Uxoricidio. Indagine di psicopatologia sul movente

Alessandra Bramante
23 Ottobre 2018

L'uxoricidio è una tipologia di omicidio intrafamiliare in cui la psicopatologia grave ha una rilevanza minima nella criminogenesi e nella criminodinamica dei fatti. Il cosiddetto raptus o follia momentanea altro non è che l'esito di un excursus più complesso, breve o lungo che sia, che vede i due protagonisti, omicida e vittima, prigionieri in un gioco relazionale tragico e disfunzionale...
Abstract

Si parla di omicidio doloso quando un soggetto cagiona la morte di un altro volontariamente.

Dal punto di vista del diritto è un delitto contro la persona e può essere commesso con un'azione o un'omissione, utilizzando mezzi fisici o psichici diretti o indiretti.

Nella sua categorizzazione possono essere correlate situazioni aggravanti relative ad aspetti soggettivi (premeditazione, motivi futili o abbietti, ecc.), alle modalità o ai mezzi utilizzati (crudeltà, sevizie, ecc.), alla connessione eventuale ad altri reati in un quadro criminoso più ampio, alle caratteristiche dell'omicida o ai rapporti tra l'omicida e la vittima (ascendenti, discendenti diretti, ecc.).

Da punto di vista psicologico l'omicidio è causato da emozioni quali l'odio, la paura, la rabbia, la gelosia, il risentimento, la frustrazione oppure dal desiderio di affermazione di sé, di denaro, prestigio o dal timore di poter perderli.

Possiamo considerarlo come la massima manifestazione di violenza interpersonale, può avere cause molteplici ed è senza dubbio un fenomeno complesso dal punto di vista psicologico e relazionale.

Ciò tanto più quando questo fenomeno si esplica in ambito familiare, ambito connotato socialmente come la massima espressione degli affetti e delle relazioni fondanti la vita di un individuo.

Diverse sono le tipologie di omicidio nell'ambito familiare: il figlicidio e il parricidio in primis (matricidio, patricidio, fratricidio) ma si affiancano con una certa rilevanza anche quelli relativi a parenti acquisiti (marito, moglie, suoceri) non consanguinei.

Nel 1988 da una ricerca di DALY e WILSON emergeva infatti, analizzando il rapporto di parentela tra l'omicida e la vittima negli omicidi in ambito familiare (il 33% del numero totale degli omicidi su scala nazionale), che tra questi vi era una netta prevalenza di quelli perpetrati tra non consanguinei (in un rapporto da 1 a 10).

Di seguito abbiamo ritenuto di approfondire gli aspetti psicologici e psicopatologici correlabili all'omicidio e a delineare alcuni aspetti specifici proprio di una di queste tipologie: l'uxoricidio.

Dati statistici

Dai dati della Camera dei Deputati relativi alle vittime di omicidi volontari degli anni 2013, 2014, 2015 emerge che negli ultimi anni l'andamento è decrescente. Dal 2010 al 2015 si registra una diminuzione del 12%, e del 3% tra il 2014 ed il 2015. Differente l'andamento del numero di donne uccise. Nel 2010 le vittime di sesso femminile rappresentavano il 29,89% delle persone uccise, nel 2013 tale percentuale raggiunge un picco del 35,71%, per diminuire nell'anno 2014 (31,34%) e nel 2015 (30,06%).

Nell'ambito familiare affettivo, dove l'incidenza percentuale evidenzia il delicato e “debole” ruolo della donna, mostra comunque un significativo “aggravamento”. Se nel 2010 le donne uccise in ambito familiare/affettivo rappresentavano il 62,70% le stesse raggiungono nel 2013 il triste primato del 70,22%, per stabilizzarsi nel 2014 al 61,04% e nel 2015 al 64,88%. Con riferimento agli episodi del 2015, nel 44% dei casi la donna vittima di omicidio volontario era legata da un rapporto sentimentale con il suo autore. Nel 25% era presente un rapporto di parentela (genitori-figli-altri parenti).

