Violenza domestica e gravidanza. Profili psico-criminologici

Alessandra Bramante
14 Novembre 2019

Studi internazionali infatti riferiscono che la violenza domestica è la seconda causa di morte in gravidanza, dopo l'emorragia, per le donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni. Spesso i maltrattamenti hanno inizio proprio durante il periodo della gravidanza (30% dei casi) e il 69% (più di due terzi) delle donne maltrattate in precedenza continuano a subire maltrattamenti. E addirittura nel 13% dei casi si assiste a un intensificarsi degli episodi e a una ingravescenza delle azioni lesive.
Premessa

La violenza domestica è un modello di comportamento coercitivo e di controllo che una persona esercita su un'altra persona per avere potere.

Negli articoli precedenti è stato già affrontato il tema della violenza domestica e in tal senso si ritiene opportuno ricordare alcuni elementi importanti che connotano tali situazioni relazionali.

Importante perché spesso in tale ambito, nonostante studi e approfondimenti scientifici, molti sono ancora gli stereotipi che imperversano anche tra gli operatori che intervengono a supporto.

Tra questi alcuni si riferiscono al fatto che:

  • la violenza domestica si manifesta solo in contesti familiari culturalmente ed economicamente poveri, pur non avendo alcun riscontro nei dati statistici; la violenza domestica purtroppo invece è comprovato sia un fenomeno “trasversale”;
  • la violenza domestica è causata o comunque correlata ad abuso di droga o alcool mentre si riscontra la presenza di comportamenti violenti e maltrattanti anche in assenza di problematiche correlate all'utilizzo di sostanze stupefacenti, alcol o in generale di dipendenze, in contesti famigliari e relazionali disfunzionali ma inaspettatamente sono presenti in contesti apparentemente ben integrati a livello sociale, lavorativo ed economico;
  • alle donne piace essere picchiate e subire violenza dai propri compagni:
  • la violenza alle donne è un fenomeno poco diffuso, mentre i dati ufficiali riportati dalle statistiche sono esemplificativi della portata del fenomeno, stante anche la presenza di un numero “oscuro” di violenze non denunciate;
  • la donna è più a rischio con persone estranee o straniere. Dai dati sopra riportati infatti appare evidente che la maggior parte delle violenze di maggiore gravità sono riferibili ad un contesto famigliare o di coppia;
  • la violenza non incide sulla salute della donna. Le conseguenze psicologiche e fisiche delle vittime di violenza domestica, sessuale, ecc., hanno una portata invece spesso “devastante” sull'equilibrio psichico, relazionale, affettivo perdurante nel tempo ed invalidante (disturbo post traumatico da stress, disfunzionalità delle relazioni significative, possibilità di reiterare scelte vittimizzanti);
  • la violenza alle donne è causata da una perdita di controllo, mentre emerge ad ulteriore supporto che è legata ad aspetti più “culturali” e a modelli relazionali disfunzionali.

Dalla disamina delle ricerche svolte emerge che la donna può diventare vittima di violenza in diverse situazioni e fasi della propria vita, spesso in concomitanza di situazioni di maggiore fragilità, vulnerabilità e problematiche situazionali.

Si riscontrano infatti particolari situazioni di criticità per esempio nel periodo perinatale che può comportare aborti selettivi, maltrattamenti fisici e psicologici durante la gravidanza o addirittura gravidanze forzate.

O ancora violenza durante l'infanzia riferibile ad infanticidio selettivo, maltrattamento, violenza assistita o abuso sessuale.

Violenza in preadolescenza e adolescenza riferita a matrimoni coatti, mutilazioni genitali, violenza sessuale e prostituzione infantile, molestie. Ed infine violenza in età adulta ove possono emergere situazioni di violenza nelle relazioni intime, stalking ed omicidio, stupro e molestie sessuali, e violenza nella terza età riferito al maltrattamento in famiglia.

La violenza durante la gravidanza

Un mito diffusissimo è quello secondo il quale la gravidanza protegga da violenza e maltrattamenti la donna.

Probabilmente correlando tale periodo con il mito della maternità e della famiglia unita nell'attesa del bambino, il concetto di violenza pare in contraddizione con l'idea positiva e aulica di amore che generalmente rappresenta nell'immaginario collettivo.
Al contrario emerge proprio dagli studi scientifici che la gravidanza, rendendo la donna più vulnerabile, anche per la riduzione della sua autonomia sia emotiva che finanziaria, può essere vissuta dal partner come opportunità per affermare più agevolmente controllo e potere sulla donna, anche e soprattutto con la violenza. in primis psicologica. ma anche fisica.

