La perizia sull'idoneità a testimoniare del minorenne nei casi di presunta violenza sessuale

22 Giugno 2016

Valutare l'idoneità a testimoniare di un soggetto vulnerabile rappresenta sicuramente uno degli argomenti più delicati e complessi nel panorama della psicologia forense. Significa, infatti, muoversi all'interno di una cornice teorica-giuridica non del tutto definita, per comprendere la quale basta pensare alle numerose sentenze della Cassazione in tema di violenza sessuale su minori che sanciscono e, talvolta, rivoluzionano l'orientamento giurisprudenziale sul tema.
Abstract

Valutare l'idoneità a testimoniare di un soggetto vulnerabile rappresenta sicuramente uno degli argomenti più delicati e complessi nel panorama della psicologia forense. Significa, infatti, muoversi all'interno di una cornice teorica-giuridica non del tutto definita, per comprendere la quale basta pensare alle numerose sentenze della Cassazione in tema di violenza sessuale su minori che sanciscono e, talvolta, rivoluzionano l'orientamento giurisprudenziale sul tema.

In questo campo non di rado l'emotività condiziona quello che dovrebbe essere un approccio valutativo basato esclusivamente su una metodologia scientifica. La violenza sessuale è argomento che suscita reazioni di “pancia” in cui il sospetto dell'abuso proietta verso un'idea di certezza dell'abuso, permettendo così di superare l'angoscia del dubbio ed assumere una un atteggiamento interventista. Può accadere, quindi, che i periti seguano più l'intuito emotivo che la prassi professionale, lanciandosi in valutazioni e interpretazioni personali dei fatti che poi non reggono in sede processuale.

In questo breve articolo tratteremo il tema della perizia volta alla valutazione dell'idoneità testimoniale per il Gip, evidenziando come la stessa sia da espletare prima dell'audizione del minore e non successivamente.

La metodologia scientifica a cui faremo riferimento sono la Carta di Noto (III, 2011) e le Linee guida nazionali – L'ascolto del minore testimone (2010).

Il quesito peritale

Sui quesiti peritali occorre effettuare delle doverose precisazioni. In diversi tribunali e procure d'Italia accade che i magistrati pongano quesiti fuorvianti e ambigui.

Ci riferiamo a quesiti peritali che hanno come oggetto l'accertamento della attendibilità/credibilità delle dichiarazioni del minore presunta vittima di violenza sessuale oppure la valutazione della presenza di eventuali traumi, psicotraumi e P.T.S.D. (Disturbo Post-Traumatico da Stress) ricollegabili all'abuso.

Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci. Il solo quesito peritale che il magistrato può porre al perito, in questo genere di casi, è sulla c.d. capacità a rendere testimonianza (art. 196 c.p.p.) del minore:

Accerti il Perito l'idoneità psicofisica del minore XY a rendere testimonianza sui fatti oggetto del processo.

È questo il quesito che dovrebbe trovare riscontro in tutti i contesti giudiziari italiani alla stregua della c.d. capacità di intendere e di volere che ritroviamo in tutte le perizie in cui l'esperto è chiamato a doversi esprimere ex art. 88 e 89 c.p.

Eppure, se il quesito sulla capacità di intendere e volere appare universalmente riconosciuto e immodificabile, i quesiti che vengono posti agli esperti in tema di violenza sessuale su minori risultano quasi sempre diversi e fantasiosi.

Qualche esempio:

Accerti il Perito l'attendibilità delle dichiarazioni del minore XY ..

Dica il Perito se le dichiarazioni del minore XY siano compatibili con i fatti oggetto di causa...

Dica il Perito se il minore presenta disagi o traumi psicologici riconducibili ai fatti oggetto di causa…

Accerti il perito, anche attraverso l'esame dei disegni, colloqui e test psicologici, se il minore XY presenta psicotraumi ricollegabili al fatto criminoso….