Sempre dalla disamina dei dati emerge che dalle prime indagini e da quanto dichiarato nell'immediatezza dai presunti autori del delitto, le donne rimangono vittime di omicidio, nella maggior parte dei casi, per una lite dalle conseguenze devastanti (33% dei casi) oppure per un motivo legato a un raptus di follia incontrollato (19%). Nel 20% dei casi l'autore agisce per motivi passionali.

Gli omicidi in ambito familiare, a parte alcune eccezioni correlabili ad interessi specifici, se pur “abominevoli” comprensibili e razionali (economici, di status sociale, per eredità, prestigio, ecc.), sono generalmente legati a situazioni in cui l'aspetto emotivo, passionale o psicopatologico ha una netta rilevanza.

Basti pensare all'incidenza dell'aspetto psicopatologico nella quasi totalità dei casi di figlicidio materno, agli aspetti emotivi e passionali dei femminicidi o ancora ad aspetti relazionali disfunzionali tra i componenti del nucleo familiare.

Quando si parla di gravi delitti si è colpiti di solito dal fatto che le vittime sono persone vicine all'autore di reato, persone con le quali lo stesso ha vissuto, interagito, progettato il futuro, condiviso parte della propria vita, del quotidiano costellato di eventi felici e dolorosi.

In alcuni casi gli eventi omicidiari si verificano “apparentemente” all'improvviso, senza alcun elemento utile che potesse far presagire un evento così tragico, e più spesso, l'opinione pubblica allontana l'idea che ciò possa verificarsi in una situazione di normalità, introducendo l'aspetto psicopatologico anche dove non esiste, al fine di tutelarsi da un coinvolgimento sentito come troppo invasivo i propri ambiti di vita, la propria “normalità”. Infatti «da una persona normale azioni violente di questo o altro tipo non possono venire commesse. Già perché la gente, i mass media, gli intervistatori, i commentatori radiotelevisivi e via dicendo anche questo sanno; quando una persona è normale oppure no. […] come si può spiegare (giustificare) un agito auto e/o eterodistruttivo in un soggetto conosciuto come “normale”?

Questi delitti hanno da sempre sfidato anche gli psicopatologi forensi (il reato d'impeto ha costituito e costituisce uno dei capitoli più complessi, controversi e inquietanti della psichiatria clinica e forense, passata e attuale) non fosse altro per la necessità di distinguere quelli alla cui base vi è effettivamente stato il ricorso di una determinante patologica e quelli invece ascrivibili al “semplice” stato emotivo passionale». (FORNARI, 2014).

Nonostante tale tendenza comune il disturbo patologico psichico il più delle volte non conferisce all'atto omicidiario un vero e proprio “significato di infermità” in termini giuridici, in quanto non influisce in modo così pervasivo la capacità di intendere e di volere dell'individuo sino ad escluderla o a scemarla grandemente. E ciò non dovrebbe stupire se l'omicida sino a poco prima dei fatti è stato nella maggior parte dei casi, ben inserito socialmente e lavorativamente in assenza di evidenti disfunzionalità di tipo psichico.

Spesso infatti (e tanto più nei delitti in ambito familiare) è proprio la relazione vittima-omicida che ne intreccia la criminogenesi e la criminodinamica.

Riguardo poi all'omicidio in ambito familiare, negli ultimi anni si è rilevato un notevole allarmismo sociale specificatamente riferito al fenomeno del femminicidio (v. BRAMANTE – LAMARRA, La violenza di genere: dal maltrattamento al femminicidio).

«Nel 2013, quindi, nel lessico degli italiani entra un nuovo termine, quello di femminicidio. […] Il femminicidio, pertanto, non è un neologismo inventato dai mass media, come banalmente si può ritenere, ma è il risultato di un processo di evoluzione culturale, sociale e criminologico, avvenuto nel tempo, con la particolare intenzione di dare un nome ad un fenomeno che- come teorizzato nel 1992 dalla scrittrice e criminologa Diana Russell – non è solo appellare un tipo di omicidio di genere (questione privata tra un uomo violento e una donna vittima) differente dal comune omicidio ma, rappresenta, invece, una malattia sociale che nasce da una cultura maschilista che, in alcuni casi, si esprime attraverso l'esercizio ripetitivo nel tempo di pratiche, fisiche e psicologiche, mirate a prevaricare le donne stesse». (FEDERICI, MELUZZI, NUMA 2018)

E in tal senso si inserisce ancora la legge 77 del 2013 in cui si è ratificata e data esecuzione in Italia alla Convenzione di Istanbul per la prevenzione e la lotta nei confronti della violenza sulle donne.