Studi internazionali infatti riferiscono che la violenza domestica è la seconda causa di morte in gravidanza, dopo l'emorragia, per le donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni.

Spesso i maltrattamenti hanno inizio proprio durante il periodo della gravidanza (30% dei casi) e il 69% (più di due terzi) delle donne maltrattate in precedenza continuano a subire maltrattamenti.

E addirittura nel 13% dei casi si assiste a un intensificarsi degli episodi e a una ingravescenza delle azioni lesive.

La “gravidanza violenta” è da considerarsi a tutti gli effetti una gravidanza a rischio in quanto le azioni lesive possono essere fatali non solo per la mamma ma anche per il feto.

Nel mondo una donna su quattro è stata vittima di una forma di violenza in gravidanza (WHO) e la stessa è più comune del diabete gestazionale, dei difetti del tubo neurale, della preeclampsia o della placenta previa, che sono patologia molto diffuse ne periodo perinatale.

Come sopra riportato il 30% della violenza domestica inizia proprio durante la gravidanza (McWilliams and McKiernan, 1994) e 4-9 donne su 100 hanno subito violenza durante la loro gravidanza o dopo il parto (Taft, 2002). Gli studi internazionali riportano un'incidenza di violenza in gravidanza variabile tra 0,9% a 30,1% e, mettono in luce anche il fatto che non vi è grande differenza fra paesi non industrializzati e quelli industrializzati.

Tale fenomeno ha gravi conseguenze, come identificato già nel 1997 da Mezey, che parla di violenza domestica in gravidanza come prima causa di aborto spontaneo o nascita di un bambino morto. E inoltre il 5% delle donne maltrattate durante la gravidanza, rivelava uno stato di depressione rilevante (Health care for women International, 2009).

Le forme di violenza più comuni durante la gravidanza sono quella psicologica e quella fisica.

La donna viene spesso colpita con calci e pugni che frequentemente sono diretti proprio all'addome per farle del male o addirittura per causare la morte del feto, ai genitali ed al seno, talvolta con contemporaneo abuso sessuale.

Molti sono i modi utilizzati dal partner violento per rimarcare l'indifferenza, il rifiuto e il disprezzo verso la partner in gravidanza. Tra questi i principali sono:

  • controllare, limitare o addirittura negare l'accesso alle cure prenatali;
  • colpevolizzare la donna per il suo aspetto fisico “poco attraente”;
  • negarle i soldi per comprarsi cibo o altro;
  • limitare il suo accesso al cibo;
  • costringerla a lavorare durante la gravidanza;
  • costringerla ad avere rapporti sessuali.

Ovviamente la violenza nei casi in cui è già presente nella coppia, si perpetua anche durante la gravidanza e, spesso continua anche nel postpartum e a volte anche si trasferisce anche nei confronti del bambino.

Uno studio condotto a Valencia nel 2008 su 888 donne al terzo trimestre di gravidanza, con follow-up nel 5° e 12° mese postpartum, ha riscontrato la presenza di un incremento degli episodi di violenza psicologica sulle donne dopo il parto, in particolare al 5° mese postpartum.

Uno studio Canadese del 2006 infine afferma che il 21% delle donne maltrattate, subisce abusi anche in gravidanza.

Quando gli abusi iniziano invece durante la gravidanza si ipotizza che questo avvenga in quanto il partner violento:

  • vede il bambino come un intruso nella relazione;
  • teme di essere abbandonato;
  • prova stress per motivi finanziari;
  • sente di perdere controllo e potere sulla donna;
  • prova avversione per i cambiamenti fisici della donna;
  • interviene in modo inadeguato nelle decisioni relative al parto (ad es. negarle l'anestesia o l'uso di farmaci antidolorifici).

Uno studio del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia del Burlo Garofolo, Dipartimento di Psicologia dell'Università di Trieste e Università della California di San Francisco, ha evidenziato che il 10% di mamme con un bimbo di otto mesi (352 triestine di età media 32 aa), viveva una situazione di violenza domestica, soprattutto psicologica, ma anche fisica e sessuale.

Hellmuth et al. nel 2013 hanno effettuato uno studio su 180 donne al fine di valutare i fattori di rischio per la violenza in gravidanza ed alla sesta settimana postpartum.

I fattori di rischio principali identificati dallo studio sono: uso di alcool del partner, gelosia patologica del partner, sospetto di infedeltà da parte del partner (Alhsen J.L., et al. nel 2014).

Un altro studio applicato presso due ospedali pubblici del Portogallo ha considerato un campione di 852 donne nel postpartum. Da tale studio emergeva che 370 donne (43,2%) avevano subìto una forma di violenza in gravidanza in particolare: violenza fisica 21,9%, violenza psicologica 43,2%, violenza sessuale 19,6%.