La giurisprudenza di legittimità ha sancito numerose volte che il perito non può esprimersi in termini di attendibilità e credibilità, più in generale l'esperto non può verificare, nemmeno indirettamente e implicitamente, l'abuso sessuale. Compito dell'esperto è, come detto, esprimersi solo e soltanto in termini di idoneità a testimoniare ma non in modo astratto, bensì in modo specifico sui fatti oggetto di denuncia.

Infatti, un minore potrebbe essere idoneo a riportare un episodio comune avvenuto nello stesso periodo in cui si sarebbero verificati gli abusi sessuali e non essere, allo stesso tempo, capace di raccontare questi ultimi per via della loro particolare complessità semantica e lessicale in riferimento al suo funzionamento cognitivo ed emotivo.

L'esperto non potrà infatti esprimere alcun parere scientificamente fondato in merito al grado di probabilità che il racconto reso corrisponda o meno ad un'esperienza vissuta ma solo riguardo il funzionamento psicologico del soggetto ed i margini di probabilità che alcuni fattori possano comportare un rischio in merito alla genuinità dei suoi racconti.

FORNARI (1997) offre una definizione piuttosto esaustiva sul concetto di capacità a testimoniare.

Il testimone è idoneo a rendere testimonianza: nel senso che nei suoi meccanismi psichici non si ravvisa, da un punto di vista clinico, alcun processo che possa inficiare precisione, obiettività, serenità di percezione, di conservazione e di rievocazione (con tutte le riserve insite in ogni discorso che riguardi i ricordi). Il che non significa che egli dica o abbia detto la verità. Può benissimo darsi che egli non la voglia dire, che sia un bugiardo, un calunniatore, un diffamatore. Affermare che egli è idoneo significa solo dire che egli, se vuole, è in grado di dire la verità attraverso una narrazione e una rievocazione espositiva libere da funzionamenti mentali immaturativi, conflittuali o patologici. Ne consegue che anche uno psicotico, il cui funzionamento mentale relativamente al fatto narrato è conservato, può essere ritenuto idoneo a rendere testimonianza.

Il testimone non è idoneo a rendere testimonianza: perché nel suo funzionamento mentale sono presenti alterazioni patologiche della memoria, del pensiero, della percezione, dell'affettività e di altre funzioni psichiche, tali da inficiare del tutto la sua possibilità di dire il vero, quand'anche egli lo voglia.

Esistono poi situazioni per così dire “intermedie”, nelle quali la idoneità pur essendo presente viene inficiata e compromessa (ovvero, indebolita) da fattori interni al soggetto (ad esempio, una elevata suggestionabilità) o da influenze suggestive interne o esterne. Questi riscontri possono essere utili sia per orientare l'audizione in incidente probatorio (qualora la perizia venga svolta in precedenza) sia per una valutazione in sede giudiziaria della prova dichiarativa testimoniale: In generale le dichiarazioni della parte offesa di abusi sessuali, che abbia piena capacità di intendere e di volere, possono esse sole fondare la prova della responsabilità dell'autore della condotta ove non sussistano elementi, anche solo indiziari, di segno opposto che possano indurre a dubitare dell'attendibilità di tali dichiarazioni; nel qual caso il giudice di merito è chiamato a valutarli criticamente e ad esprimere la ragione del suo convincimento (Cass. pen., Sez. III, 30 settembre 2014, n. 45920).

Le Linee Guida Nazionali all'art. 3.3 citano: La capacità di testimoniare comprende abilità “generiche” e “specifiche”. Le prime corrispondono alle “competenze” cognitive come memoria, attenzione, capacità di comprensione e di espressione linguistica, source monitoring, capacità di discriminare realtà e fantasia, verosimile da non verosimile, etc, oltre al livello di maturità psico-affettiva. Le specifiche” corrispondono alle abilità di organizzare e riferire un ricordo in relazione alla complessità narrativa e semantica delle tematiche in discussione ed all'eventuale presenza di influenze suggestive, interne o esterne, che possono avere agito.