Con la legge 4/2018poi si sono apportate ulteriori modifiche ai codici (civile, penale, di procedura) in favore degli orfani per crimini domestici, per esempio con l'estensione delle tutele ai figli minorenni e ai maggiorenni economicamente non autonomi della vittima di un omicidio commesso dal coniuge (anche se separato o divorziato), dal partner di un'unione civile, anche se cessata o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva o convivenza stabile.

Perché parlare di femminicidio (termine che comporta uno specifico significato relativo al motivo fondante il reato stesso, l'uccisione di una donna cioè da parte del proprio compagno, marito, padre o di un uomo qualsiasi, come conseguenza del mancato assoggettamento fisico e psicologico della vittima) riferendosi al tema dell'uxoricidio?

Innanzitutto perché dai dati statistici degli ultimi anni, emerge chiaramente che il femminicidio in Italia è correlato, per la maggior parte dei casi, all' omicidio di una donna da parte del partner o dell'ex partner (con punte oltre il 60% dei casi). Inoltre va considerato che l'uxoricidio perpetrato da una donna nei confronti del partner ha delle percentuali molto ridotte.

Infatti, prendendo ad esempio i dati rilevati nell'Indagine Istat, delitti imputati e vittime dei reati una lettura integrata delle fonti su criminalità e giustizia, riferiti ai casi del 2014, si evidenzia che se, nel caso di omicidio volontario, la vittima è di sesso maschile, solo nel 3,4 per cento l'autore di reato e il partner o l'ex partner, nel caso di vittima di sesso femminile invece, sempre nell'anno 2014, l'omicidio è stato commesso dal partner o ex partner nel 54,7 per cento dei casi, o comunque all'interno della famiglia, a opera di un parente in un ulteriore 22,3 per cento dei casi, da autori esterni alla famiglia ma conoscenti nell'8,8 per cento dei casi.

I profili criminologici dell'autore del reato e della vittima

Per quanto sopra quindi è imprescindibile tenere in considerazione che, se il fenomeno del femminicidio non esaurisce in sé il tema dell'uxoricidio, certamente ne rappresenta una parte fenomenologica importante.

Ma qual è il profilo criminologico dell'autore di reato di femminicidio?

Dalla disamina dei dati statistici riportata da FEDERICI, MELUZZI e NUMA (2018) emerge che si riferisce a un uomo di nazionalità italiana con un'età compresa tra i 25 e i 54 anni, partner o ex partner della donna uccisa che agisce da solo; i casi sono maggiormente riferiti a zone del nord Italia, hanno un movente passionale, viene utilizzata preferibilmente arma da taglio e generalmente sono presenti, nell'excursus che precede l'omicidio, altri tipi di violenze.

In un terzo dei casi l'autore del reato si suicida.

Ovviamente, stilando di contro il profilo della vittima si identificano come caratteristiche predominanti la nazionalità italiana e l'uccisione da parte del marito/convivente/partner o ex.

Nel 50% dei casi infatti l'autore è il marito regolarmente sposato e nel 12,5% è il convivente.

In tal senso appare evidente la stretta correlazione in termini di rischio con il rapporto di convivenza matrimoniale o more uxorio, che comporta, come già evidenziato, una “quasi sovrapposizione” tra i numeri relativi all'uxoricidio e quelli relativi al femminicidio.

L'età delle vittime in quelli di coppia è nel 48,1% dei casi compresa tra i 35 e i 54 anni ma quella tra i 35 e i 44 anni risulta quella con la maggior incidenza in termini di rischio (26, 2%)

Anche la classe ultrasessantenni presenta un'incidenza rilevante nella casistica (23,5%).

