Cannabis da droga: identificazione, somministrazione e punibilità
23 Novembre 2015
Abstract
Gli accertamenti analitici destinati alla verifica delle potenzialità droganti della cannabis presentano diversi profili di difficoltà, in particolare con riferimento a prodotti dal basso contenuto di principio attivo idoneo a produrre effetto stupefacente. La Cannabis. Definizione
La Cannabis sativa (canapa) è una pianta arbustiva o erbacea appartenente alla sottofamiglia delle “cannabacee” della famiglia delle “moracee”; cresce spontaneamente in molte zone del mondo dove viene usata per scopi diversi; i più importanti sono: produzione di fibre tessili, semi, droghe (marijuana, hashish, ecc.) e farmaci. La cannabis è una specie dioica, in cui gli organi riproduttori maschili si trovano su una pianta e quelli femminili su un'altra. Le sostanze farmacologicamente (e tossicologicamente) attive sono contenute soprattutto nella resina che in fase di piena maturazione ricopre le infiorescenze e le foglie apicali della pianta femmina adulta. Non vi è di fatto una evidente differenza tra le specie da fibra o ad uso agrotecnico e quelle da droga, se non nel quantitativo di resina prodotta in fase di piena maturazione. Seppur esistano diverse selezioni genetiche dedicate ai più diversi usi, si presenta qualche difficoltà nel distinguerle in base all'aspetto esteriore.
La normativa interna
Il decreto legge 20 marzo 2014, n. 36 , convertito con legge 16 maggio 2014, n. 79, recependo gli insegnamenti della Corte costituzionale (sentenza 32/2014) ha apportato alcune modifiche al testo unico sugli stupefacenti (d.P.R. 309/1990), ripristinando il sistema sanzionatorio collegato agli illeciti relativi alle sostanze stupefacenti e psicotrope. Tali sostanze sono state classificate e suddivise in quattro tabelle contenute nell'allegato IV (I e III sanzioni maggiori; II e IV sanzioni minori).
I prodotti della Cannabis sono inseriti in tabella II.
Si ricorda in ogni caso che i prodotti della Cannabis sono considerati a tutti gli effetti sostanze stupefacenti ai sensi del testo unico d.P.R. 309/1990, in ogni loro forma, di conseguenza ne è vietato l'utilizzo, la produzione ed il commercio, fatte salve le eccezioni di legge.
Somministrazione ed effetti
Sulla farmacotossicologia dei T.H.C. si rimanda a I metaboliti di T.H.C. in O. Ghizzoni, Guida in stato di alterazione: dagli accertamenti su strada alle analisi dei campioni biologici.
Il principale metodo di somministrazione (per la maggior parte dei casi autosomministrazione) è quello per via inalatoria in seguito al fumo di cannabis. Dopo essere stato assorbito a livello polmonare, il principio attivo arriva velocemente al cervello, conferendo a tale via di somministrazione una particolare efficacia per l'ottenimento dell'effetto drogante, con conseguente aumento del potenziale di abuso. In letteratura si ritrovano alcuni studi volti alla valutazione degli effetti diretti della cannabis e del tetraidrocannabinolo (T.H.C.) nei volontari sani. Un numero crescente di nuovi agenti terapeutici è infatti rivolto ai recettori dei cannabinoidi e per tale motivo sono in corso studi per l'identificazione di biomarcatori utili a tale scopo.
L'assorbimento del T.H.C. inalato avviene nel giro di pochi minuti. Segue. Relazione dose-dipendente
Vi è un'ampia variabilità nella dose di T.H.C. necessaria per produrre un effetto sul sistema nervoso centrale, poiché è nota l'elevata tolleranza al T.H.C. attraverso la downregulation dei recettori CB1 e delle G-protein. Una revisione di 165 studi di farmacologia clinica ha tentato di normalizzare gran parte dei vari dati relativi alle dosi e alle vie di somministrazione del T.H.C. Si è quindi definita una dose minima pari a una quantità di meno di 7 mg, una dose media pari a 7-18 mg, e una dose elevata una quantità superiore a 18 mg.