In analogia con l'imputabilità si può affermare che la valutazione utile al giudice è sempre quella specifica, ossia articolata alle specificità del caso concreto.

La capacità generica è piuttosto un presupposto concettuale di quella specifica, una condizione necessaria ma non sufficiente .

Come nella imputabilità, una incapacità a determinarsi per qualsiasi reato – esempio un gravissimo schizofrenico – rende superflue particolari valutazioni legate al caso concreto, mentre un funzionamento anche sufficiente adeguato in senso generico potrebbe non escludere che, nel caso concreto, per particolari ragioni si sia comunque manifestata una incapacità specifica di intendere e di volere.

Per quanto riguarda traumi, psicotraumi e P.T.S.D., la vasta letteratura scientifica sull'argomento (anche la Cassazione) è unanime nell'affermare che non esistono indicatori specifici di abuso sessuale così come non possono essere rilevati, all'interno dell'iter peritale, traumi direttamente collegabili al fatto criminoso, anche perché se l'esperto accerta la presenza di un trauma da violenza sessuale, implicitamente accerta la violenza.

A tal proposito si veda la nota sentenza n. 121/2007, oltre alla Carta di Noto (III, 2011) all'art. 13: I sintomi di disagio che il minore manifesta non possono essere considerati come “indicatori” specifici di abuso sessuale, potendo derivare da conflittualità familiare o da altre cause,mentre la loro assenza non esclude l'abuso.

Anche le Linee Guida Nazionali – L'ascolto del minore testimone (2010) all'art. 4.3: Le evidenze scientifiche non consentono di identificare quadri clinici riconducibili a specifica esperienza di vittimizzazione, né ritenere alcun sintomo prova di un'esperienza di vittimizzazione o “indicatore” di specifico traumatismo. In definitiva non è scientificamente corretto inferire dalla esistenza di sintomi psichici e/o comportamentali, pur rigorosamente accertati, la sussistenza di uno specifico evento traumatico.

Altresì un minore, seppure certamente vittima violenza sessuale, potrebbe non presentare alcun quadro psicopatologico rilevante grazie a fattori protettivi di tipo personale e sociale in grado di favorire un esito resiliente. La resilienza è infatti una capacità manifestata da soggetti giovani che li rende capaci di evolvere favorevolmente dopo aver sperimentato uno stress in grado di comportare conseguenze sfavorevoli.

Metodologia peritale. Analisi degli atti

È importante che il perito consulti tutti gli atti presenti nel fascicolo del pubblico ministero, tra cui il verbale di denuncia, le sommarie informazioni testimoniali (Sit) del minore (con eventuale video-audioregistrazione), altre Sit (familiari, parenti, amici, conoscenti ecc.).

Unitamente a questi atti è importante che il perito valuti eventuali accertamenti consulenziali svolti dal consulente tecnico del pubblico ministero, quindi analizzi dettagliatamente l'elaborato insieme ad eventuali allegati.

In presenza di Sit e/o incontri consulenziali (ex art. 359 o 360 c.p.p.) video-audioregistrati, è consigliabile non consultare solo le eventuali trascrizioni ma analizzare direttamente la fonte digitale.

DE CATALDO (2010) sostiene che il rispetto della procedura corretta in cui vengono stilati i verbali dovrebbe riguardare non solo l'incidente probatorio ma anche le fasi precedenti (Sit) in cui le prime rivelazioni sembrano le più genuine perché poco contaminate ed inquinate da errate tecniche di ascolto o da altri fattori. Ovviamente la reale genuinità delle dichiarazioni rese a Sit è da accertare valutandone tempi e metodologia di assunzione.

Anche MAZZONI (2011) attribuisce la giusta importanza alla stesura dei verbali nei quali di solito è presente un frasario standard che non ha nulla a che vedere con le parole utilizzate nei vari racconti.