A confermare tale dato si rileva che, in relazione alla condizione professionale la categoria più colpita è quella delle pensionate (20,7 %), le impiegate (19,6%), casalinghe (17,5%), domestiche (10,9%), lavoratrici autonome (6,3%), disoccupate (5,6%), professione medica (3,9%), studentesse (2,8%) Inoltre l'omicida è di solito pensionato (23,1%), lavoratore autonomo o dipendente (15,7%), disoccupato (14,2%) e operaio (13,6%).

Infine nel 32,5% dei casi l'omicidio rappresenta la risposta sproporzionata dell'uomo all'intenzione della partner di concludere la relazione e i primi tre mesi dalla fine del rapporto sentimentale sono il periodo maggiormente pericoloso per le donne.

Nello specifico: «A riguardo, analizzando cinque anni di andamento dal 2010 al 2014 il 51,8% degli omicidi è commesso dall'ex nei novanta giorni successivi alla separazione, di cui il 21,4% nel primo mese e il 30,4% tra il secondo e il terzo mese. In pratica il femminicidio è l'effetto di un “possesso negato”, conseguenza della decisione della vittima di uscire da una relazione sentimentale. In seguito i femminicidi scendono al 12,5% tra i sei mesi e un anno dalla separazione per risalire al 21,4% nel periodo compreso tra uno e tre anni e calare notevolmente al 7,1% in quello tra tre e cinque anni dove una funzione preminente deriva dagli effetti legali della separazione nonché dalla nuova condizione di vita/relazioni sentimentali». (FEDERICI, MELUZZI, NUMA, 2018)

Il movente generalmente è correlato alla gelosia o al senso di possesso nei confronti della partner (44,3%), per la presenza di una conflittualità ancora accesa (24,7%) o per questioni economiche (3,8%).

Solo una piccola porzione dei casi può invece essere riferibile ad un disturbo psichico dell'autore (6,9%) o a disagio fisico della vittima (8,1%) o ad episodi cosiddetti di raptus (4,8%), ridimensionando le dichiarazioni degli autori del delitto (19%) sopra riportate e considerando i limiti descritti da FORNARI relativamente la difficoltà di inquadrare una follia transitoria o il raptus omicida in una vera e propria categoria diagnostica e psicopatologica.

E ancora, relativamente al modus operandi, in riferimento a casi del periodo compreso tra il 2012 e il 2016 si rileva che nella maggior parte viene utilizzata un'arma da taglio in una situazione di vero e proprio scontro fisico e collutazione (30,3%), l'arma da fuoco (28,2%), armi improprie (11,1%) come martelli, bastoni, spranghe o percosse (6,2%), oppure mediante strangolamento (8,5%), e soffocamento (6,2%) con un tentativo di occultare il cadavere mediante il fuoco, abbandono in luoghi isolati, in mare/lago/fiume/pozzi o occultamento nell'abitazione, sotterramento, ecc.

Spesso, come già sopra riportato, l'autore può suicidarsi (40,5%) o confessare nell'immediatezza del fatto-reato (16,6%).

Infine, come già sopra riportato, si riscontra la presenza di violenze pregresse l'omicidio in un numero di casi rilevante; ciò è un indicatore preoccupante che dovrebbe porre agli esperti molti spunti di riflessione per valutare i fattori di rischio e prevedere interventi preventivi.

Relativamente tali violenze infatti emerge, considerando la casistica del periodo compreso tra il 2010 e il 2014, la presenza di violenza fisica nel 17,6%, di violenze psicologiche nel 10,1%, stalking nel 7,7%, altre tipologie di violenza nel 4,3% e la presenza di una escalation di tali violenze nel 7,7%; violenze di cui purtroppo solo il 10,6% sono state denunciate o rese note a terzi (15,2%), rivelando la difficoltà delle donne a riconoscere il pericolo e a chiedere aiuto.