Uno studio sulla biodisponibilità ha dosato il T.H.C. ed i suoi metaboliti per un periodo pari a 7 giorni dopo la somministrazione di sigarette contenenti una quantità di principio attivo del 1,75% o del 3,55%. Il risultato ha mostrato una concentrazione media (± S.D.) di T.H.C. pari a 7,0 ± 8,1 ng/ml per singola inalazione per la dose più bassa (1,75% di THC, circa 16 mg) e 18,1 ± 12,0 ng/ml su singola inalazione del dosaggio più elevato (3,55% di T.H.C., circa 34 mg). Il valore è stato ricavato mediante gas-cromatografia accoppiata a spettrometria di massa (GC/MS). Le concentrazioni plasmatiche aumentano rapidamente, raggiungendo rispettivamente i picchi medi di 84,3 ng/ml (range 50-129) e 162,2 ng/ml (range 76-267) per i due tipi di sigarette. Ulteriori test con sigarette aventi concentrazioni di T.H.C. pari a 1,32, 1,97 o 2,54%, hanno mostrato picchi di assorbimento rispettivamente di 94.3, 107.4 e 155.1 ng/ml. Le concentrazioni medie di oltre 30.000 preparazioni di cannabis sequestrate negli Stati Uniti tra il 1980 e il 1997 contiene il 3,1% di T.H.C. e solo lo 0,3% di C.B.D.
L'utilizzo dei prodotti cannabici a basso contenuto di T.H.C. (0.5 - 1.5 %) ai fini droganti, non produrrebbe di fatto significativi effetti stupefacenti nei potenziali consumatori, per i motivi di seguito rappresentati. Al solo scopo orientativo, in riferimento alle tabelle di cui alla legge 49/2006 (dichiarata illegittima sotto il profilo normativo con sent. 32/2014 della VII Sez. della Corte costituzionale ma certamente ancora attuale sotto il profilo tecnico-tossicologico) la dose media singola per il Δ9-T.H.C. corrisponde a 25 mg (0,025 g), il quantitativo massimo giornaliero è pari a 500 mg (0,5 g ovvero 20 d.m.s.). Mediamente una sigaretta (spinello) artigianale contiene dai 500 mg ai 1000 mg (0,5-1,0g) di vegetale, assumendo che sia totalmente costituito dalla canapa all'1% di principio drogante, il contenuto in Δ9-THC può variare a seconda del peso sopra riportato da 5 mg a 10 mg di principio attivo puro, ovvero molto meno dei 25 mg relativi alla dose media singola. Ciò significa che un consumatore medio, al fine di ottenere un minimo effetto stupefacente, soprattutto considerando che circa il 50% del principio attivo viene disperso tramite fumo nell'ambiente e quindi non inalato, dovrebbe fumare dai tre ai cinque spinelli confezionati utilizzando unicamente canapa e in assenza di tabacco (tenuto conto che nella maggior parte dei casi la canapa viene mischiata con tabacco, i numeri di cui sopra sono destinati ulteriormente ad aumentare ma appare inverosimile che un consumatore medio possa fumare dai tre ai cinque spinelli di "erba pura" per ottenere un minimo effetto, o dai cinque ai dieci spinelli per ottenere l'effetto di una dose singola.). Chiaramente si tratta di una situazione limite, poco credibile, considerando che il consumatore medio desidera ottenere un effetto stupefacente con una singola dose, ovvero un singolo spinello, spesso mischiando la canapa con tabacco. In ogni caso si tenga conto che stiamo parlando di un contenuto di Δ9-T.H.C. decisamente superiore a quello previsto dalla normativa europea come limite per le specie ad uso agroindustriale 0.2% contro l'1% eppure, come si è dimostrato, non si può affermare che la varietà esaminata possa avere significativi effetti stupefacenti nei potenziali consumatori. (Come da allegato XIII (articolo 7-ter, paragrafo 1) regolamento (Ce) n. 2316/1999 della Commissione del 22 ottobre 1999)