A tal proposito può capitare che un termine mai riferito dal minore durante la Sit venga scritto a verbale, come ad esempio la parola “farfallina” per indicare le “parti intime”.

(Segue). Incontro con il denunciante

Svolto singolarmente senza il minore, dovrebbe rappresentare il primo incontro peritale al fine di acquisire tutte le informazioni sulla notitia criminis, in particolare come è nata, da chi è stata appresa e in che modo, dopo quanto tempo è stata sporta la denuncia, il contesto in cui è scaturita, se vi siano state pressioni nel denunciare e così via.

Un utile strumento è rappresentato dal c.d. Memorandum di Ney (1995) che, ormai datato, trova la sua evoluzione nella S.R.D.- Scheda Rilevazione Denunciante nei casi di violenza sessuale contenente gli argomenti da poter trattare con il denunciante in questo genere di casi, utile anche per le forze dell'ordine, polizia giudiziaria e procura:

A. Sulla prima rivelazione

A.1. Com'è avvenuta la primissima rivelazione della violenza sessuale (spontanea, sollecitata ecc.)?

A.2. Qual era il clima (minaccioso, conflittuale ecc.)?

A.3. Qual è il motivo per cui è avvenuta?

A.4. Chi era presente?

A.5. Dove è avvenuta?

A.6. Quando è avvenuta?

A.7. Qual era lo stato emotivo della presunta vittima?

A.8. Qual è stata la reazione dei presenti?

A.9. Quante volte la presunta vittima ha ripetuto i fatti e a chi?

A.10. Quali domande sono state poste alla presunta vittima?

A.11. Rivelata la violenza sessuale, cos'è accaduto successivamente?

B. Sulla denuncia

B.1. Chi ha deciso di sporgere denuncia?

B.2. Dopo quanto tempo dalla prima rivelazione?

B.3. Com'è avvenuta la denuncia (Forze dell'Ordine, Procura, segnalazione ecc.)?

B.3.1. Chi è il denunciante?

B.3.2. Chi era presente con il denunciante?

B.3.3. La presunta vittima ha accompagnato il denunciante? Se si, in che modo era stata informata di quanto si andava a fare?

B.3.4. Mentre il denunciante verbalizzava, dove si trovava la presunta vittima?

B.3.5. La presunta vittima ha avuto modo di ascoltare, anche involontariamente, il denunciante mentre verbalizzava?

B.3.6. La presunta vittima ha avuto modo già in quell'occasione di raccontare i fatti, anche informalmente?

B.3.7. Se sì, in che modo (spontaneamente, sollecitata ecc.)?

B.3.8. Chi era presente nella stanza?

B.4. La denuncia è stata audio-videoregistrata?

B.5. Il verbale di denuncia è stato redatto in forma verbatim o ricostruttiva?

B.6. Il denunciante potrebbe trarre un vantaggio secondario dalla denuncia?

B.7. La denuncia coinvolge anche altre persone oltre al denunciante?

C. Sul contesto familiare e sociale

C.1 Qual è la composizione familiare della presunta vittima?

C.2. E' presente un conflitto tra i genitori, tra genitori e figli o con altri famigliari?

C.3. Che rapporto c'è tra il presunto abusante e la presunta vittima?

C.4. Successivamente alla denuncia (o alla prima rivelazione) i rapporti abusante-vittima sono cambiati?

C.4.1. Hanno avuto modo di incontrarsi successivamente?

C.4.2. Quante volte, dove e perché?

C.5. Successivamente alla denuncia (o alla prima rivelazione) i rapporti tra i familiari sono cambiati?

C.6. Successivamente alla denuncia (o alla prima rivelazione) i rapporti tra i familiari della presunta vittima e del presunto abusante sono cambiati?

(Segue). Incontri con il minore

Rappresentano gli incontri più importanti dell'intera attività peritale. Solitamente un paio sono sufficienti per svolgere gli accertamenti necessari.