Per quanto riguarda la casistica di uxoricidi con vittima di sesso maschile per mano del partner, numericamente risulta essere molto più limitata (3,4% nel 2014 e 0 casi relativamente ex partner).

E anche le motivazioni alla base dell'atto omicidiario, che vedremo in seguito, sono, in parte diverse.

Uxoricidio e psicopatologia

Dai dati statistici sopra riportati si evidenzia che in tale tipologia di reato, nella maggior parte dei casi, non sono rilevabili franche patologie di tipo psichico.

Per quanto riguarda la rilevazione del movente, riferibile a istanze di tipo passionale, economico o comunque inserito in una conflittualità inerente la rottura del rapporto sentimentale, non rappresenta nella maggior parte dei casi un elemento “dirompente” che di fatto influisca sulla capacità di intendere e di volere dell'omicida e, conseguentemente, sulla sua imputabilità in sede processuale.

Ma, valutando le dinamiche relazionali nelle storie che purtroppo arrivano all'attenzione della cronaca, si evidenziano elementi che identificano quantomeno delle criticità psicologiche personali e relazionali.

Molti tra questi autori di reato, nello specifico in particolare di sesso maschile, da mariti e padri di famiglia si trasformano in stalker e uomini violenti pronti ad uccidere piuttosto che a rielaborare un abbandono da parte della partner.

La rabbia dell'essere abbandonati diventa incontenibile, spesso correlata ad aspetti di personalità di tipo dipendente, borderline o narcisistico che non permettono una corretta elaborazione del lutto (relativo alla rottura della relazione) ma che innescano reazioni di vendetta alternati a tentativi esasperati di recupero della relazione, che, fallendo inesorabilmente, innescano ulteriormente rabbia e desiderio di distruggere l'”oggetto” che non si può più possedere e controllare.

Persino i figli non sono più considerati nella dinamica distruttiva (orfani di femminicidio) o, peggio, vengono utilizzati come ulteriore mezzo per distruggere l'altro e tutto ciò che concerne la famiglia (strage familiare).

Lo stesso raptus menzionato nelle statistiche sopra riportate ha un'incidenza minima nella motivazione alla base della casistica globale.

E, come ben evidenziato da FORNARI, tali espressioni di violenza apparentemente senza motivazione presentano invece, ad una valutazione clinica attenta e approfondita, elementi pregressi, anche psicopatologici, che hanno costruito nel tempo, purtroppo lo script di un esito nefasto, sia in termini di criminogenesi (anche per il costituirsi di effetti derivanti da scarsa resilienza dell'omicida all' evento critico dell'abbandono), sia nei termini di sviluppo di dinamiche relazionali distorte e disfunzionali in un crescendo di violenza.

Non a caso la presenza in percentuale, di violenze pregresse all'evento omicidiario (spesso riferibili al fenomeno dello stalking) è allarmante.

Ma quali sono gli aspetti psicologici e psicopatologici degli autori di uxoricidio?

Alcuni autori hanno identificato nella dipendenza affettiva uno dei fattori destabilizzanti in caso di rottura della relazione.

Essendo necessario il partner per il mantenimento del proprio equilibrio emotivo, la rottura della relazione viene vissuta come la rottura del proprio mondo. Infatti nel momento in cui la relazione sentimentale sulla quale si è investito presenta criticità o non vi è un amore corrisposto, il soggetto dipendente entra in una condizione di estrema sofferenza che comporta a sua volta un'influenza negativa su aspetti vari della propria vita (amicizie, lavoro, immagine sociale, ecc.)

La sofferenza si esprime con modalità diverse che possono arrivare al superamento del lutto e del malessere fino ad arrivare ad atti autolesivi e anticonservativi, o eterodiretti come nei comportamenti assillanti e molesti, di cui lo stalking è un fenomeno conosciuto. In una sorta di parallelo in cui la dipendenza affettiva viene paragonata a quella da sostanze per modalità e attivazione circuiti neuronali, alcuni studiosi riferiscono il pericolo del craving e delle recidive nel soggetto (dipendente o rifiutato) che può riaccendere il desiderio anche in coloro che sono stati rifiutati dall'ex-partner. (FISHER et al. 2010)

Attualmente la dipendenza affettiva non è una patologia inclusa nel DSM V come altre dipendenze comportamentali. In ogni caso essa è presente con modalità ed incidenza diverse in alcuni disturbi di personalità (borderline, dipendente, istrionico) che presentano a loro volta modalità di reazione diverse a eventi stressogeni.

