezza e per limitare quell'ampio spettro di soggettività che abbiamo visto anche nella figura iniziale. Vengono sviluppati, infatti, sempre più modelli matematici che mettono in relazione tra loro le varie ipotesi alternative sulla provenienza della traccia, prima ed alla luce del confronto. Si parla appunto di approccio bayesiano. A tal proposito si possono citare, essendo tra i più noti, i lavori del NIST (National Institute of Standards Technology - Agenzia americana) citati come riferimento dai vari esperti nelle loro valutazioni; oppure i lavori di Neumann e di altri tra i quali quelli citati di seguito nelle letture consigliate.
Questa associazione tra il limite numerico e la presenza di Sentenze della Suprema Corte che lo citano quale elemento indispensabile per avere certezza di unica provenienza, ha fatto si che sia rimasto in secondo piano, a volte anche sconosciuto, l'aspetto scientifico che è dietro il limite scelto, di conseguenza la consapevolezza di poter di volta in volta anche scegliere un approccio differente. Di fatto, si è venuto a creare una sorta di vincolo "legale" da mantenere per indicare nella fase analisi quali sono le tracce da utilizzare. Un limite che più volte è stato oggetto di discussione, se non altro per comprendere se effettivamente esiste questo vincolo. In effetti la citata giurisprudenza non impone alcun limite: si limita a sostenere che con un numero di minuzie superiore a 16-17 il Giudice non ha bisogno di altri elementi di prova. Si riferisce quindi all'attività del Giudice e non, ad esempio, a quella del PM nella fase delle indagini o della PG. Non vincola il parere dell'esperto a ritenere inutilizzabili impronte con minor minuzie. Va ricordato che la presenza di un numero così elevato di minuzie, richiesto dall'attuale giurisprudenza italiana, ha il pregio di annullare l'errore per falso positivo. Per converso, naturalmente, determina l'impossibilità di utilizzare alle volte importanti elementi di prova. È da ricordare, inoltre, che la presenza di questo limite per alcune situazioni non offre tutte quelle garanzie di certezza che generalmente gli vengono attribuite: In situazioni ove il numero di minuzie individuate è troppo vicino al limite, l'aver utilizzato una banca dati per la individuazione di un soggetto o l'eventuale non corretta procedura ACE-V (dimostrata ad esempio anche in presenza di una verifica finale non fatta con il metodo “in cieco” e ciò avviene ad esempio se è limitata agli accertamenti che hanno avuto esito positivo nella identificazione), devono costituire campanelli di allarme per le parti circa la corretta identificazione dattiloscopica. Come molti esperti di livello internazionale sostengono l'approccio statistico bayesiano è il più corretto modo per valutare il reale peso di ogni traccia nel determinato contesto ove si è verificata la vicenda criminale: favorisce un contraddittorio e impone all'esperto di riferire il range di incertezza del suo risultato, qualsiasi sia la qualità della traccia. Contrariamente a ciò che invece avviene in presenza di uno standard, il quale, imponendo lo stesso di scartare impronte con poche minuzie, pone inoltre l'esperto investigatore in una situazione di contraddittorietà per almeno due motivi:
Attualmente anche nel nostro Paese sono allo studio protocolli per un differente approccio per il confronto e la valutazione dell'impronta papillare. È chiaro che l'approccio statistico, verso il quale si sta andando, verrà incontro anche alla esigenza di mettere in connessione tra loro, in modo coerente, tracce differenti (impronta digitale, natura di una fibra, segno di strumento effrattore, ecc.), apparentemente e singolarmente di scarso valore investigativo, in un'unica valutazione di insieme per comprendere le reali responsabilità di un individuo e dinamica della vicenda avvenuta.
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