Uno studio condotto in North Carolina e Maryland sui referti autoptici, ha mostrato che l'omicidio è la prima causa di morte per le donne in gravidanza o che hanno avuto gravidanze recenti.

È invece la quinta causa di morte per donne non gravide, durante lo stesso periodo di tempo.

Il 77% degli omicidi si verifica durante il primo trimestre di gravidanza (Cheng e Horon, 2010). Inoltre il rischio per una donna di essere vittima di femminicidio aumenta di ben 3 volte per le donne che vengono abusate durante la gravidanza (McFarlane et al., 2002).

Fattori di rischio e conseguenze

Da quanto sopra descritto è evidente la necessità di identificare precocemente situazioni disfunzionali e di violenza anche per evitare rischi successivi negativi per il bambino, come la nascita pretermine e/o il basso peso alla nascita.

Per ragionare in termini preventivi, si riportano di seguito quali sono i fattori di rischio per la violenza in gravidanza riportati dai principali studi scientifici internazionale. In particolare si rilevano:

  • la storia di violenza precedente;
  • la gravidanza indesiderata (rischio maggiore di 5 volte);
  • la giovane età (tra 16 e 19 anni rischio aumentato di circa 3 volte);
  • l'appartenenza a gruppi etnici immigratori;
  • il partner con problemi di alcolismo e/o tossicodipendenza;
  • l'isolamento dalla famiglia d'origine;
  • l'assenza o la scarsità di relazioni sociali;
  • uno stato perdurante di stress;
  • la mancanza di una rete di supporto sociale ed affettivo.

Quali sono invece le principali conseguenze della violenza subita durante la gravidanza?

Dagli studi scientifici nazionali e internazionali emergono molteplici conseguenze sia di tipo fisico che psicologico.

Tra le conseguenze di tipo fisico si ritrovano l'esacerbazione di malattia croniche già presenti, disfunzioni respiratorie (come l'asma), iperemesi, morte, dolore addominale, distacco di placenta, rottura dell'utero, perdite ematiche del primo trimestre, disturbi alimentari, infezioni pelviche, dolore pelvico, epilessia.

Per quanto riguarda invece le conseguenze di tipo psicologico emergono la presenza di depressione, abuso di sostanze, uso eccessivo di farmaci psicotropi o alcol, disturbi di ansia, disturbi del sonno, ideazione suicidaria e disturbo post traumatico da stress.

Per quanto riguarda infine gli esiti sul bambino si evidenzia la presenza di poliabortività, distacco della placenta, parto pretermine, corioamnionite, basso peso alla nascita e morte fetale nei casi più gravi. Inoltre si manifestano aspetti di tipo psichico quali depressione, abuso di sostanze, difficoltà scolastiche.

Come è evidente quindi, le conseguenze psicologiche a lungo termine della violenza subìta in gravidanza provocano effetti estremamente gravi e dannosi sullo sviluppo psicologico del bambino, oltre ovviamente alla elevata probabilità di assistere nella sua infanzia ad episodi di violenza (violenza assistita) o addirittura a subire atti aggressivi in prima persona. Questi elementi hanno generalmente effetti devastanti sia sullo sviluppo fisico che psicologico, cognitivo e relazionale del bambino.

Considerando quanto sopra descritto appare evidente la necessità di intervenire a protezione della donna e del bambino in modo tempestivo, ma ciò spesso si scontra con la realtà e con la difficoltà di individuare specificatamente questi casi, non essendoci spesso collaborazione da parte della stessa vittima.

Ma come è possibile individuare la donna vittima di violenza in gravidanza?

Innanzitutto è importante valutare che in questo periodo particolare della vita di una donna è possibile e più probabile che ella possa accedere a servizi del territorio in un iter già predisposto di visite specialistiche e esami diagnostici. In tali situazioni il personale medico, ostetrico o infermieristico può rappresentare un valido riferimento anche al fine di evidenziare problematiche non necessariamente di tipo fisico/medico ma anche familiare, relazionale, sociale e psicologico.

In tal senso alcuni elementi di rilevanza clinica e sociale possono diventare utili a focalizzare l'attenzione su pazienti che presentano alcuni fattori di rischio importanti che possono rappresentare dei segnali di allarme. Tra quelli più identificabili si rilevano:

  • la presenza di una gravidanza indesiderata (che implica un rischio 4 volte maggiore);
  • un ritardo non giustificabile nell'accesso alle cure parentali;
  • la presenza di un'anamnesi di aborti ripetuti, parti pretermine, distacchi di placenta, infezioni urinarie recidive;
  • età materna giovane (16-19 anni presenta un rischio 3 volte maggiore della media);
  • presenza di ecchimosi o ematomi o ferite;
  • abuso di alcol e/o di sostanze;
  • dimenticanze reiterate degli appuntamenti fissati;
  • presenza di ansia e depressione;
  • presenza di eccessiva preoccupazione per la gravidanza;
  • spiccata diffidenza nei confronti degli operatori;
  • - presenza di lesioni che presentano stadi diversi di guarigione.