Ma, in assenza di vera e propria psicopatologia, quali sono le caratteristiche psicologiche dell'autore di femminicidio?

Molti criminologi hanno identificato come elementi importanti presenti in questo tipo di delitto, alcune caratteristiche tra cui la prepotenza, la possessività, l'aggressività correlate con l'assenza di considerazione dell'altro, come altro da sé con le sue esigenze.

ELBOW (1977) individua quattro tipologie di aggressore, tra cui:

  • il controllore che pretende un controllo totale dei familiari al fine di tutelare il proprio dominio su di loro;
  • il difensore che vive l'altrui indipendenza come una minaccia di abbandono e sceglie preventivamente donne dipendenti;
  • i soggetti che necessitano di approvazione e di conferma esterna per la propria autostima;
  • l'incorporatore che ricerca un rapporto totalizzante e fusionale con la partner e che, nel caso di minaccia di abbandono può interpretare la perdita dell'oggetto d'amore come una perdita di sé.

In tutti questi soggetti la relazione con la partner viene utilizzata come compensazione della propria mancanza di autostima e le dinamiche di coppia si esplicano in modo alternato sul piano della “fusionalità” e sulla relazione dominante/dominato.

MERZAGORA (2009) inoltre distingue alcune tipologie di uomo abusante:

  • i narcisisti, che hanno necessità di continua ammirazione, insofferenti alle critiche, indifferenti alle esigenze altrui e con la tendenza ad attribuire agli altri responsabilità dei propri fallimenti. Attraenti e spesso socialmente gradevoli cercano nell'intimità di isolare la compagna;
  • gli antisociali, cui non interessano i diritti altrui e non osservano regole, possono mettere in atto azioni eteroaggressive se nel loro interesse, mostrano scarso rimorso per le conseguenze delle proprie azioni, sono impulsivi e aggressivi;
  • i soggetti che presentano un “disturbo borderline di personalità”, caratterizzato da repentini cambiamenti di umore, instabilità dei comportamenti e delle relazioni con gli altri, marcata impulsività. In situazioni stressogene possono vivere sensazioni di vuoto interiore, irritabilità e scoppi di ira, comportamenti autolesivi per ridurre la tensione emotiva o utilizzo di sostanze stupefacenti e alcol. Importante in questi soggetti è l'intensità con la quale vivono le relazioni, l'instabilità delle stesse e la tendenza ad oscillare in modo estremamente rapido tra l'idealizzazione dell'altro (all'inizio della relazione) e la sua totale svalutazione successivamente;
  • i perversi narcisisti, che utilizzano nel controllo dell'altro la manipolazione. «Nei perversi è l'invidia a guidare la scelta del partner. Si nutrono dell'energia di quelli che subiscono il loro fascino. È per questo che scelgono le loro vittime tra le persone piene di vita, come se cercassero di accaparrarsi un po' della loro forza. Oppure possono scegliere la loro preda in funzione dei vantaggi materiali che può procurare». (HIRIGOYEN, M. 2006);
  • i paranoici che hanno una visione rigida del mondo in generale, e dei ruoli dell'uomo e della donna in particolare. Sono sospettosi e diffidenti e temono complotti anche da parte del coniuge; la loro gelosia può sfociare in una vera e propria psicopatologia. Tendono ad isolare la partner anche dalle relazioni familiari e nel caso essa si allontani da loro esasperata da tale comportamento reagiscono in modo aggressivo e oltremodo controllante (stalking).