In particolare il perito è chiamato ad effettuare una serie di valutazioni per rispondere al quesito sull'idoneità a testimoniare. A tal proposito risulta utile lo strumento messo a punto da CAMERINI, SABATELLO, VOLPINI (2012) che racchiude tutte le aree da esplorare e valutare:

Esame competenze testimoniali generiche

A. Presenza di problemi psichici osservati o riferiti

B. Comprensione verbale

B.1 Comprensione di strutture grammaticali e sintattiche

B.2 Comprensione di sinonimi e di termini con differenze minime di significato

B.3 Comprensione/riconoscimento di contenuti assurdi (assurdità semantiche)

C. Memoria autobiografica e capacità di organizzazione del racconto

C.1 Racconto di esperienze passate recenti (sino ad un anno)

C.2 Racconto di esperienze passate meno recenti (oltre un anno)

D. Esame di realtà

D.1 Tendenza alla confabulazione

D.2 Tendenza a confondere realtà e fantasia

E. Problemi psichici in grado di incidere sull'esame di realtà

F. Suggestionabilità

F.1 Tendenza a cedere alle domande suggestive (compiacenza)

F.2 Tendenza ad assecondare la direzione delle domande (acquiescenza)

Esame competenze testimoniali specifiche

A. ComplesSità narrativa e semantica dell'evento (come ricavato dagli atti processuali)

A.1 Distanza temporale

A.2 Impegno cognitivo richiesto, quantità di dettagli periferici o centrali da ricordare

A.3 Qualità/caratteristiche dell'evento in termini di impatto traumatico

A.4 Evento ripetuto o isolato

B. Influenze suggestive

B.1 Numero di ripetizioni del racconto (come riferito dal minore)

B.2 Numero di ripetizioni del racconto (riferite dal familiare - quale)

B.3 Qualità e quantità delle sollecitazioni portate dal contesto per ottenere dal minore la

rivelazione degli eventi (come riferito dal minore)

B.4 Qualità e quantità delle sollecitazioni portate dal contesto per ottenere dal minore la

rivelazione degli eventi (come riferito dal familiare - quale)

C. Contesto ambientale familiare (separazione dei genitori, conflitti tra i genitori, conflitti genitore-figlio/a)

Sono questi gli argomenti da trattare nell'ambito peritale, anche se non di rado riscontriamo periti che effettuano indagini alla stregua della polizia giudiziaria, sollecitando il minore sui presunti fatti, cercando di riscontrare elementi utili per accertare o meno l'abuso sessuale.

I test psicologici possono servire da supporto e integrazione dei colloqui peritali con il minore. Dovrebbero essere utilizzati quelli evidence-based, tralasciando quelli puramente proiettivi (Rorschach, carta e matita, TAT, Favole Duss ecc.) che, in quanto tali, possono comportare il rischio per il somministratore di valutare soggettivamente i risultati (SARTORI, 2010).

I test psicologi non possono essere utilizzati per rilevare indicatori di abuso sessuale, infatti, non esistono strumenti testologici in grado di discriminare la presenza di segnali di violenza sessuale, così come un semplice disegno effettuato in qualsiasi contesto (pensiamo alla scuola) non può rappresentare la forma simbolica dell'abuso sessuale.

A tal riguardo la Carta di Noto all'art. 11:

[…] I test e i disegni non sono utilizzabili per trarre conclusioni sulla veridicità dell'abuso. Non esistono, ad oggi, strumenti o costrutti psicologici che, sulla base di teorie accettate dalla comunità scientifica di riferimento, consentano di discriminare un racconto veritiero da uno non veritiero, così come non esistono segnali psicologici, emotivi o comportamentali attendibilmente assumibili come rivelatori o “indicatori”' di una vittimizzazione sessuale o della sua esclusione.