Ma anche il comportamento del partner può essere un elemento da valutare con grande attenzione. Si rileva infatti generalmente la presenza di:

  • un'eccessiva sollecitudine nei confronti della partner;
  • un controllo costante;
  • una presenza costante ed invadente a fianco della compagna;
  • un'intromissione costante e controllante che limita anche la possibilità di comunicazione della donna (risponde al suo posto per esempio).

Quali sono le principali cause della violenza domestica?

La violenza contro le donne infatti generalmente (a parte casi specifici) non è causata da malattia mentale, non è causata da uso di alcool e droga, non è il risultato di stress o rabbia, non è dovuta a cattivo temperamento, non è conseguenza di comportamenti della vittima e non è un problema di relazione. La violenza si manifesta perché la relazione si basa sulla credenza che una persona ha il diritto di controllare ed avere il potere su un'altra persona. Potere e controllo sono gli elementi basilari sulla quale si fonda il comportamento violento.

La violenza segue generalmente un ciclo. I partner all'inizio sono infatti molto attenti e premurosi con le compagne; solo in seguito e gradualmente la tensione cresce nella relazione e porta a scontri per motivi futili, al fine di ripristinare un controllo sulla compagna. Una volta affermata la violenza e ripristinato il potere sull'altro può subentrare un senso di colpa con scuse più o meno credibili che riportano la coppia a riavvicinarsi con la cosiddetta fase di “luna di miele” caratterizzata dal ritorno dell'affettività e delle attenzioni per riavvicinare ciò che si ha paura di perdere.

Tale omeostasi ha breve durata generalmente in quanto, accumulandosi tensione, si verificherà un nuovo conflitto e nuove forme di violenza in cui la donna, nella speranza vana di recuperare un equilibrio, si ritroverà prigioniera e vittima, spesso inconsapevole della pericolosità relativamente la sua incolumità.

Le tappe della violenza, riassumendo, prevedono elementi quali: isolamento, percezioni distorte, sfinimenti ed impedimenti, umiliazioni, obbligo di soddisfare ogni richiesta, minacce, attuazione di un controllo totale, concessioni occasionali.

Relativamente il periodo della gravidanza si sottolinea che non è “preservato” dalla violenza, anzi spesso tali situazioni emergono in modo ancora più rilevante in quanto la donna è percepita da un lato come più fragile per il suo stato, più manipolabile per il timore per sé e per il bambino, dall'altro come meno controllabile in quanto si inserisce un terzo nella diade e il bambino può essere vissuto come un intruso/competitor che può rompere il potere che hanno sulla compagna.

Criticità

Dagli studi internazionali sopra menzionati e dai risultati presentati risulta evidente la presenza rilevante, tenuto conto anche del numero oscuro di casi, di violenza fisica e psicologica anche nel periodo della gravidanza.

La violenza psicologica, fisica o verbale è spesso già presente nella coppia, ma in alcuni casi tali situazioni emergono proprio in concomitanza con la gravidanza stessa.

Particolarmente gravi sono i comportamenti violenti in tali situazioni, sia perché mettono in grave pericolo il feto (nei casi di violenza fisica), sia perché le conseguenze negative fisiche, fisiologiche e psicologiche sono di fatto a carico sia della madre che del bambino con esiti molto negativi anche a lungo termine.

Purtroppo risulta ancora molto difficile riuscire ad intervenire precocemente in tali situazioni sia per una tendenza a celare il problema da parte delle vittime, sia anche per una insufficiente attenzione da parte degli operatori a rilevare gli aspetti critici nel normale iter previsto per le donne in maternità.

Una criticità ulteriore emerge rispetto alla valutazione della violenza psicologica, già di per sé estremamente difficile da riconoscere e comprovare in generale e meno visibile e riconoscibile da parte di operatori nonché dalle vittime stesse.

Importante sarebbe quindi riuscire ad “attenzionare” nei luoghi e con gli operatori con i quali la donna vittima ha contatto per motivi legati al suo stato di gravidanza tale aspetto, anche in considerazione del fatto che le conseguenze psichiche ad essa connesse risultano incisive nel tempo a medio-lungo termine.

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