Per COSTANZO (2003) infine la gelosia il movente primario dell'uxoricidio e del femminicidio e distingue una gelosia di tipo competitivo di quei soggetti che soffrono per aver perduto l'oggetto d'amore e sentono la perdita come una diminuzione della propria autostima, tesi al soddisfacimento dei propri bisogni narcisistici, da un secondo tipo di uxoricidi per gelosia di tipo proiettivo, i quali riversano sul coniuge i propri desideri non riconosciuti di infedeltà.

Una terza forma di gelosia infine è quella patologica vera e propria, il delirio di gelosia.

Spesso quest'ultima tipologia presenta il fenomeno dell'etilismo cronico che sostiene e favorisce i deliri di gelosia, i convincimenti erronei sull'infedeltà del partner, facilitati anche dalla diminuita efficienza sessuale e dall'atteggiamento di rifiuto del coniuge (PONTI, MERZAGORA BETSOS, 2014).

Integrando caratteristiche di personalità e gravità delle violenze, MONROE E STUART (2004) definiscono le seguenti tipologie di aggressore:

  • un aggressore dominante-narcisista che utilizza la violenza per il controllo sulla partner al fine di affermarsi;
  • il geloso-dipendente che utilizza la violenza in funzione del controllo, ma soprattutto per timore dell'abbandono;
  • gli aggressori antisociali, violenti sia dentro che fuori le mura domestiche, in violazione dei diritti altrui.

Infine ulteriore distinzione di DIXON E BROWNE è quella che identifica:

  • i violenti solo in famiglia, che generalmente anche se disfunzionali non presentano vere e proprie psicopatologie;
  • i disforici-borderline, con sintomatologia relativa ad ansia, depressione, labilità emotiva;
  • i disforici-antisociali che si configurano come violenti con tutti e caratterizzati da precedenti penali o abuso di sostanze.

Relativamente le donne uxoricide le motivazioni alla base dell'atto appaiono comunque diverse; esse generalmente uccidono i mariti violenti, esasperate da anni di maltrattamenti e soprusi, oppure i mariti trascuranti, rigidi, che non forniscono loro quanto desiderano.

Una donna può uccidere per gelosia o per vendetta per essere stata abbandonata o disprezzata, delusa. In molti casi però la gelosia delle donne si indirizza più contro la rivale, preservando il rapporto con il partner, pur mantenendo in un certo senso la stessa gelosia e possessività che presentano gli uomini. In tal caso ovviamente le loro azioni non rientrano nell'ambito dell'uxoricidio che rimane un'opzione valida più nel caso di indifferenza e disinteresse da parte del partner o in quelli più opportunistici legati ad aspetti economici e sociali o legati ad una nuova relazione (situazione nella quale il partner è considerato un intralcio).

Criticità dell'indagine

L'uxoricidio, da quanto sopra esposto, è una tipologia di omicidio intrafamiliare in cui la psicopatologia grave ha una rilevanza minima nella criminogenesi e nella criminodinamica dei fatti.

Come ben spiegato da FORNARI, il cosiddetto raptus o follia momentanea altro non è che l'esito di un excursus più complesso, breve o lungo che sia, che vede i due protagonisti, omicida e vittima, prigionieri in un gioco relazionale tragico e disfunzionale dove si intersecano i limiti della personalità di entrambi.

Gli aspetti che emergono dalla disamina dei dati sono per lo più criminologici e stilano un profilo dell'uxoricida preciso e definito.

I dati statistici identificano una sostanziale stabilità del fenomeno negli ultimi anni ed una quasi sovrapposizione dei dati relativi all'uxoricidio con quelli relativi al femminicidio.

In tal senso quanto sopra descritto dovrebbe fungere da spunto di riflessione per gli operatori del settore al fine di identificare elementi di supporto ed interventi che possano arginare il fenomeno e limitarne la casistica, in considerazione del fatto che quanto solto sinora non appare sufficiente; ciò partendo dal creare una cultura maggiormente sensibile alle problematiche familiari relative ad aspetti di violenza di vario genere (fisica, psicologica, economica, sociale) sino al rendere maggiormente consapevoli le donne di quelli che sono i segnali di una pericolosa escalation di rabbia e violenza da parte del partner o dell'ex partner.

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