Anche le Linee Guida SINPIA sulla stessa tendenza:

Questi strumenti non risultano inoltre utilizzabili per la specifica valutazione in tema di abuso sessuale, in quanto alcuni studi non dimostrano significative differenze tra minori sessualmente abusati e non (Waterman e Lusk, 1993; Veltman e Browne, 2003). Essi possono fornire soltanto indicazioni relative alla struttura di personalità del minore, al suo assetto relazionale e alla qualità degli eventuali disturbi psicopatologici.

Anche la validazione sperimentale del disegno come tecnica per evidenziare eventi sessuali traumatici ha fornito molti risultati dubbi: si consideri che il numero dei bambini abusati che disegna genitali e/o atti sessuali è limitato.

Un disegno può eventualmente lasciare ipotizzare un disagio ma genericamente non specificamente. Non esiste in letteratura scientifica la certezza che un determinato contenuto, quand'anche di natura sessuale, sia direttamente correlabile ad una violenza subita. È come affermare, di contro, che la non presenza di quel contenuto corrisponda all'assenza di violenza sessuale. Chi si assumerebbe la responsabilità di affermare ciò?

A tal proposito è molto chiara la Cassazione nel recepire e sintetizzare in sede giuridica gli assunti fondamentali della multicausalità e dell'equifinalità previsti dal modello della psicopatologia dello sviluppo: Più in generale, costituisce un ragionamento circolare e non corretto ritenere che i sintomi siano prova dell'abuso e che l'abuso sia la spiegazione dei sintomi (Cass. pen., Sez. III, 18 settembre 2007, n. 852).

(Segue). Altri incontri peritali

Successivamente è possibile programmare altri incontri quali, ad esempio, presso l'Istituto scolastico del minore per interloquire con i suoi insegnanti (molto utile se la prima rivelazione è avvenuta all'interno dell'Istituto Scolastico); con il presunto abusante nei casi di violenza sessuale intrafamiliare (attenzione: normalmente questo è impedito nelle consulenze al P.M. durante le indagini); altri familiari e/o conoscenti; presso enti pubblici e/o privati presso cui è in cura il minore.

Naturalmente tutti gli incontri peritali devono avere un obiettivo specifico. Il perito li pianifica non perché “so che si fa così”, bensì “incontro X per valutare Y”.

(Segue). La risposta al quesito peritale

Espletate tutte le operazioni peritali, il perito è tenuto, nella parte conclusiva del suo elaborato, a rispondere in maniera precisa e circostanziata al quesito peritale.

Il minore XY è idoneo o non idoneo a rendere testimonianza sui fatti specifici di causa? Perché?

Criticità dell'indagine

La perizia in questo genere di casi è un tema molto ampio e complesso. Non è sufficiente una ottima preparazione in ambito clinico ma l'esperto deve possedere una formazione psicoforense e conoscere molto bene il linguaggio giuridico e le norme che ne fanno da cornice.

Questo background culturale gli permetterà di affrontare la cross-examination in maniera efficace e coerente con quanto sostenuto nell'elaborato peritale. Molto spesso, infatti, i periti “crollano” nel momento dell'esame incrociato in cui dovrebbero motivare tutte le valutazioni e conclusioni peritali effettuate.

Guida all'approfondimento

CAMERINI, SABATELLO, VOLPINI, Scheda rilevazione capacità testimoniale, in Gulotta, Camerini (a cura di), Linee Guida Nazionali. L'ascolto del minore testimone, Giuffré, 2014;

DE CATALDO NEUBURGER, L'ascolto del minore. Norma, giurisprudenza e prassi, in Gulotta, Cutica, Mente, società e diritto, Giuffré, 2010;

MAZZONI, , Psicologia della testimonianza, Milano, 2011;

SARTORI, Idoneità del minore a rendere testimonianza, in Stracciari, Bianchi, Sartori (a cura di), Neuropsicologia forense, Bologna, 2010.

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