In una popolazione di una determinata varietà di canapa, si preleva una parte di 30 cm contenente almeno un'infiorescenza femminile per ogni pianta selezionata. Il prelievo deve essere effettuato a condizione che, per ciascuna varietà coltivata, vengano prelevati campioni rappresentativi, durante il periodo compreso tra il ventesimo giorno successivo all'inizio e il decimo giorno successivo alla fine della fioritura. Nel caso di una varietà dioica, devono essere prelevate solo le piante femminili. L'essiccazione dei campioni deve iniziare appena possibile e comunque entro le 48 ore, indipendentemente dal metodo, ad una temperatura inferiore a 70 ºC. I campioni devono essere essiccati sino al raggiungimento di un peso costante, con umidità compresa tra l'8% e il 13%. Dai campioni essiccati devono essere eliminati gli steli e i semi di più di 2 mm. I campioni essiccati sono triturati sino ad ottenere una polvere semifina (setaccio con maglie di larghezza di 1 mm). La polvere deve essere conservata al massimo per 10 settimane, in ambiente asciutto, in oscurità ed a temperatura inferiore a 25ºC, prima di essere avviata ad analisi. Le Sezioni unite nel 2008, mettendo un punto fermo in tema di coltivazione, hanno affermano che la coltivazione di piante destinate alla produzione di sostanza stupefacente è sempre punibile. La Cassazione ha così posto una differenza fondamentale tra condotte immediatamente e direttamente collegate all'uso della sostanza stupefacente (i.e. detenzione) e la coltivazione. Quest'ultima viene ritenuta illegittima a prescindere dal vincolo diretto e immediato con il consumo ed è punita anche laddove non risulti destinata all'immissione sul mercato. La punibilità della stessa ha dunque a che fare con la fase della produzione e della relativa autorizzazione alla stessa. Ne consegue che, secondo la giurisprudenza, in punto di produzione/coltivazione:
Alla luce di detti principi, la giurisprudenza più recente ha introdotto dei correttivi/temperamenti in base ai quali, premessa la punibilità della coltivazione di per se (offensività in astratto), dato il disposto di cui all'art. 49 c.p., spetta comunque al giudice determinare l'offensività in concreto della sostanza esaminata. Sul punto diverse sentenze affermano che in assenza di capacità drogante non vi è offensività. La maggior parte delle sentenze che affermano detta assenza, tuttavia, sono riferite a coltivazioni di non più di 4/5 piante, vale a dire quel tipo di coltivazione che solitamente è considerata la c.d. coltivazione domestica. L'assenza di capacità drogante in “in concreto” non deve essere riferita al quantitativo complessivo delle piante rinvenute e dunque al suo potenziale di diffusione ma all'utilizzo delle stesse come sostanze stupefacenti e al loro effetto drogante , con riferimento alla percentuale di THC rinvenuta e potenzialmente utilizzabile a tal fine. L'offensività in concreto, infatti, manca quando il prodotto finale non abbia alcuna capacità drogante in quanto non è realizzabile la fattispecie tipica, che è quella della pianta con adeguato contenuto di principio attivo effettivamente utilizzabile per il consumo.
È utile in tal caso concentrare l'attenzione sul passaggio relativo alla inoffensività che ricorre allorquando la sostanza ricavabile dalla coltivazione non sia idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile. Tale passaggio ci riporta infatti al Case report sopra menzionato e ripropone due domande dal risvolto estremamente pratico:
Baccini C: Sostanze d'abuso e tossico-dipendenze, Sorbona 1997; Howlett AC, Fleming RM: Cannabinoid inhibition of adenylate cyclase: pharmacology of the response in neuroblastoma cell mebranes, Mol Pharmacol., 36: 532, 1984; Howlett AC, Bindan-Russel M, Devane WA, Melvin LS, Johnson MR, Herkenham M: The cannabinoidi receptor: bochemical, anatomical and behavioral chracterization, TINS, 13: 420, 1990; Mercuriali G: Tossicodipendenza: definizioni, patologia, quadri clinici, Edizioni ETS, Pisa, 1993; Brecher EM: Licit ad Illicit Drugs, Consumer Union, Mount Vernan, 1972; Malizia E: Le Droghe, Newtun Compton Editori, Roma, 1995; Atavico U, Macchia T: La determinazione delle droghe d'abuso, CLAS 1991; Clarke's: Analysis of Drugs and Poisons, Fourth Edition 2011. |